I test alternat
2.3 Tossicogenomica: la trascrittomica
“Recital 40: La Commissione, gli Stati membri, l'industria e gli altri soggetti interessati dovrebbero continuare a contribuire alla promozione, a livello internazionale e nazionale, di metodi di prova alternativi, tra cui metodologie assistite da computer, appropriate metodologie in vitro, metodologie basate sulla
tossicogenomica e altre metodologie pertinenti. La strategia
comunitaria di promozione di metodi di prova alternativi è una priorità e la Commissione dovrebbe garantire che essa rimanga tale nell'ambito dei suoi futuri programmi quadro di ricerca e di iniziative quali il piano d'azione comunitario per la protezione e il benessere degli animali 2006-2010. Si dovrebbe puntare alla partecipazione degli operatori e ad iniziative che coinvolgano tutte le parti interessate.” (Reg. EC 1907/2006).
L’avvento delle nuove tecniche di biologia molecolare, le cosiddette OMICS, dai suffissi di transcript-omics, prote-omics e metabol-omics, consentono lo studio dei cambiamenti cellulari mediante l’analisi dei profili, rispettivamente, dell’espressione genica, proteica e della produzione di metaboliti. Esse inoltre permettono di rivelare in una fase molto precoce lo sviluppo di un’alterazione cellulare o tissutale: in tal modo, mediante lo studio degli effetti e dei meccanismi d’azione delle sostanze in esame è possibile valutare quali siano i cambiamenti molecolari che precedono l’evento tossico in sé, definendo così una “impronta digitale” (toxicological signature), potenziale
biomarcatore d’effetto per uno specifico composto o per un gruppo di composti con analogo meccanismo/bersaglio.
L’applicazione delle tecnologie tossicogenomiche, con particolare riferimento alla trascrittomica, costituisce uno strumento innovativo per approfondire l’effetto di composti chimici, consentendo di monitorare l’esposizione, valutare la pericolosità e il meccanismo d’azione, classificare le sostanze tossiche, definire la risposta a dosi differenti, contribuire all’estrapolazione da specie a specie e predire la variabilità individuale, limitando nella sperimentazione l’uso di test in vivo e quindi il numero di animali utilizzati.
La tossicogenomica rappresenta un approccio utile, con grandi potenzialità, nella valutazione del profilo tossicologico di una sostanza o miscela perché consente di interrogare l’intero genoma in seguito all’esposizione. Si valutano in tal modo le interazioni gene-ambiente e si individuano quali geni sono attivi in una cellula in risposta ad un determinato insulto.
L’approccio più promettente per l’individuazione di biomarcatori da utilizzare nel monitoraggio ambientale è rappresentato dall’analisi trascrizionale, mediante DNA microarray, che si focalizza su quella piccola percentuale del DNA eucariotico funzionalmente attiva, ossia in grado di essere copiata in RNA messaggero (mRNA) quindi tradotto in proteine che agiscono singolarmente o dopo formazione di complessi per sostenere molteplici funzioni della cellula.
In questo modo è possibile definire i profili di espressione genica che sottendono a risposte biologiche complesse nell’intento di individuare biomarcatori in grado di predire il rischio per l’uomo, e di consentire la stima di una relazione diretta tra l’esposizione e i possibili effetti.
Il termine microarray sta per “microscopic glass array”, ossia disposizione ordinata, o schieramento, su un vetrino da microscopio, di elementi, o sonde, che consentono il legame specifico di geni o prodotti genici. Le singole sonde, o probe, di cui il dispositivo è costituito sono legate al supporto su piccole aree circolari disposte secondo un preciso ordine geometrico lungo linee orizzontali (righe) e linee verticali (colonne), in modo del tutto analogo a quello dei numeri di una matrice.
I microarray a DNA, legando gli mRNA della cellula, ne misurano, in opportune condizioni sperimentali, la quantità relativa e forniscono così una immagine dell’attività dei suoi geni, cioè dell’attività trascrizionale della cellula stessa. Ciò che si ottiene è una sorta di “foto istantanea” del quadro di espressione genica.
Il funzionamento delle matrici si basa sull’interazione di legame tra biomolecole complementari, ovvero tra le sonde fissate alla matrice e le molecole ad esse complementari (ossia in grado di formare con esse legami a elevata stereospecificità) presenti in un campione biologico. Ciascuna sonda di DNA è specifica per una singola sequenza complementare, o sequenza bersaglio, di acido nucleico previamente marcato con un fluorocromo ed è in grado di legarla anche quando questa sia presente in una miscela complessa, quale può essere un estratto cellulare, generando così un segnale misurabile.
La lettura viene effettuata eccitando il marcatore fluorescente con laser di una determinata lunghezza d’onda e misurando poi la fluorescenza emessa, anch’essa di una specifica lunghezza d’onda. I due marcatori fluorescenti più utilizzati sono il Cy3, che viene eccitato a 550 nm ed emette a 581 nm (luce
verde) e il Cy5, che viene eccitato a 649 nm ed emette a 670 nm (luce rossa).
Quando il bersaglio sia rappresentato dall’mRNA cellulare, l’intensità luminosa di ciascun elemento della matrice fornirà indicazioni sulla quantità di mRNA sintetizzato da ciascuno specifico gene. In altri termini, si otterrà un quadro dell’attività trascrizionale dei singoli geni, ossia un profilo dell’espressione genica cellulare.
Diversi dati di letteratura hanno evidenziato l’importanza di utilizzare approcci trascrizionali per lo studio di miscele ambientali come il fumo di sigaretta, emissioni diesel e particolato urbano (Maunders et al., 2007; Heguy et al., 2006; Verheyen et al., 2004; Mahadevan et al., 2005). L’effetto comune di questi contaminanti interessa la modulazione di geni coinvolti nella risposta a stress ossidativo, appartenenti al sistema di attivazione metabolica degli xenobiotici e responsabili del processo infiammatorio. Accanto alla risposta cellulare, allo stress, sono stati anche evidenziati geni specifici dell’esposizione a ogni singola miscela che hanno consentito di acquisire nuove conoscenze sul meccanismo d’azione dei contaminanti ambientali oggetto di studio (Sen et al., 2007).