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La transizione cinese e la strategia One Belt One Road

Nel documento Global Outlook 2016: rapporto finale (pagine 73-77)

Sintesi dei seminari specifici del Global Outlook

1. La transizione cinese e la strategia One Belt One Road

Negli ultimi venticinque anni i tassi medi di crescita del prodotto interno lordo reale cinese sono stati superiori ai 7 punti percentuali annui. Nel 2016 le stime prevedono un ritmo di crescita lievemente inferiore, poco superiore ai 6 punti percentuali. Questa flessione appare fisiologica tenendo conto della dimensione assunta dall’economia cinese in questo trentennio e quindi dell’impossibilità di mantenere un ritmo di crescita in doppia cifra percentuale. Proprio alla luce dell’importanza assunta a livello globale dall’economia cinese, questo rallentamento preoccupa per le ripercussioni che può avere a livello internazionale e perché è associato ad una delicata transizione.

L’impressionante crescita dell’economia del gigante asiatico è stata trainata dagli investimenti, soprattutto infrastrutturali, e dalle esportazioni. Ora questo modello si sta esaurendo ed è quindi necessaria una transizione che porti il settore terziario e i consumi a divenire i nuovi motori dell’economia cinese.

Fonte: Federal Reserve Bank of St. Louis72

Questo capitolo è basato sul seminario del Global Outlook con Lanxin Xiang tenutosi il 22 ottobre 2015. Lanxin Xiang (PhD) è professore di Storia e politica internazionale al Graduate Institute of International and Development Studies di Ginevra e direttore del centro “One Belt and One Road Studies”. Collabora con l’International Institute for Strategic Studies (IISS) per la pubblicazione della rivista Survival.

Il nuovo ruolo economico della Cina su scala globale porta con se diverse questioni. Dopo l’inclusione del renminbi nei diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fondo monetario internazionale, la pressione internazionale sulla gestione da parte della Banca popolare cinese del cambio dello yuan è subito aumentata, riducendone la libertà di manovra. Un’altra questione riguarda la concessione dello status di economia di mercato alla Cina, questione che vede l’Italia posizionarsi con decisione sul fronte dei contrari. Ci sono poi le questioni legate all’impatto ambientale dell’economia cinese e alle recenti turbolenze finanziarie.

Guardando ai dati, tra le questioni particolarmente urgenti sembra esserci sicuramente la overcapacity, soprattutto in campo infrastrutturale. La percentuale di utilizzo delle strutture e infrastrutture, che normalmente si aggira intorno all’80%, attualmente in Cina è inferiore al 65%. Questo contribuisce a spiegare la necessità di una transizione nel modello di crescita.

Tra le risposte che il governo cinese sta elaborando per risolvere questo problema ce n’è una di ampio spettro che riguarda in modo diretto anche l’Europa: la strategia One Belt, One Road (Obor).

La nuova via della seta

Cos’è davvero la strategia One Belt, One Road? Qual è la posizione strategica che l’Europa dovrebbe occupare in questo ambizioso progetto di lungo periodo che mira a connettere l’Asia al vecchio continente attraverso il Medio Oriente?

Di Obor si parla molto oggi, ma si conosce in realtà molto poco delle sue motivazioni strategiche, dei suoi obiettivi e delle sue modalità di attuazione. La stessa classe dirigente cinese, che vi attribuisce grande importanza, non sembra avere ancora elaborato una chiara e convincente linea di azione.

Da parte americana c’è la tendenza a vedere l’Obor come una reazione al loro

“pivot” asiatico. La realtà è però diversa. Le radici della strategia sono più lontane nel tempo, risalgono al 2004 quando il Politburo cambiò il suo approccio verso l’Europa e l’Unione europea. Fino a quel momento la Cina non dava grande importanza alle relazioni diplomatiche multilaterali, privilegiando di gran lunga quelle bilaterali. Nel caso dell’Europa, Pechino non interagiva con Bruxelles, ma piuttosto con i singoli stati membri. Da allora però le cose sono cambiate: l’Ue è diventata il partner commerciale più importante della Cina a livello mondiale e l’interesse cinese verso l’Ue in quanto tale è fortemente aumentato.

