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Trascrizione integrale intervista operatore D

Nel documento Il filo della cura (pagine 84-96)

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Allegato 6 Trascrizione integrale intervista operatore D

Per facilitare la lettura della trascrizione, alcune ripetizioni tipiche del linguaggio parlato sono state tolte.

L’intervista si è svolta nel mese di giugno 2017.

Raccolta dati operatori

Quanti anni hai?

38

Da quanto tempo lavori al SAE?

Da 4 anni e mezzo

Qual è la tua formazione?

Operatrice sociale SUPSI, indirizzo educazione

Introduzione

1. Come valuti globalmente la tua esperienza in veste di educatore nell’ambito del SAE?

Nel senso di autovalutazione di come lavoro o l’esperienza globale nel senso di come mi ci trovo, di come...?

Se hai voglia tutti e due, volentieri. Era proprio una domanda a carattere generale.

A carattere generale molto positiva, è un’esperienza professionale estremamente positiva per quanto articolato è il lavoro, per quanto incontriamo situazioni diverse, dobbiamo attingere a conoscenze e capacità ogni giorno in momenti diversi per cui è molto variegato e questo lo trovo estremamente interessante. Anche l’incontro con le storie della gente e con la gente stessa lo trovo estremamente ricco. Così, molto globalmente, direi veramente positiva.

Rappresentazioni del fenomeno relative all’interruzione del rapporto

SAE – Famiglia

2. Dal tuo punto di vista, in quali casi la chiusura del percorso di collaborazione con la famiglia è da considerarsi un’interruzione?

Allora, per me interruzione è... quando ho iniziato a leggere i tuoi fogli e le tue... sì, mentre preparavi il tuo percorso per la tesi… Interruzione l’ho sempre intesa, e l’intendo ancora così adesso, una chiusura di collaborazione legata a un non raggiungimento degli obiettivi, una decisione legata a una non soddisfazione del lavoro proposto dal SAE. Per cui

interruzione per me parla di una necessità di una parte di chiudere, quindi da una delle famiglie o dal Servizio. Un collocamento non lo intendo come interruzione. Il collocamento, o l’orientamento verso un’altra struttura, o un’altra presa a carico, per me non è un’interruzione. Interruzione è una fine di collaborazione prematura.

Okay, e rispetto al collocamento ci sono dei casi che rientrano in questa fine prematura o proprio li distingui?

Mah, io li distinguo proprio. Secondo me il collocamento può far parte benissimo di un lavoro SAE, metti che abbiamo degli obiettivi con una famiglia che non vengono raggiunti perché si parte in un collocamento, allora lo vedo come cambiamento di strada, di obiettivi, di lavoro, ma non lo vedo come un’interruzione.

Anche se questo avviene che la famiglia non è d’accordo?

Sì. Dopo naturalmente è una questione di definizione per cui è molto soggettivo. Però sì, se devo rimanere a quello che mi ha evocato la parola interruzione, è quello che ti ho detto prima.

Okay, quindi una fine prematura e si va verso questa chiusura, vuoi perché non si sono raggiunti gli obiettivi o perché la famiglia non trova soddisfazione in quello che le viene offerto. Sì.

3. Secondo te quali motivi spingono una famiglia a interrompere la collaborazione con l’educatore?

Un’insoddisfazione, delle aspettative non raggiunte legate proprio a una ricerca di sollievo della loro problematica, delle loro difficoltà, per cui forse un tempo troppo breve accordato al lavoro del SAE nel dire “dopo tre mesi, non abbiamo raggiunto un meglio stare per cui chiudo”, quando invece forse si potrebbe lavorare ma per un anno o due. Quindi un’insoddisfazione legata al non raggiungimento... Può essere in certi casi che ci siano dei contrasti, delle forme di litigi, malintesi, offese, cose forse non risolte e non espresse, oppure espresse ma che portano a chiudere... una rottura di fiducia.

Quindi contrasti nella relazione educatore-famiglia?

