2.2.1 L’emogas arterioso
L’emogas-analisi arterioso rappresenta il gold standard per la valutazione dello status ossigenativo del paziente (Ferguson et al., 2012; Proulx 1999).
Il sito di prelievo può variare in relazione alla taglia o all’esperienza dell’operatore, ma in generale è preferibile ottenere il campione dall’arteria metatarsale dorsale o dorsale del piede. Da tale sito è stata riconosciuta una ridotta incidenza alla possibilità di avere un campionamento misto. L’arteria femorale, auricolare, coccigea e sublinguale sono riportate comunque come siti di prelievo (Balakrishnan e King, 2014).
Figura 2.2 Campionamento arterioso dall'arteria dorsale del piede. Nostro campionamento.
Per assicurare l’accuratezza dei risultati, è importante sia un corretto campionamento che una appropriata manipolazione del campione. Per il campionamento possono essere utilizzate sia siringhe pre-eparinizzate con eparina bilanciata tipo ‘self filling’ (come in
Figura 2.2 - Siringa A. De Mori PICO Self-fill®.Radiometer Medical ApS-Denmark) o
siringhe preparate manualmente mediante aspirazione di eparina. In questo secondo caso, uno studio (Hopper et al., 2005) ha dimostrato che il rispetto di questa sequenza di eventi: 1) utilizzo di siringhe da 3ml riempite manualmente con 1ml di eparina, 2) successiva rimozione dell’eparina e dell’aria per tre volte consecutive e 3) successivo riempimento mediante di 1 ml di sangue arterioso, produce risultati accurati.
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L’eparina è comunemente utilizzata come anticoagulante nel prelievo di sangue. Studi hanno dimostrato che la diluizione del campione con l’eparina determina dei valori di PaCO2 più bassi, altera la misurazione dell’ossigeno, degli elettroliti, lattati e del
bicarbonato. La siringa deve essere completamente riempita di sangue per evitare questi errori di diluizione che possono alterare i risultati. Una diluzione inferiore al 10% con eparina minimizza gli effetti sugli analiti.
L’esposizione del sangue all’aria ambientale o una ritardata analisi del campione può portare ad un’alterazione dei risultati. Le bolle d’aria nella siringa devono essere espulse immediatamente. A causa della diffusione del gas, l’esposizione del sangue all’aria ambiente determina una diminuzione nel campione della PaCO2 (la PCO2 nell’aria è circa
pari a 0) e dei cambiamenti nella PaO2 (la PO2 all’interno di una stanza è circa 150 mmHg a
livello del mare). Il ritardo nelle analisi può inoltre alterare l’accuratezza dei risultati dell’emogas. Le cellule ematiche rimangono metabolicamente attive per un po’ di tempo e gli effetti cellulari possono alterare l’accuratezza dei risultati quando i campioni non vengono refrigerati. Se l’analisi del campione non può essere immediata, questo dovrebbe essere conservato anaerobicamente nel ghiaccio a 4° C; ciò permette di poter ritardare l’analisi fino a 6 ore dopo il prelievo senza nessuna alterazione significativa dei risultati (Haskins 2004; Shapiro 1994).
I valori forniti dall’emogas analisi arterioso che permettono di valutare lo status ossigenativo del paziente, principalmente sono:
- PaO2
- PCO2
- SO2
- pH
- Altri parametri come i bicarbonati (HCO3-), il rapporto PaO2/FiO2, il gradiente alveolo
-arterioso (P[A−a]O2) sono invece calcolati dalla maggior parte degli emogasanalizzatori piuttosto che misurati.
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Tabella 2.2 Valori fisiologici
PH 7.31-7.46 PaO2 80-105 mmHg PaCO2 35-45 mmHg SaO2 >95% P[A−a]O2 0-10 mmHg PaO2/FiO2 >350 mmHg
Tabella 2.2. Valo i o ali dell e ogas a te ioso nel cane (Grey et al., 2012).
