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tesi della teoria della mitigazione con esempi commentati si può trovare an-

che in Caffi 2013.

7 Cfr. Caffi 2012, 154. Caffi, che riprende la metafora da Spitzer, si riferi-

opposto, come indicatore di calcolo-manipolazione. Caffi, infat- ti, parla di anti-empathic effects of mitigation (2013, 275-276), ammettendo che

mitigation is ambivalent, since it can receive opposite interpretations. [...] In other words, mitigation can be seen as a form of evasion or even deception. (Ivi, 275)

Il messaggio mitigato, dunque, può risultare evasivo ed equi- voco e proprio in questo senso convergono anche i numerosi studi di Danler sull’analisi del discorso politico, i quali, sulla base di aspetti diversi della teoria della valenza, sembrano per- venire a considerazioni simili:

Il nostro scopo è stato quello di svelare in base alla teoria della valenza in primo luogo delle strategie discorsive che permettono all’autore o oratore di trasmettere certi messaggi senza essere costretto a precisare le informazioni che preferisce tacere. [...] In terzo luogo abbiamo esaminato in che modo l’oratore riesce a rimanere nell’anonimato. (Danler 2003, 188)

Ma, più precisamente, in un determinato atto linguistico che cosa può essere modificato in termini attenuativi?

In estrema sintesi, all’interno della categoria mitigazione, Caffi distingue tre ambiti: a) il contenuto proposizionale colle- gato alla vaghezza; b) l’indicatore di illocuzione connesso all’indirettezza e c) l’origine deittica associata alla deattualizza- zione enunciativa (ego-hic-nunc). Per quanto concerne il primo ambito, Caffi parla di cespugli, per il secondo, di siepi e infine per il terzo, di schermi. All’interno dell’analisi conversazionale, inoltre, la mitigazione può essere interpretata sia come strategia preventiva rispetto a potenziali minacce per i parlanti sia come mossa riformulativa (Caffi 1990, 172).

Date queste premesse, nel prossimo paragrafo si riportano al- cuni esempi di mitigazione, selezionati tra quelle soluzioni reto- rico-stilistiche e morfosintattiche che rientrano o nell’ambito della proposizione, vale a dire cespugli che rendono vago il con- tenuto dell’enunciazione indebolendone il valore e deresponsa- bilizzando al contempo il parlante, o che rientrano nell’ambito dell’origo deittica, ossia schermi che cancellano o spostano la fonte enunciativa responsabile del proferimento.

2.1La litote cespuglio

La litote non è naturalmente l’unica figura atta a indebolire potenziali conflitti,8 ma si presta in modo davvero efficace ad esemplificare quella funzione deresponsabilizzante tipica della mitigazione appena richiamata. La litote, infatti, può essere van- taggiosamente usata per ragioni prudenziali, per manifestare una certa distanza da quanto asserito, visto che lascia un ampio spa- zio interpretativo al destinatario del messaggio che, tra l’altro, nelle interazioni reali, deve valutare sia il tipo di forza illocuto- ria dell’atto linguistico realizzato, sia le conseguenze interazio- nali rispetto al genere di modulazione messa in atto.9

Si può esemplificare quanto detto osservando la seguente proposizione, estrapolata da un’autentica interazione asimmetri- ca medico-paziente, in cui l’impiego della litote rende imprecisa la diagnosi del professionista:

non è la sua una vera e propria ernia. (Caffi 1999, 326-327; 2009, 129-130; 2013, 271)

In ambito medico l’uso della litote-cespuglio serve, in gene- rale,10 sia a) per rendere semanticamente indeterminato l’enun- ciato al punto da coinvolgere il paziente nell’interpretazione del suo stesso significato, sia b) per evitare al medico, che agisce linguisticamente nella direzione della cautela pragmatica, l’as- sunzione di un rischio non necessario, sia infine c) per evita- mento emotivo, ossia possibile disimpegno emotivo da parte del locutore esperto rispetto alla relazione interpersonale.

