• Non ci sono risultati.

Trasparenza e flussi informativi

Nel documento Big Data, mercato e amministrazione pubblica (pagine 146-171)

In merito agli obblighi di trasparenza a carico delle pubbliche amministrazioni, ma anche in relazione all’estensione della loro applicazione agli enti di diritto privato a partecipazione pubblica o che eroghino un servizio pubblico, non possiamo non riconoscere una rilevanza “esterna”, dal momento in cui la diffusione delle informazioni consenta un controllo diffuso sulla performance delle imprese pubbliche. Non solo. Gli effetti, in tal senso prodotti verso l’esterno, travalicano la nozione di indistinta collettività per assurgere alla posizione di fondamentale veicolo per la realizzazione degli interessi dei soggetti operanti sul mercato: sia che essi siano imprese o 63 F. Faini, La strada maestra dell’open government: presupposti, obiettivi, strumenti, cit., p.

237.

64 L. Bottazzi, Accesso civico generalizzato e domicilio generalizzato: uno sguardo nella Casa di vetro, in Amministrativ@mente, I-II, 2017, p. 14.

utenti65. L’accessibilità totale alle informazioni e ai dati concernenti le

attività di soggetti pubblici e privati, secondo quanto osservato nelle pagine precedenti, consente a chiunque di operare una “migliore valutazione degli investimenti e degli indici di rischio che una determinata operazione economica può avere in un dato momento storico o mercato di riferimento”66. Tale finalità enfatizza la

destinazione dell’ottemperanza agli obblighi di trasparenza alla realizzazione di obiettivi “esterni” di mercato, sino ad ergersi a baluardo posto a tutela della concorrenza.

La trasparenza è in grado non solo di permettere l’individuazione di fenomeni corruttivi o di mala-amministrazione che falsino il mercato (ossia di malpractices in senso lato), bensì consente di disporre di informazioni aggiornate e complete sullo stato di salute degli operatori economici nell’ambito di un determinato settore o area di attività.

I principi che informano l’infrastrutturazione digitale delle amministrazioni pubbliche e il perseguimento dell’obiettivo dell’open data by default, di cui si è cercato di dare contezza in questo lavoro, soddisfano, o quantomeno cercano di soddisfare, il fabbisogno di riutilizzo del patrimonio informativo pubblico anche ai fini della promozione di scopi commerciali, consentendo ai privati di manipolare i dati resi pubblici per sviluppare nuovi 65 F. Di Porto, Il “collante” della trasparenza: la disciplina dell’informazione nei rapporti tra ente

locale e sue partecipate, cit., p. 260.

orizzonti di applicazione. L’obbligo, a carico dei soggetti pubblici e privati, di rendere pubblici dataset, metadati e banche dati in loro possesso costituiscono, per l’appunto, il presupposto per l’esercizio del diritto di riutilizzo. Ridistribuzione e riutilizzo dei dati non possono, oltremodo, avvenire in maniera tale da discriminare specifici individui o gruppi. Ecco, dunque, che i dati debbono essere standardizzati, in quanto, in merito alla loro “qualità”, si fa riferimento ai requisiti di integrità, completezza, tempestività, semplicità di consultazione, comprensibilità, omogeneità, facile accessibilità e conformità ai documenti originali in possesso dell’amministrazione67. La presenza di eventuali licenze che limitino il

riutilizzo o il controllo esclusivo dei dati da parte di un ente pubblico configurerebbero, pertanto, delle ipotesi di illecite forme di barriere all’accesso. In questo senso le amministrazioni pubbliche detengono l’onere di approntare il complesso delle infrastrutture informative destinate alla disseminazione e alla veicolazione di un sempre maggiore flusso di big data68.

Di tali infrastrutture informative deve anche essere assicurata l’interoperabilità in modo tale da creare nel suo complesso quello che potremmo definire un “sistema informativo pubblico fruibile ed accessibile”69.

67 Ai sensi dell’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 33/2013.

68 F. Di Porto, lI “collante” della trasparenza: la disciplina dell’informazione nei rapporti tra ente

locale e sue partecipate, cit., p. 267.

69 F. Martini, L’effettività dell’accesso all’informazione pubblica nella società dell’informazione e della

Sintetizzando, la creazione di tale struttura può essere ricondotta nella sfera della sussunzione in uno scopo di riutilizzo esplicitamente indirizzato al mercato. L’Open Government si eleva, anzi, a promotore della creazione di nuovi mercati. Ciò segna il discrimine del passaggio da un regime di mera e semplice “accessibilità” a quello di “disponibilità” del patrimonio informativo pubblico70. In altre parole, si intende tramutare l’accessibilità in

uno strumento di conoscenza destinato ad uno scopo di sfruttamento economico71.

