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Tre donne ridanno un nome ai naufraghi del Mediterraneo

Nel documento D ONNE CHIESA MOND O APRILE APRILE (pagine 30-33)

S G UA R D I DIVERSI

di EVELINASA N TA N G E L O

«I

l ragazzo è morto, in un modo o nell’altro è morto, e questo le basta per andare a trovarlo». Così inizia il libro inchiesta Uomini e caporali.

Viaggio tra i nuovi schiavi nelle campagne del Sud di Alessandro Leogrande.

Grande scrittore e intellettuale, che ha dedicato tutta la sua breve vita

«in difesa degli ultimi e dei ferocemente sfruttati nei più diversi con-testi», come scrive il padre annunciandone la morte improvvisa, due anni fa.

Il ragazzo è uno straniero che lavorava nei campi. Un camion gli è passato sopra rendendolo irriconoscibile. È interrato in un cimitero nel cuore del Tavoliere delle Puglie. C’è una croce a indicare la sepol-tura con su scritto a stampatello S C O N O S C I U T O.

«Incoronata è ossessionata dal fatto che si possa morire senza avere un volto, e senza essere pianti». Così, questa vecchia bracciante avvol-ta nel suo inseparabile scialle prende l’abitudine di dividere i fiori tra la tomba del marito e quella croce nuda. Poi decide di far costruire una tomba con la data di morte, una breve preghiera, l’immaginetta di una Madonna e, in cima, la parolaIGNOTOin lettere di bronzo, come fosse un nome proprio. Da questi gesti pian piano affiorerà una fisio-nomia, un nome, Miroslaw, una nazionalità, polacca, un’esistenza, una storia di sfruttamento bracciantile e violenza. Qualcosa che è un r i c o rd o .

«Una persona è veramente morta quando nessuno si ricorda più di lui», scrive Bertold Becht.

E dall’oblio dannato degli insepolti privi di identità arrivano infat-ti i soldainfat-ti della Grande Guerra nel bellissimo film J’accuse di Abel Grance (1919). Zombie che denunciano la disumanità della guerra e la condizione di chi è solo uno tra migliaia di cadaveri indistinti su un campo di battaglia di cui i vivi hanno perduto memoria. Come a dire:

relegare i morti nella terra di nessuno dell’indifferenza impietosa ne fa zombie, spettri che prima o poi atterriscono le nostre coscienze assue-fatte all’oblio.

Mediterraneo, luglio 2016. «Nella stiva abbiamo trovato uno stra-to di materiale biologico alstra-to 80-90 centimetri steso lungo tutti i 23 metri della nave. Erano persone». Così l’ingegnere capo dei Vigili del fuoco calatisi in profondità per recuperare i mille naufraghi intrappo-lati nel peschereccio egiziano colato a picco nel Canale di Sicilia un anno prima, il 18 aprile 2015, racconta una delle più spaventose trage-die della migrazione. Un groviglio di tessuti umani, vestiti e oggetti.

Non era rimasto nient’altro. Provare a dare un nome ai morti prima di Tombe di migranti

alcune ancora senza nome nel cimitero di Lampedusa decorate dall’artista Armin Greder

(facebook.com/muttysocial, facebook.com/BiblioLampedusa)

seppellirli era «un dovere di civiltà» spiega Cristina Cattaneo, ordina-rio di Medicina Legale alla Statale di Milano. È stata lei tra gli anato-mopatologi a cercare fisionomie di persone tra quell’indistinto «ma-teriale biologico». Tre mesi di lavoro alla base Nato di Melilli in Sici-lia. Dalle sue minuziose anatomie è affiorata la pagella con la media del dieci cucita nella giacca del ragazzino del Mali o della Mauritania;

l’angolo della maglietta annodata con uno spago rosso dove un altro ragazzo custodiva un pugnetto della propria terra. In quei frammenti di identità sottratti all’indistinto c’è insomma quella comune umanità fatta di aspirazioni, speranze, dolorosi distacchi in cui riconoscersi.

Tu sei come me. Io sono come te. E questa ecatombe della quale ri-schia di non rimanere traccia è una barbarie che riguarda entrambi.

D’altro canto, le migliaia di morti inconsolate e anonime della pande-mia di Covid19 ci ha costretti a provare sulla nostra stessa pelle cosa vuol dire finire in un conteggio di «record di morti» quotidiane.

Il legame che unisce donne e cura dei defunti è evocato con tono sarcastico ma con indiscutibile verità anche in un passaggio dell’Ulisse di James Joyce. «Un compito che si addice loro», pensa il protagoni-sta Mr Bloom, come corollario alle pene del mettere al mondo.

Io stessa l’ho sempre vista, almeno qui al sud, la dimestichezza del-le donne nel trattare la morte, il corpo da comporre in una posa che desse dignità: chiudere gli occhi, ammorbidire l’espressione del viso, mettere indosso il vestito buono. Un modo di contrastare la trasfigu-razione e, in un gesto estremo, custodire il tratto che identifica, rende riconoscibili. Una forma di pietas per i morti e anche per i vivi che li piangono.

