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I. DEFORMAZIONI E CONIAZIONI D’AUTORE

1.3 Toponimi e storpiature caricaturali e parodiche…

Le deviazioni dallo standard linguistico (e in qualche caso le innovazione) viste sin qui sono senz’altro implicate con la parodia e l’invettiva spesso con effetto caricaturale. La realtà rappresentata, denunciata e descritta sembra essere costantemente distorta dal-lo sguardo del protagonista-narratore e anche chiari riferimenti all’attualità, alle attitu-dini, alle modalità di pensiero di una popolazione autoctona con cui chiunque abitante del Veneto può trovare delle somiglianza, risultano in fine apparire come facenti parte di un universo parallelo, di un mondo identico al nostro ma in un certo senso estremiz-zato in alcune sue caratteristiche. Su queste l’autore si concentra, si applica fino all’esaurimento delle sue capacità espressive.

Lo spazio in cui si muove e parla il protagonista Michele Tessari è dunque un Veneto estremizzato nei suoi caratteri più proverbiali e identitari, e anzi distorto e reinventato fin nei suoi stessi toponimi. A partire dalla fictio degli iperonimi «pianeta venetorienta-le» (C13) e «Mesovenetorientavenetorienta-le» (C14).

Alla cartina geografica del Veneto attuale si sovrappone quasi perfettamente quella del narratore protagonista (come il Maradagál gaddiano alla Brianza lombarda). Fin dalle prime pagine si ha a che fare con riferimenti geografici di cui è spesso possibile distin-guere i toponimi originali. Altre volte la distorsione sconfina nella neoconiazione vera e propria cui è difficile riferire un’indicazione geografica precisa. È il caso dal paese di residenza di Michele Tessari, individuabile nel testo già in incipit di romanzo:

Il mio lavoro principale, il mio primo lavoro, quello ufficiale, qui a Insaponata […] (C3)

Il paese di Insaponata, detto così, non sembrerebbe coincidere con nessuna cittadina e-sistente realmente. In altri casi però viene nominata col suo nome completo:

La cosa davvero bella è il sibilo delle loro preghiere per un avvenire, per l’avvenire, qui nella chiesa di Insaponata di Piave. (C17)

L’aggiunta di di Piave, allora, aiuta a individuare più precisamente un corrispettivo rea-le, e considerando il paese di residenza dell’autore Francesco Maino, si sarebbe spinti a credere che si stia parlando di San Donà di Piave. Tale interpretazione sarebbe confer-mata prendendo in esame il percorso che il protagonista fa ogni giorno per lavoro dalla sua casa al tribunale di Venezia. In un certo punto del testo infatti si legge:

[…] poi torno indietro, B → A, dalla laguna al fiume, Tessera, Aeroporto Marco Polo, Montiron, Quarto di Bue, Bivio-Marameolo-Musestre, Millepiedi, Ponte del Cappone, Piave, Fiume Sacro. Patria. Casa. Mia. Mi riavvolgo come fossi un filo di pelle essiccata in un gomitolo di quaranta (40) chilometri affumicati (C70).

Effettivamente i toponimi qui citati sono nomi di paesi che nella loro forma originale si incontrano tra Venezia e San Donà di Piave. Montiron potrebbe essere la storpiatura di Marcon, oppure riferirsi effettivamente alla piccola isola della Laguna Veneta di Cason Montiron, che sarebbe però alquanto fuori percorso. Marameolo sembrerebbe essere in realtà Meolo, Millepiedi forse Millepertiche, Ponte del Cappone potrebbe essere Ponte della Vittoria che collega la sponda destra del fiume alla sinistra in entrata a San Donà,

o un paese vicino. In più la distanza tra i due paesi corrisponde proprio a quei quaranta chilometri affumicati qui menzionati come distanza tra il luogo di lavoro e la città di re-sidenza. In ogni caso, quel che importa è sottolineare l’evidente calco parodico che vie-ne fatto di località effettivamente esistenti. Vediamo qualche altro caso presente vie-nel te-sto:

