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TROELTSCH E M. MAETERLINCK

Premessa

Di per sé la “vagierende Religiosität”, “la religion vagabondante”, come si è tradotto1, è quella mistica, eclettica, “debole” e sostanzialmente anarchica dei “letterati”, frutto del decadente individualismo moderno, ancora pregno di cristianesimo, cui contrapporre la pagana religione della volontà, del carattere e dell’orgoglio, autenticamente classica e tedesca, che unisce il popolo sotto il “Führer” esaltandone l’eroismo. Così negli aspri dibattiti che si accendono in Germania tra fine ’800 e inizi ’900 intorno alla “religione moderna”, alla “religione del futuro”. Ma questo tratto oscillante ed errante può ben rappre-sentare, sottratto a ogni faziosità di parte, la fisionomia complessiva del “risveglio religioso” del tempo, nella diversità di intenti che lo caratterizza, nella frammentazione e nei conflitti che attesta, perché, se è condivisa l’ur-genza di una rinnovata inscrizione nella “religione” della cultura e del popolo, risulta ormai del tutto evidente che da tempo essa non ha più forma unica. Dopo la frantumazione della christianitas infatti l’Europa non ha trovato alcun altro principio religioso unificante né alcuno ancora se ne pro-spetta, capace di vincere il nichilismo che la consuma. Il presente tuttavia evi-denzia, nella consapevolezza dei contemporanei, un inatteso fervore, una

bul-litio ed ebulbul-litio, verrebbe da dire, in cui la religione del futuro si prepara

nello scontro e nella selezione di proposte diverse, veicolate da soggetti diversi – politici, sociali, economici, intellettuali –, ora vecchie o sulle

1. Cf. M. PULLIERO, Une modernité explosive: la revue Die Tat dans les renouveaux

reli-gieux, culturels et politiques de l’Allemagne d’avant 1914-1918, Avant-propos de P. Gisel, C.

vecchie attardate, ora nuove e portatrici di “ordini nuovi” tra loro il più delle volte contrapposti.

Le voci su cui queste pagine si raccolgono sono quelle di due diversi protagonisti delle creazioni e discussioni di quegli anni e prendono spunto dalla rilevanza che l’una riconosce all’altra. La prima è quella di E. Troeltsch (1865-1923), uno dei massimi rappresentanti della teologia e del mondo intel-lettuale tedesco di inizio ’900; l’altra, quella del poeta, drammaturgo e scrit-tore belga M. Maeterlinck (1862-1949), a partire dai primi anni ’90 del secolo precedente una delle figure più geniali del mondo letterario europeo, autore di una lettura mistica e sapienziale della vicenda umana di singolare forza e influenza, soprattutto in ambito tedesco2, su cui appunto a più riprese Troeltsch interviene nei suoi scritti3.

Iniziali e fortemente selettive, queste note puntano a mettere a fuoco e saggiare memoria e attualità del cristianesimo in quella stagione febbrile, mistica e critica a un tempo, che precede lo scoppio della grande guerra, nella convinzione che “a un secolo di distanza si delineano certo differenze, ma anche tutto un insieme di analogie, che vanno interrogate” accuratamente, tra quel tempo e il nostro4. Si potrebbe dire anche di questo: è un passato che non passa.

1. E. Troeltsch e la religiosità moderna: il caso di M. Maeterlinck

In un saggio del 1913 teso a tracciarne un profilo complessivo, Troeltsch presenta il XIX secolo come l’approfondimento e quasi l’esasperazione di entrambe le grandi stagioni della modernità che l’avevano preceduto: l’età dell’illuminismo, esito non voluto, ma inevitabile di quell’“assolutismo razio-nalistico” che tra ’500 e ’600, “con la sua azione livellatrice, il suo spirito puramente mondano e utilitaristico, l’emancipazione dell’individuo dal giogo delle potenze sovraordinate”, aveva portato a definitivo tramonto l’ormai logora cultura “ecclesiastico-feudale” del tardo medioevo e l’età di quell’i-dealismo tedesco, a un tempo “classicista” e romantico, che, al passaggio tra

2. La parabola della fortuna di Maeterlinck nei paesi di lingua tedesca tra fine ’800 e la grande guerra è ora ampiamente studiata da D. SROHMANN, Die Rezeption Maurice Maeterlincks

in den deutschsprachigen Ländern (1891-1914), Bern-Berlin-Bruxelles-Frankfurt a. M.-New

York-Oxford-Wien, Peter Lang, 2006.

