Sommario: 7.1. La disciplina prevista dall’originario art. 47 della legge 428/90; 7.2 Le ipotesi derogatorie introdotte dalla direttiva 98/50/CE; 7.3 Il regime delle deroghe nel diritto interno e la sentenza di condanna della Corte di Giustizia; 7.4 L’art. 19 quater della legge 20 novembre 2009 n. 166 e le residue questioni interpretative.
La disciplina del trasferimento di azienda in crisi389 tende a realizzare l’obiettivo di favorire la circolazione delle imprese in stato di insolvenza e/o di grave crisi economica, rendendone l’acquisto meno oneroso sul versante dei costi lavoristici390. Tale disciplina si caratterizza per l’allentamento - previo accordo sindacale stipulato nel corso della procedura ex art. 47 della legge 428/90 - delle garanzie individuali riconosciute ai lavoratori, con particolare riferimento alle garanzie della conservazione dei diritti
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Sulla disciplina del trasferimento di azienda in crisi, si vedano, tra i tanti, M. DE LUCA, Salvaguardia
dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda: funzione del diritto comunitario e della giurisprudenza della Corte di Giustizia nella interpretazione ed applicazione della nuova disciplina nazionale. Prime considerazioni sull’art. 47 della “legge comunitaria” per il 1990, in Foro it., 1991, IV, c.
229; A. PIZZOFERRATO, Il trasferimento d’azienda nelle imprese in crisi, in Quad. dir. lav. rel. ind., 2004, 28, p. 147 ss.; R. ROMEI, Il rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda pp. 209 e ss.; M. ROCCELLA e T. TREU, Diritto del lavoro della comunità europea, Cedam, Padova, 2002, pp. 287 e ss.; G. SANTORO
PASSARELLI, Trasferimento d’impresa: un delicato compromesso tra tutela individuale, mercato del lavoro
e sviluppo economico, in Arg. dir. lav., 2005, 3, p. 711; R. COSIO, Discipline del trasferimento d'azienda.
Differenziazione e unità dell'ordinamento giuridico, F. Angeli, Milano, 1995, pp. 115 e ss.; ID., Il
trasferimento dell’impresa in crisi, in G. SANTORO PASSARELLI, R. FOGLIA (a cura di), La nuova disciplina
del trasferimento d’impresa, cit., pp. 149 e ss.; D. GOTTARDI, Legge e sindacato nelle crisi occupazionali,
Cedam, Padova, 1995; G. VILLANI, Il trasferimento dell’azienda in crisi e nelle procedure concorsuali, in M. MAGNANI (a cura di), Commentario sistematico alle disposizioni in materia di trasferimento d’azienda, in Nuove leggi civ. comm., 1992, n. 3, pp. 663 e ss.; A. MINERVINI, Imprese cooperative e trasferimento
d’azienda, Giuffrè, Milano, 1994, pp. 46 e ss.; P. LAMBERTUCCI, Le tutele del lavoratore, cit., pp. 65 e ss.;
M. RICCI, Trasferimento di azienda in crisi e rapporti di lavoro, in Dialoghi fra dottrina e giurisprudenza,
Quad. dir. lav., 2004, 2, p. 225 L. MENGHINI, L’attenuazione delle tutele individuali dei lavoratori in caso
di trasferimento d’azienda di impresa in crisi o soggetta a procedure concorsuali dopo la direttiva 50/98 e il D.Lgs. 270/99, in Riv. giur. lav., 2000, I, pp. 209 ss.; A. CAIAFA, Il trasferimento dell’impresa nelle
procedure concorsuali, in G. SANTORO PASSARELLI, R. FOGLIA (a cura di), La nuova disciplina del
trasferimento d’impresa, cit, pp. 113 e ss.; A. CAIAFA, Vicende economiche dell’impresa in crisi: diritto
del lavoro comunitario, insolvenza e tutela del lavoratore, in Dir. merc. lav., 2005, 1, pp. 5 e ss.; ID.,
Vicende circolatorie dell’azienda nelle procedure concorsuali, Cedam, Padova, 2001; ID., Il trasferimento
dell’azienda nell’impresa in crisi o insolvente, Cedam, Padova, 2005; ID., I rapporti di lavoro nelle crisi di
impresa, Cedam, Padova, 2004; ID., Trasferimento di impresa in crisi e normativa comunitaria, in Dir.