E sempre una donna, la ricercatrice Giorgia Mirto, dal 2011 gira ci-miteri e uffici di Stato civile per cercare indizi sulle migliaia di vittime dei naufragi seppellite in diversi comuni del Sud Italia e della Sarde-gna. Ci tiene a dire che il suo «non è un mero calcolo». «Faccio in mo-do che si sappia cosa è accaduto, che di quella persona possa soprav-vivere qualcosa alla morte stessa, almeno nel ricordo dei propri cari».

Parole che suonano ancora più necessarie se pensiamo a come fami-glie, estenuate dalla ricerca del proprio caro, abbiano deciso infine di adottare una tomba qualsiasi.

Osservare Giorgia Mirto aggirarsi nel Campo 220 del cimitero dei Rotoli di Palermo dove si respira un’aria di abbandono, vederla chi-narsi sui quadratini di carta riparati da un cellofan e segnare su un tac-cuino le poche informazioni riportate è come assistere a una preghiera laica.

La medesima carica spirituale richiede un’opera come Salāt dell’ar-tista Emanuele Lo Cascio realizzata in occasione del progetto Più a

E X LIBRIS

Cristina Cattaneo Naufraghi senza volto RaffaelloCortina Editore

Alessandro Leogrande Uomini e caporali Fe l t r i n e l l i

C.Cattaneo, M. D’Amico I diritti annegati

Franco Angeli

Sud del 2012. Una stele di marmo nero specchiante innervato di onde che riproduce esattamente un frammento di mare di Lampedusa. Le dimensioni sono le stesse del tappeto di preghiera musulmano. Per-ché? «La scultura chiede all’osservatore un momento di concentra-zione, di riflessione nella solitudine, di rispettosa preghiera… Il mare nella sua profondità è sempre calmo, silenzioso, meditativo, detento-re di misteri, di vita e di morte. Questo frammento di madetento-re agitato in superficie, artefice di naufragi disperati ma anche di speranze, e di sal-vezze, cela questo nella sua invisibile profondità».

Dalle invisibili profondità di questo tappeto di mare e di raccogli-mento hanno trovato a Lampedusa non solo una sepoltura, ma un ge-sto contro la «deumanizzazione», molte vittime della catastrofe uma-nitaria che quest’isola sperimenta dalla seconda metà degli anni No-vanta. Sono del ’96 o ’97 i 13 corpi interrati in un fazzoletto di terra che il custode del cimitero ha seppellito avendo cura di mettere delle croci sopra le sepolture. A chi gli ha contestato quella decisione ha risposto con l’intelligente umanità degli umili: «Per me, mettere le croci è stato come dire siamo tutti uguali». Questa storia me la racconta Paola La Rosa (volontaria della Biblioteca Ibby e aderente al Forum Lampedu-sa Solidale) che dal 2003, quando ha deciso di venire a vivere nell’iso-la, contrasta «l’intero sistema di accoglienza, basato su una logica che presuppone la deumanizzazione e spersonalizzazione degli indivi-dui, tanto più deprecabile quando applicata ai morti». Gli indifesi tra i più indifesi, mi viene da pensare: i morti, e i morti senza un nome.

Così con il Forum Lampedusa Solidale ha sempre accolto al molo Favaloro i salvati con un po’ di tè caldo, ha avvolto in coperte termi-che i sopravvissuti. Si è opposta all’oscenità delle targhe volute dal sindaco Bernardino De Rubeis nel 2011 quando a Lampedusa arriva-rono almeno 50mila persone. Un annus horribilis con naufragi e costi umani pesantissimi. Quelle targhe adesso può capitare di vederle di-smesse in qualche angolo del cimitero:I M M I G R AT O NON IDENTIFICA

-TO DI SESSO MASCHILE ETNIA AFRICANA COLORE N E R O.

Al Forum e al lavoro di Paola La Rosa si devono i nomi (Ezechiel, Yassin, Ester Ada, Welela, della quale c’è pure una foto inviata dal fratello), le date, le circostanze dei naufragi o dei ritrovamenti, fram-menti di storie, e anche dettagli come i «quattro interminabili giorni»

in cui il mercantile turco Pinar con il corpo esanime di Ester Ada fu la-sciato in mare prima di autorizzarne l’approdo. Perché nel 2009 già 4 giorni di fermo al largo facevano scandalo. Per questo il cimitero è una tappa fondamentale per chiunque voglia capire il dramma della migrazione. Anche lo scrittore e artista Armin Grader nel 2018, arri-vato a Lampedusa per un progetto di volontariato, ha fatto il suo

pel-Giunto a Lampedusa

Nel documento D ONNE CHIESA MOND O APRILE APRILE (pagine 30-33)

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