[…] ogni volta che andavamo a seppellire un vecchio venetorientale in trasferta, Porto-giaguaro, Stinco di Livenza, Tajo, Celia, Ponte Crepato, Mazzolata, Buson, Gradassa, Zolletta, cimiteri soli, in mezzo ai campazzi […] (C7)

E poi ancora: Novena (C7, C153) / Pratochiuso di Piave (C14, C37, C153, C223) / Stretti di Bacino (C17, C83) / Busa (C18) / Tapparella (C18) / Gambarotta (C18) / Tre-facce (C18) / Cintola Cacao Maggiore (C19) / Tallone sul Loncone (C19) / Cavapolve-rina (C38) / Bellinzona (C53, C91) / Testadura (C83) / Milleradeghi (C95, C153) / Ga-glioffa di Piave (C101) / Fossona (C153) / Crose (C153, C156).

Ovviamente non è possibile individuare tutte le località a cui l’autore fa riferimento. Rimanendo allora su quelli passibili di interpretazione andrà evidenziata la molteplicità delle possibilità di distorsione. Infatti le parole cui è più facile trovare il corrispettivo reale intrattengono con questi ultimi rapporti di somiglianza evidenziati da similarità i-niziali o finali di parola, mutamenti interni di parola o addizioni interne simili a epente-si. Vediamo qualche ipotesi: Portogiaguaro deriva evidentemente da Portogruaro con inserimento nel composto di parola di "giaguaro" con valenza ironica e mantenimento dell’uscita in -guaro; Stinco di Livenza deriva da Santo Stino di Livenza, con sostitu-zione ironica di "Stino" con Stinco (da notare come la resa burlesca sia ottenuta con il solo inserimento della lettera -c- nel corpo della parola); Millepiedi deriva probabil-mente da Millepertiche, alla similarità iniziale è aggiunta ironicaprobabil-mente la parola "piedi" con rinvio all’insetto; Fossona è Fossalta di Piave con desinenza accrescitiva; Noventa di Piave diventa ironicamente Novena, parola con la quale solitamente si indica una pra-tica devozionale di nove giorni in preparazione di una festa religiosa37; da Pratochiuso di Piave è possibile risalire a Musile di Piave solo tramite l’indicazione spaziale presen-te nel presen-testo:

37 E. De Felice, A. Duro, Dizionario della lingua e della civiltà italiana contemporanea, Firenze-Palermo, Palumbo, 1974.

[…] tal Zuccon Ginetta, di Crose, una piccola frazione di Pratochiuso di Piave, tra Fos-sona e Novena (C153)

Crose è resa dialettale di Croce con sostituzione dell’affricata palatale sonora che in dia-letto veneto diventa fricativa alveolare sonora; Cintola Cacao Maggiore deriva da Cinto Caomaggiore, con aggiunta di sillaba finale -la in cintola e divisione di cao da Caomag-giore, con addizione interna della sillaba -ca-; Trefacce deriva evidentemente da Trevi-so, di cui viene mantenuta l’incipit numerico e modificato in senso ironico "viso" con facce (ovviamente l’etimologia del nome è un'altra); da Ceggia deriva Celia, con caduta dell’affricata dentale sonora geminata e costruzione della parola con rimando allo scherzo, alla burla, forse con richiamo a Goldoni, che era solito far ampio uso di questo termine38; italianizzato è Mazzolada che con la sostituzione del occlusiva dentale sonora (dialettale) con la sorda -t-, diventa nel testo Mazzolata; Buson potrebbe derivare da Li-son: la modifica iniziale rimanda ironicamente alla parola dialettale per "grande buca", "fossa"39; con caduta della sillaba finale -ga e aggiunta dell’interna -da-; con richiamo ironico a "gradasso" si passa da Grassaga a Gradassa; Zolletta è senza dubbio Zenson di Piave.