lav., 1996, II, p. 123; M.L. SERRANO, Il trasferimento dell’azienda in crisi tra ordinamento comunitario e
ordinamento nazionale: ultimo atto?, in Riv. giur. lav., 2010, I, p. 325; A. CAIAFA, La nuova disciplina in
tema di impresa in crisi, o insolvente, trasferimento dell’azienda e rapporti di lavoro, in Dir. fall,, 2010, I,
p. 524; A.M. PERRINO, Il trasferimento d’azienda dell’impresa fallita, in Dir. merc. lav., 2005, pp. 97 e ss.; ID., Le deroghe alla tutela dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda di imprenditore in crisi o
insolvente, in Foro it., 2007, I, c. 2157, nota a Cass. 18 gennaio 2007, n. 1097; G. ORLANDINI, Il
trasferimento d’azienda nelle imprese in stato di crisi tra dibattito teorico e prassi sindacale, in Dir. lav. rel. ind., 2005, pp. 593 e ss.; R. DE LUCA TAMAJO, M.T. SALIMBENI, Il trasferimento d’azienda, cit., p. 1856 ss.; P. PASSALACQUA, Autonomia collettiva, cit., pp. 278 e ss.; U. DE CRESCIENZO, La modifica sulla
disciplina del trasferimento d’azienda, Giappichelli, Torino, 2007; E. BARRACO, Le modificazioni
soggettive, cit., p. 1515.
390 Cfr. P. LAMBERTUCCI, Trasferimento d’azienda e problemi occupazionali, cit., il quale rileva che «la
norma intende agevolare la commerciabilità dell’azienda insolvente, anche attraverso la limitazione del necessario passaggio dei dipendenti del ramo d’azienda ceduto, per evitare che sul cessionario vangano a gravare gli oneri connessi al mantenimento dei rapporti di lavoro che potrebbero risultare di difficile conservazione nel contesto organizzativo medesimo».
derivanti dal pregresso rapporto di lavoro e della solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti esistenti all’epoca del trasferimento.
Già prima del 1990 la giurisprudenza nazionale aveva riconosciuto la legittimità degli accordi stipulati tra le organizzazioni sindacali e le parti datoriali che, nell’ottica di salvaguardare le unità produttive in stato di crisi o di insolvenza, concordavano deroghe all’art. 2112 c.c.391
Una soluzione del genere è stata poi espressamente regolamentata dall’art. 47 della legge 428/90. I commi 4 bis e 5 della suddetta disposizione rappresentano il frutto di un recente intervento legislativo, imposto da una sentenza della Corte di Giustizia che, come si vedrà meglio in seguito, ha affermato l’incompatibilità con il diritto comunitario della disciplina italiana fino ad allora vigente.
Prima di analizzare l’attuale assetto normativo, appare di particolare interesse soffermarsi sull’originaria disciplina, evidenziandone i profili di contrasto con la normativa comunitaria.
L’iniziale formulazione dell’art. 47, ed in particolare dei commi 5 e 6, disponeva che ai fini dell’applicazione delle deroghe alla disciplina dell’art. 2112 c.c., era necessaria la contemporanea presenza di due requisiti.
In primo luogo era necessario che il trasferimento riguardasse un’impresa in relazione alla quale il CIPI392 avesse accertato lo stato di crisi aziendale o per la quale fossero intervenute dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non fosse stata disposta o fosse cessata. Si tratta di fattispecie normativamente diverse, accomunate dal legislatore in ragione del fatto che tutte determinano il rischio concreto di un imminente impatto sul piano occupazionale393.
391 Cass. 7 dicembre 1981, n. 6482, in Mass. giur. lav., 1981, e Cass. 8 febbraio 1982, n. 746, in Riv. it. dir.
lav., 1982, II, p. 563, con nota di F. MAZZIOTTI.