Sì. Non lo vedo invece, nel senso non ho esperienza di quello e non lo vedo neanche tanto a livello cognitivo, non riesco a dire “potrebbe essere per una fatica troppo grossa”. Però, per carità, potrebbe essere ma non mi verrebbe da dire questo, che una famiglia fa troppa fatica per cui decide di chiudere.

4. In quali modi la famiglia manifesta l’intenzione d’interrompere la collaborazione?

Dicendolo. Dicendolo oppure reagendo con più distanza, quindi meno coinvolta, meno pronta ad accogliere le proposte e le richieste dell’educatore, che sia un appuntamento, un’uscita, un “ci risentiamo”, “vi richiamo” e che non richiama. Quindi nel detto e nel non detto.

Dunque, nel non detto da una parte c’è quello che percepisci tu e, dall’altra, c’è quello che agisce la famiglia, come non farsi trovare al telefono.

Sì, o cambiano gli appuntamenti o sono più sfuggenti, forse ti accolgono in casa però dopo senti che non ci sono o che sono più distanti, sì, meno disponibili.

5. Quando ti trovi confrontato con una famiglia che manifesta l’intenzione d’interrompere la collaborazione, quali aspetti consideri nel valutare se e come proseguire?

Allora, prima di tutto dipende se arriva da un decreto, quindi lavoro d’autorità, o se arriva su una base volontaria o semi-volontaria. Volontaria o decreto, sono un po’ le due. Mah, quali aspetti considero? Io considero proprio assieme alla famiglia se si riesce lo stesso a continuare, per quale motivo, con quale obiettivo. Se la famiglia è ferma nel suo desiderio e che è su base volontaria segnalata dalla scuola o da un servizio altro, ritengo di non poter forzare. Si può provare, si può spiegare, si può provare a mettere in parole il motivo del desiderio di chiudere, si può riportare al percorso fatto insieme, valutare la soddisfazione o meno di questo per dire “se siete soddisfatti vale la pena continuare, proviamo a passare insieme questo momento difficile, qualunque sia” però penso che non posso valutare io da sola se proseguire o meno. Se l’alleanza viene a mancare, cosa faccio da sola? Se una collaborazione è nata da una decreto, mi sentirei di insistere di più, mi sentirei di fare riferimento all’autorità, forse fare un incontro insieme, vedere soprattutto nel valutare quanto si riesce a parlare di questo desiderio di chiudere e per quale motivo è. Però sicuro per me, se l’alleanza è venuta a mancare, è rotto il lavoro, che non vuol dire che da subito non si lavora più, può essere appunto questo periodo di ricerca di nuova alleanza, però da sola non posso farlo.

6. Pensi ci siano delle situazioni in cui l’educatore dovrebbe optare per un’interruzione? Quali?

Di testa ti direi quelle dove ci sono regolarmente degli appuntamenti spostati, dove ci sono regolarmente degli appuntamenti mancati, dove ci sono i ritardi, dove l’operatore sente che non riesce a lavorare. Ti dico di testa perché a freddo è facile dire “se è cosi non vale la pena lavorare”, per cui opterei in effetti per fare velocemente il punto, forse anche con il

coordinatore e valutare se andare avanti o meno. Però, dopo, una volta nella situazione è difficilissimo veramente dire “chiudo”, “non vale la pena”, “interrompiamo”, visto che non sappiamo mai bene veramente quanto la famiglia e quanto il genitore riesce, malgrado tutto, a prendere, ad accogliere da quanto si fa, da quello che si fa insieme. Ti dico questo perché mi è già successo di dire, forse dopo un anno o due dove si rincorre la gente, deve il ragazzo non viene, dove la mamma e il papà... dove senti che c’è molta assenza, c’è poca adesione al lavoro, mi è successo di pensare “ma in un caso così andrebbe chiuso prima”. Sicuramente una situazione che mi porterebbe a riflettere adesso in tempi più brevi sapendo tuttavia che non è niente di facile, però è un po’ l’unica situazione nella quale vedo, per questa interruzione che ti dico io. Dopo potrebbe essere, non so, per esempio, che non abbiamo parlato prima, una situazione nella quale si rivelano delle situazioni di maltrattamento, delle cose da segnalare per cui forse il SAE non lavora più… e potrebbe anche questo essere una situazione di interruzione dove il SAE, sulla bilancia tra il continuare la collaborazione oppure mettere a gran luce, segnalare situazioni di maltrattamento, decide di segnalare perdendo la collaborazione. Questa è un’interruzione alla quale penso solo adesso. Voilà, per cui in questo caso sì, … Cosa porta l’educatore a decidere per un’interruzione, per cui per una segnalazione, è il benessere maggiore, l’interesse maggiore, un mettere un punto alla situazione di maltrattamento o per lo meno segnalare a chi può intervenire in modo più drastico, anche perdendo il proprio lavoro nella famiglia. Non è sempre evidente.