8 Cfr. n. 5.

9 Cfr. Caffi 1990, 174. Nel saggio Caffi indaga il concetto di modulazione

e mitigazione per poi esaminare il caso interessante della litote (specie quella di natura ascrittiva-verdettiva) in quanto mezzo oscillante tra rafforzamento e attenuazione, sottolineandone l’ambivalenza argomentativa, conversazionale ed espressiva e mettendone in risalto, allo stesso tempo, il valore positivo legato alla possibilità di negoziazione che offre all’interno delle dinamiche conversazionali.

10 Non a caso Caffi (1999, 327-328) specifica che si tratta di un processo

Sempre la cautela, inoltre, ossia la volontà di non dire o co- munque di dire il meno possibile, induce all’uso della litote ‘re- ticente’ soprattutto nei discorsi politici:

L’applicazione della riforma non sarà esente da difficoltà. (Caffi 1990, 196-197)

Del resto, con Caffi (1990, 196),

L’indeterminatezza che vi [alla litote] è associata ne fa alleata di un dire sorvegliato: è un dire di meno, non necessariamente per intendere di più.

Questa caratteristica la rende adatta a comparire nei discorsi d’autorità, contrassegnati dall’asimmetria di ruoli, ad esempio nell’interazione medico- paziente, o nelle comunicazioni dai politici ai cittadini. In entrambi i casi la litote è funzionale non solo alla prudenza, ma anche alla spersonalizzazione del discorso [...]. Inoltre, essa serve bene a marcare l’appartenenza del parlan- te alla cerchia ristretta di quelli che sanno, ma non possono, non devono, dire tutto, dosando con oculatezza l’informazione ad un interlocutore one-down.

2.2Attanti inespressi come forme di cespugli

Un altro dispositivo linguistico per evitare conflitti e proteg- gere la faccia riguarda la possibilità di rimanere vaghi non esprimendo alcuni attanti verbali. Secondo la teoria della valen- za, originariamente elaborata dal linguista francese Tesnière, un verbo, proprio come un atomo munito di uncini,11 ha la proprie- tà di richiedere un certo numero di argomenti (attanti), necessari e sufficienti per saturare il suo significato e costituire così il nu- cleo di una frase minima di senso compiuto. Tali argomenti, dunque, si possono anche chiamare elementi nucleari in opposi- zione agli elementi extranucleari (circostanziali), ossia sempre facoltativi. Gli argomenti di un verbo12 possono variare nel nu-

11

La famosa metafora chimica è usata da Tesnière (2008 [1959], 157) in- sieme all’altrettanto conosciuta ed efficace metafora teatrale per la quale il nodo verbale rappresenta un dramma che comporta un processo, degli attori e delle circostanze (ivi, 73).

12 Gli argomenti di un verbo sono espressi da nomi, pronomi, avverbi, in-

tere frasi (le cosiddette completive) e dal discorso diretto. Esempi di argo- menti possibili, segnalati tra parentesi quadre, sono i seguenti: a) [L’asino]

raglia; b) Bruno [mi] ha prestato un libro; c) Vivo [qui]!; d) Spero [che do- mani sia una bella giornata]!; e) Anna ha detto: [“Sono stanca e vado a

mero (da 0 a 4) a seconda del significato del verbo nell’effettivo contesto d’uso.13 In generale si possono classificare i verbi in base alla loro struttura argomentale come zerovalenti, monova- lenti, bivalenti, trivalenti e, in pochi casi, tetravalenti.14

Nella prospettiva d’indagine proposta, l’uso di verbi non sa- turati si può considerare una mossa linguistica silente davvero strategica, in quanto le ellissi argomentali15 concorrono a rende- re vago e generico un enunciato, consentendo così di attenuare, da una parte, l’impatto del discorso sugli ascoltatori, dall’altra la responsabilità diretta del locutore rispetto a quanto affermato. Si tratta insomma di una strategia discorsiva che, come già osser- vato, permette nella trasmissione di un messaggio di tacere de-

dormire!”]. 13

Il verbo vivere, ad esempio, nel significato di ‘essere in vita’ necessita di un solo argomento: [La pianta] vive!; nel significato di ‘condurre l’esistenza in un determinato luogo’ richiede due argomenti: [I miei genitori]

vivono [a Firenze].