Come si può osservare dagli esempi fatti la deformazione in senso figurale interessa so-prattutto i campi semantico animale ("millepiedi", "giaguaro") o corporale ("facce", "bacino", "stinco") o comunque volti a creare un effetto comico. Altra particolarità è l’interferenza dialettale o talvolta il richiamo al nome antico di un paese, come succede con Oderzo:

[…] in mezzo al traffico dei pendolari che rientravano a Insaponata di Piave da Muse-stre e Opitergio (C149)

o con Padova:

[…] trittico di scritti alla fiera di Patavia, orali a palazzo Grimani […] (C148)

38 Cfr. Carlo Goldoni, Torquato Tasso, in Tutte le opere di Carlo Goldoni, volume quinto, a cura di Giu-seppe Ortolani, Milano, Mondadori, 1955.

E Treviso (qui oltretutto con fine parodico-critico nei confronti del sindaco Sonni Sòr-zon e della sue trasferte istituzionali in Romania, ovviamente in senso ironico):

[…] dall’aeroporto di Trevigi, nella fattispecie Trevigi → Timişoara (C113)

A Trieste, invece, è accostato il suo corrispondente sloveno:

[…] infine Trieste, Trst, fine dell’Italia […] (C77)

A Bologna l’equivalente latino, che rientra nell’orbita delle deformazioni macaroniche:

Chi l’avrebbe mai detto che dalla gloria di via Zamboni nel cuore di Bononia […] (C10)

Per sette anni interi ho fatto da pendolare tra Insaponata di Piave e Bononia. (C170)

Come si vede per città più grandi e conosciute lo scarto dalla forma comune è meno consistente. Oltretutto, c’è da dire che, in altrettanti casi, alle varianti qui considerate è preferita la forma italiana. Sembra quasi che più lo sguardo o il ricordo del protagonista si spostano indietro nel tempo o lontano nello spazio, più il suo osservare si faccia chia-ro: i toponimi di città straniere infatti, soprattutto tra le più menzionate le slovene e le croate, non sono mai storpiati o inventati ma rispecchiano sempre la realtà. Più il luogo è vicino alla quotidianità dell’autore, invece, più risente di deformazioni: si veda, per quanto riguarda la città da lui più assiduamente frequentata, la preferenza per la forma dialettale Venessia e addirittura la catena allofonica che richiama Per il Casanova di

Fellini di Andrea Zanzotto40, in cui viene mischiato dialetto veneto, rimandi latini e

lin-gua straniera:

[…] il profeta che mi aiuta a stare al mondo senza impazzire, Venessia,Vinegia, Venu-sia, Venetia, Venezia, Venice (C77)

In realtà chiarire la modalità d’uso e la frequenza di tale distorsioni non risulta essere semplice come si è cercato di ipotizzare. Infatti come già accennato, i toponimi delle cit-tà, soprattutto venete, più grandi e conosciute sono presenti nel testo sia nella loro forma normale che in quella distorta e non sembrano esserci particolari distinzioni diafasiche o diamesiche tra l’uso dell’una e dell’altra. Prendiamo ad esempio il caso di Bologna / Bononia. Nella forma normale è presente nel testo con 4 occorrenze, nella forma latina con 8. Il punto in cui il toponimo ritorna più frequentemente è durante la descrizione dell’esperienza universitario-cittadina del narratore-protagonista, durante la quale com-pare lungo quattro pagine con 7 occorrenze totali: 5 latine

Per sette anni interi ho fatto da pendolare tra Insaponata di Piave e Bononia. (C170)

Alle 14.26 giungevo a Bononia. (C170)

risucchiato dal caos coronarico di Bononia. (C171)

Ecco, Bononia mi pareva un nemico silenzioso. (C171)

Bononia era il tiranno, io il sottoposto, venivo da Insaponata sulla Piave, si vedeva tan-to? (C171)

Da notare che tutte e cinque le volte la parola è usata dal narratore-protagonista stesso. Due volte per dare delle informazioni importanti ma minime, basilari: una volta nella descrizione della sua esperienza cittadina, e due volte in senso figurale per esprimere un’impressione di disagio che sottende anche un certo ragionamento, una certa rielabo-razione dei fatti.