Il etodo più se pli e pe l i te p etazio e dell e ogas è att ave so l app o io tradizionale agli squilibri acido - base descritto da Henderson Hasselbach nel 1916. Secondo tale teo ia le spe ie hi i he aggio e te oi volte ell equilibrio acido - base sono l a ua e l a id ide a o i a. L a id ide a o i a i p ese za di a ua fo a a ido a o i o t a ite u a eazio e atalizzata dall a id asi a o i a. Questo e zi a, u i uita io ell o ga is o, e de ista ta ea e ua titativa (sposta totalmente verso destra) una reazione altrimenti molto lenta: CO + H O ⇆ H CO . Maggiore e la concentrazione di anidride carbonica (CO ) dis iolta ell a ua, aggio e sa à la concentrazione di acido carbonico (H CO ) disciolto. La reazione evidenzia una specie chimica acida (H CO ) la quale ha una sua costante di dissociazione (pKa). La pKa, in sintesi, i di a la te de za dell a ido a o i o a disso ia si i id oge ioni (H ) e ioni bicarbonato (HCO ). Il suo equilibrio e rappresentato dalla seguente formula:
H CO ⇆ H + HCO
Gli ioni bicarbonato cosi prodotti vengono neutralizzati dagli acidi fissi prodotti nell’organismo lasciando gli H che devono essere tamponati. Un aumento della concentrazione di idrogenioni è responsabile di una diminuzione del pH ematico; viceversa un incremento della concentrazione di ioni bicarbonato è responsabile di un aumento del pH secondo la forma conosciuta con il nome di Henderson-Hasselbach:
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Osservando l’equazione si possono riconoscere le due molecole maggiormente coinvolte nell’equilibrio acido base: il bicarbonato (HCO ) e l’anidride carbonica (CO ). L’approfondimento e l’applicazione di altri metodi di interpretazione come l’approccio di Stewart per l’equilibrio acido -base esulano dagli scopi del seguente capitolo, nel quale verrà invece sottolineata l’interpretazione dell’esame ai fini della valutazione degli scambi gassosi.
La concentrazione di CO2 nel sangue è controllata dalla ventilazione polmonare, per questo
motivo il polmone gioca un ruolo fondamentale nel controllo dell’equilibrio acido - base. È un processo rapido che può alterare il valore del pH in pochi minuti. Pertanto la valutazione dell’emogas arterioso nel paziente critico in emergenza e non, rappresenta uno strumento fondamentale per la valutazione sì dell’equilibrio acido base, ma soprattutto per la valutazione degli scambi gassosi e della ventilazione alveolare.
Il primo step nell’ interpretazione di un emogas arterioso dovrebbe essere la valutazione della PaO2 e tutti i valori da essa derivati che permettono di localizzare l’eventuale
problematica respiratoria (Pump failure vs lung failure), permettono di capire la posizione della curva di dissociazione dell’emoglobina e valutare il rapporto PaO2/FiO2 , parametro
indispensabile per la diagnosi di ALI (Acute Lung Injury) o ARDS (Acute Distress Respiratory Syndrome) (Ferguson et al., 2012).
Successivamente verrà valutato il PH la PaCO2 e i bicarbonati.
Per quanto riguarda l’anidride carbonica, la sua valutazione permette di capire quanto e come ventila il paziente e se il disturbo primario è respiratorio o meno. Qualora la CO2 sia
anomala è probabile che ci sia una componente respiratoria nel disturbo acido-base, ma che non sia necessariamente patologica. La concentrazione ematica di CO2 è determinata
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nervosi superiori, come visto nei precedenti paragrafi. I chemocettori centrali e periferici sensibili alle variazioni di CO2, ossigeno e pH, possono determinare un’alterazione della
ventilazione/minuto alveolare. In realtà i chemocettori non sono sensibili direttamente a variazioni di CO2, quanto a variazioni delle concentrazioni di idrogenioni [H+]. Ad un
disordine metabolico che determini un aumento degli [H+] corrisponde, in condizioni
normali, una diminuzione della concentrazione di CO2 (iperventilazione) e viceversa una
loro diminuzione determinerà come risposta una ipoventilazione. Questa risposta respiratoria normale a variazioni metaboliche ha lo scopo di mantenere o minimizzare le variazioni di pH (Constable 2000; Fencl et al., 2000).
Un’ acidosi respiratoria, caratterizzata da un incremento della concentrazione di CO2
ematica, può risultare da un problema respiratorio primario o può essere conseguenza di una fisiologica compensazione respiratoria di una alcalosi metabolica. Per ogni incremento di 1 mEq/L si attende un incremento della PaCO2 di 0.7 mmHg sia nel cane che nel gatto
(Constable 2000; Di Bartola 2006).
