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Nel giugno del 1968, su ‹‹Il Caffè››, esce Si tratta di larve132: ‹‹una scena lunga o breve atto

unico››133 in prosa, mai rappresentato. In un interno borghese apparentemente rassicurante, con ‹‹un

divano››, ‹‹due o tre poltrone›› e ‹‹un tavolino con un servizio da tè››, sullo sfondo di ‹‹quinte›› che ‹‹possono assumere, volta per volta, colorazioni diverse››134, un ‹‹ospite›› e un ‹‹proprietario››,

anonimi esponenti di un mondo in declino, si confrontano, preoccupati e, allo stesso tempo, rassegnati, sull’imminente pericolo costituito dall’invasione di ‹‹larve molliccie [sic!], appiccicose […], larve di plastica allo stato puro››135 che stanno progressivamente sostituendosi agli esseri

umani, e ora minacciano direttamente i due interlocutori:

PROP. […] (Illumina la larva con la luce di un lungo fiammifero) Niente, non dice niente, per adesso.

OSP. (ancora impaurito dalla vista della “larva”)

Ma non ti soffoca subito andandola a disturbare con tutta questa luce, accidenti. Non è qui per soffocarti? Stai un po’ attento, perdio!136

Come il passo citato dimostra, la lingua di Si tratta di larve rientra nei binari della regolarizzazione: non c’è traccia né della frenesia combinatoria, né della sintassi stravolta e frammentata di Stark. In compenso, l’infrazione della norma si sbilancia completamente sul piano dei contenuti dialogici e delle situazioni drammaturgiche: la conversazione procede tra gesti insensati, come quello di versare il tè caldo sul vestito dell’ospite (che, alla proposta di cambiarsi, di tutta risposta esclama: ‹‹Grazie, no. Questo assorbe ancora bene, è un peccato buttarlo già via, grazie. Dopo, più tardi››137)

o di accendergli una sigaretta con un fiammifero ‹‹lungo una ventina di centimetri››138, e rapide incursioni di personaggi altrettanto paradossali, come l’uomo che ‹‹si muove improvvisamente e, dirigendosi verso una poltrona, cerca di nascondervisi dietro nel momento in cui comincia a orinare››139, oppure il figlio del proprietario e un suo giovane amico, che, perduta ogni abilità comunicativa, si limitano a pronunciare parole isolate (‹‹1. Albero / 2. Albero / 3. Cavallo / 4. Cavallo / 5. Razzo / 6. Razzo […]››140). L’atto dell’orinazione in pubblico, così come l’utilizzo di

132 A. Porta, Si tratta di larve, in ‹‹Il Caffè››, n. 3, giugno 1968, pp. 63-72. 133 A. Attisani, Parole e progetti cit., p. 310.

134 A. Porta, Si tratta di larve cit., p. 63. 135 Ivi, pp. 63-64. 136 Ivi, pp. 66-67. 137 Ivi, p. 67. 138 Ivi, p. 65. 139 Ivi, p. 63. 140 Ivi, p. 69.

un codice espressivo ridotto ai minimi termini (‹‹Hanno perduto la sintassi!››141), sebbene

circoscritti alla fugace apparizione di due personaggi marginali, sono comunque segnali eloquenti di un irreversibile processo di regressione allo stato larvale, che inizia a lambire anche i due interlocutori principali142. Le larve, che tanto inquietano questi ultimi, esercitano invece un’ambigua fascinazione erotica sull’unica presenza femminile, ‹‹Lei››, la moglie del padrone di casa:

Vedi, mio caro, divento talmente rossa, sprigiono un tale calore, sono così accaldata, così al massimo, voglio dire […]. Sprigiono centinaia di orgasmi.143

Il testo si conclude con le amare considerazioni del proprietario, espressione di un mondo borghese che ‹‹rinuncia a ogni possibilità di trasformazione››144 e si limita a sopravvivere adeguandosi passivamente al nuovo stato di cose:

Vedi, solo chi si adatta, chi non si oppone, chi cerca di aiutare lo svolgersi degli eventi, in qualche modo, questi solo sopravvivono, se la cavano.145

Nella proposta di situazioni inverosimili e nella veemente critica antiborghese, Si tratta di larve

recepisce certamente la lezione di Alfred Jarry e Eugène Ionesco.

Secondo Attisani la pièce, con ‹‹questo tipo di irrisione›› e ‹‹questo rivoltare la classicità teatrale della commedia›› rappresenta un’‹‹estremizzazione dello stile pochade, […] il genere che negli anni Venti e Trenta avevano inventato e praticato con successo i Prévert, gli Aragon, i Moussinac e tutti

gli altri che coniugheranno lo spirito Dada e l’impegno politico››146.

L’ascendente del teatro dell’assurdo, in particolare, riaffiorerà, come vedremo, negli anni Ottanta,

in testi come Fuochi incrociati e Pigmei, piccoli giganti d’Africa.

Sempre Si tratta di larve anticipa un motivo successivamente ripreso nelle due pièces appena menzionate: quello dell’Africa intesa come terra pura e incontaminata, al riparo, per il momento, dalla decadenza della società occidentale (‹‹Sapete che torno dall’Africa. Sapete che lì non sono arrivate; almeno, per ora››147, spiega l’ospite, riferendosi alle temute larve; e poco oltre sbotta: ‹‹Ma vi ho detto che vengo dall’Africa e che là non ce n’erano, un accidenti!››148).

Come anticipato, il testo non è mai approdato alle scene; ciononostante le didascalie, che delineano l’ambiente e regolano con precisione i gesti e gli atteggiamenti dei personaggi, suggeriscono una

141 Ivi, p. 70.

142 Cfr. I. Palladini, Corpo e immaginario (tra Mito e Scarto) nel teatro di Antonio Porta, in La letteratura degli italiani

4. I letterati e la scena, Atti del XVI Congresso Nazionale Adi, Sassari-Alghero,19-22 settembre 2012, a c. di G.

Baldassarri, V. Di Iasio, P. Pecci, E. Pietrobon e F. Tomasi, Adi editore, Roma 2014, pp. 1-4, pp. 2-3.

143 A. Porta, Si tratta di larve cit., p. 68. 144 J. Picchione, Introduzione cit., pp. 129-130. 145 A. Porta, Si tratta di larve cit., p. 71. 146 A. Attisani, Parole e progetti cit., p. 311. 147 A. Porta, Si tratta di larve cit., p. 64. 148 Ivi, p. 67.

prassi drammaturgica simile a quella di Stark, con un autore che, ancora una volta, accentra il controllo non solo del testo, ma anche delle componenti prossemiche e scenografiche. Nel suo esame della pièce, Antonio Attisani ne individua il punto debole nella ‹‹forzatura ideologica›› che ‹‹si rivela nella perentorietà con cui si vuole affermare la fine di un mondo››149;

al nostro testo, aggiungo io, manca quella forza d’urto che impregnava le battute di Stark: quell’angoscia sconvolgente, che si manifestava a tutti i livelli della pièce, si tramuta, ora, in un’inquietudine che si limita, per così dire, a scivolare in superficie, rinunciando a scuotere nel profondo le fondamenta del linguaggio.

Verso l’utopia: la svolta comunicativa degli anni Settanta