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Per la tua famiglia, per il tuo comune, per la pace. Vota Libertas.

Manifesto elettorale Dc 1948.

Contro le disonestà, contro la disoccupazione per avere case e meno tasse per l’indipendenza d’Italia per pace e lavoro!

Manifesto elettorale Pci 1953.

La famiglia nella propaganda audio-visiva della Dc e del Pci.

Il capitolo rivolge l’attenzione all’uso che la DC e il PCI facevano del mezzo cinematografico nell’azione politica e culturale verso la società italiana. Come ricorda Ermanno Taviani lavorare su questi temi e materiali è assai complesso dal momento che si tratta di un terreno ancora in gran parte inesplorato dalla

storiografia276. Attraverso un’analisi della trasformazione dei linguaggi e delle

rappresentazioni, si cercheranno di individuare i temi maggiormente propagandati, ma anche le tipologie di famiglie che i due schieramenti promuovevano e a cui si rivolgevano. Si intende inoltre riflettere sui codici narrativi espressione del ruolo pubblico e privato della famiglia.

1. Gli esordi cinematografici dei Comitati Civici (1946-1948): fede, famiglia e

voto.

Il momento storico e il particolare clima politico avevano influito sulla doppia campagna elettorale per il Referendum istituzionale e per l’Assemblea

costituente del giugno 1946277. L’Italia era uscita dalla guerra da poco più di un

anno e lo spirito di collaborazione nato nel Cln continuava a contraddistinguere

la vita politica del tempo278. Questi fattori segnarono con forza le campagne

276 E. Taviani, Cinema, politica e propaganda, in A. Medici, M. Morbidelli, E. Taviani (a cura di), Il

PCI e il cinema tra cultura e propaganda 1959-1979, Roma, Archivio Audiovisivo del Movimento

Operaio e Democratico, 2001, p. 135.

277 E. Novelli, Le elezioni del Quarantotto, cit., p. 99.

278 M. Ridolfi, Storia dei partiti politici. L’Italia dal Risorgimento alla Repubblica, pp. VII-XIV; dello stesso autore si veda inoltre: Interessi e passioni: storia dei partiti politici italiani tra l’Europa e il

elettorali dei partiti; nello scontro per la ricerca del consenso più che emergere le differenti identità dei partiti, prevalsero le contrapposizioni verso quelli che

erano considerati i principali pericoli, ovvero il fascismo e la monarchia279. Il

recente passato fascista, la guerra e la presenza dei Savoia spostarono l’attenzione dei partiti più sulle vicende che riguardavano la definizione del nuovo assetto istituzionale che sulle loro differenze interne; la propaganda

elettorale mostra chiaramente queste tendenze280. Gli strumenti della

comunicazione di massa più utilizzati dai partiti furono i manifesti e i comizi di

piazza281. Nei numerosi manifesti ricorrevano tematiche legate alla condanna

del fascismo e al voto delle donne. Esemplari a questo riguardo sono gli slogan del Pci e della Dc, come: «Contro il fascismo vota comunista» o «Non

avremmo avuto la guerra se tua madre avesse potuto votare»282. Come ricorda

Maurizio Ridolfi, nel corso della costruzione della democrazia i partiti si alimentarono di una «complessa e contraddittoria rappresentazione del

passato»283 che costituì la base su cui costruirono il proprio apprendistato. Col

1946 i luoghi della vita pubblica divennero gli scenari della politica partecipata284. I comizi e i contraddittori, i manifesti e i giornali murali, le feste di piazza furono i simboli e gli strumenti utilizzati dai partiti politici per affermare la propria identità, per raccogliere i consensi, ma anche per «lasciare tracce e lanciare messaggi» attraverso le innovazioni tecnologiche dei mezzi di comunicazione di massa. Dai linguaggi utilizzati dalla propaganda si evince come la vera sfida della democrazia fosse quella di creare una cultura politica «comune a tutti i contendenti in campo, che avrebbe dovuto garantire un

corretto svolgimento della competizione»285 e legittimare il nuovo sistema di

governo.

S. Lupo, Partito e antipartito: una storia politica della prima Repubblica, 1946-1978, Roma, Donzelli, 2004.

279 E. Novelli, Le elezioni del Quarantotto, cit., p. 99.

280A. Ventrone, Forme e strumenti della propaganda di massa nella nascita e nel consolidamento della

Repubblica (1946-1958), in M. Ridolfi (a cura di), Propaganda e comunicazione politica, cit., pp. 209-

232.

