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La “finanziarizzazione del quotidiano”: per un’analisi situata del debito dopo la cris

1. La finanziarizzazione del quotidiano e la “democratizzazione del debito”

1.3 The people’s capitalism: le famiglie e il debito

Il nuovo sistema economico finanziario ha al centro l’individuo che provvede a procacciarsi il suo benessere economico sul mercato, rischiando “in proprio” e utilizzando come garanzia le sue proprietà o i suoi risparmi.

Le dinamiche caratterizzanti questo contesto hanno costituito le basi per la teorizzazione del cosìddetto “People’s capitalism” (Aitken 2007, Mellor 2010) o “asset-based welfare” (Sherraden, 2003) nel quale “gli individui vengono indotti a comportarsi da capitalisti pur non avendo un capitale” (Mahmud 2012, p.484). Detto in altri termini, gli individui sarebbero indotti a mettere a rischio non un surplus o beni secondari, ma il proprio reddito, i propri risparmi, la casa in cui risiedono. Questo aspetto ci induce a notare che attraverso la privatizzazione delle pensioni, il credito al consumo, i mutui per la casa, i prestiti per la scolarizzazione dei figli, la finanziarizzazione gioca un ruolo vitale nell’economia domestica. Essa offre prodotti che vengono presentati come lo scudo di fronte alle incertezze che possono presentarsi lungo tutto il ciclo di vita di una famiglia. Sostituendosi al welfare statale, la finanza fornisce un servizio “dalla culla alla tomba” (van der Zwan 2014, p.111). Di conseguenza, sebbene il discorso sul soggetto e sulla privatizzazione del rischio rimandino all’individuo singolo e atomizzato, in realtà è l’unità domestica tutta (household) a essere interessata dalle dinamiche e dagli effetti della finanziarizzazione del quotidiano. Sono proprio le famiglie a divenire il vettore della fusione tra segmenti di mercato che prima erano intesi come separati: i servizi finanziari per i consumatori o per il business, i mercati per le assicurazioni o per il mercato immobiliare (Martin 2002, p.12). Questo avviene persuadendo le famiglie ad accettare i rischi nelle loro case, a inserire presiti ed investimenti quali voci determinanti nel loro bilancio domestico (Erturk; Froud; Johal; Leaver; William 2007, p.554).

A questo proposito la letteratura sulla finanziarizzazione del quotidiano concentra molti dei suoi sforzi nell’analizzare le modalità di marketing di massa dei prodotti finanziari ed in particolar modo, la forza di persuasione esercitata dalle

innovazioni tecnologiche sviluppatesi a partire dagli anni ‘90. L’introduzione di internet quale strumento di comunicazione e lo sviluppo dell’home banking, per esempio, sono considerati il portale più adatto all’intrusione della finanza nello spazio domestico. Internet sintetizza, infatti, la possibilità di lavorare e divertirsi, la libertà e la possibilità di acquistare (Martin 2002, p.6). Non sorprende quindi che sia stato il veicolo più efficace per estendere l’invito a vivere di finanza alle persone che si trovavano al di fuori delle società bancarie.

Non si tratta tuttavia di un invito immediatamente esteso a tutti. La “finanza popolare” ha avuto come primo interlocutore le famiglie del ceto medio, che incarnavano uno standard di consumo ed erano i beneficiari delle politiche pubbliche di sicurezza sociale in epoca keynesiana. Era la classe media, quindi, che doveva essere convinta dell’inefficienza del welfare statale, al quale avevano contribuito pagando le tasse. Era questa che doveva essere persuasa ad abbandonare la condotta prudente del risparmio. Era la classe media che doveva essere convinta a non tenere più i soldi sotto al materasso, ma a metterli in gioco sul mercato finanziario per continuare a soddisfare i suoi bisogni (Erturk; Froud; Johal; Leaver; William, 2007,p.555, Martin 2002, p.159, vd. Mellor 2010).

Per affrontare una congiuntura economica instabile che incideva soprattutto sul ceto medio tramite minori livelli di produzione e conseguentemente di occupazione, il modello della finanza neo-liberale ha teso a inglobare nel mercato sia i ceti alti che quelli medio/bassi. Ai primi furono offerti piani previdenziali ed assicurativi che incorporavano strumenti derivati, i secondi divennero invece il tramite per un’espansione del mercato del credito. È soprattutto attraverso l’inclusione di ceti marginali (poveri, donne, minoranze etniche), precedentemente esclusi dal credito, che la finanza assume questa sua aura “popolare” e parallelamente inaugura una fetta di mercato estremamente promettente perché incentrata su ciò che Mary Mellor ha definito la “democratizzazione del debito” (Mellor 2010).

