3.1 L’attribuzione dei diritti al datore di lavoro
3.1.1 Titolarità e ampiezza dei diritti acquistati dal datore
dell’art. 12-bis l.d.a. la dottrina maggioritaria sembra propendere per un
acquisto dei diritti di utilizzazione, in capo al datore di lavoro, diretto e a
titolo derivativo
153, ritenendo che la fattispecie traslativa si perfezioni con
la sola creazione dell’opera
154(nel caso di software o banca dati realizzata
su commissione, tuttavia, alcuni autori sostengono sia necessario un
ulteriore atto traslativo, costituito dalla consegna
155dell’opera da parte del
prestatore o dall’accettazione
156da parte del committente). Ancora una
volta, quindi, si realizza quella automatica dissociazione soggettiva fra
titolare dei diritti morali e titolare dei diritti patrimoniali d’autore indicata
in introduzione a questo capitolo, con la precisazione che in tema di
software e di banche dati i diritti morali che rimangono in capo al
dipendente, di fatto, sembrerebbero esaurirsi nel diritto di paternità
157.
per la prova della trasmissione dei diritti di utilizzazione economica dell'opera, non trova applicazione nei confronti dei datori di lavoro e dei committenti, giacché costoro acquistano i diritti in questione non già per effetto di un contratto di trasferimento, ma per effetto della realizzazione dell'opera a seguito dell'attività creativa contrattualmente prevista, e quindi la prova a loro carico, che può essere data con ogni mezzo, ha ad oggetto esclusivamente il fatto che l'opera è stata creata dal dipendente o dal commissionario e che costui era stato davvero assunto per - o aveva l'incarico di - ideare e realizzare un'opera dell'ingegno”; conformemente Cass., 1 luglio 2004, n. 12089, in Diritto e pratica del lavoro, 2004, pag. 2766, con nota di ROSIN G.
153 Evitando di ripetersi, si rimanda alle note 56 - 58 del presente capitolo, che riporta la dottrina a cui si è fatto riferimento.
154 CAROSONE O., op. cit., 1999, pag. 191.
155 DE SANCTIS L., art. cit., 1987, pag. 153. Così anche Cass., 7 giugno 1982, n. 3439, in Giurisprudenza italiana, 1982, parte I, fasc. 1, pag. 1505.
156 AMMENDOLA M., in UBERTAZZI L. C., - AMMENDOLA M., Il diritto d’autore, Torino, UTET, 1993, pag. 29.
157 In particolare, KLECKNER M. E., Commento sub. Art. 3, in FRANCESCHELLI R. (a cura di), Tutela giuridica dei programmi per elaboratore, Commentario, in Le nuove leggi civili commentate, 1995, pag. 281-284, sottolinea come vi sia una vera e propria ‘compressione’ dei diritti morali dell’autore-dipendente finalizzata a favorire la circolazione del software, evidente soprattutto nei limiti ai diritti esclusivi d’autore delineati agli artt. 64-bis-ter-quater l.d.a. I diritti morali di cui gode l’autore-dipendente, quindi, sembrerebbero ridursi nel solo diritto a essere riconosciuto autore del software. In questo senso, ci si è anche chiesti se sussista un vero e proprio obbligo, in capo al datore
147
Per quanto riguarda l’ampiezza dei diritti di sfruttamento economico
attribuiti al datore di lavoro pare corretto, alla luce della lettera della norma
e dell’indicazione fornita dalla Corte di Giustizia
158, ritenere che il datore
possa acquistare tutti i diritti patrimoniali derivanti dal software o dalla
banca dati, che quindi entrano “nella sfera del datore come un unico fascio
di interessi”
159: tale conclusione, inoltre, non sembrerebbe nemmeno
pregiudicata dall’applicazione della stessa Zweckübertragunstheorie, che
nell’ipotesi di lavoro subordinato “conduce tipicamente verso la
