Questo capitolo è dedicato interamente al famoso Argomento del Terzo Uomo. La nostra indagine ci permetterà di constatare quanto meritata sia la sua fama e quanto a volte venga frainteso il suo vero significato. Nel primo paragrafo, dopo una breve ripresentazione dell’Argomento del Terzo Uomo del Parmenide, senza prendere compiutamente in esame la sterminata letteratura critica sull’argomento, formulerò una mia ipotesi su quali potrebbero essere le assunzioni della versione più raffinata di questa formidabile confutazione, cioè quella del peri; ijdew'n. E a partire da tale ipotesi cercherò di illustrare anche tutte le altre versioni dell’Argomento del Terzo Uomo. La mia supposizione circa le assunzioni in gioco può così riassumersi: posto che ogni predicato, essendo se stesso, è autopredicabile, se assumiamo che esso sia separato dalle istanze arriveremo a contraddire la sua stessa natura e il suo ruolo di predicato, col risultato di traformarlo in una nuova istanza. In quest’ottica la prima verisone dell’argomento nel Parmenide ci sembrerà muoversi ancora con scarsa consapevolezza, mentre la seconda ci parrà così difforme del Terzo Uomo classico da dover essere considerata in assoluto un altro argomento.
Nel secondo paragrafo, invece, passeremo a descrivere la versione del peri; ijdew'n. Il testo, seppure oscuro, ci parrà non incontrasto con la nostra interpretazione, ma anzi, sembrerà avvallarla in alcuni dei suoi risvolti più peculiari, quali il ruolo cruciale della separazione come condizione indispensabile del regresso e il fatto che in realtà il Terzo Uomo ricaverebbe dalla teoria delle idee separate non infinite idee per ogni predicato, ma infinite nuove istanze per ogni predicato, spingendosi così a contestare che l’idea sia un universale.
Nel terzo paragrafo, poi, ci dedicheremo brevemente al punto di vista di Platone ad Aristotele sull’Argomento del Terzo Uomo del peri; ijdew'n. Avremo modo così di esaminare l’Argomento del Terzo Letto, che ci parrà inefficace non per le ragioni solitamente addotte, ma semplicemente perché evita sì il regresso, ma a prezzo di un autentico “suicidio” della teoria delle idee –ciò che, per inciso, è proprio quanto vuole Aristotele. Così, conformemente alla strategia del peri; ijdew'n, Platone risulterà vulnerabile al Terzo Uomo, a causa di nessun altro aspetto della sua ontologia, che quello di aver considerato gli universali idee, cioè soggetti particolari di proprietà per se. Ci
dedicheremo poi alla versione della confutazione attribuita ad Eudemo. Ma soprattutto a quella che si trova negli Elenchi Sofistici, la quale confermerà in pieno e nei minimi dettagli la nostra interpretazione della meccanica del regresso. A partire da qui ci spingeremo a ipotizzare, sulla base del contesto dell’opera, che questa versione del Terzo Uomo, avesse una funzione difensiva, cautelativa, intesa ad escludere la filosofia dell Stagirita da certe difficoltà cui andava incontro invece quella degli Accademici.
Nel quarto ed ultimo paragrafo, infine, metterò insieme i taselli raccolti non solo in questo capitolo, ma anche nel precedente, e, in una certa misura anche nel secondo e nel terzo. Mostrerò come, in contrapposizione all’Argomento dei Relativi, che tendeva a mostrare come le idee –in senso strattamente platonico- fossero plausibili per i relativi, in quanto predicati privi di portatori sensibili per se, ma in realtà inutili; invece l’Argomento del Terzo Uomo si proponga di coronare la strategia argomentativa di Aristotele, giungendo a dimostrare in che modo vada concepito un predicato –come l’ “uomo”- realmente posseduto per se, e cioè come un essenza autopredicativa – analogamente all’idea-, ma esente dslla clausola di non identità.
§ 5.1. Il Terzo Uomo nel Parmenide.
L’Argomento del Terzo Uomo è forse la più famosa delle obiezioni mosse da Aristotele conto Platone, e la sua fama è senza dubbio meritata. Esso, infatti, servendosi di un regresso all’infinito per la riduzione all’assurdo della dottrina delle idee, più di ogni altro attacco aspira a mostrare non solo la basilare inconsistenza, ma anche la presunta artificiosità e inutilità della teoria platonica. È bene, comunque, cominciare visionando le formulazioni platoniche di questa confutazione, se non altro per motivi cronologici223. La prima di esse si trova nel Parmenide224. Dopo aver posto il dilemma della partecipazione, il filosofo Eleate invita il giovane Socrate a prendere in esame la seguente difficoltà.