392Il CIPI (Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale è stato istituito in seno
al CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica) dall’art. 1 della legge n. 675 del 1977 ed è stato soppresso dalla legge 24.12.1993, n. 537, con la conseguenza che la competenza relativa all’accertamento dello stato di crisi attualmente spetta, ai sensi dell’art. 2 del D.P.R. 373 del 1994, al Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
393 Cfr. R. ROMEI, il rapporto di lavoro nel trasferimento d’azienda, cit., p. 218; contra, A. CAIAFA, Il
Era altresì essenziale che, nel corso della procedura di informazione e di consultazione sindacale di cui ai primi due commi dell’art. 47, si raggiungesse un accordo sul mantenimento, anche parziale, dell’occupazione394.
Nelle suddette fattispecie, l’art. 47 disponeva che ai lavoratori il cui rapporto continuava con l’acquirente non trovasse applicazione l’art. 2112 c.c., salvo che dall’accordo concluso nel corso della procedura non risultassero condizioni più favorevoli. Inoltre, le parti sociali potevano concordare che una parte dei lavoratori (cd. eccedentari), pur se oggettivamente addetti all’azienda (o ramo di essa) oggetto del trasferimento, fossero esclusi dal trasferimento e rimanessero alle dipendenze del cedente395.
Con riferimento al diritto comunitario, la giurisprudenza della Corte di Giustizia - formatasi in ordine alla direttiva del 1977 - ha più volte affermato che la direttiva non si applicava ai trasferimenti di aziende effettuati nell’ambito del fallimento o di altra procedura concorsuale avente lo scopo di liquidare il patrimonio del debitore396.
Pertanto, appare evidente che nessun problema di compatibilità si è mai posto in relazione alle ipotesi di fallimento, omologazione di concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa o sottoposizione all’amministrazione straordinaria; al contrario, ha immediatamente destato numerose perplessità quella porzione della norma che includeva nella disciplina derogatoria le aziende per le quali il CIPI avesse accertato lo stato di crisi aziendale, atteso che la giurisprudenza comunitaria sopra richiamata riteneva invece che rientrassero nel campo di applicazione della direttiva i trasferimenti di azienda effettuati nell’ambito di procedure concorsuali finalizzate non alla liquidazione del patrimonio, bensì alla prosecuzione dell’attività aziendale397.
394 F. PETACCIA, Ancora in tema di trasferimento di aziende in crisi ed effetto dell’accordo collettivo, nota
a Trib. Velletri 16 gennaio 1995, in Giur. lav. Lazio, 1996, p. 462.
395 In tale ipotesi, i lavoratori che non passano alle dipendenze del cessionario sono titolari, per il periodo di
un anno, di un diritto di precedenza nelle ipotesi in cui quest’ultimo effettui nuove assunzioni.
396 Cfr. Corte Giust. 7 febbraio 1985, causa C-135/83, cit.; Corte Giust. 25 luglio 1991, causa C-362/89, cit. 397 R. FOGLIA, Trasferimento d’azienda ed effetti sui rapporti di lavoro, cit., p. 337; V. BARBANTI, In
ordine al trasferimento dell’azienda (in crisi) e ai suoi effetti sui rapporti di lavoro: vecchie e nuove normative a confronto, nota a Cass. 23 ottobre 1995, n. 11004 in Giur. it., 1997, I, p. 99; M. MAGNANI,
imprese in crisi nel diritto del lavoro, in Riv. it. dir. lav., 1991, I, p. 141; U. CARABELLI, Alcune riflessioni,
cit., pp. 41 e ss. e p. 76; R. COSIO, Discipline del trasferimento d’azienda, cit., pp. 115 e ss.; M. DE LUCA,
Già negli anni ‘90, a seguito di un rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Lecce398, la Corte di Giustizia, nella sentenza Spano399, aveva sostenuto l’applicabilità della direttiva a tutte quelle fattispecie il trasferimento di azienda in relazione alla quale fosse stato accertato lo stato di crisi aziendale ai sensi dell’art. 2, quinto comma, lett. c) della legge 12 agosto 1977, n. 675.