Quindi di fronte alle situazioni di maltrattamento, la valuti un’interruzione nel momento in cui la tua segnalazione porta la famiglia a dire “bom basta”, se invece questa accoglie e dice “riflettiamo insieme sul collocamento”...

Sì, la segnalazione non per forza porta a un’interruzione.

Prima facevi la distinzione tra testa e l’essere in situazione, parlavi di uno, due anni. Cioè può valere la pena che stai dentro uno o due anni a vedere se si muove qualcosa? O l’hai provato quella volta e ora col senno di poi ti dici “non agirei più cosi”?

Non potrei dire adesso “vale la pena stare dentro due anni”, l’ho fatto perché ero dentro e non so se era un anno, un anno e mezzo, adesso non mi ricordo bene, l’ho fatto perché proprio essendo dentro perdevo un po’ il metro dell’utilità o della non utilità. Parlando con il coordinatore dava sempre valore alla mia presenza in questa situazione, però non posso dire vale la pena comunque star sempre due anni, ma posso dire che forse farei più in fretta in altre situazioni a mettere lo stop oppure a parlarne anche in modo più deciso. Però non ho risposte, a livello di testa ti dico due anni mi sembrano proprio tanti se non senti che lavori, già un anno è tanto, però dopo sei dentro... È poco chiara la mia risposta, ma c’è proprio l’aspetto cognitivo, di testa, dove dici “okay, mi sembra tanto un anno”,

quindi chiuderei prima, ma poi una volta dentro valuti mille altri fattori e forse ci rimani, ma non sentendo troppo di lavorare.

Vissuti in relazione al fenomeno

7. Nella tua esperienza ci sono situazioni d’interruzione che ti hanno colpito più di altre? Per quali motivi?

Una sì. Penso prima di tutto perché la ragazza della famiglia è una ragazza in cui ho investito tantissimo, che mi ha toccata molto, proprio tanto, per cui perdere se vuoi questa famiglia, mi ha fatto perdere lei che portavo tanto in me. Bisogna dire anche che forse questo investimento su questa ragazza mi ha portata poi a fare dei passi che hanno portato all’interruzione in modo inconsapevole, non del tutto inconsapevole, però c’era forse questo “eco empatico”, questo investimento, quest’affettività che sentivo molto forte per lei, che forse mi ha portata un po’ su una strada che non avrei dovuto prendere. Adesso ti spiego la situazione così è più chiaro tutto. Allora, è una ragazza che è stata molto male a casa, che mi portava spesso la sua sofferenza con i suoi genitori, una casa nella quale c’erano molti litigi, sia di coppia sia con questa ragazza, e una madre ossessiva dell’ordine e del controllo. Il passo che ho fatto di troppo con questa famiglia, che ritengo sia stato un errore e che sentivo mentre andavo al colloquio che non avrei dovuto farlo, che ho chiamato il coordinatore e gli ho detto “guarda che ho forti dubbi di fare questa mossa qua”, che era stata una mossa riflettuta con lui, dicevo “guarda che non me la sento quindi aiutami a capire se devo farlo o meno”. Abbiamo valutato che potevo farlo, ho iniziato il colloquio con i due genitori e la ragazza dicendo in altre parole, ma dicendo “forse non dovrei farlo” quindi proprio ho condiviso il mio dubbio e poi ho chiesto loro se si poteva riflettere a un collocamento della ragazza. Questo ha rotto tutto il lavoro svolto per un anno, che era un lavoro che stava andando molto bene. Per cui, ti dicevo prima, avevo questo investimento su questa ragazza, forse da una parte ho voluto salvarla, forse da una parte non ho fatto attenzione ai segnali che ricevevo, che comunque sapevo che erano contrari al collocamento, era già stato detto un po’ tra le righe... Quindi questo eccesso diciamo di affettività nei suoi confronti mi ha poi portata a fare i passi sbagliati, anche se avevo l’intuizione che non dovevo farlo. L’avevo capito prima del colloquio, avrei potuto dire qualsiasi altra cosa, anche due minuti prima di entrare potevo inventarmi un altro contenuto del colloquio, però sono andata contro il muro. Per cui questa mi ha colpita molto, da una parte per l’investimento di questa ragazza che io avevo su di lei. Mi ha colpito perché ritengo di aver sbagliato. Il coordinatore non condivide questa lettura, per lui era corretto portare avanti questo colloquio nel modo in cui è stato fatto. Per cui molti dubbi, molti sensi del non essere stata all’altezza, del non aver gestito la situazione nel modo adeguato, idoneo. Quello mi ha colpito molto sì, e poi la perdita del lavoro che stavo svolgendo che mi piaceva molto comunque lavorare con loro e che si