…] Io penso che in base a questo tu guardi ogni forma come un’unità: quando ti pare che vi siano molte cose grandi, ritieni che vi sia, per chi le osserva, uno stesso unico ‘aspetto’225 oltre tutte le cose, che secondo te è l’unica idea della grandezza. -È vero, disse- E se volgi lo sguardo con l’anima su tutte queste cose, le cose grandi e l’idea della grandezza insieme, non ti appare una nuova e unica idea di grandezza, in virtù della quale tutte queste cose
sono grandi? –Sembra- Allora, apparirà una seconda idea di grandezza, al
223
L’ipotesi di I. Düring che la formulazione aristotelica sia stata anteriore a quella platonica è del tutto inverosimile, poiché ai tempi del Parmenide Aristotele era solamente ventenne.
224
132a1-b2.
225
di là della grandezza in sé e delle cose che ne partecipano, diversa da tutte queste e in virtù della quale tutte queste cose sono grandi: e così ciascun genere non sarà più uno, ma infinita molteplicità
L’argomento può essere così formalizzato ATM-Parm.
1. ogni volta che molte cose sono grandi, poiché esse tutte insieme hanno un unico aspetto (miva ti;ç ijdeva hJ aujthv), allora tu pensi che la grandezza sia una.
2. ma la grandezza stessa ha il medesimo aspetto dei grandi 3. allora vi sarà un’altra forma oltre (ei\doç para;) la Grandezza 4. allora per tutte queste vi sarà ancora un’altra forma e così via... 5. allora ogni idea sarà infinita molteplicità (a[peira to; plh'qoç)226
Ora non resta che concentrarci direttamente sull’argomento. (1) ha l’apparenza di un classico uno oltre i molti. Il regresso è invece chiaramente dovuto al conseguente di (1) e a (2). Come punto di partenza possiamo richiamare l’analisi di Vlastos che, come abbiamo detto (§ 2.4.) ha costituito un punto di riferimento per moltissimi studiosi contemporanei. Egli osserva che la premessa esplicita dell’argomento, generalizzata, è:
a) xfx → yFy xFx → y=x fx in virtù di F
Se x è f, esiste uno e un solo F in virtù della quale x è F La conclusione, invece, può essere generalizzata cosi:
b) Se x è f in virtù di F, esiste un F2 in virtù del quale x e l’F sono f
Naturalmente dobbiamo postulare delle assunzioni implicite perché la conclusione sia valida, e in proposito sono state fatte diverse proposte. Per esempio:
((AP)V) se x è un’idea, x si predica di se stesso ((NI)V) se x è f, x è diverso da F
Giustamente Vlastos ritiene che le due clausole riportate, congiunte, portino al regresso. L’opinione di questi è che l’Argomento del Terzo Uomo, non farebbe che esplicitare una contraddizione implicita nella dottrina delle idee. Essa, infatti, presupporrebbe ((AP)V) come clausola di non identità necessaria affinché un Uno oltre i Molti deduca un’idea separata, mentre l’assunzione di autopredicazione ((NI)V) sarebbe necessaria affinchè l’idea, poniamo, di grande abbia l’essenza del grande. Ma è chiaro che nel momento in cui, per ((AP)V), un F è f, allora , per ((NI)V), essa avrebbe bisogno di un’ulteriore forma. Il regresso non sarebbe, dunque, che una conseguenza della inconsistenza delle assunzioni postulate dalla teoria delle idee. Le formulazioni di Vlastos paiono, però, piuttosto impegnative, e faticano a dar conto del punto di vista platonico. Si
226
Abbiamo già spiegato per quale motivo per ogni predicato ci deve essere al massimo un’idea, e sarà dunque ovvio il motivo per cui il regresso all’infinito qui inferito è assolutamente devastante per la dottrina delle idee.