14 Esempi di verbi zerovalenti sono i verbi atmosferici: Nevica. Monova-

lenti sono tutti quei verbi che richiedono solo la presenza dell’argomento soggetto: [Mia mamma] russa. I verbi bivalenti sono quelli che necessitano, oltre al soggetto, di un altro argomento (diretto o indiretto): a) [Il gatto] cat-

tura [i topi]; b) [Ai bambini] piacciono [le fiabe]. I verbi trivalenti si combi-

nano col soggetto e altri due argomenti (uno diretto e l’altro indiretto oppure entrambi indiretti): a) [Un’amica] [mi] ha regalato [una borsa]; b) [Il treno]

va [da Milano] [a Parigi]. I verbi tetravalenti, infine, hanno il soggetto, un

argomento diretto e due argomenti indiretti: [Chiara] traduce [romanzi]

[dall’arabo] [all’italiano]. Per un quadro sintetico del modello valenziale e

degli ulteriori sviluppi di ricerca sul verbo si consideri Je!ek 2005, 107-119. Sulla struttura argomentale dei verbi si veda Salvi 2012; sulle implicazioni e le applicazioni della teoria valenziale alla lingua italiana la raccolta di saggi di Cordin, Lo Duca 2003.

15 Prandi (1990, 219) distingue l’ellissi argomentale dalla reticenza e l’an-

novera tra le figure grammaticali del silenzio in virtù del fatto che questo tipo di soppressione concerne elementi recuperabili o nel contesto o grazie alle restrizioni legate al significato di un verbo, comporta cioè una latenza o pun- tuale o generica. In realtà, le ellissi argomentali non riguardano sempre qual- cosa di noto o irrilevante e proprio per questo sul piano comunicativo posso- no provocare effetti diversi. Per una tipologia degli effetti comunicativi atti- vati dalla mancata realizzazione degli attanti nei discorsi politici totalitari si veda Danler (2005; 2007), secondo il quale «it is justified to regard omissions of complements as a discursive strategy of vagueness. Unspecified arguments often contain essential but unpleasant information which is withheld from the listener for strategic reasons. The speaker simply doesn’t want to lose the listener’s support» (Danler 2005, 51-52).

terminate informazioni. Danler (2004, 606) considera l’uso di valenze non occupate16 quantomeno un dispositivo efficace per creare oscurità:

ciò che è sicuro è che le valenze non occupate rappresentano un mezzo in più per creare obscuritas.

Più in dettaglio, si possono osservare alcuni esempi, com- mentati dallo stesso Danler e tratti da vari discorsi di Mussolini, che chiariscono quanto detto:

Quello che il fascismo finora ha fatto è opera negativa. Ora bisogna che

ricostruisca. (Mussolini 1922) (Danler 2003, 175-176; 2014, 353)

La non realizzazione attanziale del verbo ricostruire (che co- sa?) conferisce genericità strategica all’enunciato: Mussolini, in effetti, evita di compromettersi con il pubblico perché, anche se qualcosa non dovesse essere ricostruito, la responsabilità non potrebbe certo ricadere su di lui, visto che, di fatto, l’oggetto della ricostruzione risulta inespresso nella dichiarazione stessa.

Un altro caso interessante è anche il prossimo

È Milano che deve dare e darà gli uomini, le armi, la volontà e il segnale della riscossa! (Mussolini 1944) (Danler 2005, 51; 2007, 172-173)

in cui il confronto diretto con l’uditorio è abilmente evitato gra- zie alla doppia realizzazione del verbo dare a sottolineare la di- namica del fare; all’attenzione assegnata al secondo attante («gli uomini», «le armi», «la volontà», «il segnale della riscossa») e alla totale omissione del terzo attante (dare a chi? a che cosa?): se, del resto, fosse realizzato il terzo argomento, diverrebbe chiaro che gli uomini dovrebbero essere offerti, sacrificati alla guerra.

16

Per valenze non occupate Danler intende non solo quelle in dipendenza di verbi, ma anche di sostantivi e aggettivi deverbali (cfr. anche Danler 2003). Oltre al trucco di omettere attanti, è inoltre esemplificato quello di tacere cir- costanziali rilevanti.