Il patologico aumento della PaCO2 risulta da uno squilibrio tra la produzione del catabolita
attraverso i processi metabolici e l’eliminazione polmonare. Le cause più frequenti sono ad esempio un’ostruzione delle vie aeree terminali come accade nell’asma, depressione dei centri respiratori (trauma cranico, lesioni del tronco encefalico), patologie neuromuscolari, colpo di calore, patologie dello spazio pleurico o della cassa toracica (pump failure) (Kovacic, 2009). Elevati livelli di CO2 conducono ad ipossiemia e tutti i pazienti con valori >
60 mmHg dovrebbero essere sottoposti a ossigenoterapia (Kovacic 2009).
L’alcalosi respiratoria, cioè una diminuzione della CO2, può conseguire a patologie
respiratorie primarie o secondarie che possano causare iperventilazione o può essere una fisiologica risposta compensatoria per un’acidosi metabolica. Una diminuzione di 1 mEq/L di bicarbonato può risultare in una diminuzione di PCO2 di 0.7 mmHg nel cane (Di Bartola
2006). Un’alcalosi respiratoria patologica può scaturire conseguentemente ad un’ipossiemia che stimola i chemocettori o per patologie polmonari che stimolano gli ‘stretch receptors’, per insufficienza cardiaca, dolore, o per la presenza patologie neurologiche intracraniche (Di Bartola 2006).
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Nelle tabelle seguenti sono rappresentati i disturbi sopra descritti secondo l’approccio convenzionale e secondo la risposta compensatoria attesa (Tabella 2.3 – 2.4).
DISTURBI ACIDO
BASE PH PCO2 HCO3
-
Acidosi respiratoria Alcalosi respiratoria Acidosi metabolica
Alcalosi metabolica
Tabella 2.3. Squilibri acido base identificati con approccio tradizionale. Kova i , A id- ase distu a e i S all A i al C iti al Ca e edi i e , Silve stei -Hopper ed, 2009, pp249-254.
DISORDINE PRIMARIO COMPENSAZIONE ATTESA
ACIDOSI METABOLICA ↓ PCO2 of 0.7 mm Hg per 1
mEq/L
Diminuzione in HCO3-
ALCALOSI METABOLICA ↑ PCO2 of 0.7 mm Hg per 1
mEq/L
diminuzione in HCO3* ALCALOSI RESPIRATORIA
ACUTA
[HCO3−] of 0.15 mEq/L per 1 mm Hg ↑ PCO2 ACIDOSI RESPIRATORIA CRONICA ↑ [HCO−3] of 0.35 mEq/L per 1 mm Hg ↑ PCO2 ALCALOSI RESPIRATORIA ACUTA ↓ [HCO−3] of 0.25 mEq/L per 1 mm Hg ↓ PCO2 ALCALOSI RESPIRATORIA CRONICA ↓ [HCO−3] of 0.55 mEq/L per 1 mm Hg ↓ PCO2
Tabella 2.4. Compensazione attesa in relazione al disturbo primario. Kovacic, A id- ase distu a e i S all A i al C iti al Ca e edi i e , Silve stei - Hopper ed, 2009, pp249-254.
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L’emogas arterioso rappresenta il gold standard per la valutazione della ventilazione, tuttavia se non è possibile ottenere un campione arterioso anche un emogas da campione venoso può fornire informazioni interessanti sullo status ossigenativo del paziente. I risultati sono maggiormente accurati se prelevati da un vaso centrale come la giugulare o la vena cava (Balakrishnan et al., 2014). I campionamenti venosi possono essere ottenuti anche dai vasi periferici, ma la PvCO2 ovvero la pressione venosa di CO2 riflette la quantità
della stessa prodotta alle estremità piuttosto che al livello corporeo. I campionamenti venosi non danno informazioni sulla capacità del polmone di ossigenare il sangue quanto piuttosto sulla capacità di estrazione dell’ossigeno da parte dei tessuti. Una ridotta perfusione periferica può tradursi con elevati valori di ossigeno, proprio perché non è stato estratto. In condizioni normali la pressione parziale di CO2 è 5 volte maggiore rispetto a
quella arteriosa (Balakrishnan et al., 2014). Questo gradiente artero-venoso può aumentare ad esempio per gravi deficit perfusionali o riduzione del cardiac output.
2.2.2 Alterazione degli scambi e ipossiemia: v/q mismach, shunt,
‘diffusion impairment’, ipoventilazione
Per una corretta interpretazione dell’emogasanalisi arteriosa è necessaria la comprensione dei meccanismi fisiologici che sono alla base dell’ipossiemia.