In particolare, la fattispecie sottoposta al vaglio del Giudice comunitario concerneva un’impresa che aveva ottenuto l’ammissione alla Cassa integrazione guadagni straordinaria. Secondo la Corte di Lussemburgo in siffatta ipotesi non è ammissibile alcuna deroga rispetto alla direttiva, dal momento che «un’impresa di cui sia stato dichiarato lo stato di crisi è oggetto di un procedimento che, lungi dal tendere alla liquidazione dell’impresa, mira al contrario a favorire la prosecuzione della sua attività nella prospettiva di una futura ripresa».
È stato altresì sottolineato come nell’ipotesi della CIGS, contrariamente a quanto avviene in relazione al fallimento, non sia previsto alcun controllo giudiziario né alcun provvedimento con il quale viene disposta l’amministrazione controllata del patrimonio dell’impresa, e tantomeno intervenga una sospensione dei pagamenti.
Con la suddetta pronuncia, la Corte di Giustizia ha ribadito che il criterio per verificare l’applicabilità della direttiva era da rinvenirsi nell’obiettivo perseguito dalla procedura cui l’impresa era sottoposta400, rilevando che la disapplicazione delle garanzie individuali assicurate dalla direttiva comunitaria appariva ammissibile solo nelle ipotesi di procedure
398 In sede di rinvio pregiudiziale, il Giudice nazionale aveva precisato che «le imprese di cui il CIPI
accerta lo stato di crisi sono caratterizzate da una situazione patrimoniale che consente il proseguimento dell’attività produttiva senza significative interruzioni e hanno possibilità di recupero».
399 Corte Giust. 7 dicembre 1995, causa C-472/93, in Mass. giur. lav., 1996, p. 225, con nota di R. ROMEI,
Brevi osservazioni sulla recente sentenza della Corte di Giustizia in materia di trasferimento di un’azienda in crisi; in Riv. it. dir. lav., 1996, II, p. 261, con nota di P. LAMBERTUCCI, La disciplina del trasferimento di
azienda in crisi al vaglio della Corte di Giustizia; in Dir. lav., 1996, II, p. 123, con nota di A. CAIAFA,
Trasferimento di azienda in crisi e normativa comunitaria al vaglio della Corte di Giustizia.; in Lav. giur.,
1996, p. 455, con nota di A. BOSCATI, Il trasferimento di aziende in crisi al vaglio della corte di giustizia. Nello stesso senso, già Corte Giust. 25 luglio 1991, C-362/89, cit., e, successivamente, Corte Giust. 12 marzo 1998, causa C-319/94, in Raccolta, p. I-106, nonché in Mass. giur. lav., 1998, p. 621, ed in Guida al
Diritto, 1998, 16, p. 149, con nota di L. PELAGGI, Imprese in liquidazione: tutelati i lavoratori se dopo la
cessione l’attività prosegue - Cedente e cessionario possono licenziare solo per motivi economici, organizzativi o tecnici.
400 In relazione all’elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia in materia di trasferimento di
azienda in crisi, cfr. R. ROMEI, Il trasferimento dell’azienda in crisi dinanzi alla Corte di Giustizia delle
volte alla liquidazione del patrimonio aziendale401, nell’ambito delle quali non fosse stato deliberato il proseguimento dell’attività402. Sembra fin troppo evidente che, laddove il nostro ordinamento includeva il procedimento di ammissione alla CIGS tra le ipotesi di deroga alla disciplina in materia di trasferimento, si poneva in contrasto con il diritto comunitario.
La Corte di Giustizia ha altresì messo in risalto l’assoluta irrilevanza della circostanza che la deroga all’applicazione dell’art. 2112 c.c. fosse subordinata ad un accordo con le rappresentanze sindacali, precisando che le norme inserite nella direttiva sono assolutamente inderogabili in peius. Pertanto l’attuazione delle tutele ivi previste non può essere subordinata al consenso del cedente, del cessionario, dei rappresentanti sindacali o, addirittura, degli stessi lavoratori, i quali conservano solo la possibilità di rassegnare volontariamente le proprie dimissioni.
Per altro verso il Giudice comunitario ha escluso che l’art. 47 – agevolando il trasferimento delle imprese in difficoltà economiche - potesse considerarsi quale norma di miglior favore per i lavoratori ed in quanto tale “coperta” dall’art.8 della direttiva. Riconfermando la precedente sentenza D’Urso nel 1991, la Corte negava che imporre il passaggio di tutti i dipendenti avrebbe sicuramente dissuaso il potenziale acquirente e che quindi il personale eccedentario sarebbe comunque stato successivamente licenziato, perdendo così tutti i vantaggi connessi alla continuazione del rapporto di lavoro con il cessionario.
