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Trattamenti di superficie

La crescita ossea può avvenire sulla superficie della protesi, ed è definita ongrowth, oppure all’interno dei pori della superficie, ed è definita ingrowth. La stabilità primaria si ottiene attraverso ingrowth. L’ingrowth è fortemente condizionato dalla dimensione dei pori.

Non esiste ad oggi una dimensione ufficialmente riconosciuta come migliore, ma per ogni materiale e trattamento di superficie sono indicati range ottimali. Uno studio condotto nel 2010 ha dimostrato che pori di piccole dimensioni (120 µm) favoriscono una miglior adesione iniziale di cellule alla superficie protesica. Lo stesso studio ha però rilevato che pori di dimensioni maggiori (325 µm) permettono comunque la penetrazione degli osteoblasti nella copertura protesica (Murphy C.M., et al., 2010). Una porosità del 35-40%

e una dimensione dei pori tra 200 e 250 µm garantisce una buona osteointegrazione dello stelo femorale (Bobyn J.D., et al., 1987). Altri studi confermano che porosità di 140, 200 e 450 µm permettono tutte e tre di ottenere un’eccellente osteointegrazione di coppe acetabolari (Jasty M., Harris W.H., 1988).

Per ottenere una finitura superficiale porosa si possono sfruttare diversi trattamenti:

sinterizzazione, spruzzo al plasma, tantalio poroso. Alla superficie porosa così ottenuta è possibile applicare trattamenti addizionali per stimolare la formazione di nuovo osso e ottimizzare la stabilizzazione primaria, tra questi: idrossiapatite, bifosfonati, microtexture e antibiotici.

La sinterizzazione è un particolare processo di lavorazione basato sulle alte temperature. Polvere di metallo, Co-Cr o Ti, viene fatta aderire alla superficie della protesi riscaldandola a temperature inferiore alla temperatura di fusione del materiale. I grani di polvere si saldano tra loro e alla protesi. In genere, su protesi in Cr si usa polvere di Co-Cr, mentre su protesi in Ti si usa polvere di Ti.

I rivestimenti ottenuti mediante spruzzo al plasma offrono una valida alternativa alla sinterizzazione. Il processo di nebulizzazione al plasma consente all'impianto in lega di titanio di mantenere il 90% della sua originaria resistenza a fatica (Bourne R.B., et al., 1994).

Lo spruzzo al plasma fa parte delle tecniche di spruzzatura termica. Nel caso specifico, della polvere di titanio viene fatta passare attraverso il getto di una pistola al plasma. Le temperature raggiunte sono nell’ordine di 9.000-10.000°C. In questo modo il titanio si fonde e si attacca sulla superficie della protesi sotto forma di minuscole particelle. Il risultato è una superficie porosa con uno spessore di circa 30-40 µm. Uno studio ha confrontato protesi con rivestimento in Ti sinterizzato e protesi con rivestimento di Ti spruzzato con spruzzatura al plasma. La risposta tissutale e la stabilità meccanica nel periodo post chirurgico, a 4 e 8 giorni, sono risultate differenti: le protesi sinterizzate hanno evidenziato una miglior risposta tissutale, una più rapida osteointegrazione e una miglior adesione ai tessuti circostanti. Sedici giorni dopo l’intervento, l’osteointegrazione delle due tipologie protesiche è risultata comparabile (Craig A.S., et al., 1999).

I rivestimenti in tantalio sono realizzati a partire da una schiuma di poliuretano, la quale subisce pirolisi e forma un’impalcatura di carbonio. Vapori di tantalio puro sono depositati sullo scheletro carbonioso. Il risultato è un rivestimento spesso circa 50 µm, con una porosità del 70-80% e una dimensione dei pori tra 400 e 600 µm. Studi comparativi hanno dimostrato una miglior risposta biologica nei confronti dei rivestimenti in tantalio, rispetto a sinterizzazione e tecnica plasma spray. Il tantalio poroso ha proprietà fisiche, meccaniche e biologiche superiori rispetto ad altri trattamenti. Possiede ottima biocompatibilità, eccellente resistenza alla corrosione e un alto coefficiente di attrito. Il modulo elastico del tantalio è pari a 3 GPa, quindi comparabile a quello dell’osso subcondrale (2 GPa) o spongioso (1,2 GPa) (Patil N., et al., 2008). Uno studio ha dimostrato

come l’osteointegrazione avvenga più rapidamente utilizzando il tantalio come materiale di rivestimento rispetto a Co-Cr sinterizzato. Il test di rimozione forzata dell’impianto dopo 4 settimane dall’intervento ha richiesto una forza media pari a 18,5 MPa per rimuovere le protesi rivestite con tantalio e solo 9,3 MPa per rimuovere le protesi rivestite con Co-Cr sinterizzato (Bobyn J.D., Stackpool G.J., et al., 1999). L’utilizzo di coppe acetabolari rivestita in tantalio poroso ha restituito risultati altrettanto positivi. Dopo 6 mesi dall’intervento tutte e 22 le coppe acetabolari sono risultate stabilmente fissate all’osso subcondrale. È stato quindi calcolato l’approfondimento dell’osso neoformato nel tantalio, e i risultati ottenuti variano da 0,2 a 2 mm (Bobyn J.D., Toh K., et al., 1999).