I crediti concessi alle famiglie di basso reddito sono catalogati “a rischio” ed hanno quindi tassi di interessi esorbitant:i prestiti ai ceti più svantaggiati sono i più lucrativi poiché essi pagano tassi di interesse più alti e ripagano il proprio debito in tempi più lunghi (ivi, p. 61). Il credito, inoltre, in mancanza di proprietà, diviene l’unica, ma estremamente cara, fonte a cui attingere per far quadrare i conti a fine mese e soddisfare i bisogni di base. Il debito per queste persone diviene un modo di vita (ivi, p. 62).

Al di là di questi casi di indebitamento ciclico, la dinamica di “democratizzazione del debito” si riproduce in maniera generalizzata attraverso la diffusione nell’economia domestica di prodotti finanziari che rispondono ugualmente dalla logica lucrativa del sistema bancario.

Diversi studiosi si sono soffermati ad approfondire le dinamiche di finanziarizzazione dell’abitazione (Ronald 2008, Aalbers 2008, 2016). Ad

bene da “monetizzare” cioè da offrire in garanzia per ottenere crediti da istituti bancari (Ronald 2008, p.112). Il supporto ideologico alla finanziarizzazione della casa, tende tuttavia a non presentarla come un bene soggetto a svalutazione e ne incoraggia pertanto l’acquisto. La bolla immobiliare che si viene così a creare e il conseguente deprezzamento dell’abitazione, rende impossibile continuare a pensarla come un “investimento sicuro”. In tempi di incertezza lavorativa, essa si trasforma, invece, per dirla con Scurlock in una macchina da debiti (debt-delivery mechanism) (cit. in Mellor 2010, p.74).

Dinamiche simili contraddistinguono il boom di consumi spiegabile a partire dalla “finanziarizzazione delle reti di credito al consumo” (Langely 2008, vd. anche Montgomerie 2016). Questo fenomeno è legato alla decrescita dei tassi di interesse sulle carte di credito, alla diffusione massiva delle carte revolving ed alla elargizione massiva di crediti al consumo, i cui futuri pagamenti venivano destinati alla corresponsione di interessi e premi per prodotti di investimento attraverso l’emissione di ABS (Asset-backed securities)7 (Langely 2008, p.136).

Con la liberalizzazione della finanza il debito diviene parte integrante della quotidianità, in quanto viene incentivato e pertanto cresce a passo più sostenuto del reddito che una unità domestica riesce a produrre.

Gran parte della letteratura sulla finanziarizzazione del quotidiano, inoltre, non manca di considerare che la sua forza propulsiva sul debito non si limiti ai confini nazionali. Porzioni di rischio per crediti concessi in patria vengono diffusi in altre parti del mondo attraverso la vendita di prodotti di investimento high risk, high

gain”. L’altro vettore sono i programmi di microcredito con i quali la

democratizzazione del debito ha inglobato i poveri del mondo ed in particolar modo le donne (Martin 2002, p.163). La finanza diventa globale trascendendo il confine tra economie capitaliste e socialiste, sia che quello che una volta veniva definito il confine tra Primo e Terzo Mondo, tra colonizzatori e colonizzati. Con la crisi del debito inaugurata nel 2007, diventa maggiormente visibile come in realtà la finanziarizzazione non faccia altro che ridisegnare le geografie di scambi ugualmente iniqui. Il riconoscimento nel contesto anglo-americano di un centro di irradiazione del capitale finanziario permette ai vecchi confini geopolitici e ai rapporti di dipendenza di riemergere. Inoltre, nello stesso spazio europeo questo centro del potere finanziario viene sempre più contrapposto a una sua (semi) periferia (Becker; Jäger; Leubolt; Weissenbacher, 2010). L’esportazione del debito ha evidenziato pertanto come la finanziarizzazione presenti la caratteristica di “escludere attraverso l’inclusione” (Martin 2002, p.153).

7 Vd. nt. 6

2. “Addomesticare la finanza”: studiare la quotidianità del debito dal basso

Un nuovo modo di guardare alla finanziarizzazione del quotidiano attraverso una prospettiva disciplinare socio-antropologica inizia a essere formalizzato nel 2015 sulle pagine della rivista Cultural Studies.

Delville e Seighworth, i curatori dei due numeri monografici dedicati al tema della finanziarizzazione, dichiarano che è proprio nell’austera congiuntura presente che diviene più necessario il ripensamento dei nostri incontri quotidiani con il credito-debito, per portare in superficie le più nascoste corrispondenze ed i contrasti del quotidiano con il “quantificabile”, adottando una prospettiva dal basso verso l’alto (Delville e Seighworth, p.618).

Con una velata critica alla letteratura precedente, essi descrivono l’effetto distorsivo di un concetto di debito-credito “viscerale” che intreccia il personale e l’impersonale e che si infiltra in qualunque posto e ha effetti su chiunque. Il debito generalizzato assurgerebbe così a elemento integrante dell’“atmosfera del presente” e finirebbe per essere un elemento di contesto, una parte della nostra routine. Questa visione, secondo i due autori, preclude l’analisi di una serie di circostanze finanziarie, di pratiche e tendenze regolate su base culturale/nazionale, ma soprattutto l’analisi degli innumerevoli modi in cui i differenti strumenti finanziari sono organizzati, “incontrati” e messi in dialogo con la vita quotidiana (ivi, p.619).