Bologna è usato con due occorrenze nella descrizione dei modi di fare dei ragazzi meri-dionali nei confronti del loro soggiorno:

sembra che pensassero: io nun tenco paura manco de ddio. Bologna non era che un for-ziere da scassinare. Fine della storia. (C172).

Un'altra, invece, per esprime un’impressione del protagonista su sé stesso:

mi sembrava di dover dire a tutti quei palazzi di Bologna il mio nome è Nessuno. (C173)

Insomma nessuna forte evidenza, se non il fatto che in un’occasione la forma comune è usata in senso mimetico per esprimere il pensiero non di Michele Tessari, ma di altri studenti provenienti dal Sud Italia. Se queste occorrenze lasciano spazio a qualche pos-sibilità interpretativa, varrà la pena di osservare anche le quattro rimanenti. Forse si con-fermerà in maniera più evidente, ciò che qui sembra trasparire solo lievemente.

Bologna:

Simonetti, dopo il liceo e le Scienze della Comunicazione, apprese alla corte di Umber-to Eco a Bologna […] (C53)

eppoi l’Universita, l’inter-rail, cior giurisprudenzia a Bologna, in collegio, dai preti, medicina a Padova, ingegneria a Trento, economia a Ca’ Foscari è roba da recioni, me-glio la Bocconi […] (C54)

E Bononia:

[…] dopo essermi laureato (102/110) in giurisprudenza a ventisette (27) anni e trequarti (3/4) presso l’Alma Mater di Bononia (C7)

Chi l’avrebbe mai detto che dalla gloria di via Zamboni nel cuore di Bononia sarei finito a Zolletta di Piave a ficcare sotto terra contadini refrattari […] (C10)

Risulta allora evidente che quando il protagonista parla di sé stesso, viene preferita la forma marcata, cioè latina mentre se si sta parlando di qualcun altro o ci si sta comun-que riferendo a un qualche gruppo, o ancora a qualcosa di bolognese (cfr. i palazzi C173) allora la forma normale è quella attestata. Se si tiene conto che i piccoli paesi vi-cini San Donà vengono sempre distorti dal protagonista-narratore, vien da pensare che si voglia preservare agli occhi del lettore una dimensione rurale e piccolo-cittadina che il protagonista però continuamente critica. In ogni caso comunque, a risultare chiara è la

sintomaticità di queste distorsioni, espressione di una dimensione personalissima dello spazio vissuto dall’autore e di un forte disagio che trasuda dal contatto tra il protagoni-sta e il proprio ambiente.

Unica località, tra i piccoli paesi, non storpiata dal narratore è quella del luogo di nasci-ta, che viene ricordata nel testo per due volte e solo nella sua forma normale:

[…] città del mio concepimento, Motta di Livenza, marca trevigiana, dove son nato, nel Settantadue […] (C77)

[…] ospedale civile di Motta di Livenza, in piena marca trefacciana, marzo del Milleno-vecentosettantadue (1972) […] (C201)

Questo nome oltretutto, a differenza degli altri è riportato nella sua forma normale an-che sulle note ai personaggi an-che si trovano in prologo al romanzo (cfr. C231-239).

Il testo è infatti ricco di personaggi, molto spesso inventati, i cui nomi sono talvolta de-formati in vere e proprie invenzioni caricaturali. Lo scopo è quello di parodiare deter-minate figure sottolineandone attraverso il nome un aspetto caratteriale. In diversi casi questo tipo di formazioni comporta la creazione di nomi parlanti di plautina memoria. Interessante poi notare che nella maggior parte delle occasioni questi personaggi sono esponenti della politica o figure amministrative importanti. Inventato è il nome del sin-daco di Insaponata, già citato in altri casi:

[…] il Sindaco di Insaponata, Sonni Sorzòn, calotta d’avorio e peluria argentata, occhi suppurati e bocca da taglio, Sonni Sorzòn, il Sindaco Ibernato nel Fascio, di annualità ottantadue […] (C113)

