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Troppo e troppo poco: il Martirologio Ro mano e le sue contraddizion

Quattrocento anni di santi scritt

2.1 Troppo e troppo poco: il Martirologio Ro mano e le sue contraddizion

Può capitare di trovare, all’ingresso di una chiesa cristiana di confessione cattolica, un grosso volu- me posto, aperto, su un leggio. Ci avviciniamo, in- curiositi, e vediamo che sulla pagina, la numero 696, è indicata la data del giorno corrente: “4 set- tembre”. Allunghiamo lo sguardo.

1. Commemorazione di san Mosè, profeta, che fu scelto da Dio per liberare il popolo oppresso in Egitto e condurlo nella terra promessa; a lui si rivelò pure sul monte Sinai dicendo: «Io sono colui che sono», e diede la Legge che doveva guida- re la vita del popolo eletto. Carico di giorni, morì questo ser- vo di Dio sul monte Nebo nella terra di Moab davanti alla ter- ra promessa.

Scorriamo la pagina, sfogliamo un po’ il libro. Quello che abbiamo davanti sembra essere una sorta di “calendario dei santi”: è un insieme di bre- vi testi, alcuni brevissimi, organizzati lungo tutti i mesi e i giorni dell’anno, in cui sono raccontate le vicende dei santi, in maniera estremamente essen- ziale, succinta e standardizzata. Per ogni giorno, troviamo vari santi e, per ciascuno di essi, possia- mo leggere l’indicazione del luogo (area, regione, città) e delle modalità (le loro azioni notevoli, come sono morti o come sono stati uccisi) in cui la loro opera santa si è compiuta.

Alla data del 4 settembre, leggiamo ancora, nell’ordine: san Marcello, san Bonifacio I, san Ca- letríco, santa Ida, san Fredaldo, santa Irmarga. Poi, al paragrafo numero 8:

A Palermo, santa Rosalia, vergine, che si tramanda abbia condotto vita solitaria sul monte Pellegrino.

Santa Rosalia è, appunto, la tradizionale patrona di Palermo. Ma non aveva forse salvato la città dalla peste, compiendo un miracolo? Di ciò il testo non fa menzione. E la sua festa non si celebrava forse il 15 luglio, il giorno del famoso fistinu che coinvol- ge (e sconvolge) l’intera città?

Il libro che abbiamo davanti è la nuova edizione ita- liana, risalente al 2004, del Martirologio Romano

(Martyrologium Romanum), un testo liturgico uf- ficiale della tradizione cristiana cattolica, pubblica- to per la prima volta, in latino, più di 400 anni fa, nel 1584. I brevi paragrafi di cui è composto sono le “memorie dei santi”, gli elogi (elogia, in latino), e sono organizzati secondo il dies natalis, ossia il giorno in cui il santo è morto e in cui, quindi, è ri- nato a una nuova vita in Cristo.

Generalmente definito “il libro dei martiri” (il no- me Martirologio, alla lettera, significa questo) o “il canone dei santi”, questo testo non include, però, esclusivamente i santi martirizzati (coloro che sono stati uccisi in odium fidei, a causa della propria fe- de, i quali rappresentano la prima — in ordine cro- nologico — ma non l’unica fattispecie di figura san- ta riconosciuta oggi dalla Chiesa)1, né è più possi- bile dire che includa la totalità dei santi considerati come possibile oggetto di culto (l’edizione del

1 Nel Martirologio trovano spazio tutti i santi, ossia i beati

(contraddistinti da un asterisco) e i canonizzati, ma non i ser- vi di Dio. Non è possibile qui spiegare in dettaglio le diffe- renze tra queste tipologie, ma basti dire che, mentre il titolo di “servo di Dio” viene assegnato alla figura proposta come santa durante la prima fase del processo che conduce all’eventuale riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa romana, i beati sono figure di santi il cui culto è riservato a specifiche comunità locali, e i canonizzati possono essere venerati da tutta la Chiesa cattolica.

2004 è l’ultima realizzata e non contempla figure di santi riconosciute dopo il 2001, mentre sap- piamo che ogni anno ne vengono istituite di nuove, attraverso beatificazioni e canonizzazioni).