Una posizione simile viene espressa nella stessa pubblicazione da Pellandini- Simáni, Hammer e Varghache si soffermano a considerare criticamente le peculiari caratteristiche del soggetto finanziarizzato ed il potere pervasivo della finanza sul quotidiano (Pellandini-Simáni; Hammer; Vargha 2015). Pur concordando sul potere disciplinante esercitato dalle logiche insite in un prestito sul soggetto e sulle sue relazioni sociali, essi sostengono che tale potere non innesca una trasformazione unidirezionale, conformando le relazioni non-finanziarizzate alla logica della finanza. Invitano, invece, a considerare questa trasformazione come il risultato di un’interazione tra il prodotto finanziario e il mondo in cui esso entra. Essi, pertanto, ritengono che una rinnovata prospettiva sulla finanziarizzazione del quotidiano debba porre l’attenzione sul processo di “addomesticamento della finanza”, che avviene quando un prodotto finanziario riorganizza alcune relazioni del mondo domestico, ma allo stesso tempo inizia a essere inglobato nelle logiche di quel mondo (ivi, p.737).

Se quindi il potere deterministico degli strumenti finanziari sulla soggettività e sul mondo domestico viene confutato, il modo in cui la finanza viene incorporata nella vita di tutti i giorni da soggettività culturalmente e socialmente specifiche diviene un campo di studi ancora da esplorare.8

Il calcolo economico, il rischio e la propensione all’indebitamento divengono tracce di uno studio empiricamente fondato su una soggettività che non è più intesa “a immagine del mercato”, ma che nella normalità dei casi sovverte la versione neoliberista del soggetto finanziariamente auto-disciplinato.

In quest’ottica si suggerisce che la visione moralizzatrice che sovrappone il credito ed il debito rispettivamente al bene al male, non possa essere data per scontata. Sebbene credito e debito non siano spesso vissuti come sinonimi dai soggetti, è anche vero che il potere espansivo/costrittivo che il debito assume a scapito della vita quotidiana può variare a seconda dei contesti e delle condizioni economiche e sociali e va pertanto contestualizzato (Delville, Seighworth 2015, p.620).

In questa direzione il contributo di etnografie minuziose centrate sui singoli contesti può dar conto del potenziale insieme distruttivo e generativo che il debito esercita su relazioni e modelli socio-culturali (Zelizer 2002)

Un altro rilevante aspetto introdotto da questa nuova prospettiva sulla finanziarizzazione del quotidiano è l’approccio multiscalare allo studio del debito che nasce per contrastare l’idea di un debito come dispositivo omogeneo che si diffonde, per contagio e quindi secondo un meccanismo omologante, su scala globale. Fiona Allon ha sottolineato come gli studi sulla finanziarizzazione che hanno fatto riferimento a un concetto monolitico di debito, non declinato nel tempo e nello spazio, abbiano assecondato le logiche finanziarie che inseriscono gli individui in catene di rischio estese su base planetaria e li riuniscono tutti sotto la categoria indistinta di debitori (Allon 2015). Colpevolmente, quindi, i primi studi sulla finanziarizzazione del quotidiano hanno estromesso dalla loro indagine donne e minoranze etniche, ma ancor più colpevolmente hanno mancato di agganciare gli approcci teorici tarati sul livello micro alle macro strutture della finanza globale (Ibidem).

I rilievi critici di Allon sottolineano la necessità di uno sguardo, non solo attento alle realtà particolari, ma che riesca a mettere in evidenza la relazione esistente le dinamiche e i soggetti locali, nazionali, sovranazionali che ruotano attorno alle dinamiche finanziarie.

La ricerca empirica dei contesti quotidiani interessati dalla finanziarizzazione ha quindi il rinnovato compito di cogliere “la loro diversità scalare e temporale” (Delville, Seighworth 2015, p.615).

Questo nuovo imperativo va di pari passo con la necessità di un decentramento delle analisi empiriche rispetto al contesto anglosassone, centro di irradiazione della finanza globale.

Da questa angolazione si ritiene che la nuova letteratura sulla

che ha sempre incluso una serie di considerazioni non economiche. La nuova sfida è documentare come la relazione storica venga trasformata ai tempi del neoliberismo.

finanziarizzazione del quotidiano riesca meglio a dar conto del fatto che le esperienze vissute del debito sono inscindibilmente legate a contesti sociali, storici ed economici particolari. Inoltre, essa si presenta come prospettiva situata in grado di sconfessare le dicotomie ed i luoghi comuni diffusi dalle narrative “disciplinanti” dell’economia neoliberista. L’expertise socio-antropologica sembra la più adatta a portare a compimento questo nuovo progetto.