La pubblica amministrazione diviene così produttrice di informazioni utili a sé stessa secondo un principio di rilevanza “interna” (ai fini di un’ottimizzazione in termini di gestione, organizzazione, efficienza, controllo e così via), ma anche al mercato, rispondendo ad esigenze “esterne” di trasparenza, monitoraggio della qualità e riutilizzo. Ancora, essa assume il ruolo di regolatore, in virtù dei programmi triennali sulla trasparenza, dei flussi informativi, non solo nel perseguimento di una trasparenza in sé, ma anche della promozione di dinamiche positive di mercato (quali riutilizzo, efficientamento delle partecipate, miglioramento della qualità dei servizi, controllo sulla violazione di norme antitrust, ecc.)72.

70 A. Bonomo, Il Codice della trasparenza e il nuovo regime di conoscibilità dei dati pubblici, in

Istituzioni del federalismo, III-IV, 2013, p. 725-751.

71 F. Di Porto, L’informazione come ‘oggetto’ e come ‘strumento’ di regolazione (il caso dei mercati

energetici al dettaglio), in Rivista trimestrale di diritto pubblico, IV, 2011, p. 978.

72 F. Di Porto, lI “collante” della trasparenza: la disciplina dell’informazione nei rapporti tra ente

Sorge, a questo punto, la necessità di effettuare una doverosa osservazione: chi sono i reali destinatari delle ingenti moli di open data, rilasciati in ossequio al rispetto degli obblighi informativi? La valorizzazione del patrimonio informativo pubblico, così come prospettata, vale davvero ad assolvere alla funzione fondamentale di ridurre l’asimmetria informativa sussistente tra l’amministrazione e il cittadino? Nonostante tale cartina al tornasole, pare vero, al contrario, che l’imposizione del rispetto di un indistinto conglomerato di obblighi di informazione, che non tenga conto dell’abilità recettiva dei destinatari di comprenderne il significato e di agire di conseguenza, avvantaggi soggetti che detengano capacità più sofisticate dei singoli cittadini (intermediari specializzati ed imprese concorrenti delle società pubbliche e private eroganti un servizio pubblico).

La ratio scolastica sottesa all’implementazione della disclosure regulation73

si poggia sulla riflessione secondo la quale un mercato, per essere concorrenziale, necessiti di un’informazione quanto meno adeguata al suo funzionamento. Da qui la necessità di ridurre le asimmetrie informative che, se non corrette, condurrebbero ad un fallimento di mercato74.

Strutturalmente, invece, gli obblighi informativi sono indirizzati in modo 73 Con l’espressione si intende la strategia regolatoria basata sull’imposizione ad imprese e amministrazioni pubbliche di obblighi di fornire informazioni ai consumatori, ai cittadini o al pubblico in generale.

74 F. Di Porto, Big Data e scienze cognitive: ripensare la disclosure regulation, in M. T. Paracampo (a cura di), FinTech: Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico

indifferenziato ad una platea eterogenea di destinatari, senza che sia prevista, solitamente, alcuna distinzione in ragione delle loro diverse caratteristiche e capacità di comprensione. Questo è maggiormente vero nei confronti dei singoli utenti. L’individuo – inteso quale virtuale beneficiario degli obblighi informativi –, seppur adeguatamente informato, non dispone delle capacità cognitive atte ad immagazzinare e, soprattutto, ad utilizzare l’immensa mole di dati ed informazioni che gli vengono fornite. Qualora, ipoteticamente, fosse anche in grado di fare ciò, sarebbe comunque privo delle capacità di raziocinio, congrue, secondo le idealistiche ricostruzioni elaborate dalle teorie microeconomiche, a massimizzare il proprio interesse nelle dinamiche di mercato75.

In ciò consiste un primo elemento di fallacia della disclosure regulation: il sovraccarico e l’accumulo informativo si sommano ai limiti cognitivi degli individui, vanificando, così, gli sforzi sottesi alla tutela degli interessi dei diversi soggetti che intervengano in un settore di mercato.

Vi si aggiunga, poi, l’intervento delle tecnologie legate ai big data, in possesso delle imprese maggiormente all’avanguardia sul piano dell’ICT, le quali facilmente si prestano ad essere manipolate per sviare gli atteggiamenti e le scelte degli operatori economici al fine di ripristinare gli squilibri e le asimmetrie informative che le massime di disclosure intendono combattere. 75 R. H. Thaler, C. R. Sunstein, Nudge. La spinta gentile, Milano, Universale Economica

Ancora, l’eccesso di trasparenza in questo senso può, in presenza di determinate forme di mercato, facilitare la collusione. Un mercato eccessivamente trasparente, in cui gli operatori si scambiano regolarmente informazioni dettagliate e commercialmente sensibili, può configurare ipotesi di pratiche collusive o agevolanti la collusione in violazione dell’art. 101 TFUE76.