Alcuni paragrafi — per esempio, proprio quello de- dicato a santa Rosalia — sono particolarmente bre- vi, giusto poche righe, e tutti, in generale, appaio- no scritti con uno stile piuttosto neutro, se non scarno, quasi cronachistico e certamente non so- lenne, né tantomeno poetico, assai diverso da quel- lo delle preghiere e, più in generale, delle letture che siamo abituati a sentire recitare durante le fun- zioni (secondo alcuni, si tratterebbe di uno stile accostabile alla concinnitas di cui parlava Cicero- ne)2.

Sfogliamo ancora queste più di mille pagine. Tro- viamo decine di santi per ciascun giorno dell’anno. Eppure, di ciascun di essi ci viene detto, in fondo, molto poco; in particolare, non ritroviamo quegli elementi che ne costituiscono i marchi di ricono- scibilità in seno alle tradizioni popolari: non si fa menzione dei patronati, ossia le categorie che sa- rebbero oggetto di particolare protezione da parte del santo (tutti sappiamo che san Giuseppe è “il

2 È questa, per esempio, l’opinione di Roberto Fusco

(2005), storico e filologo bizantinista attivamente coinvolto nei lavori per la nuova edizione del Martirologio, tra il 1984 e il 2004.

protettore dei falegnami”, perché lui stesso era fa- legname); e anche le indicazioni di natura icono- grafica, spesso così peculiari e icastiche, appaiono particolarmente rarefatte, quando non del tutto as- senti (tutti sappiamo che santa Lucia è la “santa protettrice degli occhi” — anche Dante la ricorda come tale nel Convivio — perché, secondo tradi- zione, gli occhi le vennero cavati durante la tortura subita in quanto giovane cristiana; ma nel testo di ciò non si fa menzione).

Ecco, sembra esserci, allo stesso tempo, così tanto e così poco dentro il Martirologio: un testo che, in questo modo, sembra dire e non dire, perché sem- bra accennare e alludere, piuttosto che raccontare e spiegare. Questa contraddittorietà, questa com- presenza di vuoti e di pieni, è una caratteristica che ritroviamo lungo tutta la storia, interna ed esterna, del libro. Sulla realizzazione del Martirologio la Chiesa di Roma ha lungamente concentrato i pro- pri sforzi; si tratta di un testo strenuamente difeso e costantemente aggiornato (si contano almeno 130 edizioni3) ma che, pure, per converso, è stato

a lungo considerato un “pezzo minore” del canone liturgico (tanto da rischiare di esserne espunto; si tratta, in effetti, di un testo il cui impiego è assai limitato, come vedremo) e che per secoli interi è

rimasto sostanzialmente immutato4. Il Martirolo- gio dovrebbe rappresentare il paradigma della san- tità per l’intera Chiesa cattolica, ma sappiamo an- che che è stato oggetto di interessi particolaristici e localistici (non vi si ritrovano più alcuni santi tut- tora oggetto di culto popolare, mentre vi si trovano ancora figure che, con buona probabilità, non sono mai state oggetto di un culto vero e proprio, e che sono state inserite per motivi squisitamente perso- nali e politici)5. In quanto testo liturgico, il suo va-

lore è eminentemente eucologico (dal greco antico

εὐχή, “preghiera”) e teologico, eppure, nel tempo,

è stato giudicato sempre più interessante sotto il profilo storico–culturologico.

Insomma, proprio perché così spartano, proprio perché apparentemente così povero di stimoli sot- to il profilo linguistico, formale, narrativo e comu- nicativo, proprio perché così apparentemente con- traddittorio, il Martirologio Romano costituisce un testo di grande interesse per chi si occupi dell’analisi dei testi, come i semiologi. Perché con- sente di effettuare un vero e proprio carotaggio del tema di cui si propone come il deposito, la santità,

4 Sull’importanza storica del Martirologio, si vedano Moroni

(1847) e Bugnini (1952).

5 Sulle controversie di natura politica legate al Martirologio,

e della cultura che questo tema, nel corso dei seco- li, ha diversamente concettualizzato, articolato e valorizzato.

2.2 Far memoria dei santi: i martirologi e le