281 M. Isnenghi, L’Italia in piazza, cit., pp. 393- 411 e pp. 425- 437. 282 E. Novelli, Le elezioni, cit., p.99.

283 M. Ridolfi, Il carosello della politica. La caccia al voto nell’Italia Repubblicana, in «L’Europeo», n. 2, Maggio 2007, p.19.

284 Ibidem. 285 Ibidem.

I risultati di questo percorso sono evidenti nello spirito che animò la competizione elettorale del 1948. In pieno clima di guerra fredda, il desiderio e l’esigenza dei partiti di affermare la propria identità incise sulla trasformazione dei linguaggi e dei temi della propaganda. I toni si esasperarono, la riduzione del messaggio politico in slogan divenne una consuetudine, le immagini si sostituirono alle parole, i temi si semplificarono, la trasfigurazione verbale e iconografica dell’avversario dette vita a immagini elementari, contemporaneamente potenti e rozze, che grazie alla loro semplicità riuscivano

a comunicare i diversi messaggi in modo immediato ed incisivo286. Dal 1948 a

fianco delle immagini fisse compaiono le immagini in movimento; l’utilizzo del cinematografo fu una novità della campagna elettorale del’48. Il cinema al tempo era la grande passione degli italiani: solo nel 1948 furono venduti 588

milioni di biglietti, per una media di 1 milione e 60000 spettatori al giorno287.

Questi dati spiegano facilmente le ragioni che mossero i partiti a servirsi di questo mezzo di comunicazione di massa.

Sebbene l’impiego del cinematografo non fosse ancora comparabile a quello dei comizi e dei manifesti, fu comunque considerevole. Il primo partito a sperimentare nella propria attività di propaganda i linguaggi della cinematografia fu la Democrazia Cristiana che, attraverso l’attività dei

Comitati Civici di Luigi Gedda288, promosse e realizzò cortometraggi come

Considerazioni di Eduardo, Strategia della menzogna o Mondo libero289. La

lotta e la condanna al comunismo occupa un posto centrale in ognuno di questi

film. Nel primo Eduardo De Filippo290, attraverso la rilettura in chiave comica

della nota scena della commedia Questi fantasmi291, cercava di spiegare al

286 E. Novelli, La turbo politica. Sessant’anni di comunicazione politica e di scena pubblica in Italia

(1945- 2005), cit., pp. 32 sgg.

287 A. Giannarelli, Una lettura del film del 1948, in N. Tranfaglia (a cura di), Il 1948 in Italia, Firenze, La nuova Italia, 1991, pp. 54 sgg.

288I Comitati Civici nel corso degli anni Cinquanta svolsero una penetrante e intensa propaganda audio- visiva a fine pedagogico e socio-politico. Sebbene nel corso del Decennio l’attività dei Comitati si intrecciò con quella della Dc, è da sottolineare come le due organizzazioni, pur facendo parte dello stesso mondo, fossero indipendenti l’una dall’altra. I Comitati Civici infatti avevano un proprio statuto e non rispondevano alle direttive del partito, ma rientravano nella sfera d’influenza della Santa Sede. 289 Considerazioni di Eduardo, Comitati Civici, 1948; Mondo libero, Comitati Civici, 1948; Strategie

della menzogna, Comitati Civici, 1948 (questo cortometraggio è stato utilizzato e ampliato nel 1949

dalla sezione propaganda e stampa della Presidenza del Consiglio; per l’analisi sono state considerate entrambe le versioni).

290 Eduardo De Filippo fu testimonial della campagna dei Comitati Civici del 1948.

291 Questi fantasmi, commedia interpretata da Eduardo De Filippo nel 1946 al teatro Eliseo di Roma. Dall’opera di Eduardo De Filippo, Renato Castellani nel 1967 realizzò il film Questi fantasmi.

proprio dirimpettaio come assieme all’importanza del caffè alla napoletana vi fosse anche l’obbligo morale di andare a votare Dc nelle imminenti elezioni del 18 aprile. Il secondo, attraverso le immagini «delle chiese saccheggiate in Russia», delle icone sacre distrutte, delle famiglie cattoliche perseguitate e fucilate, faceva leva sui sentimenti dei cattolici che venivano invitati a lottare a fianco della Dc «nella crociata contro i furbi agitatori menzogneri e gli inutili idioti da redimere». Strategie della menzogna, rivolgendosi con tono fermo e deciso alle famiglie «di buona volontà», chiedeva loro di difendere le conquiste del 1946: «vota Dc, unica e solenne arma per la ricostruzione; garanzia di pace serena e libertà». Lo slogan pronunciato dalla voce narrante in chiusura del cortometraggio ammonisce contro l’astensionismo «Vota, vota bene e fai votare bene!».