5. (Segue): Scambio di informazioni e abusi di posizione

dominante

In un’economia sempre più dominata dall’informazione e dalle tecnologie ICT, l’accesso al mercato è spesso compromesso dall’interoperabilità senza soluzione di continuità dei sistemi di telecomunicazione. Non sorprende, perciò, che i rimedi dell’arsenale antitrust si siano progressivamente concentrati sull’ostensione di informazioni necessarie a livello competitivo e al tempo stesso sulla protezione di informazioni commerciali sensibili a livello competitivo, ottenute da altri operatori, reali o potenziali77. Si tratta di una tendenza

particolarmente avvertita non solo nei settori “tradizionali” dei media, delle 76 F. Di Porto, Scambi di informazione e abusi di posizione dominante: una rilettura degli “abusi

informativi” e dei relativi rimedi, in Concorrenza e mercato, 1, 2014, p. 29.

77 S. W. Waller, Access and information remedies in high-tech antitrust, 2011, Loyola University Chicago School of Law, Research Paper No. 2011-018, p. 2.

industrie a rete, del software e dell’IT, ma anche, e sempre più, nel settore della collezione dei dati78. Il dibattito sul tema ha dato vita, come già

osservato in precedenza, all’ingresso nel Regolamento 2016/679 dello strumento della portabilità dei dati, che viene intesa e percepita quale uno dei possibili rimedi pro-concorrenziali, utili in un contesto, quello dell’economia digitale, presieduto da chi sia in grado di acquisire grandi moli di dati personali79. Quanto maggiore è la tutela dell’esercizio del diritto alla

portabilità dei dati personali per gli individui sui mercati digitali, tanto minori sono i rischi per la concorrenza80. Al contrario, un percorso diverso

può essere quello di sperimentare e riconsiderare l’applicazione di concetti tradizionali del vocabolario antitrust (che solitamente non considerano le informazioni e i dati come un bene o un servizio in sé, bensì come input di altri beni e servizi) alla valutazione di nuove e diverse problematiche anti- concorrenziali emergenti nei mercati connessi all’informazione81.

Prima e vera propria insidia consiste nel rilevare pratiche collusive legate allo scambio di informazioni nel mercato proprio delle piattaforme digitali, laddove queste possano consentire il consolidamento di posizioni 78 Così come avvertito originariamente dalla Commissione europea nel caso

Google/DoubleClick.

79 D. Geradin, M. Kuschewsky, Competition Law and Personal Data: Preliminary Thoughts on

a Complex Issue, 2013, consultabile su papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?

abstract_id=2216088.

80 R. H. Weber, Data portability and big data analytics. New competition policy challenges, in F. Di Porto (a cura di), Big Data e concorrenza, in Concorrenza e mercato, I, 2016, p. 59-72. 81 F. Di Porto, Scambi di informazione e abusi di posizione dominante: una rilettura degli “abusi

egemoniche, dovute al controllo su enormi quantità di dati (intese come possibili fonti di potere monopolistico).

Lo scambio di informazioni nei mercati tradizionali viene solitamente annoverato tra le cosiddette pratiche “facilitanti”, ossia pratiche concordate che diano vita ad accordi collusivi tra concorrenti, destinati ad impostare prodotti e servizi su un medesimo livello qualitativo o a fissare un prezzo unitario. Si mantengono, così, gli equilibri preesistenti laddove, invece, si dovrebbe promuovere la diversificazione delle offerte.

In un mercato digitale, perché si possa supporre il raggiungimento di accordi collusivi non è necessario osservare lo scambio orizzontale di informazioni riservate tra imprese, bensì bisogna tenere in considerazione l’esistenza di altri e diversi parametri strutturanti il mercato stesso82. Le

informazioni e i dati sono, infatti, già resi pubblici attraverso internet e l’osservanza delle regole fissate in materia di open data.