concentrazione di tutti i diritti patrimoniali in capo all’imprenditore, e
questo proprio in ragione dello scopo perseguito dalle parti con un simile
contratto”
160. Alcuni fra gli autori che, al contrario, si sono dichiarati
di lavoro, di menzionare sempre il nome dell’autore-dipendente nei vari esemplari dell’opera in commercio, soprattutto considerando che, attualmente, sono pochissimi i programmi per elaboratore prodotti che rechino indicazione degli autori (fenomeno reale ma, indubbiamente, illecito): così CHIMIENTI L., Lineamenti del nuovo diritto d’autore, Direttive comunitarie e normativa interna, Milano, Giuffrè, 1997, pag. 13)
158 Con alcune pronunce (la più importante, senza dubbio, è la CGCE, 14 luglio 1994, causa 91/92, Faccini Dori, in Il Diritto del lavoro, 1994, parte II, pag. 298) la Corte di Giustizia ha ribadito come il giudice, in sede di applicazione di una norma nazionale attuativa di una disposizione già prevista in via comunitaria, dovrebbe attenersi all’interpretazione più vicina al significato della norma comunitaria: in questo senso, pur non avendo il legislatore italiano ripetuto la formula quantitativa ‘tutti’ (riferita ai diritti di utilizzazione economica) nell’attuare la Direttiva (che, invece, la prevedeva), l’interpretazione dell’art. 12-bis dovrebbe comunque ricalcare quanto già previsto in sede comunitaria. La questione, tuttavia, rimane aperta, come affermato da SANTORO
PASSARELLI G., Il difficile adeguamento del diritto interno al diritto comunitario, in Rivista italiana di diritto del lavoro, 1998, parte I, pag. 320 e ss. Un’altra differenza fra art. 12-bis e Direttiva sta nel fatto che il primo parla di ‘titolarità’ dei diritti di utilizzazione economica, mentre la seconda fa riferimento al semplice ‘godimento’ di tali diritti: in questo caso è stato sottolineato come, in realtà, nel termine utilizzato dall’art. 12-bis l.d.a. sia certamente ricompreso quello introdotto dalla Direttiva, essendo il primo ‘contenitore’ del secondo (così UBERTAZZI L. C., op. cit., 1994, pag. 32).
159 PELLACANI G., op. cit., 1999, pag. 368. Analogamente UBERTAZZI L. C., op. cit., 1994, pag. 33; KLECKNER M. E., art. cit., 1995, pag. 283; BARBARISI M., La tutela della proprietà intellettuale, in TOSI E. (a cura di), I problemi giuridici di internet, Milano, Giuffrè, 1999, pag. 159.
160 Così UBERTAZZI L. C., op. cit., 2012, pag. 1386; analogamente UBERTAZZI L. C., op. cit., 2000, pag. 47; COGO A., op. cit., 2010, pag. 24. Contra ALGARDI Z. O., op. cit., 1978, pag. 137; CAROSONE O., art. cit., 1979, pag. 219; DE SANCTIS V. M., op. cit., 1971, pag. 167; SORDELLI L., art. cit., 1989, pag. 275, i quali ritengono che la Zweckübertragunstheorie sia da applicare in senso limitativo, consentendo al datore di lavoro di acquisire solo i diritti di utilizzazione economica compresi nell’oggetto
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favorevoli a un’interpretazione in senso limitativo della
Zweckübertragunstheorie, per poter giustificare un acquisto in toto dei
diritti patrimoniali in capo al datore, hanno sostenuto che l’art. 12-bis
costituisse una deroga alla teoria stessa, potendo quindi distinguere fra
creazioni ‘utili’ e creazioni ‘tradizionali’: solo a quest’ultima categoria,
infatti, potrebbe avere senso applicare la teoria dello scopo dell’atto,
poiché tale categoria farebbe capo a creazioni intellettuali che si prestano
a varie forme di utilizzazione
161.
contrattuale o comunque deducibili in via interpretativa da esso secondo le comuni regole civilistiche.