La descrizione è condotta da un lato sfruttando l’elaborazione figurale degli elementi: con l’espressione calotta d’avorio si fa riferimento alla calvizie e con peluria argentata alla barba bianca. Dall’altro attraverso la sovrapposizione di linguaggi settoriali: compa-re quello medico con suppurati e il giuridico-burocratico con annualità. Bocca da taglio invece è sicuramente espressione gergale, con la quale presumibilmente si fa riferimento

alla ciarlataneria del personaggio. All’espressività della descrizione contribuisce anche il cognome, costruito sul dialettale sorz corrispondente all’italiano sorcio.41

L’utilizzo del dialetto, tra l’altro molto sfruttato nel testo, concorre anche in altre occa-sioni alla creazione di un nome proprio. È il caso di un altro personaggio il «gotha di ri-serva della piccola politica veneta» (C113):

[..] il Sottopanza del Governatore dell’Heneto-Cisalpino, Pilato Zinquepanze, col dop-pio mento, l’abbronzatura artificiale, le trippe che fraccano sotto le trame strette della camicia Oxford […] (C113)

Della descrizione di entrambi questi due personaggi il nome sembra costituire il comune denominatore che ne riunisce sotto un'unica voce le caratteristiche, o ne accentua la più spregevole. Infatti c’è da dire che anche quando la finalità è la parodia o la resa carica-turale di un personaggio, quest’ultima sottende sempre un tono piuttosto serio che mira a rendere non solo ironica la descrizione o la riflessione, a provocare nel lettore non solo il riso, ma una forma di straniamento finalizzata alla ridiscussione critica di determinati fatti, atteggiamenti o modi di pensiero. Ciò che importa allora non è tanto la resa burle-sca di determinati personaggi, ma il fatto che cogliendone anche ironicamente determi-nati tratti si tenta di rovistare seriamente tra le forme stagnanti di un sistema politico fortemente criticato dall’autore, e di cui quest’ultimo vuole restituire una rappresenta-zione sprezzante, spregevole e quasi spietata.

I problemi trattati sono tutt’altro che minimizzati, anzi talvolta è proprio la loro presen-tazione in forma ironica e sarcastica a sollevarli. Collegato a uno di essi ad esempio, è un amico del sindaco Sonni Sorzòn, il cui nome è anch’esso costruito in senso caricatu-rale:

Dicono che il sindaco abbia avuto la bis-campagna elettorale assicurata col grano sara-ceno, il mangime di Bigotti Venerino, il quale doveva così sdebitarsi per il piacere rice-vuto, cioè l’incarico per la costruzione, a tempo di record, del capannone adibito a pa-lazzo di giustizia, un’emergenza pompata a regola d’arte grazie a una serie di articoli usciti sistematicamente sulle pagine del «Massetto Veneto». (C128)

41 Come si vedrà l’accostamento topo-uomo o ancor più spesso topo-avvocato spesseggia con una certa continuità nel testo (cfr. p. 62 e sgg.)

Si sta qui allora denunciando il fatto che Bigotti Venerino, abbia comprato l’appalto per la costruzione del Tribunale di Insaponata, pagando di tasca propria i soldi necessari per la seconda campagna elettorale del sindaco di Insaponata.

Insomma, in questi casi la distorsione e la vocazione caricaturale vanno di pari passo con la critica e la denuncia. Si veda poi come anche il nome del giornale sia storpiato. Altre figure politiche presenti nel testo sono:

[…] l’Eurodeputato che porterà a Bruxelles le istanze dei coltivatori diretti di radicchio, Pantalone Burattini […] (C181)

e ancora:

[…] tutti i fioi del progetto Insaponata Blindata, voluto dall’Assessore alla Sicurezza, Dott. Spadotto Siro, ronde di ciccioni della Tega con la voglia di sistemare mascelle e raddrizzare costole (C131)

[…] il Sottosegretario Applicato del Vice Capo Vicario di Gabinetto al Ministero di Grassia e Giustissia; poi la Coordinatrice Federale, fresca di congresso, Dott.ssa Cele-stina Ternallotto, autentica trans mediatrice della coalizione al potere, Imega Molle e Tega Nord (C114)

Si veda l’uso ironico-parodico che viene fatto anche dei nomi delle varie cariche. L’impressione, in questo caso, è di una vera e propria parata carnevalesca in cui persone la cui posizione dovrebbero presupporre una certa serietà vengono smascherate nella lo-ro buffonaggine o ancor peggio nella lolo-ro criminalità.