3. È Maeterlinck, segnalo, uno di quei “letterati” dalla religiosità “vagierende” contro cui prendevano posizione i costruttori di una post-moderna religione del popolo tedesco.

XVIII e XIX secolo, si era contrapposto “all’individualismo atomistico e alla cultura intellettualistica e utilitaristica” precedenti con l’ambizione di rifon-dere tutto il lascito della storia europea nella creazione di un nuovo, “ricco e autonomo ideale di umanità” esteticamente compiuto5. Volontà di razionaliz-zazione, uniformazione e governo totali della società e della natura e incoer-cibile impulso alla libertà inventiva e critica dei singoli (e dei popoli) nella loro individualità storica sono dunque i motori, indisgiungibili e tra loro con-tradditori, di uno stesso processo che, emancipatosi da ogni trascendenza, nel XIX secolo perviene alla sua massima intensificazione. A fine secolo, scrive Troeltsch, si confrontano e scontrano così da una parte “l’onnipotenza dello stato”, che “militarizza i popoli, statalizza la scuola e la formazione spirituale e pone l’economia” e la stessa scienza sotto il proprio controllo, in una “situazione di limitazione della libertà […] che non viene per nulla modifica-ta dal fatto che i popoli siano compartecipi dell’esercizio di quesmodifica-ta costrizio-ne su se stessi”6: in breve la “cultura democratico-capitalistica dell’imperiali-smo”7o, meglio, degli imperialismi come “destino dell’avvenire”8– di un

5. E. TROELTSCH, Das Neunzehnte Jahrhundert, in Id., Gesammelte Schriften. Band 4 –

Aufsätze zur Geistesgeschichte und Religionssoziologie, hrsg. von H. Baron, Neudruck der

Ausgabe Tübingen 1925, Aalen, Scientia Verlag, 1981, pp. 614-649, qui pp. 614-615; trad. it. di G. Cantillo, Id., Il secolo diciannovesimo, in Id., L’essenza del mondo moderno, Napoli, Biblio-polis, 1977, pp. 303-344, pp. 306, 307 e 306. Su Troeltsch cf., a livello introduttivo, le notizie presenti nelle introduzioni alle diverse traduzioni italiane dei suoi scritti di seguito utilizzate, che ospitano spesso un’ampia e accurata bibliografia. Segnalo che le traduzioni fornite nel testo, quando non siano mie, sono comunque controllate sull’originale (e quindi possono divergere talora da quelle cui si rinvia).

6. Ivi, pp. 614-615 e 616; trad. it. Ivi, p. 334. Si badi: per Troeltsch stato, scienza ed

eco-nomia moderni sono governati da principi che nel loro “fondamento ideale” e anche in diverse, singole attuazioni comportano universalità e cosmopolitismo, né i diversi ambiti “nazionali” in cui si articolano e organizzano o gli imperialismi che questi sviluppano sono per lui di per sé conflittuali (benché riconosca che in linea di principio “la democrazia è […] antinazionalistica” (Ivi, p. 638; trad. it. Ivi, p. 332)). Eppure “fatalmente”, annota, lo divengono, così che “malgrado il [loro] razionale pacifismo teorico” (Ibidem; trad. it. Ivi, p. 331) gli stati moderni esercitano una politica di potenza che li conduce a “violenti conflitti” che, poiché operano su scala planeta-ria, tendono ad assumere dimensione mondiale, pur contrastati da spinte tese alla creazione di “un diritto internazionale che ponga fine allo stato di irrequietezza e disordine” che ne caratteriz-za i rapporti e li moralizzi allo stesso modo in cui è stata sottoposta “ai principi della legalità e della giustizia e alle esigenze morali” la politica interna di ciascuno di loro (cf. Ivi, pp. 638 e 639; trad. it. Ivi, pp. 331 e 333).