2.3Schermi attanziali

Un meccanismo efficace a livello di schermi per cancellare il centro deittico dell’enunciazione è in primo luogo il ricorso alla forma passiva. Grazie ad essa, infatti, la presa di distanza da parte del locutore e la conseguente dislocazione della sua re- sponsabilità rispetto a quanto asserito risultano evidenti. Natu- ralmente, per realizzare questa strategia dell’anonimato enuncia- tivo è possibile ricorrere anche ad altre modalità17 tra cui l’uso della diatesi-SI18 che, parimenti alla forma passiva, è un mezzo ideale per occultare in generale l’agente degli eventi rappresen- tati.

Come si può osservare nel seguente esempio

La disciplina deve essere accettata. Quando non è accettata, deve essere

imposta. (Mussolini 1922) (Danler 2003, 183-184; 2014, 359)

l’uso della diatesi passiva serve infatti per non specificare alcu- ne (scomode) informazioni19 e soprattutto per tacere l’agente semantico del verbo imporre (da chi?), fonte opaca dell’intera enunciazione. Si tratta, dunque, di un procedimento che consen- te di rimanere vantaggiosamente nell’anonimato come di atte- nuare l’impatto del discorso sugli ascoltatori, chiamati latente-

17

Tra le possibili forme di defocalizzazione o cancellazione dell’istanza enunciativa individuate da Caffi (1999; 2009; 2012; 2013) si può almeno nominare il ricorso alla prima persona plurale con valore impersonale, alla terza persona generica e alla costruzione di eventualizzazioni, cioè ipotesi in cui nell’accumulo dei mezzi espressivi attenuativi può assumere valore miti- gante persino la scelta della disposizione degli argomenti.

18 Sulla diatesi-SI, relativa cioè al si impersonale e al si passivante, si veda

Danler (2003; 2006; 2014), che, inoltre, tra le forme atte a preservare l’ano- nimia in senso lato e non solo enunciativo, menziona anche l’uso della terza persona plurale, di costruzioni col participio passato, della diatesi anti-cau- sativa e di costruzioni riflessive.

19 Nell’esempio proposto gli argomenti verbali, cancellati grazie all’im-

piego della forma passiva dei verbi accettare (da chi?) e imporre (da chi?), possono rientrare tra i casi già considerati nel paragrafo precedente. Nella realizzazione attiva delle frasi, infatti, tali argomenti corrisponderebbero al primo attante dei verbi e sarebbero espressi o sottintesi perché noti; nel caso del verbo imporre, inoltre, è omesso anche l’argomento indiretto (a chi?), che può sempre essere inespresso in situazioni tipiche o in riferimento a un uso generalizzato.

mente in causa nella dichiarazione stessa: Mussolini, infatti, im- porrà la disciplina a chiunque, e dunque anche a chi ascolta il messaggio in questione, non dovesse accettarla.

Similmente la diatesi-SI può essere impiegata non solo per dissolvere l’agente, ma anche per dislocare la complessiva re- sponsabilità enunciativa, come si può constatare nella prossima citazione in cui Mussolini annuncia l’adozione di una politica di segregazione nei confronti degli ebrei, senza di fatto esporsi in prima persona:

gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o civili nei confronti dell’Italia e del regime, troveranno comprensione e giusti- zia; quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica di separazione. (Mussolini 1938) (Danler 2014, 361-362)

Infine un altro tipo di schermo è il seguente

c’è un’iperplasia estrogenica – c’è scritto qui (Caffi 1999, 331; 2009, 130, 134-135; 2013, 272-273)

in cui si assiste a uno spostamento della fonte enunciativa: l’as- serzione e soprattutto la responsabilità dell’enunciazione non è ascrivibile al medico in sé, ma alla fonte scritta chiamata in cau- sa, il cui valore di verità risulta, sì, incontrovertibile ma non di- rettamente sottoscritto dal locutore.

3.Un campione linguistico recente

Il campione linguistico che segue è costituito da una serie di recenti dichiarazioni di carattere politico ed evidenzia il fatto che litoti, omissioni argomentali e schermi attanziali di varia natura sono operatori davvero efficaci che consentono di dein- tensificare il contenuto proposizionale e prendere le distanze dall’enunciazione stessa, attivando un effetto globale di dere- sponsabilizzazione da parte del parlante.