è spesso osservato che la non identità sarebbe ritenuta necessaria da Platone solo a proposito dei particolari e si sono così distinte una non identità debole e una non identità forte:
((NIf) se x è f, x è diverso da F
(NId) se x è f, e x è sensibile, x è diverso da F
Aristotele assumerebbe la prima, mentre Platone la seconda. Mi sembra un discreto tentativo, ma che non dà conto dell’importanza che rivestono per Platone i livelli di generalità superiori227. G. Fine ha, invece, ragionevolmente proposto la seguente congiunzione:
((AP)F) se x è un’idea F, allora fx
((NI) F) nessun x è tale che fx e in virtù di x <fx>
((AP)F) è una variante di ((AP)V), ma meno impegnativa di essa in quanto non dice in che modo l’F è f. ((AP)F) non differisce molto da ((AP)F), limitandosi a trasformare la non identità di soggetto e predicato nella non auto-esplicatività del soggetto. Rispetto alle clausole di Vlastos quelle di Fine sono senz’altro più vicine al testo del peri; ijdew'n e dei dialoghi (§ 2.1., § 4.4.). Così lette le due assunzioni non sono inconsistenti, ma non sono neppure sufficienti a produrre il regresso. Esso dev’essere provocato da una qualche altra assunzione, il cui rifiuto potrebbe non essere letale per la teoria delle idee. G. Fine va allora alla ricerca di una fallacia nascosta in (1). La sua proposta, un po’ macchinosa, è di leggere (1) così:
1F. Sull’estensione massima dei f-i a livello n, c’è una e una sola idea al livello n + 1.
In difesa di questa soluzione G.Fine porta come argomenti che (1F) non è inconsistente con ((AP)F) e ((NI)F); che dà via al regresso; e che include la clausola di unicità. Ma questa congettura mi sembra davvero artificiosa. Non c’è nessuna traccia nel testo di sottointesi simili, e non si spiega in che modo Platone avrebbe potuto pensare di difendersi e perché Aristotele dia tanta rilevanza all’argomento, che sembra frutto di un mero bisticcio di parole. Non mi sembra, inoltre, che questa soluzione colga un qualche nocciolo della questione, almeno intuitivamente.
Posto che si debba spiegare:
come si produce il regresso, nel rispetto del testo.
a quali condizioni le assunzioni potrebbero non risultare inconsistenti dove sta il vero nodo della questione
giudico la soluzione più elegante e ingenua la seguente228:
((AP)B) se x è un’idea F, allora fx Dove, o ((AP)B=) < fx > sta per x=f
227
A meno che non si pensi che Aristotele volesse rimproverare a Platone di dare troppo peso ontologico ai generi, senza essersi accorto della rilevanza dell’infima specie. In tal caso lo Stagirita rivendicherebbe il primato delle proprie forme, considerando i generi semplici astrazioni del pensiero dai particolari e dalle specie. L’ipotesi ha una sua validità parziale, ma in tal modo non rimane spiegato per quale motivo Platone sembri dare rilevanza all’argomento.
228
o ((AP)B) < fx > sta per xf ((NI) B) se xf, allora è xf
Preciso subito che con “” non intendo nient’altro che una predicazione che esprima non un concetto d’identità (=), ma d’appartenenza / partecipazione229. Visto che (AP) e (NI) agiscono l’una sull’altra, mi è sembrato possibile intervenire sulla prima per modificare la seconda: ((NI)B) è una lieve variazione del formulazione proposta da Vlastos e da Fine. La differenza è che la non identità è valida solo nel caso in cui la copula sia usata nel senso di “appartenenza”. Mi sembra che l’affermazione di non identità voglia in effetti esprimere esattamente questo, cioè che se attribuisco a un individuo un universale, o una proprietà che esso non possiede per se stesso, l’individuo non può essere identico all’universale stesso (§ 2.1.). È il concetto che è alla base degli uno oltre i molti platonico-aristotelici230 (§ 4.4.). ((AP)B) è invece ambigua. Ci dice che ogni idea della F è a sua volta f. Ma in che senso è f? Platone potrebbe dire che F è il’f stesso, cioè che F è identico ad f (e questo è quanto dire “l’idea F non ha, ma è la forma del f”), e dunque l’idea è autopredicabile (e pertanto può mantenere l’essenza delle istanze) pur non essendo a sua volta un’istanza. Ma Aristotele potrebbe obiettare che l’insieme estensionale degli F non è kecwriçmevnon da essi, ma è - quasi- una somma di essi. In effetti, non sappiamo ancora con esattezza come debba essere intesa la “separazione”, ma di certo nessuna nozione di separazione potrebbe mai autorizzare qualcosa ad essere separato da se stesso. Allora, secondo lo Stagirita, o si riconosce che il’f non è che o un’insieme estensionale dei f-i, o quantomeno qualcosa che in nulla eccede l’essere dei f-i, e, dunque, esso non è sparato dai f-i (in tal caso l’universale potrebbe essere autopredicabile senza ricadere nella non identità); oppure se si vuole che l’f sia un F separato dai f-i , esso non potrà essere identico alla somma estensionale dei f-i, o qualcosa di non eccedente essa, e dunque verrà inclusa, “risucchiata” nella classe dei f-i, dando il via al regresso231. Mi sembra che questa soluzione colga il punto nodale della questione e sia conforme alle convinzioni dei nostri filosofi. Il problema diviene così il seguente: “come può l’f essere f senza essere uno trai tanti f-i?”. Le due clausole sono consistenti e autosufficienti (nel senso che -come si vedrà- non necessitano di interventi ermeneutici ad hoc sul testo). Mi sembrano inoltre molto rispettose della lettera del peri; ijdew'n232
e dei dialoghi233. Per quanto riguarda l’uso dell’essere come appartenenza e come identità, esso potrebbe sembrare un po’ arbitrario. Ma nella stessa concezione secondo cui il predicato può essere predicato dei particolari senza essere identico ad essi (essendo cioè un uno per i molti), e
229
Intendo queste due nozioni, per comodità esclusive, anche se, a rigore, l’identità potrebbe essere considerata un particolare caso di appartenenza.