L’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione nota anche come V/Q mismatch, è una delle cause più comuni di ipossiemia nei nostri animali (Balakrishnan et al., 2014). Affinché si verifichi un’ottimale ossigenazione ematica, sia la ventilazione che la perfusione dovrebbero essere garantite al livello alveolo-capillare. Qualora si verifichi un evento per cui aree polmonari risultino perfuse correttamente ma non ventilate o viceversa, gli scambi gassosi sarebbero inefficienti. Un aumento della concentrazione ematica di anidride carbonica (ipercapnia) in questi casi è più raro perché la CO2 è più solubile dell’ossigeno. In
patologie come la polmonite o in caso di ARDS, dove la ventilazione è pressoché zero (alveolar flooding, aumento dello spessore della membrana alveolo capillare ecc.), si osserverà un paziente ipossiemico ma che può mantenere livello di PaCO2. Al contrario, in
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casi in cui la perfusione sia ridotta notevolmente o assente come in caso di tromboembolismo polmonare, si osserverà una notevole riduzione della PaCO2 ma livelli
normali di ossigenazione (Haskins 2015).
L’ipossia può verificarsi inoltre in caso di shunt destro-sinistro laddove il sangue venoso deossigenato si mescola con il sangue arterioso (accade ad esempio per animali con difetti del setto o dotto arterioso pervio). Uno shunt intrapolmonare ha luogo quando il sangue ossigenato confluisce poi verso aree in cui l’ossigenazione non avviene come in caso di masse polmonari (Balakrishnan et al., 2014).
Per ‘diffusion impairment’ si intende quando la membrana alveolo-capillare è alterata in maniera tale da determinare alterazione degli scambi, cioè alterazione della diffusione dei gas. Tali alterazioni sono tipiche delle patologie interstiziali, come la fibrosi polmonare.
2.2.3 ‘Oxygen Tension-Based Indices’: il gradiente alveolo/arterioso,
il rapporto PaO
2/FiO
2, la pulsiossimetria e il rapporto SpO
2/FiO
2, EtCO
2Come accennato, gli scambi gassosi e i processi di diffusione avvengono attraverso la membrana alveolo-capillare. Una piccola parte di sangue viene ‘dirottato’ dai vasi pleurici e bronchiali verso la circolazione venosa coronarica e alcune aree dello spazio morto ventilatorio. La differenza di pressione dell’ossigeno tra il contenuto alveolare (PAO2) e il
contenuto del sangue arterioso (PaO2) viene definita gradiente alveolo-arterioso (A-a) il cui
valore normale ne cane è tra 5 e 7 mmHg fino a 15 mmHg in aria ambiente (Haskins et al., 2005).
La pressione parziale di ossigeno alveolare (PAO2) può essere ricavata dalla seguente
formula, oppure risulta come valore automaticamente calcolato dalla maggioranza dei moderni emogasanalizzatori:
PAO2 = [( PB– PH2o) FiO2] –
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Dove PB è la pressione barometrica,PH2o è la pressione del vapore acqueo e RQ è il quoziente
respiratorio cioè la quota di CO2 prodotta dal consumo di ossigeno.
Con la pressione atmosferica pari a 760 mmHg, la pressione di vapore d’acqua a 37°C pari a 47 mmHg e un quoziente respiratorio in aria ambiente considerato pari a 0.9, l’equazione può essere semplificata come segue:
La valutazione del gradiente alveolo-arterioso, trova un elevato interesse clinico, in quanto può essere utile per valutare il grado di eventuale patologia parenchimale polmonare. Inoltre l’equazione prende in considerazione anche la PaCO2, per cui alterazioni di questo
gas possono essere evidenziate come in caso di ipoventilazione. V/Q mismatch, shunting, o alterazione della membrana alveol- capillare determinano un aumento del gradiente. Studi condotti in medicina umana ha evidenziato ad esempio come il gradiente aumenti con l’età (Lumb, 2000; Janssen et al., 1999).
2.2.3.1 PaO2/FiO2
Questo parametro è un altro utile indicatore dello status ossigenativo. In condizioni normali con una PaO2 compresa tra 80 e 100 mmHg e una FiO2 in aria ambiente di 0.21, il
rapporto PaO2/FiO2 sarà circa 500 mmHg. Questo rapporto è stato utilizzato per
caratterizzare la severità della patologia polmonare in animali con danno polmonare acuto (ALI), rapporto P/F <300 o sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) con valori inferiori a 200 (Wilkins et al., 2007).