I Comitati civici svolsero un’attività propagandistica indipendente e parallela a quella della DC. Già da questi primi documenti filmici si percepisce come i Comitati, oltre a denunciare l’astensionismo e il comunismo, avvertissero la necessità di collaborare attivamente all’educazione al voto degli italiani e delle italiane. Sin dal 1946 la promozione di questo intento pedagogico vide all’opera lo Stato, le associazioni e i partiti292; i diversi messaggi segnarono con forza la campagna elettorale del 1948 e rimasero costanti per tutti gli anni Cinquanta. La nascita, lo sviluppo e il consolidamento della democrazia a partecipazione di massa, dipendevano «dalla capacità degli italiani di esprimere le proprie idee e di confrontarsi politicamente»293.

La rappresentazione dello spazio privato e pubblico della famiglia in questi primi esperimenti si dimostra un utile strumento per la comunicazione dei diversi messaggi della propaganda politica. In Considerazioni di Edoardo la rappresentazione della sfera domestica propone immagini consuete in cui gli spettatori avrebbero potuto facilmente individuare elementi a loro familiari. Ecco allora la figura di Edoardo De Filippo che sul balcone della propria casa, in vestaglia da camera e con in testa la retina da notte, gusta il caffè della mattina mentre dialoga con il proprio vicino. Attraverso la descrizione

292 R. Forlenza, Oltre le ideologie, c’è un nemico ed è brutto e peloso, in «L’Europeo» n. 2, Maggio 2007, p. 25.

293 Cfr. R. Forlenza, Le elezioni amministrative della prima Repubblica. Politica e propaganda locale

dell’ambiente della casa e rappresentando le consuetudini che caratterizzano il contesto familiare, i registi cercano di instaurare un “dialogo” con la popolazione. In questo senso si può sostenere che nello spazio cinematografico la rappresentazione del privato si connota di un valore pubblico dove la famiglia è interprete dei codici della comunicazione politica. Viceversa

Strategie della menzogna propone immagini in cui l’istituto familiare riveste

un ruolo pubblico e politico; la raffigurazione di famiglie disgregate, vessate dal nemico comunista denuncia la fallacità delle politiche dell’avversario, descritto come un «mostro sanguinario». A differenza della prima pellicola dove l’atmosfera distesa e l’utilizzo di un registro familiare predisponevano lo spettatore ad apprendere, nella seconda il continuo utilizzo di parole onomatopeiche che sottolineavano la crudeltà delle immagini e un montaggio binario e incalzante delle sequenze, danno vita ad un prodotto teso a scioccare e disorientare gli spettatori. Strategia della menzogna non offre al pubblico il tempo di rielaborare i concetti e i temi proposti; alla finalità pedagogica del film si sostituisce l’intento propagandistico volto a screditare l’avversario.

Lo studio delle singole sequenze renderebbe parziale l’analisi; l’osservazione del film nella propria complessità offre altri spunti d’analisi. Una prima riflessione prende le mosse dall’osservazione dello spazio cinematografico, nel quale le sequenze descritte assumono un diverso valore, perdono di protagonismo. Il cortometraggio Strategie della menzogna è caratterizzato da due tempi narrativi nei quali si assiste ad una trasformazione

dei temi, dei tempi e dei codici della comunicazione294. La rappresentazione

delle famiglie disgregate descritte nella prima parte del film, si dimostra propedeutica alla seconda dove vengono ritratti gruppi domestici interpreti e testimoni dell’armonia che contraddistingue le famiglie italiane. Entrambi i modelli familiari presentati assolvono un ruolo pubblico nell’impianto generale della pellicola, elemento che viene sottolineato in chiusura dalla voce narrante. D’altro canto, ciò che importa mettere in evidenza non risiede tanto nella presentazione di stereotipi pubblici, piuttosto nell’utilizzo che i partiti facevano delle tipologie di famiglie. La famiglia russa rappresentata era complessa e