7. Ivi, p. 617; trad. it. Ivi, p. 308.

avvenire distruttivo; dall’altra, quel “principio del perfezionamento dello spirito e della più radicale autonomia spirituale”, già proprio dell’idealismo tedesco9, che sotto la pressione del predominio “democratico, capitalistico, imperialistico e tecnologico”10aveva allora abbandonato ogni tratto nostalgi-co, ogni ambizione di mera ripresa del passato, vuoi pagano vuoi cristiano-germanico11, per raggiungere “nelle personalità spiritualmente rivoluzionarie del presente” – si legge12– una volontà costruttiva, “uno spirito attivo e crea-tivo adeguato alla nuova situazione e […] in grado di superarla dall’inter-no”13, conferendole la mancante profondità spirituale e religiosa. Non si dà alcuna decadenza, dunque, nella cultura occidentale di fine ’800 – inizi ’900, alcuna analogia con l’“alessandrinismo” e l’“auto-dissoluzione […] della tarda antichità”, per quanto ancora “piena di contraddizioni e perciò difficil-mente valutabile rispetto alla reale direzione del suo sviluppo” questa alterna-tiva al “secolo del meccanicismo” possa apparire14. L’ora è anzi quella della prossimità a una possibile svolta salutare, anche se resta incerto l’esito del conflitto tra i due motori della modernità, il secondo dei quali solo sarebbe in grado di darle un futuro.

Ora, lungo i “sentieri propri e originali nella riscoperta dell’anima e del suo legame con un mondo soprasensibile” tracciati dal rinnovato “bisogno

religioso” della cultura a lui contemporanea, Troeltsch s’imbatte in un poeta,

drammaturgo e saggista fiammingo che ritiene sommamente rappresentativo di questa rinnovata ricerca e/o “costruzione di dio”: Maurice Maeterlinck. “Egli – scrive – scopre negli eventi più semplici l’irrazionalità, il mistero e l’impenetrabile profondità dell’anima, che avverte in ciò il suo legame con un ordinamento ignoto che dà, però, serenità e consistenza. In completo contra-sto con l’aricontra-stocraticismo di Nietzsche [inoltre], egli insegna a percepire in ogni uomo questo mistero e a legarsi reciprocamente nella sua venerazione, o piuttosto a sentirsi reciprocamente legati. Quel che conta per lui – conclude –

9. Ivi, p. 623; trad. it. Ivi, p. 315. 10. Ivi, p. 641; trad. it. Ivi, p. 335.

11. Ivi, a p. 642 (trad. it. Ivi, p. 336), Troeltsch parla di una inadeguatezza a cogliere e positivamente trascendere la “struttura profonda della vita moderna” da parte sia del “narcisismo romantico” sia della “stilizzazione classica, modellata sull’antichità” propria del neoumanesimo a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

12. Ivi, p. 617; trad. it. Ivi, p. 308 (letteralmente: “nei rivoluzionari spirituali del presente”). 13. Ivi, p. 641; trad. it. Ivi, p. 335.

è soltanto svelare il mistero che ci circonda, per dare all’anima un saldo, anche se impenetrabile fondamento [Halt] in mezzo a tutta l’irrequietezza moderna, alla ricerca della mera felicità mondana e alla razionalizzazione meccanicistica”15.

Va notato che Maeterlinck non s’inscrive in quella che Troeltsch consi-dera ancora “l’unica vivente tradizione religiosa della nostra cerchia cultura-le, quella cristiana”, cui consegnerebbe con piena convinzione “il destino futuro dei fondamenti religiosi, metafisici ed etici della nostra cultura, che – ribadisce – è profondamente connessa con il cristianesimo”16. Maeterlinck rappresenta anzi una proposta alternativa a quella di “una cristianità priva di chiese e di dogma” cui lavora il teologo tedesco e suggerisce una ben diversa direzione di sviluppo alla soluzione della crisi europea. Se, come vedremo, usa volentieri “materiali cristiani”, nei suoi scritti questi sono radicalmente sottratti al loro contesto. Insomma, con lui si rende del tutto evidente non solo quanto sia ormai affatto indecisa la situazione religiosa dell’Europa, oscillan-te tra “irreligiosità, restaurazione confessionale, libero sviluppo del cristiane-simo e formazione di una religione del tutto nuova”, e come comunque sia “definitivamente tramontata l’unità delle idee religiose, già scissa fin dal tempo della riforma”, ma anche come questa “religione del tutto nuova”, espressa dalla modernità senza ripresa alcuna del passato, abbia forma com-piuta e serietà17.