Tale indice esclude completamente i valori di CO2. In aria ambiente però variazioni di CO2
soprattutto nei casi di ipercapnia, possono avere un impatto significativo sulla PaO2, per
questo motivo è raccomandato l’utilizzo della ‘regola del 120’ o la valutazione del gradiente A-a e di utilizzare invece il rapporto P/F quando vengono valutati in maniera seriale emogas arteriosi in paziente intubati o che ricevono ossigeno in differenti concentrazioni (Haskins 2015).
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Secondo la ‘regola del 120’, quando la concentrazione di ossigeno ambientale è del 21%, la somma tra PaCO2 + PaO2 può dare al clinico un’idea sulla funzionalità polmonare. Un
valore considerato normale di PaCO2 pari a 40 mmHg con un minimo di PaO2 di 80 mmHg
sommati insieme danno un totale di 120, risultati inferiori possono suggerire una ‘venous
admixture’ (Haskins 2015). Maggiore è la discrepanza tra i due valori, più compromessa
risulterà la ventilazione. Nel caso in cui ad esempio la PaCO2 aumenti da 40 a 60mmHg e il
paziente sia ipossiemico con un valore di PaO2 pari a 60 mmHg, la somma totale sarà
ugualmente 120, perché questo tipo di scenario potrebbe indicare in assenza di una compromissione polmonare primaria, una problematica puramente legata all’ipoventilazione di cui pertanto ne andranno cercate le cause. (Haskins, 2015).
2.2.3.2 Pulsiossimetria
Il pulso-ossimetro è uno strumento largamente utilizzato sia in medicina umana che in medicina veterinaria per la valutazione indiretta, non invasiva e rapida dello status ossigenativo del paziente (Balakrishnan et al., 2014).
Esistono diversi modelli di pulso-ossimetro che riconoscono però i due stessi principi fondamentali di funzionamento: l’emoglobina ossigenata e quella ridotta differiscono in termini di assorbimento della luce rossa e infrarossa (il principio cioè della spettrofotometria) e, in secondo luogo, il volume del sangue arterioso nei tessuti e quindi l’assorbanza (Wilson et al., 1995) della luce da parte del sangue varia durante l’evento pulsatile (principio della pletismografia, Matthews, 1995). Esistono due differenti tipi di ossimetria (cioè di misurazione della percentuale di saturazione d’ossigeno dell’emoglobina): quella “indiretta” (in vivo, misurata dal pulso-ossimetro), cioè la rilevazione indiretta della % di saturazione di O dell’emoglobina funzionale (SpO ); e quella “diretta” (in vitro) (SaO ) misurata direttamente su campioni di sangue arterioso mediante analisi spettrofotometrica emogasanalitica, già vista nei precedenti paragrafi. La saturazione d’ossigeno è stata definita come il contenuto d’ossigeno (cc di ossigeno per 100 cc di sangue) espresso come percentuale della capacità d’ossigeno. Per capacità d’ossigeno si intende il contenuto di ossigeno dopo che il campione di sangue è stato equilibrato con aria atmosferica (158 mmHg di ossigeno al livello del mare). In questa definizione non sono pertanto inclusi i due tipi di emoglobina che non legano l’ossigeno
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(carbossiemoglobina e metaemoglobina). Si rende allora necessaria la distinzione tra la saturazione FUNZIONALE dell’emoglobina, espressa dalla formula:
SaO2=HbO8 / HbO8 + Hb x 100%
che esprime solo il contenuto di ossiemoglobina e di emoglobina ridotta; e la saturazione FRAZIONALE, definita come rapporto tra ossiemoglobina ed emoglobina totale:
(SaO2=HbO8 / HbO8 + Hb + COHb +MetHb x 100%)
che tiene conto dei quattro diversi tipi di emoglobina (Tremper et al., 1989). Il sangue di un adulto contiene quattro tipi di emoglobina: ossiemoglobina (HbO8), emoglobina ridotta (Hb), metaemoglobina (MetHb), e carbossiemoglobina (CoHb). I due ultimi tipi sono normalmente presenti in piccole concentrazioni eccetto che in condizioni patologiche (Tremper et al., 1989). Considerando una soluzione contenente un determinato soluto, è possibile conoscere la concentrazione di questo misurando l’intensità della luce dopo che questa ha attraversato la soluzione, cioè determinandone l’assorbanza. Questa è espressa dalla formula:
A=DCx
dove A è l’assorbanza, D la distanza percorsa dalla luce attraverso il liquido, C la concentrazione del soluto (cioè dell’emoglobina) e x il coefficiente di estinzione del soluto (che è una costante per un dato soluto ad una determinata lunghezza d’onda). La formula rappresenta quindi il prodotto della path lenght per la concentrazione del soluto e per il coefficiente di estinzione dello stesso. Misurando quindi l’assorbanza della luce trasmessa attraverso un letto tissutale, il pulso-ossimetro riesce a determinare la percentuale di saturazione dell’emoglobina.