apparteneva alla realtà rurale, mentre quella italiana era nucleare e urbana. La descrizione del primo istituto familiare denunciava i limiti di uno Stato che cercava di rompere i vincoli familiari, sottolineando l’immobilità di una società arretrata i cui segni esteriori emergono con chiarezza dalla rappresentazione della povertà delle famiglie. Viceversa la descrizione delle famiglie urbane italiane trasmetteva una immagine di benessere, di una ricostruzione economica e socio-culturale gestita e controllata da uno Stato che si proclamava garante dell’individualità e dello sviluppo socio-economico delle famiglie. La scelta dei propagandisti di rappresentare precisi modelli familiari e il valore ad essi attribuito determina il ruolo pubblico delle famiglie, le quali si dimostrano vettori della comunicazione politica e al tempo stesso sue destinatarie. Spostando l’attenzione sul tempo della narrazione cinematografica, ulteriori elementi si impongono all’attenzione. L’avvicendamento dei due modelli familiari è sottolineato da una forte cesura temporale. Nella prima parte del film il ritmo incalzante, determinato da un montaggio privo di sfumature e di piani sequenza, è interrotto bruscamente con un fermo immagine delle famiglie allargate, vestite di stracci, che disorientate camminano in un’area agricola aspra, incolta e abbandonata. L’immagine fissa, oltre a segnare con forza il passaggio narrativo, introduce la “seconda parte” del film che vede come protagonista una famiglia nucleare appartenente ai ceti medi italiani. In questa “seconda parte” i tempi della narrazione si dilatano, le immagini sono collegate da dissolvenze che agevolano le modalità di osservazione dello spettatore e lo introducono a nuovi temi. L’agilità del montaggio rafforza i temi e i messaggi racchiusi nelle rappresentazioni, ma soprattutto influenza l’interpretazione della pellicola da parte dello spettatore, il quale affaticato dalla prime sequenze, in queste nuove immagini sembra trovare un “porto sicuro” dove riposare. Alla lunghezza e alla complessità del primo “tempo” filmico se ne sostituisce un secondo breve, dove l’armonia fra la dimensione spaziale e quella temporale è in un rapporto dinamico. In netto contrasto con il precedente modello familiare, il nuovo prototipo è interprete delle politiche socio-culturali italiane, e soprattutto immagine della collaborazione fra lo Stato e la Chiesa. La famiglia muove in uno spazio

filmico dove i simboli laici e religiosi si intrecciano. Le immagini del Tricolore e dello Scudo Crociato che nel pro-filmico si alternano a quelle del Crocifisso escono da questa dimensione e vanno ad assumere un ruolo di primo piano a fianco del protagonista, la famiglia. Attraverso la tecnica del piano all’americana e con l’ausilio della voce narrante che scandisce i tempi e le modalità del passaggio, il regista restituisce centralità a queste immagini simboliche e crea un rapporto di corrispondenza con l’istituto familiare.

Lo studio della relazione fra i campi della rappresentazione delle immagini, dei tempi della loro messa in scena e l’analisi della morale del narratore introducono un discorso sottinteso, esemplificabile nell’uso che la propaganda politica faceva della dimensione pubblica e privata della famiglia. Nel corso degli anni Cinquanta, per propagandare le idee e raccogliere consensi, le diverse culture politiche fecero propri stereotipi, ambienti e codici familiari privati, grazie a cui rendere più congeniale la dimensione pubblica della famiglia.

Nei mesi precedenti al voto del’48 i carri-cinema dell’Azione cattolica, in tutto cinque, attrezzati con proiettore a passo ridotto, telone, microfoni,

autoparlanti, fonografo, dischi e sedie295, raggiunsero le zone più disagiate del

Centro e Sud Italia296 e portarono in questi luoghi, spesso per la prima volta, il

cinema297. Oltre ai cortometraggi antiastensionistici le diverse auto-cinema proiettarono anche il documentario Pastor Angelicus che descriveva una giornata di Pio XII. Il film, commissionato a Gedda direttamente dal Papa, il quale seguì personalmente ogni fase della produzione298, si rivolgeva alle famiglie cattoliche, dispensava loro consigli su come difendersi dalle «molte insidie del mondo esterno», e le invitava a fare il loro dovere di «famiglie

cristiane» in nome della «fede e del Signore»299. Il rapporto di un propagandista

di un carro-cinema racconta con dovizia di particolari l’emozione che questo

295 M. Casella, 18 aprile 1948, Galatina, Congedo Editore, 1992, p. 223.

296 E’ immaginabile che le pellicole fossero diffuse anche al Nord Italia, ma allo stato attuale della ricerca non si dispone delle informazioni che potrebbero avvalorare l’affermazione. In ragione di questo si è deciso di focalizzare l’attenzione sulle zone centrali e meridionali. Per alcuni riferimenti Fondo audio-visivo instituto Luigi Sturzo, miscellanee, (materiale non catalogato).

297 E. Novelli, Le elezioni, cit., p. 95.

298 L. Gedda, 18 aprile 1948, Milano, Mondadori, 1948, p. 34. 299 Pastor Angelicus, Comitati Civici, 1947 circa.

film suscitò fra gli spettatori e restituisce il clima in cui avvenne la proiezione. Al culmine della serata, fu proiettato il cortometraggio che

impressiona di più le folle proprio per la delicatezza del pensiero del papa per aver voluto mandare questo sollievo senza nulla chiedere. Essendo quelle popolazioni abituate a considerare tutto alla luce degli interessi materiali, riflettono molto sul fatto che ci sia qualcuno che spende soldi per loro senza nessun interesse né finanziario né di altro genere. […] I frutti li vede solo il Signore, ma giudicando dall’accoglienza, è da dire che questa è una forma di propaganda quanto mai gradita300.