Su Maeterlinck, occorre aggiungere, Troeltsch aveva richiamato

l’atten-15. Ivi, p. 645; trad. it. Ivi, pp. 339-340. Nella n. 8 al testo tedesco a p. 646 (8 nella tradu-zione italiana a p. 340), che ospita alcune indicazioni bibliografiche relative al paragrafo in cui ricorrono le righe dedicate a Materlinck, Troeltsch cita una monografia di Heinrich Meyer-Benfey, Moderne Religion, Schleiermacher und Maeterlinck, Leipzig, Der Eugen Diederichs Verlag, 1902. Meyer-Benfey (1869-1945) viene descritto come critico letterario e “Zeitdiagno-stiker” vicino al circolo di Friedrich Naumann in K. LICHTBLAU, Der Eugen Diederichs Verlag

und die neuromantische Bewegung der Jahrhundertwende, in Romantik, Revolution und Reform. Der Eugen Diederichs Verlag im Epochenkontext 1900-1949, hrsg. von J.H. Ulbricht und M.G.

Werner, Göttingen, 1999, pp. 60-77, p. 69.

16. E. TROELTSCH, Das Neunzehnte Jahrhundert, cit., pp. 648 e 649; trad. it. Id., Il secolo

diciannovesimo, cit., pp. 343 e 344. Sulla posizione di Troeltsch in relazione al futuro del

cristia-nesimo si veda l’accurata e acuta messa a punto che si legge nel sesto capitolo, dedicato a Crisi

religiosa e futuro del cristianesimo, dello studio di R. GARAVENTA, Religione e modernità in

Ernst Troeltsch, Napoli, Luciano, 2004.

17. E. TROELTSCH, Das Neunzehnte Jahrhundert, cit., p. 649; trad. it. Id., Il secolo

zione già dieci anni prima, in una messa a punto su La situazione teologica e

religiosa contemporanea pubblicata nel 190318. Anche qui l’analisi proposta

dal teologo tedesco colloca il suo tempo all’estremo limite di una stagione apertasi quasi due secoli prima all’insegna di “un atteggiamento di rottura nei confronti della tradizione ecclesiale”, connotato ora da “un’accezione sostan-zialmente modificata” dell’idea ed essenza del cristianesimo ora da “una reli-giosità” schiettamente professata “in termini per lo più indipendenti rispetto alle religioni storiche” e “caratterizzata in senso etico e artistico”, che, “se pure coincideva con il cristianesimo, si percepiva comunque come una reli-giosità specificamente moderna”, come un “vangelo del puro al-di-qua”19.

“Il grande movimento religioso moderno” si muoveva dunque per Troelt-sch già allora sostanzialmente “al di fuori delle chiese e, per lo più, anche al di fuori della teologia”, in particolare di quella, come la sua, che si proponeva di ripensare e riproporre la permanente attualità del cristianesimo all’interno della modernità; rifiutava, cioè, sia di avere una dimensione liturgica e istitu-zionale sia di darsi una qualsiasi salda configurazione raistitu-zionale. Si tratta, ripete, di un movimento “fortemente connotato in senso estetico e letterario” di cui è “molto difficile” prevedere lo sviluppo e “per caratterizzare il quale – conclude – può essere citato ad esempio il nome di Maeterlinck”20.

Sono proprio alcune parole dello scrittore belga a essere poste da Troelt-sch subito dopo a conclusione della sua “rassegna” – parole, insiste, di “un uomo che, con cuore ardente, aveva il senso del programma e della ricerca

18. E. TROELTSCH, Die theologische und religiöse Lage der Gegenwart, in Id., Gesammelte

Schriften. Band 2 – Zur religiösen Lage, Religionsphilosophie und Ethik, hrsg. von H. Baron,

Neudruck der 2. Auflage 1922, Aalen, Scientia Verlag, 1962, pp. 1-21; trad. it. di F. Ghia, Id., La

situazione teologica e religiosa contemporanea, in Id., Scritti scelti, Torino, UTET, 2005, pp.