stavano comunque facendo dei passi, si stavano facendo dei passi interessanti. Quindi sì, se devo dirne una è questa che è la più esemplare, è una cosa che mi ha molto colpita.

Ma si tratta, secondo te, piuttosto della modalità con cui si è discusso del collocamento... perché mi sembra di capire che avevi dei motivi forti che ti hanno portata a dire “devo condividere questo”.

C’è sicuramente un aspetto di modalità, che mi hanno anche riportato, modalità nel senso che per loro non ci doveva essere la ragazza con loro, quindi nel setting e questo era discutibile assolutamente. Eppure c’erano dei motivi che ci avevano proprio portati a pensare che andava bene che ci fosse lei, che ci voleva proprio lei. E c’era anche proprio una questione di fondo perché si sono sentiti molto offesi, si sono sentiti proprio traditi. Me l’avevano già detto che non erano per niente disposti a parlare di collocamento, a pensare al collocamento però, col peggiorare della situazione e il malessere che aumentava nella ragazza, sono arrivata, e siamo arrivati a dire “mettiamolo sul tavolo”. Quindi c’è sia una parte di contenuto che una parte proprio di contesto, di modalità e da lì si è rotta netta la collaborazione.

Cioè hanno resistito a ogni tuo tentativo di recuperare?

Lì, il colloquio per lui era finito, durante il colloquio per il padre era finito il lavoro con me, con noi. Poi abbiamo lasciato un po’ di tempo per parlarne tra di loro, continuare a pensarci, vedere, valutare i pro e i contro appunto perché dicevano comunque che erano molto soddisfatti del lavoro svolto, per cui volevamo fare leva anche su questo per dire “proviamo a decantare, a scusarci, a mettere in parole quello che dev’essere espresso per poi comunque riprendere il pezzo di soddisfazione importante che c’era”. Però hanno deciso di no, che alla fine è stata troppo rotta, non potevano immaginare di continuare a lavorare malgrado la ragazza avesse supplicato di mantenere la relazione, di mantenere il lavoro. Per cui è stata una rottura molto brutta, perché ha rotto proprio qualcosa che era in corso, in questo senso forse anche mi ha segnata molto di più, al di là di tutte le mia domande, di tutto il mio senso di colpa, del sentirsi inadeguata, incapace, incompetente ma ha proprio rotto qualcosa, questo sì.

8. Come ti senti quando sei confrontato con una situazione o reazione del genere? Quali sentimenti e stati d’animo provi?

Penso che la domanda otto è già emersa, ma magari ripensando ad altri tipi di interruzioni c’è qualcosa che vorresti aggiungere su quello che provi?