Ci sono diversi fattori da considerare che possono limitare l’uso del pulso-ossimetro nella pratica clinica dei nostri animali. Il loro uso è ormai consolidato nel paziente in anestesia generale, dove il sito considerato ‘gold standard’ è rappresentato dall’apposizione della
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sonda sul sito ‘mucosa-mucosa’ che è rappresentata dalla lingua (Lemaire et al., 1991; Garcia et al., 1996; Jacobson 1992; Maier et al., 1994; Nicholson et al., 1994; Sendak et al., 1988). Altri siti sono stati valutati soprattutto per permettere l’utilizzo di questo dispositivo nell’animale sveglio, ricoverato in terapia intensiva, dove il monitoraggio della saturazione d’ossigeno, la perfusione e il polso sono fondamentali (Pachtinger 2013; Ayres 2009). La sonda è stata dunque applicata in siti come il padiglione auricolare, il labbro (sito mucosa- pelle), la vulva, il prepuzio, l’ascella e gli spazi interdigitali (Hendricks et al., 2003). Vari sono i fattori dunque che possono alterare la corretta rilevazione dello strumento, come l’eccessivo movimento del paziente, la presenza di certi luci fluorescenti o alterazioni del microcircolo come accade in caso di shock settivo, anemia grave, in cui la riduzione della concentrazione di emoglobina determina una caduta del contenuto totale di ossigeno nel sangue. Per questi motivi, in queste condizioni, l’interpretazione dei valori deve avvenire con cautela. (Hendricks et al., 2003; King 2011).
In aria ambiente al 21% un valore di SpO2 intorno al 95-96% è da considerarsi normale.
Un’ipossiemia media/moderata è da ritenersi per valori tra 90-95 (Balakrishnan et al., 2014). Secondo la relazione già vista, tra saturazione di ossigeno e pressione parziale di ossigeno arterioso (curva di dissociazione), un valore ad esempio del 90% correla con una PaO2 di circa
60 mmHg. In questo caso un’indagine più approfondita dello status ossigenativo del paziente è fondamentale.
2.2.3.3 ETCO2-Capnografia
La capnografia è la misurazione non invasiva della concentrazione dell’anidride carbonica (CO2) presente nell’aria espirata.
La capnografia è importante per determinare l’assetto ventilatorio del paziente, mentre il capnografo è lo strumento che fornisce sia il valore numerico di EtCO2 (End Tidal CO2, anidride carbonica di fine espirazione) sia l’andamento nel tempo della CO2, noto come
capnogramma. La capnografia viene definita “parametro ventilatorio vitale” perché fornisce una serie di informazioni che possono essere utili in diverse applicazioni cliniche. I capnografi possono essere utili per monitorare lo stato ventilatorio, per verificare perdite e interruzioni nel circuito di ventilazione o per controllare il corretto posizionamento del
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tubo endotracheale nel paziente. Inoltre la capnografia è utile per la diagnosi di specifiche patologie, per semplificare le scelte terapeutiche o verificare l’ipoventilazione durante la sedazione, oltre a controllare l’efficacia dei trattamenti e fornire indicazioni sull’outcome dei pazienti.
La capnografia si basa sul principio che le molecole di CO assorbono la radiazione infrarossa ad una particolare lunghezza d’onda. Il capnografo è un apparecchio che presenta dei particolari fotorivelatori, specifici per tale lunghezza d’onda, che permettono di calcolare la quantità di CO presente nell’aria espirata.
Un capnogramma normale mostra i cambiamenti della pressione parziale della CO durante il ciclo respiratorio ed ha un profilo caratteristico (si veda Figura 2.3). Il valore normale per l’anidride carbonica di fine espirazione è compreso fra 35 e 45 mmHg. Questo numero è