La magia del cinema, sottoforma di “dono”, arriva in questi paesini sperduti sommata al potere della fede, e la Chiesa attraverso un’opera moralizzatrice e con l’esercizio della propria autorità segna la strada ai fedeli. L’introduzione di

Pastor Angelicus nella scaletta della programmazione, -dove figurano

cortometraggi di propaganda politica come Considerazioni di Edoardo -, e la decisione di proiettarlo all’inizio o in chiusura della serata, riservandogli quindi un posto d’onore, evidenzia come all’istituzione religiosa fosse riservato il compito di scandire i tempi e le modalità che articolavano il rapporto fra i cittadini, le famiglie e il partito301.

La testimonianza del diligente propagandista offre altri spunti di riflessione utili a ricostruire un “discorso” sulla famiglia. L’uomo racconta come per la proiezione, un avvenimento inconsueto per «questo paese», intere famiglie appartenenti a ceti sociali eterogenei scesero in piazza; «[…] le sedie non erano sufficienti», chi si sedeva sui muriccioli e chi per terra. Una famiglia di contadini, rappresentante di più generazioni, venuta da lontano a bordo del proprio carretto trainato da un bue, allestì il proprio palco sul mezzo di

trasporto302: per godere lo spettacolo da una posizione privilegiata, ma anche

per affermare la propria presenza all’interno della comunità spesso distante dal quotidiano della famiglia. L’occasione riunisce realtà e classi sociali differenti, che difficilmente avrebbero avuto modo di dialogare in un contesto sociale strutturato in modo verticale. Da queste descrizioni si percepisce come la

300 M. Casella, 18 aprile 1948, cit., p. 223.

301 Fondo audio-visivi istituto Luigi Sturzo, scaletta della programmazione del cinemobile Roma 119083, Mirconigramma ricevuto dal S.R.T. di Frosinone, il 20-07- 1949, alle ore 13.40, documento non catalogato conservato presso L’Istituto Luigi Sturzo.

scelta dei Comitati Civici di utilizzare il cinema come “arma” di propaganda si rivelò un efficace strumento per attirare l’attenzione e ottenere il consenso della popolazione che viveva il momento cinematografico come un evento straordinario da condividere con amici e parenti. La sfera del tempo libero e della propaganda politica si intrecciano e le fasi di preparazione all’evento, l’ansia di parteciparvi e il momento stesso della proiezione assumono le forme di un rito che si consuma fra pubblico e privato. Portando in piazza passioni e desideri, le famiglie sono gli attori principali che animano la scena, ma anche i soggetti di un discorso pubblico. Il desiderio delle famiglie di partecipare a questo momento, vissuto come una festa in ragione della sua esemplarità, le spinge nelle piazze, le invita al confronto, detta le regole di nuove pratiche associative che nel corso degli anni Cinquanta dettero vita all’evoluzione di

una società civile monca, unilaterale e gestita dall’alto303; ma anche a una

nuova forma di occupazione dello spazio pubblico da parte dei partiti.

Il cinema di propaganda dei Comitati Civici si distingue dai successivi documenti prodotti dalla Spes perché intreccia i temi della propaganda politica con quelli della fede, e per un apparente intento pedagogico. Se è innegabile

che i Comitati si prodigarono nella campagna per l’educazione al voto304, è

altrettanto vero che la finalità pedagogica si esauriva in questo esercizio. Malgrado il promemoria redatto da Luigi Palma, segretario generale dell’Azione Cattolica per la Presidenza del Consiglio, sottolinei come l’azione propagandistica intrapresa dai Comitati Civici per mezzo di auto-cinema non avesse «finalità politiche e fosse rivolta soltanto ai fini della evangelizzazione

morale e culturale del popolo305», dall’analisi delle pellicole emerge come il

fine pedagogico e culturale occupasse un posto marginale nell’impianto delle produzioni. Lo scopo dei Comitati era quello di fare propaganda politica e i temi legati alla religione, alla fede e alla chiesa, erano ideali per propagandare un modello politico d’impianto cattolico, ma anche un efficace mezzo per comunicare con l’lettorato. A partire dalla fine degli anni Quaranta l’Ufficio

303 Cfr. P. Ginsborg, L’Italia del tempo presente. Famiglia, società civile, Stato, cit., pp. 197-198.

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