Per quanto riguarda l’uso mitigante della litote, si può consi- derare il seguente commento dell’attuale Presidente del Consi-

glio Renzi ai risultati delle elezioni regionali, avvenute nel no- vembre 2014:

Il fatto che in elezioni regionali non ci sia stata una grande affluenza lo trovo un elemento che naturalmente deve preoccupare e far riflettere ma che è [...] sicuramente secondario rispetto al fatto che checché se ne dica oggi non è che [...] tutti hanno perso (Renzi 2014)20

Renzi, infatti, minimizza complessivamente il clamoroso da- to relativo all’astensione al voto in Emilia Romagna e Cala- bria,21 usando, da una parte, una litote («non ci sia stata una grande affluenza») e, dall’altra, l’aggettivo «secondario», raf- forzato per di più dall’avverbio «sicuramente», facendo così sembrare marginale l’aspetto negativo del risultato elettorale.22

Un esempio che denota particolare cautela da parte del locu- tore grazie all’uso della figura della litote e di altri espedienti linguistici è, inoltre, il seguente, estrapolato da un’intervista al responsabile del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immi- grazione e legato alla recente e problematica gestione del flusso migratorio:23

20

Si veda il video Renzi: “L’affluenza è un elemento secondario” dispo- nibile in rete al seguente indirizzo: http://video.repubblica.it/dossier/governo- renzi/renzi-l-affluenza-e-un-elemento-secondario/184426/183278 (consultato il 7/8/15). Si segnala che il frammento discorsivo riportato è trascritto senza segni di interpunzione. Il simbolo [...] indica il taglio di materiale linguistico irrilevante ai fini della presente analisi.

21 In Emilia Romagna ha votato solo il 37,71% degli aventi diritto; in Ca-

labria il 44,08%.

22 In aggiunta a quanto detto, è singolare anche l’uso non saturato, o me-

glio con oggetto nullo generalizzato, del verbo preoccupare (chi? tutti?) e della costruzione causativa far riflettere (chi? tutti?), mossa linguistica che consente di risparmiare critiche specifiche al Partito Democratico: l’atten- zione, infatti, ricade sul fatto che l’astensionismo elettorale è un problema di portata generale, che riguarda cioè tutti i partiti politici, e, di conseguenza, una responsabilità politica comune da condividere. Sull’oggetto nullo genera- lizzato, vale a dire generico e plurale, si veda Cordin, Lo Duca 2003, 20-22.

23 Il contesto generale di riferimento riguarda il sistema di accoglienza e

allocazione dei migranti a fronte di forti proteste dei cittadini in alcune regio- ni italiane, del sostegno ad essi manifestato da parte di alcune forze politiche e dell’operato dei prefetti, non sempre in sinergia con i sindaci locali e, talvol- ta, messo in discussione anche a livello governativo, come accaduto col pre- fetto di Treviso, rimosso dopo la rivolta anti profughi avvenuta il 15 luglio 2015 a Quinto in provincia di Treviso. L’intervista in questione è stata rila-

Per Alfano chi tra i prefetti non ce la fa, deve fare un passo indietro.

«Intanto va riconosciuto al ministro di aver evitato che nella riforma della pubblica amministrazione venissero fatte scelte punitive nei confronti dei prefetti. Ciò detto, non si può negare che ci siano tra noi persone meno ade- guate al ruolo».

Si riferisce al prefetto di Treviso, appena rimosso?

«No, non spetta a me questo tipo di valutazione, ma solo al Governo». (Morcone 2015)24

Nello stralcio citato, Morcone usa diplomaticamente la litote «non si può negare» la quale, oltre a incidere sulla forza illocu- tiva dell’enunciato, non è sostituibile con una forma affermativa corrispondente di facile identificazione,25 e l’espressione «per- sone meno adeguate», che allude all’inefficace operato prefetti- zio rispetto alla gestione dei profughi, talmente generica e vaga da indurre il giornalista a sollecitare una risposta chiara, sebbe- ne invano: Morcone, infatti, afferma di non voler giudicare il contestato prefetto di Treviso, confermando così un atteggia- mento volutamente prudente, realizzato nelle affermazioni pre- cedenti proprio attraverso l’uso strategico di forme di attenua- zione variamente combinate.26

Quanto alla mancata realizzazione di attanti verbali, invece, la seguente dichiarazione del segretario della Lega Nord si ca-