Allora, quello che ho raccontato per la sette era legato proprio ad una situazione molto forte, ma devo dire che non ogni situazione d’interruzione mi porta a sentirmi come ho descritto prima. Quali sentimenti e stati d’animo provo... C’è sicuramente un dispiacere ma più legato al dire “si poteva fare qualcosa ma non lo si è fatto”, se ci dessimo più tempo,

forse se la famiglia che decide... Ultimamente una famiglia ha deciso di chiudere, lì è un po’ un dispiacere nel dire “dopo tre mesi chiudi”, ma in realtà ci siamo solo messi in moto, non abbiamo fatto una strada insieme. Per cui c’è un sentimento del non essere giunti al lavoro stesso e lascia un senso di insoddisfazione, di dispiacere, d’incompiutezza, un senso di incompiuto. In altre situazioni, invece, devo dirlo francamente, c’è anche un senso di sollievo perché se si arriva a un’interruzione per una cosa che si trascina, per degli appuntamenti spostati, persi, dimenticati, delle assenze, delle cose... è molto faticoso, proprio molto faticoso, portare avanti un lavoro di questo genere, per cui c’è anche un sollievo. Naturalmente ci sono tutte le domande legate al benessere del minorenne, cosa succede poi quando si chiude, come starà, come si evolverà. Ci può essere tristezza, ci può essere preoccupazione se penso alla famiglia, però non legato a me, ma fa parte anche di che cosa uno prova nell’interruzione. Quindi sì, può essere molto variegato a dipendenza, secondo me, da come si è lavorato e da come ci siamo investiti a vicenda con la famiglia.

Mi dispiace per quella situazione con la ragazza...

Eh sì... Peccato per la famiglia, peccato sì, d’altronde ha anche permesso questa discussione con loro, con la figlia presente, che ha visto i suoi genitori opporsi così fortemente a una proposta di collocamento, le ha fatto realizzare quanto vogliono tenerla. Questo è il bene nel male, c’è stato veramente questo aspetto qua che ha proprio visto... Per quella che è stata la sua storia, è stato essenziale nel suo percorso vedere che i suoi genitori si sono rifiutati, pur rompendo un lavoro che tutti consideravano utile e di qualità, benefico, ma hanno voluto tenerla. Quindi questo è stato comunque un elemento molto…

Un messaggio potente.

Molto. E l’altra cosa è che mi ha fatto nuovamente – non si smette mai di imparare – considerare con grande umiltà, come dire, non con grande umiltà ma sì, dire “il collocamento non è la soluzione a tutto”. Mi ha tolto dalla mente un po’ la velocità nel dire “qui dobbiamo collocare”. Non che avessi collocato chissà chi prima, però il pensiero può essere “lavori, lavori e vedi cose brutte e dici: okay, collochiamo”, invece ci sono tantissimi aspetti da considerare, da ponderare, non c’è mai una risposta sicura o unica e giusta. Per cui sì, molto umile nel dire “vediamo, facciamo piccoli passi, non c’è fretta, quel colloquio potevo farlo anche un mese dopo che non sarebbe successo niente”. Per cui sì, è stato un insegnamento, da un errore ma è stato comunque un insegnamento per me.

Riflessione critica attorno al fenomeno

9. Quando sei confrontato con collaborazioni che sembrano andare nella direzione di un’interruzione, su chi/cosa puoi fare riferimento per affrontare al meglio la situazione?

La famiglia, quindi valutare con loro a che punto sono, a che punto siamo, chiedere rimandi, chiedere una condivisione di vissuti, condividere le mie impressioni... Coordinatore, équipe, rete...

A proposito di rete, hai l’impressione che ci siano delle situazioni dove magari l’interruzione viene anche favorita da quello che è la dinamica di rete?

Dove una rete non prenderebbe a carico certi aspetti e porta verso un’interruzione? Proprio in senso ampio, in che modo secondo te la rete può o non può incidere su queste situazioni con le famiglie?

Può incidere sicuramente facendo un ruolo da terzo o sostenendo la famiglia in questo percorso se lo ritengono utile, se la rete lo ritiene utile. Non riesco proprio a visualizzare e pensare in quale modo la rete potrebbe favorire un’interruzione, o piuttosto, spesso ho

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