481-505.

19. Ivi, p. 1; trad. it. Ivi, p. 481.

20. Ivi, p. 21; trad. it. Ivi, p. 504. Colgo l’occasione di questa caratterizzazione di Maeter-linck come figura esemplare del movimento religioso moderno per precisare che l’assenza da parte sua di un’attenzione alla liturgia, alla costituzione e strutturazione di una comunità, all’ela-borazione di una dottrina teologica non significano punto astrazione e disinteresse nei confronti delle dinamiche sociali. Nello scrittore belga si delinea infatti con particolare chiarezza il propo-sito di contribuire alla costruzione di una nuova civiltà, ma attraverso una conversione di ciascu-no e tutti cui solo la sua predicazione/scrittura chiama e di cui lei sola si fa “maieuta” tramite i propri procedimenti “lirico-dialettici”, mi verrebbe da dire riprendendo termini kierkegaardiani, tesi a condurre il lettore/spettatore dei suoi drammi a una presa di coscienza e scelta per le quali i tempi, nella loro stessa asprezza, sembrano essere maturi.

del futuro” e che, se “nulla si attendeva dai teologi”, tutto sperava dal “sostare del nostro genere sulla sua vera, intima essenza, nonché dallo sguardo sulla storia delle religioni: ‘Non dobbiamo essere umani – aveva scritto Maeter-linck –, ma figli di Dio; non liberali, ma liberi; non conservatori, ma tedeschi [c.n.]; non credenti, ma pii; vivendo corporalmente il divino in ciascuno di noi e integrandoci vicendevolmente in un’unica cerchia: nessuno è come l’altro e nessuno non lo è, quotidianamente mutando in un amore senza invidia, perché tutti procediamo nel cammino verso Dio, e se anche uno giunge più vicino di un altro, mai però taglia all’altro la strada”21.

Non s’intende qui dar conto sistematicamente di tutte le citazioni o men-zioni di Maeterlinck presenti negli scritti di Troeltsch o a lui addebitate, tutta-via, prima di avanzare alcune considerazioni ricapitolative, mi sembra oppor-tuno segnalare due ulteriori luoghi che aiutano a precisare ulteriormente il modo in cui lo leggeva. Il primo si trova nel verbale che dà conto della discus-sione seguita alla relazione su Il diritto naturale stoico-cristiano e il moderno

diritto naturale profano presentata dal teologo tedesco il 21 ottobre 1910 al

convegno della Società tedesca di sociologia tenutosi a Frankfurt a. M.22. Il testo riporta gli interventi di F. Tönnies, M. Weber, G. Simmel e altri. Qui inte-ressa l’appunto mosso da M. Buber all’inclusione della mistica tra le forme sociologiche del cristianesimo operata da Troeltsch nella sua relazione. Il

21. Ibidem; trad. it. Ivi, p. 505. Ho posto nel testo in corsivo l’esortazione a non essere “conservatori”, ma “tedeschi” per segnalare già qui la contrapposizione tra culture “latine” o più latamente “occidentali” e culture germaniche, “asiatiche”, su cui torneremo in seguito. Segnalo che le vicende della Grande Guerra provocarono in Maeterlinck un forte mutamento nel suo rap-porto con la Germania (e dei tedeschi nei suoi confronti): “Ho amato la Germania – scriveva nel 1916 – […]. L’ho creduta grande, onesta e generosa ed è stata sempre accogliente e benevola nei miei confronti. Ma vi sono crimini che annientano il passato e chiudono l’avvenire”, aggiungeva, mettendo in guardia da chi “dirà che lo sventurato popolo tedesco è la prima vittima del suo re e della sua casta feudale”; da chi suggerirà “che non è la buona e simpatica Germania dei tigli, dei chiari di luna, delle vecchie case ingenue, ma la sola Prussia odiosa e arrogante ad aver compiuto tutto il male” (cito da P. GORCEIX, Maurice Maeterlinck – L’arpenteur de l’invisible, Bruxelles, Le Cri édition, 2005, pp. 84-85).