L’osso è costituito da cellule, proteine e minerali. I minerali costituiscono quasi il 50% dell’osso e sono rappresentati principalmente da carbonato-idrossiapatite. Ricoprendo le protesi con idrossiapatite (HA) è stato dimostrato che viene migliorato il processo di osteointegrazione. L’HA infatti è una risorsa per l’organismo di calcio e fosfato, essenziali per l’osteogenesi. L’applicazione del rivestimento avviene mediante plasma spray e lo spessore ottimale è di 50-75 µm (Wang B.C., et al., 1993). Può essere applicato su titanio, leghe di titanio e leghe di Co-Cr. La resistenza alle forze di taglio degli impianti rivestiti con idrossiapatite è paragonabile a quella dell’osso corticale. Il rivestimento in HA si differenzia da quelli fino ad ora descritti in quanto ha proprietà osteoconduttive e osteoinduttive.

L'osteoconduttività è l'abilità di un materiale di assicurare l'adesione, la sopravvivenza e la proliferazione delle cellule osteogenetiche, fornendo una struttura interconnessa attraverso la quale le nuove cellule possono migrare e i nuovi vasi si possono formare.

L'osteoinduttività si riferisce all'abilità del materiale di indurre la stimolazione di cellule osteoprogenitrici dai tessuti circostanti a differenziarsi in osteoblasti. Tali proprietà derivano dalla tendenza dell’HA a rilasciare calcio e fosfato nell’ambiente circostante, oltre a concentrare e legare proteine sieriche che facilitano l’attività osteoblastica (Peck J.N., Marcellin-Little D.J., 2013). Alcuni studi riportano un ulteriore vantaggio nell’utilizzo di tale rivestimento, ossia la capacità dello stesso di prevenire la migrazione di detriti e macrofagi, prevenendo l’osteolisi periprotesica (Rahbek O., et al., 2001). Inoltre è emerso da ulteriori studi che l’idrossiapatite prevenga la formazione di tessuto fibroso che normalmente si verificherebbe in caso di micro movimentazioni (Soballe K., et al., 1993).

I bifosfonati sono farmaci che inducono l’apoptosi degli osteoclasti. Agiscono quindi sul bilancio deposizione-riassorbimento osseo, favorendo l’attività degli osteoblasti. Il risultato è la formazione di nuovo osso in sede di impianto in assenza di riassorbimento. Il zoledronato è, ad oggi, il bifosfonato più utilizzato, nonché il più potente. Due studi ne hanno

confermato l’efficacia. Applicando il bifosfonato direttamente in sede protesica garantisce un migliore effetto e meno effetti collaterali rispetto alla somministrazione sistemica. Grazie all’affinità chimica dell’acido zoledronato per il fosfato di calcio, i bifosfonati possono essere applicati sulle protesi assieme all’HA (Goodman S.B., et al., 2013).

La microtexture permette di modificare ulteriormente una superficie porosa.

Vengono utilizzati acidi con lo scopo di corrodere in maniera controllata la superficie. Il vantaggio di questa tecnica consiste nel ridurre il rischio di cedimento dell’impianto per disaccoppiamento delle superfici. Uno studio ha dimostrato che la crescita di osso sulla superficie protesica può essere incrementata fino al 60% attraverso la microtexture (Hacking S.A., et al, 2003). Inoltre è stato evidenziato in un altro studio che la microtexture migliora la crescita cellulare influenzando la disposizione degli osteoblasti, favorendo la formazione di adesioni focali cellulari e aumentato la produzione di matrice extracellulare (Matsuzaka K., et al., 2003).

L’utilizzo di antibiotici è pratica comune nella gestione del paziente durante e successivamente la chirurgia. Applicando antibiotici direttamente sulla protesi si ottiene un buon risultato antimicrobico locale. In ambito veterinario non vi sono protesi in commercio rivestite con antibiotici, ma sono disponibili cementi addizionati con vancomicina. La vancomicina è l’antibiotico più utilizzato in ambito protesico. Sono stati condotti studi che hanno dimostrato la capacità della vancomicina di legarsi al titanio senza modificare le proprie caratteristiche antimicrobiche (Jose B., et al., 2007). Risulta attiva contro i batteri sia la vancomicina che rimane legata alla protesi, sia la vancomicina che viene rilasciata nello spazio periprotesico (Swanson T.E., et al., 2010). La durata dell’attività antibatterica nei confronti di Staphylococcus aureus è superiore alle 6 settimane. Anche l’argento viene utilizzato per le proprietà antimicrobiche. Il meccanismo d’azione dell’argento consiste nel rilascio di ioni d’argento che legandosi a proteine ed enzimi batterici danneggiano l’integrità della membrana batterica e la produzione energetica. L’argento è completamente sicuro, in quanto non è dimostrato alcun effetto tossico per l’organismo. L’argento è attivo verso Staphylococcus aureus, Staphylococcus epidermis e Klebsiella pneumoniae. L’attività antimicrobica dell’argento è stata dimostrata fino a 28 giorni post-impianto (Ewald A., et al., 2006).

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