Alla luce di queste considerazioni, la gravità degli scambi di informazioni tra operatori economici deve essere inquadrata in un più ampio contesto di analisi del mercato in cui essi operano, non tanto ponendo l’accento sulla finalità del flusso informativo di per sé considerata, quanto contestualizzando la capacità di quest’ultimo di favorire forme 82 F. Vessia, Big Data e profili di concorrenza, in M. T. Paracampo (a cura di), FinTech:

Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino,

collusive. Può assumere rilevanza, a questo punto, la struttura del mercato, il livello di concentrazione di quest’ultimo e il peso complessivo delle quote di mercato degli operatori coinvolti nello scambio informativo83. Nonostante

talvolta si ammetta84 che in un mercato poco concentrato lo scambio di

informazioni abbia persino degli effetti pro-competitivi, la presenza, tuttavia, di pochi operatori con elevate quote di mercato rende i flussi informativi equiparabili ad una manipolazione del mercato stesso, favorendo forme di stabilizzazione degli incumbents. Il rischio collusivo, inoltre, è tanto più verosimile fintantoché le informazioni siano ristrette alle comunicazioni interne tra concorrenti e non siano rese pubbliche a terzi.

Quando si tratta di sistemi informatici, la questione relativa alla comunicazione di informazioni si sposta sulla gestione condivisa di banche dati. Piattaforme digitali, che consentano l’apprensione di dataset eterogenei, sono ammesse, purché pienamente accessibili da tutti gli operatori. Qui il problema concorrenziale si sposta dal tipo e dalla tempistica delle informazioni scambiate all’accesso non discriminatorio ai database. Sintetizzando, nella valutazione degli scambi di informazioni si tiene conto della natura e quantità delle informazioni scambiate, di quanto recenti siano le informazioni condivise, della struttura del mercato, della natura pubblica 83 L. Vasques, Scambio di informazioni e antitrust negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, in

Mercato concorrenza regole, I, 2015, p. 145.

delle informazioni, di come lo scambio sia organizzato e controllato, della frequenza degli scambi e se vi siano delle barriere atte ad escludere l’accesso a certi operatori piuttosto che ad altri85 (consistenti, ad esempio, nel rilascio

dei dati in formati non pienamente comprensibili da parte di terzi).

In questo scenario, sommariamente ricostruito, la Commissione europea ha affrontato la questione dei flussi informativi adottando punti di vista differenti nel corso del tempo. La nozione di scambio di informazioni, se reputato illecito in quanto adiuvante una pratica collusiva di stampo anticompetitivo, ha un notevole impatto sulla definizione di quelle che debbano considerarsi le informazioni in questo senso “sensibili”, in merito non solo alla tipologia dei dati scambiati ma anche dei loro effetti potenziali, laddove diano vita ad una violazione dell’art. 101 TFUE. La Corte di giustizia, oltretutto, individua una sorta di presunzione di accordo collusivo, quando lo scambio informativo avvenga nel contesto di particolari tipologie di mercati particolarmente concentrati, in cui assume singolare rilievo ed interesse la conoscenza del comportamento dei soggetti che interagiscono negli stessi mercati. Di conseguenza, la giurisprudenza europea ha escluso, talvolta, che i flussi informativi fossero idonei a produrre effetti distorsivi o

85 L. Vasques, Scambio di informazioni e antitrust negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, cit., p. 155.

restrittivi della concorrenza in ragione delle particolari condizioni del mercato86.

Le Linee guida sull’applicabilità dell’art. 101 TFUE alle intese orizzontali87 prevedono un importante capitolo dedicato allo scambio di

informazioni tra operatori nel mercato. Si inasprisce il processo di tipizzazione delle fattispecie anticompetitive, in quanto si consideri illecito il flusso di dati inerenti la prevedibilità dei comportamenti dei soggetti intervenienti in un segmento di mercato. Lo scambio di informazioni, così, da semplice elemento indiziante di un’intesa collusiva diviene un’autonoma fattispecie vietata.

Nonostante la casistica giurisprudenziale e la dottrina dominante evidenzino profusamente la difficoltosa relazione sussistente tra scambi di informazione e rispetto dell’art. 101 TFUE, non si può affermare che con pari attenzione venga solitamente esaminata un’altra questione, concernente il rapporto tra gli stessi scambi di informazioni e l’art. 102 TFUE.