72 University of Groningen e University of California, Davis, Real GDP at Constant National Prices for China [RGDPNACNA666NRUG], https://myf.red/g/58yt.

L’Europa costituirà il punto di arrivo della nuova via della seta del XXI secolo, tanto delle rotte terrestri quanto di quelle marittime. I maggiori porti europei, da Venezia a Rotterdam, saranno le connessioni terminali per i corridoi marittimi della “One Road”. Mosca e gli snodi commerciali tedeschi quali Duisburg, Düsseldorf e Amburgo saranno invece i punti di arrivo delle rotte ferroviarie che percorreranno l’Eurasia costituendo la “One Belt”. Sono dunque i mercati europei la destinazione finale della maggior parte dei beni che verranno trasportati lungo la nuova via della seta.

Fonte: Council on Foreign Relations73

Le ragioni che hanno portato il governo cinese a ideare questo progetto sono essenzialmente due. Da una parte, la proiezione verso ovest mira a rendere più equilibrata l’attività economica interna cinese, oggi troppo concentrata nella parte est del paese. Dall’altra, le nuove rotte commerciali e di investimento dovrebbero permettere alla Cina di utilizzare all’estero la sua capacità produttiva in eccesso in campo infrastrutturale.

Il progetto coinvolgerà nel suo complesso più di 60 paesi, 6-8 dei quali avranno un ruolo chiave. Per motivi diversi la Germania, la Svizzera e il Regno Unito si sono già assicurati una posizione di riguardo seppure in settori differenti.

73 James McBride, “Building the New Silk Road”, in CFR Backgrounders, 25 maggio 2015, http://on.cfr.org/1JRDHnR.

L’Italia ha un’importanza geopolitica che le permetterebbe di assumere un ruolo fondamentale nel piano di espansione commerciale cinese. La posizione dell’Italia e dei suoi porti nel Mediterraneo è ritenuta assolutamente strategica da parte della Cina e allo stesso modo Milano viene vista come uno snodo fondamentale verso l’Europa continentale. Il rischio però è che l’Italia non riesca ad approfittare di queste opportunità e si faccia scavalcare da altri paesi, ad esempio la Grecia, per quanto riguarda in particolare la disponibilità alle concessioni di aree portuali. In Cina è peraltro diffusa la convinzione che i problemi endemici di cui soffre l’Italia, tra cui l’inefficienza della pubblica amministrazione e la scarsa produttività, la rendano un partner scarsamente affidabile.

Sia la Cina che l’Europa hanno interesse a intensificare i rapporti economici.

Entrambe possono trarre giovamento dalla strategia One Belt, One Road.

Tuttavia, le questioni da risolvere non sono poche.

L’Europa, che ha già mostrato un forte interesse per il progetto come dimostrato dalla scelta di vari paesi membri di associarsi all’Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) o dalla ricerca di possibili sinergie tra l’Obor e il piano Juncker, può incidere sia sull’impostazione strategica che sulle concrete modalità di attuazione dei progetti Obor. Le maggiori potenze europee avranno un’influenza cruciale sugli sviluppi politici, economici e di sicurezza che determineranno la riuscita o il fallimento di molte delle nuove iniziative legate al progetto cinese. D’altra parte, le zone limitrofe all’Ue che sono interessate dalla strategia One Belt, One Road si trovano in una delicata situazione politica:

dalla crisi ucraina agli incrinati rapporti tra Russia e Europa, passando per la complessa situazione turca. Tutto ciò crea non poche difficoltà all’attuazione del progetto.

Allo stesso tempo anche la Cina ha alcune questioni interne da risolvere, soprattutto per la gestione degli investimenti necessari all’attuazione del progetto. La più delicata è la corruzione e la scarsa efficienza del settore finanziario. Il Politburo spera peraltro di far leva sul progetto One Belt, One Road proprio per risolvere tale problema: data la difficoltà di disciplinare internamente tale settore, l’idea è di usare la dimensione internazionale del finanziamento di questo progetto per aiutare a disciplinare il settore finanziario, sull’esempio del tentativo che fece l’Italia di utilizzare l’euro come vincolo per rendere più efficiente l’economia nazionale.

2. Relazioni economiche tra Russia e Europa, tra

Nel documento Global Outlook 2016: rapporto finale (pagine 73-77)