230
Infatti se dico ‘Simmia è Simmia’ (si pensi al Fedone) non ho bisogno di un’idea di Simmia. Se dico ‘Simmia è uomo’ ho bisogno dell’idea di uomo perché ‘uomo’, predicandosi anche di Socrate e Fedone, non è identico a Simmia.
231
Vedremo in § 4.4. che questo meccanismo, trasposto sul piano ontologico, ha ben altra pregnanza.
232
Cfr § 4.2.
233
secondo cui il predicato può predicarsi di se stesso perché è identico a se stesso, troviamo quella medesima distinzione a cui qui si è solo applicato un lessico nuovo.
A questo punto è chiaro come si produca il passaggio da (1) a (2). Parmenide assume ((AP)). Proprio come nel dilemma della partecipazione il fatto che l’idea fosse una stesa ed identica cosa escludeva che essa avesse capacità distributiva234, ora, il fatto che l’idea sia una stessa ed identica cosa sembra escludere che essa possa identificarsi con la grandezza stessa delle cose. Nel testo non manca, in effetti, una connessione tra l’unità dell’idea il regresso; tanto più che più oltre si afferma che il problema è generato dal tentativo di porre ‘idee in sé e per sé’235, il che prova che Platone riconduceva le difficoltà alla non identità. Il motivo per cui la mia formulazione delle clausole sembra, comunque, dire troppo, è che esse tengono già conto della formulazione aristotelica, e presuppongono una consapevolezza che forse, ai tempi del primo Terzo Uomo, il filosofo Ateniese non possedeva ancora completamente.
Passiamo ora al secondo regresso del Parmenide236. Confutata l’ipotesi delle idee come pensieri nella mente, Socrate tenta di sfuggire all’incalzante critica dell’Eleate spiegando la partecipazione come relazione di somiglianza tra un’immagine e un modello.
Se dunque qualcosa assomiglia a un’idea, è possibile che l’idea non sia a sua volta simile a ciò che gli somiglia, in quanto gli somiglia? C’è un modo in cui il simile non sia simile al suo simile? –No.- non è forse assolutamente necessario che i simili partecipino di un'unica idea? –Certo.- E non sarà la stessa idea ciò di cui i simili partecipano per essere simili? -Senz’altro.- Non è possibile allora che qualcosa sia simile a un’idea né che un’idea sia simile a qualcosa: altrimenti al di là dell’idea apparirà sempre una seconda idea, e se questa è simile a qualcosa un terzo, e mai cesserà di nascere sempre un altro , se l’idea è simile a ciò che ne partecipa.
1. se x è un’idea, allora x è un paradigma
2. se x, y sono tali che <x è simile a y>, allora <y è simile a x>
3. se x è un paradigma, allora x è simile alle immagini, per definizione 4. se x è un’idea, allora x è simile alle istanze di x
5. se x, y sono tali che x è un’idea e y è un’istanza di x, allora esiste uno z tale che z è l’idea di x e y ...
Senza dilungarci inutilmente sulla struttura dell’argomento, che mi pare limpida, passiamo direttamente a visionarne i presupposti. A mio parere è imprescindibile, anche se non sufficiente,
234
Cfr § 2.4.
235
In effetti ad essere messo sotto accusa è proprio il cwriçmovç.