Circa l’applicabilità della Zweckübertragunstheorie al software o alla banca dati realizzati su committenza (in tal caso, limitare l’acquisto dei diritti da parte del committente allo scopo del contratto pare preferibile, se non altro in ragione della natura del contratto che generalmente, salvo casi eccezionali, prevede la realizzazione di un opus), va ricordato come AUTERI P., Le commesse di ricerca, sviluppo, produzione, in ALPA G. - ZENO -ZENCOVICH V. (a cura di), I contratti di informatica, Milano, Giuffrè, 1987, pag. 264 abbia proposto una tripartizione fra le fattispecie tipiche di acquisto dei diritti di utilizzazione economica da parte del committente e precisamente: la piena proprietà dell’opera con tutti i diritti di utilizzazione economica in via esclusiva (in questo senso, Trib. Milano, 4 novembre 2008, in Rep. AIDA, 2009, I.3.8, ha ritenuto che il codice sorgente di un software relativo a una pagina web realizzato su commissione fosse di proprietà del committente, così come tutti i risultati della prestazione commissionata); i diritti di utilizzazione economica in via illimitata ma non esclusiva; il diritto di utilizzare l’opera ai soli fini interni (l’autore cita, a tal proposito, l’esempio di un software realizzato per gestire una banca dati di uno studio professionale)
161 In questo modo, si tende a distinguere fra creazioni utili (come software e banche dati) per cui il datore di lavoro acquisterebbe tutti i diritti di utilizzazione ex art. 12-bis l.d.a ed altre creazioni, più tradizionali, per cui il datore acquisterebbe i soli diritti previsti e ricavabili dal contratto secondo la Zweckübertragunstheorie (in tal senso, Trib. Milano, 21 novembre 1991, in AIDA, 1992, pag. 818, ha affermato che “l'utilizzazione per scopi commerciali di un servizio giornalistico televisivo, realizzato ab origine per un telegiornale, costituisce lesione del diritto d'autore del giornalista”, non avendo il datore acquisito tale diritto per mancanza della previsione contrattuale). In dottrina, si è così espressa GUIZZARDI S., La tutela d’autore del disegno industriale: incentivi all’innovazione e regime circolatorio, nella collana Quaderni di AIDA, Milano, Giuffrè, 2005, pag. 103, per cui “il datore di lavoro acquista tutti i diritti di utilizzazione economica soltanto su software, banche dati e opere di design, e cioè su opere dell’ingegno che non si prestano per la loro intrinseca natura a forme innumerevoli di sfruttamento, ma solo o prevalentemente alla commercializzazione”. Precisa poi RICOLFI
M., in ABRIANI N.,COTTINO G.,RICOLFI M., Diritto industriale, nella collana Trattato di diritto commerciale, già diretta da COTTINO G., Padova, Cedam, 2001, pag. 394, che nell’odierno contesto economico la regola del trasferimento dei diritti di utilizzazione economica secondo lo scopo del contratto giustifica, tendenzialmente, l’attribuzione al datore di lavoro di tutti i diritti patrimoniali sui risultati creativi realizzati dal dipendente, ma solo quando essi costituiscano un “bene finale” a sua volta oggetto di disposizione da
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È interessante come la legge, tuttavia, ammetta esplicitamente la
possibilità, per i contraenti, di stipulare un patto contrario, derogando in
via contrattuale al principio (ormai è il caso di dirlo: generalmente
accettato) delineato dall’art. 12-bis l.d.a.: le parti, quindi, possono disporre
che la titolarità dei diritti di utilizzazione economica rimanga in tutto o in
parte in capo al dipendente, variamente modulando le spettanze
dell’impresa. Gli unici limiti all’autonomia contrattuale, in particolare,
sembrerebbero costituiti dal limite ex comma 3 dell’art. 64-quater l.d.a.
162e da una pacificamente riconosciuta inammissibilità di deroghe in peius
per il lavoratore
163: non sembra esclusa, perciò, la possibilità di prevedere
in via contrattuale un ‹‹premio›› per il dipendente che realizzi un software
o una banca dati e che non sia preventivamente retribuito per una tale
eventualità, consentendo a una norma dettata dalla legge sul diritto
d’autore di avvicinarsi a quanto l’art. 64.2 c.p.i. già stabilisce in via
legislativa
164.
parte dell’impresa (il software o la banca dati, quindi, non devono costituire un semplice bene strumentale all’interno del ciclo produttivo).