Una simile decisione ha avuto un impatto limitato sul nostro ordinamento: nonostante una parte della dottrina avesse sottolineato la necessità di interpretare la normativa italiana alla luce dei chiarimenti forniti dalla Corte di Giustizia, escludendone l’operatività al cospetto di un contrasto con il diritto comunitario403 - la Cassazione ha più volte confermato la piena legittimità degli accordi sindacali stipulati nell’ambito di un trasferimento di azienda in crisi, in quanto la mancata conformità alla disciplina
401 Cfr. Corte Giust. 7 febbraio 1985, C-135/83, cit. e Corte Giust. 7 febbraio 1985, C-186/83, cit., nelle
quali la Corte di Giustizia ha precisato che la direttiva non si applica nelle ipotesi di trasferimento di una impresa in cui il cedente è stato dichiarato fallito, e Corte Giust. 25 luglio 1991, cit., in cui la Corte ha escluso l’applicabilità della direttiva alle ipotesi di trasferimento di una impresa sottoposta ad amministrazione straordinaria, purché ciò comporti la cessazione dell’attività dell’impresa cedente.
402 M.T. CARINCI, Utilizzazione e acquisizione indiretta del lavoro, cit., pp. 163 e ss.
comunitaria non precludeva l’applicazione della normativa interna, visto che, com’è noto, le direttive comunitarie non hanno efficacia orizzontale, vale a dire nei rapporti interprivati404
404 Cfr. Cass. 21 marzo 2001, n. 4073, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, p. 114, con nota di P. LAMBERTUCCI, Il
trasferimento di azienda in crisi tra diritto interno e diritto comunitario, nonché in Lav. giur., 2002, p. 252,
la quale ha deciso proprio in relazione al giudizio che aveva dato origine alla sentenza Spano; Cass. 16 maggio 2002, n. 7120, in Foro it., 2002, I, c. 2279; più di recente, cfr. Cass. 26 maggio 2006, n. 12573, in
Riv. it. dir. lav., 2007, p. 179, con nota di F. NOTARO, Trasferimento dell’azienda in crisi e derogabilità
dell’art. 2112 c.c. in sede collettiva. Per una disamina dell’impatto della sentenza Spano sulla
7.2 Le ipotesi derogatorie introdotte dalla direttiva 98/50/CE
Successivamente la direttiva comunitaria n. 50 del 1998 (integralmente ripresa sul punto dall’attuale direttiva 2001/23/CE), ha “ammorbidito” il carattere cogente delle garanzie per i lavoratori tramite l’introduzione di alcune ipotesi di deroga405 - solo parzialmente emerse nella giurisprudenza della Corte di Giustizia406 - alle tutele stabilite in caso di trasferimento di azienda, ricollegando effetti diversi a ciascuna delle cennate ipotesi. In particolare le ipotesi di deroga sono le seguenti:
a) impresa sottoposta a procedura fallimentare o ad analoga procedura di insolvenza aperta in vista della dismissione dei beni del cedente che si svolgono sotto il controllo di un’autorità pubblica competente;
b) impresa sottoposta a procedura di insolvenza (a prescindere dal fatto che la stessa sia stata aperta allo scopo di liquidare i beni del cedente) sotto il controllo di un’autorità pubblica competente:
c) impresa attraversata da una grave crisi economica così come definita dal diritto nazionale, sempre che tale situazione venga accertata da un’autorità pubblica e aperta al controllo giudiziario.
In relazione alla prima ipotesi, il legislatore comunitario - recependo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia - ha espressamente autorizzato la disapplicazione delle garanzie individuali. In relazione a tale aspetto, non può dubitarsi del fatto che il nostro ordinamento risulta perfettamente conforme a quello comunitario. Infatti, il quinto comma dell’art. 47 della legge 428/90 individua espressamente, quali ipotesi di deroga alle tutele di cui all’art. 2112 c.c., il fallimento e le altre procedure concorsuali «nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata».