Alla luce di tale norma è possibile disvelare un approccio sensibilmente più benevolo in merito al ricorso agli scambi di informazione: 86 Nel caso Asnef Equifax c. AUSBANC la CGUE ha affermato, in relazione all’art. 81 TCE (oggi art. 101 TFUE), come un sistema di scambio di informazioni tra istituti finanziari circa la solvibilità dei clienti non produca, in linea di principio, l’effetto di restringere la concorrenza, salvo che i mercati interessati non siano fortemente concentrati, che il sistema non consenta di identificare i creditori e che le condizioni di accesso e di utilizzo non siano discriminatorie, né sul piano giuridico, né su quello fattuale.

sono proprio l’assenza o l’uso distorto della stessa da parte dei soggetti in posizione dominante – perché detentori di un asset informativo non altrimenti riproducibile – da considerarsi anti-concorrenziali e quindi abusivi. Il rimedio suggerito a fronte di scenari di tal fatta contempla l’imposizione dell’obbligo di scambiare o fornire siddette informazioni, secondo un approccio non troppo distante da un tradizionale intervento regolatorio. Potrebbe così nascere un conflitto con l’ottica propria di una tipica ricetta antitrust ai sensi dell’art. 101 TFUE, da cui scaturirebbe una situazione di inevitabile incertezza giuridica. L’intervento regolatorio – o, meglio, para-regolatorio –, quale soluzione agli abusi informativi di cui all’art. 102 TFUE, potrebbe generare un’ipotesi di collusione e quindi essere mal visto alla luce del disposto del medesimo art. 101 TFUE88.

Il metodo di indagine, su cui recentemente convergono le autorità della concorrenza sia statunitensi sia europee, si innesta sull’adozione di obblighi di accesso o di condivisione dell’informazione di mercato, a seconda che ad essere violato sia l’art. 101 o l’art. 102 TFUE. L’attenzione non è più strettamente relegata alle ipotesi di collusione ex art. 101 TFUE, ma si estende anche al controllo delle condotte fatte proprie dalle imprese dominanti89. Disciplinare l’accesso o l’ostensione dei dati significa porsi

88 F. Di Porto, Scambi di informazioni e abusi di posizione dominante: una rilettura degli “abusi

informativi” e dei relativi rimedi, cit., p. 29.

89 A. L. Wait, Competitor Information Exchanges: Practical Considerations from FTC Consent

Decrees, Hunton&Williams, 2011, p. 2, disponibile su: www.hunton.com/files/Publication/37824b3f-67a0-48d5-9211-

nell’ottica estremamente delicata del bilanciamento e della conciliazione tra la sfera della concorrenza e quella della regolazione in senso stretto. In quest’ottica la disclosure regolation – principio cui, in senso lato, è informata la ricostruzione normativa effettuata nei paragrafi precedenti – è comunemente associata a due tipi di fallimenti di mercato: quello dell’asimmetria informativa e quello delle esternalità. L’imposizione di obblighi informativi, sia che essi siano ex ante o che si traducano in un controllo ex post sugli effetti economici90 di un uso abusivo

dell’informazione, possono essere finalizzati a consentire l’interconnessione tra gli operatori di rete91, ma poi incidere con notevole impatto nei rapporti

sussistenti tra le imprese verticalmente integrate – che di quegli scambi di informazioni si avvantaggino – ed i loro concorrenti.

L’enorme flusso di (open) dati che si ingenera a partire dell’infrastrutturazione informativa del settore pubblico concorre a sostenere il vantaggio conoscitivo detenuto dagli operatori più sofisticati di un certo segmento di mercato (soprattutto nel contesto proprio dell’ICT) rispetto ai propri competitors e, specialmente, agli utenti. Questo vantaggio

712846a587e0/Presentation/PublicationAttachment/1740fa96-1c76-40bb-909f- 74c0f7ee0687/Competitor_Information_Exchanges.pdf .

90 Si tratta del principio dell’effect-based approach con il quale valutare, alla luce delle circostanze peculiari di uno specifico contesto di mercato, la condotta tipizzata in applicazione delle norme di cui al TFUE. Cfr. G. Ghidini, E. Arezzo, L’assalto fallito?

Riflessioni sulla proposta rivisitazione in chiave “più economica” dell’abuso di dominanza, in Mercato Concorrenza Regole, 2010, 1, p. 115.

può configurare un incentivo, in special modo se combinato con altri fattori (specialmente benefici derivanti da economie di scala), da impiegare per restringere ulteriormente un mercato magari già dominato da determinati incumbents. E, sebbene paia ormai scontato ritenere i big data, perlomeno in linea teorica, quali input (o elementi di input) fungibili e non concorrenti92, ci

si colloca nuovamente nel contesto proprio delle considerazioni inerenti la collezione e lo sfruttamento degli stessi quali eventuali barriere all’accesso. Gli usi distorti dell’informazione da parte di chi sia in grado di sviluppare ed intersecare tecnologie di big data analytics sono in grado di dar vita a probabili abusi di sfruttamento, nella misura in cui il vantaggio informativo

Nel documento Big Data, mercato e amministrazione pubblica (pagine 146-171)

Documenti correlati