Lo stesso si può dire di altre figure importanti, primi fra tutti gli avvocati. Il presidente dell’Ordine:

Il rastrellamento è sotto il mio studio, effettivamente, sento le voci metalliche del Presi-dente dell’Ordine degli Avvocati di Venessia, Rodolfo Calessi Della Sbobba (C108)

Il Sostituto-Accusatore presso il Tribunale di Venezia, Dott. Felice Scorpione, con cui il protagonista ipotizza un’immaginaria discussione intorno al tema della cultura giudizia-ria e della riforma della giustizia:

Ogni tanto, quando ho un minuto libero, mi faccio un caffè al Remier, lì si trova spesso, tra le dieci e le dieci e trenta, il grandissimo Dottor Scorpione, Sostituto-Accusatore presso il tribunale di Serenissima (C142)

Chiamato grandissimo con evidente funzione sarcastica del superlativo42.

Emblematica l’elencazione degli avvocati ammessi e/o esclusi dal buffet per l’inaugurazione del tribunale di Insaponata, che val la pena di citare per intero:

Nessuno, dicevo, è stato invitato all’abbuffata inaugurale del tribunale di Insaponata, a parte gli specchiati rappresentanti del nostro specchiatissimo Ordine Locale: l’avv. Poli-ziano Porcheria, Presidente Emerito, l’avv. Zeno Zecca e l’avv. Franco Fiorini, Teso-rieri. Ma ho visto molta invidia spiaccicarsi sugl’iridi degli altri colleghi della camera civile, rimasti esclusi dal festino bueo, che ho riconosciuto tra la folla affamata, tra i quali, senza dubbio, l’avv. Mimmo Moscio, l’avv. Pio Ciavarella, il collega Orfeo Mal-loppo con l’avv. Paolo Polli, il collega Guidoberto Sgambetti, con Mario Goldoni e Adolfo Bucaneri, nonché l’avv. Massimo Gruzzoli, Baldassarre Bottino, Samuel Sbre-gon, Teddi TeSbre-gon, tutti costoro distribuiti equamente tra i leccatori quota Tega Nord e i succhiatori quota Imega (C133)

I cognomi di questi personaggi tendono molto spesso a enfatizzare l’avarizia e la spre-giudicatezza propria di questa casta (Ciavarella, Bucanieri, Bottino, ecc.). Da notare in questo caso come l’ironia del discorso sia creata da una parte grazie alle allitterazioni o ai richiami fonici che in molti casi si vengono a creare tra nome e cognome (ma il fe-nomeno è presente anche in molti dei nomi precedentemente analizzati), dall’altro attra-verso l’intersezione di livelli linguistici diversi: l’aggettivo specchiati ad esempio, viene evidenziato nella sua valenza ironica sia nella sua ripetizione nella forma superlativa specchiatissimo, sia per l’opposizione con il popolare abbuffata, il dialettale festino bueo o l’onomatopeico spiaccicarsi. Compare poi iride, appartenente al linguaggio

dell’anatomia, il desueto costoro, l’abbreviazione professionale avv. che rimanda al lin-guaggio burocratico e, in totale opposizione a questi, la valenza figurale di succhiatori e del neologismo leccatori, nonché la storpiatura del nome del partito politico Lega Nord. La deformazione caricaturale è sempre volta alla connotazione negativa dei personaggi che può valere anche per persone con cariche meno prestigiose. Per esempio il datore di lavoro, assicuratore, della già citata Gaziella Mazzuia:

[…] i banalissimi doppi sensi a sfondo sessuale dell’Agente Capo, il cavaliere del