Nell’ipotesi sub b), la direttiva comunitaria non legittima la disapplicazione delle tutele, ma attribuisce agli Stati la possibilità di prevedere che i crediti lavorativi non siano trasferiti al cessionario, a condizione che ai lavoratori venga garantita dalla legislazione
405 Cfr. L. MENGHINI, L’attenuazione delle tutele, cit., pp. 216 e ss.
406 R. DE LUCA TAMAJO - M.T. SALIMBENI, Il trasferimento d’azienda, cit., p. 1858, dove si rileva che «la
giurisprudenza comunitaria si è posta quale motore di una modifica importante della normativa comunitaria sul tema».
interna una protezione almeno equivalente a quella imposta dalla direttiva in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro407.
In aggiunta o in alternativa alla predetta facoltà è riconosciuta agli Stati membri quella di conferire agli accordi collettivi stipulati tra cedente, cessionario e rappresentanze sindacali il potere di modificare le condizioni di lavoro onde assicurare la sopravvivenza dell’impresa o almeno di una parte di essa.
Tale ultima possibilità viene espressamente estesa alla terza ipotesi derogatoria.
Alla luce di queste importanti novità introdotte dalla direttiva comunitaria, ci si è domandati se continuasse a sussistere l’incompatibilità tra il quinto comma dell’art. 47 della legge 428/1990 - con riferimento all’ipotesi dell’impresa sottoposta a provvedimento di ammissione alla cassa integrazione guadagni - e la disciplina comunitaria.
Alcuni autori avevano sottolineato come le ipotesi di deroga introdotte dalla direttiva, e in particolare quella di cui all’attuale art. 5 comma 3, (indicata sub c), sembrasse ritagliata su misura per l’ordinamento italiano408. La conclusione sarebbe stata avvalorata dalla formulazione letterale del comma 3, che ammette le deroghe alle tutele individuali nel caso di «aziende in situazione di grave crisi economica» solo laddove le deroghe fossero già previste dal diritto nazionale409.
Rimaneva tuttavia irrisolto un aspetto importante, vale a dire che, mentre il diritto comunitario, in relazione all’ipotesi sub c) si limitava ad autorizzare la possibilità di
407 Direttiva del 20 ottobre 1980, n. 80/987/CEE.
408 Hanno affermato la perfetta uniformità tra diritto interno e diritto comunitario L. MENGHINI,
L’attenuazione delle tutele, cit.; G. VILLANI, Trasferimento d’azienda. Profili di diritto del lavoro e della
previdenza sociale, Utet, Torino, 2000, p. 230; A. PIZZOFERRATO, Trasferimento d’azienda e rapporto di
lavoro, in AA. VV., il lavoro subordinato, a cura di F. CARINCI, Tomo II, Trattato di diritto privato, diretto
da M. BESSONE, Giappichelli, Torino, 2007, pp. 597 e ss. e pp. 637 e ss.
409 A. PIZZOFERRATO, I riflessi della direttiva 98/50/CE sull’ordinamento italiano, in Dir. lav. rel. ind.,
1999, p. 463, e ID., La disciplina lavoristica del trasferimento d’azienda in crisi nel nuovo scenario
interpretativo, in Lav. giur., 2001, p. 257; R. COSIO, Il trasferimento delle imprese in crisi, in G. SANTORO
PASSARELLI. R. FOGLIA (a cura di), La nuova disciplina, cit., p. 149; in giurisprudenza, la questione della
compatibilità tra il quinto comma dell’art. 47 e la disciplina comunitaria è stata affrontata da Cass. 12 maggio 1999, n. 4274, in Lav. giur., 1999, p. 1124, che ha applicato la norma interna affermando che «la
direttiva del 1977 deve essere interpretata anche alla luce di quella sopravvenuta…la quale ha tenuto conto delle obiettive situazioni economiche a suo tempo non considerate dagli organi comunitari e affrontate dal legislatore italiano con il più volte citato art. 47. Nella direttiva del 1998 si considera (ottavo considerando del preambolo) che deroghe al mantenimento dei diritti dei lavoratori nel caso di trasferimento dell’azienda “dovrebbero” essere permesse per uno Stato membro che disponga di