22. Das stoisch-christliche Naturrecht und das moderne profane Naturrecht (1911), in E.TROELTSCH, Kritische Gesamtausgabe. Band 6.1 – Schriften zur Religionswissenschaft und Ethik

(1903-1912), hrsg. von T. Rendtorff in Zusammenarbeit mit Katja Thörner, Berlin-Boston, Walter

de Gruyter, 2014, pp. 711-772 (testo: pp. 723-748; discussione: pp. 748-772); tr. it. Id., Il diritto

naturale stoico-cristiano e il moderno diritto naturale profano, in Id., L’essenza del mondo moderno, cit., pp. 95-124 (questa traduzione, tratta dall’edizione del saggio presente nel IV tomo

misticismo, aveva obiettato Buber non è una “categoria sociologica”. “Credo – aveva aggiunto – che la mistica possa essere caratterizzata come un solipsismo religioso. Da una parte è sicuramente il più estremo sviluppo della religiosità […] dall’altra mi sembra essere del tutto lontana dalla religione [intesa] come un tutto sociologico costruito sulla religiosità. Mi sembra anzi che la mistica neghi ogni comunità, non [la] combatta, per così dire, né le si contrapponga come la setta, ma la neghi, nel senso che per lei si dà un unico rapporto reale, il rapporto del singolo con Dio”23. Rispondendo all’obiezione, Troeltsch aveva osservato che la cosa costituiva “un problema se si [voleva] riconoscere la mistica come autentica espressione del religioso. La mistica cristiana non è però mistica allo stato puro – aveva aggiunto –, ma una certa determinata mistica. In pratica le cose stanno così – si era affrettato a concludere –: non abbiamo a che fare con la mistica in sé, ma solo con Eckhart, Sebastian Franck, John Everard […] e altri. A costoro non si adatta l’opinione del signor Buber. A Maeterlinck al contrario, ad esempio, si adatta [c.n.]. C’è troppo sangue cristiano in quella gente perché possano essere mistici che si sottraggo-no del tutto a una qualsiasi comunità”24.

Puntualizzazione interessante, nella vivacità del parlato appena mitigata dall’accurata redazione del verbale. Puntualizzazione su cui tornare, non appena si sarà addotta l’ultima testimonianza annunciata.

A conclusione dell’ampia sezione dedicata a La mistica e lo spiritualismo posta a conclusione della grande monografia su Le dottrine sociali delle

chiese e dei gruppi cristiani che pubblica nel 191225, Troeltsch torna infatti a

menzionare Maeterlinck in una lunga nota apposta a un rinnovato bilancio della situazione religiosa del suo tempo, in cui rileva come ormai questa tra-scuri del tutto “la comunità religiosa, sia essa chiesa o conventicola”. “Il culto – scrive – ha perso in sostanza la sua interna necessità ed è diventato senza senso per la religione”; “l’elemento storico [stesso] è diventato simbolo, inci-tamento, illustrazione, se pure non lo si consideri del tutto dubbio”. In questa situazione, prosegue, il “posto dell’antica comunità di culto è stato preso dalla

23. Ivi, p. 764. 24. Ivi, p. 771.

25. E. TROELTSCH, Die Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, Neudruck der im Verlag J.C.B. Mohr (Paul Siebeck) 1922 erschienenen Ausgabe, Aalen, Scientia Verlag, 1965, pp. 848-940; trad. it. Id., Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani. Volume II – Il

letteratura, dalla poesia, dall’antico filadelfismo, dalla formazione di piccoli gruppi guidati da impressioni personali” – un “miscuglio [Mischung]”, aggiunge, in cui sono entrati anche “il monismo naturalistico della moderna filosofia della natura e idee brahmaniche e buddhiste”, smarrendo completa-mente i “rapporti con la storia del cristianesimo, anzi col personalismo

cristia-no in genere [c.n.]”26. È alla fine di questa ricognizione che si legge la lunga

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