236
l’analisi di Cherniss. Egli sostiene che il regresso è valido non solo contro la coppia idea – istanza, ma, in generale, un qualunque tipo di somiglianza. Assumiamo che:
((AP)C) Per ogni coppia di un’imitazione ‘p’ e un paradigma ‘P’ deve esistere un unico e
identico modello (P2) in virtù dei quali essi sono simili
Ma, allora, vi sarebbe un P3 simile a p, P e P2. Però p e P dovrebbero essere simili sia per
partecipazione a P2, sia per partecipazione al nuovo modello P3. Ma P3 dovrebbe essere, per
((AP)C) un’una e identica cosa. Dunque la premessa di Parmenide sarebbe clamorosamente autoinconsistente. A Cherniss, però, si possono muovere due obiezioni: anzitutto qualcuno potrebbe pensare che Platone stesso sia implicato con ((AP)C), e che dunque egli sia responsabile dell’inconsistenza qui in questione; in secondo luogo, il testo sembra far leva unicamente sulla reciprocità della somiglianza237.
Suggerisco la seguente formulazione:
(AS) Se e solo se x è simile a y, y è simile a x
Questa assunzione è manifestata chiaramente dal testo. Perché ci sia il regresso dobbiamo postulale anche:
(AP) Per ogni gruppo di cose simili x e y, esiste un paradigma P in virtù del quale esse sono
simili
(AS) in sé è del tutto innocua. Per provocare il regresso bisogna assumere che ogni somiglianza sia spiegabile con la postulazione di un paradigma. La differenza è chiara. Se fosse valido in assoluto che data una copia ed un paradigma, vi è un regresso arriveremmo a conseguenze assurde: per esempio, guardando la mia immagine riflessa in uno specchio non potrei dire che la figura nello specchio è immagine del mio volto senza provocare un regresso, poiché l’immagine essendo –per definizione- simile al modello, presupporrebbe un super-paradigma238, dando via al regresso. Ma se non assumiamo (AS) posso benissimo dire che il mio volto è modello dell’immagine nello specchio e che le due figure sono simili, senza provocare alcun regresso. Accettata la validità di (AS), il problema è capire chi sia il responsabile di (AP): se (AP) è un’assunzione necessaria per la teoria delle idee, essa è ridotta inappellabilmente all’assurdo. Se, al contrario, essa è superflua, l’argomento è un sofisma. Ma è chiaro che:
i. il testo non associa a questo argomento (a differenza che al primo) un uno oltre i molti
ii. per Platone la somiglianza non è certo sufficiente per porre un’idea. Se avessimo idee per ogni gruppo di cose che possono essere dette simili avremmo più idee che nomi comuni, e il nostro filosofo non può certo pensare ad una cosa del genere
237
Il difetto della formulazione di Cherniss, in ultima analisi, è che unisce due clausole che il teso tiene ben distinte.
238
Il paradigmatismo, in effetti, non interviene nella dimostrazione dell’esistenza delle idee, ma nella spiegazione del rapporto partecipativo. Dunque, Platone non sembra vulnerabile al regresso della somiglianza. Ciò è tutt’altro che irrilevante, poiché abbiamo visto che (PT)239 sembra l’unica via d’uscita per il filosofo. E (PT) si accompagna a (p)240 cui Platone fa massicciamente ricorso nel
Timeo. Non è impertinente neppure l’osservazione di Cherniss, secondo la quale, se l’Argomento
dei Relativi non viene confutato con un Terzo Uomo, significa che per Aristotele stesso la relazione modello – immagine non è vulnerabile questa critica. Sarà molto importante cercare di capire se e perché lo Stagirita pensa questo. È verosimile, comunque, che la ragione di ciò sia da ricercare – come abbiamo suggerito in § 4.4. nella differenza onolotogica tra le modalità con cui i predicati accidentali e quelli essenziali sono posseduti dai particolari. Non è comunque superfluo notare che il peri; ijdew'n potrebbe riproporre con l’Argomento dei Relativi ed il Terzo Uomo, in maniera velata, lo stesso dilemma posto nel Parmenide trai due regressi prodotti ciascuno a partire da un diverso modo di concepire il rapporto partecipativo.
5.2. Il Terzo Uomo nel peri; ijdew'n.
A prima vista, l’Argomento del Terzo Uomo del peri; ijdew'n non sembra differire in nulla dall’Uno oltre i Molti, tanto che Robin e Cherniss sono stati entrambi portati ad identificarli senz’altro. Ha ragione però G. Fine a dire che sarebbe strano che Aristotele includa l’invalido Uno