162 Così KLECKNER M. E., art. cit., 1995, pag. 284, che ricorda la disposizione secondo cui ‹‹le clausole contrattuali pattuite in violazione dei commi 1 e 2 sono nulle›› (sarebbero nulle, quindi, le clausole implicanti l’obbligo di ottenere un’autorizzazione da parte del titolare dei diritti qualora si rivelasse necessario modificare la forma del codice del software per poterne garantire l’interoperabilità con altri programmi)
163 In realtà, tale limite non sembra essere particolarmente operativo, poiché qualsiasi deroga allo schema legale dell’art. 12-bis l.d.a. non potrebbe che favorire il dipendente.
164 KLECKNER M. E., art. cit., 1995, pag. 287, afferma infatti che la scelta di non prevedere all’art. 12-bis l.d.a. la corresponsione di un equo premio così come delineato dall’art. 64.2. c.p.i. è probabilmente dettata dalla presa d’atto del legislatore “della mancanza di un sacrificio indennizzabile da parte del creatore salariato nella perdita del diritto di utilizzazione economica”.
La questione circa la titolarità di un’eventuale diritto all’equo premio in capo al dipendente nel caso di “software d’azienda” non è affatto scontata: essendo un’ipotesi borderline, infatti, la soluzione dipende dalla norma a cui dare prevalenza, se l’art. 64.2 c.p.i. (anche sulla scorta di quanto detto nei paragrafi precedenti circa le software implemented inventions) o l’art. 12-bis l.d.a. (che si riferirebbe al solo software “in quanto tale”, senza considerare la dimensione più concreta della creazione intellettuale). In particolare, PASCUCCI F., art. cit., 2015, pag. 470, si mostra favorevole a un’applicazione dell’art. 64.2 c.p.i. nel caso in esame, in quanto maggiormente attenta alla “realtà fenomenologica del programma per elaboratore, il quale sembra possedere le
150
caratteristiche dell’invenzione industriale”: l’applicazione dell’equo premio, infatti, sembrerebbe “più rispondente alla ratio del bilanciamento di interessi tra il datore di lavoro che investe e sopporta il rischio di tale investimento ed il lavoratore inventore, il qualche, anche se perde il diritto di sfruttamento del trovato, vede comunque tutelata la sua attività creativa” (inoltre, “non osterebbe all’applicazione della disciplina delle invenzioni d’azienda al software il divieto di cui all’art. 45, commi 2 e 3 c.p.i., là ove si esclude la brevettabilità dei programmi per elaboratore in quanto tali, posto che la lettera del comma 2 dell’art. 64 non richiede, per la sua applicazione, né la brevettazione, né la semplice brevettabilità del trovato”). Conformemente BIFULCO M. P., La direttiva CEE sul software e la tutela del lavoratore dipendente, in Il Diritto del lavoro, 1994, fasc. 3-4, pag. 371 e ss., secondo cui pur mancando nella legge sul diritto d’autore una disposizione analoga a quella dell’attuale art. 64.2 c.p.i., “dottrina e giurisprudenza, applicando i principi contenuti negli artt. 23 e 24 legge brevetti, distinguevano dall’ipotesi in cui la creazione del software veniva prevista come oggetto del rapporto di lavoro e a tale scopo retribuita, l’ipotesi nella quale il software veniva realizzato nell’esecuzione del rapporto di lavoro da un dipendente non tenuto contrattualmente a risultati inventivi e quella nella quale l’attività creativa era completamente estranea alla prestazione lavorativa” (fermo restando che il software “presenti i requisiti di materialità e brevettabilità”).
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Capitolo III
CREAZIONI INTELLETTUALI PLURISOGGETTIVE E
RAPPORTO DI LAVORO: ALCUNE FATTISPECIE
COMPLESSE
SOMMARIO: 1 Opere collettive e opere composte: un’attribuzione dei diritti d’autore non scontata