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U L'INDICE STEFANO RICCI,

Depositonero-cento-ventidisegni, 124 taw., Lit 32.000,

Mano, Bologna 1999

"Credo che un disegno abbia ra-gione di essere se riesce a far suc-cedere una specie di equivoco, se cioè persone diverse vedono nel di-segno cose diverse". L'equivoco di cui parla Stefano Ricci nasce dall'inesplicabile coesistenza fra il carattere d'immediatezza delle sue immagini, in tal senso quasi fotogra-fiche, e il lavorio grafico e pittorico che ne tradisce la stratificazione di senso e linguaggio. I suoi disegni so-no come frammenti in divenire: sfo-gliando questa raccolta si ha la sen-sazione di poter spiare un laborato-rio in fermento dal buco della serra-tura, di aver rubato dal tavolo dell'au-tore centoventi scatti di abbagliante freschezza creativa. Queste tavole mostrano inoltre come la produzione di Ricci abbia toccato moltissime aree, dall'illustrazione al fumetto, alla grafica, passando per la scenografia cinematografica e teatrale, ed è for-se proprio in questa versatilità che si può riconoscere la costante del suo stile, che acquisisce e rielabora mo-di e tecniche mo-diverse in una formula dove la poetica delle figure si fonde con l'evidenza della grana pittorica e la rarefazione dei moderni effetti di computer graphic. Fra le sue pubbli-cazioni ricordiamo il libro illustrato

Dottori, da Arthur Conan Doyle

(Me-trolibri, 1989) e il fumetto Tufo

(Gra-B

O R L A

Via delle Fornaci, 50 - 0 0 1 6 5 Roma

Antonino Ferro PRIMA ALTROVE CHI pagg. 160 - L. 28.000 Florence Guignard PULSIONI E VICISSITUDINI DELL'OGGETTO pagg. 192 - L 32.000 William Easson L'ADOLESCENTE GRAVEMENTE DISTURBATO pagg. 320 - L. 42.000 Armando Bauleo PSIC0ANALISI E GRUPPALITÀ pagg. 160 - L. 25.000 Mirella Baldassarre SEGRETI VIOLENTI pagg. 224 - L. 35.000 Raymond Cahn L'ADOLESCENTE NELLA PSIC0ANALISI pagg. 208 - L. 30.000 J. Claude Rouchy IL GRUPPO SPAZIO ANALITICO Clinica e teoria pagg. 256 - L. 35.000

nata Press, 1994) selezionato nel 1997 per il XXV Festival di Angoule-me e al Prix International de la Ban-de Dessiné di Bruxelles, nonché il più recente Anita, pubblicato a pun-tate sul mensile "Glamour" nel 1997 e successivamente in volume

(Kap-p a , 1 9 9 8 ) .

IOLE CILENTO

JOSEPH MONCURE M A R C H , The Wild

Party, disegni di Art Spiegelman, trad.

dall'inglese di Gianluigi A. Ricuperati, pp. 112, Lit 16.000, Einaudi, Torino 1999

"Erano arrivati già a frotte quan-do scoccò la mezzanotte. / Nello studio brillavano candele illumina-te; / una flebile luce, nascosta, mi-steriosa. / Uno sciame di ombre, in-vitati e invitate, / girava.per la stan-za in una strana transumanstan-za". Ec-co l'inizio del party selvaggio, torbi-da tragedia in forma di filastrocca cantabile, irriverente affresco degli anni ruggenti del jazz e del cinema muto. Questo anomalo poemetto sincopato dell'americano Moncure March, pubblicato per la prima vol-ta con grande scandalo - e conse-guente successo - nel 1928 e poi lungamente dimenticato, viene og-gi ripresentata da Art Spiegelman, autentico fuoriclasse del fumetto e dell'illustrazione statunitense, auto-re di quel Maus, l'avventura di un

sopravvissuto, in cui ripercorre con

straziante lucidità le persecuzioni naziste e i campi di sterminio. Oltre a fornire una breve introduzione, Spiegelman ha arricchito il testo con splendide illustrazioni in bian-co e nero a fondo seppiato che rendono alla perfezione non solo gli ambienti evocati da Moncure March, ma soprattutto la sua tona-lità poetica, sospesa tra il gusto per il dettaglio sguaiatamente reali-stico ("Il bagno era un'atroce con-fessione (...)/ Tazze piattini, / botti-glie, bicchieri / di ieri e dell'altro ie-r i / a diffeie-renti gie-radi di abiezione, / litigavano per un posticino / nell'affollato mondo sotto il lavandi-no") e l'acre sapore di una violenta satira del sottobosco artistico ame-ricano inutilmente proteso verso il sogno del cinema.

CHIARA BONGIOVANNI

The Spirit le nuove avventure, pp. 110,

Lit 16.000, Magic Press - KS, Roma 1999

Nel 1940 il giovane Will Eisner creava, per il Comic Book Selec-tion, il personaggio di Spirit, il de-tective mascherato che avrebbe reso celebre il suo autore. Le storie di Spirit avevano già quel taglio particolare che mescola classiche situazioni noir con elementi esplici-tamente umoristici, e che nel dopo-guerra farà di Eisner uno degli au-tori di culto del fumetto statuniten-se; e il loro eroe, a sua volta, si di-stingueva dalla folta schiera dei classici protagonisti di spy stories all'americana per il disegno netto, brillantissimo, unito a tratti caricatu-rali. Ora, a più di quarant'anni dalle ultime avventure di Spirit, la Kit-chen Sink Press cura la pubblica-zione di una nuova serie incentrata sulle avventure del detective bluve-stito, che raccoglie alcune tra le mi-gliori firme del fumetto internaziona-le d'autore (tra internaziona-le più note, quelinternaziona-le di Alan Moore e Neil Gaiman per i te-sti, e di Dave Gibbons, Daniel Tor-res e Moebius per le illustrazioni) confezionando un prodotto di note-vole fascino. Si tratta di una serie di variazioni sul tema che, spaziando dalla reinterpretazione al pastiche, riportano ancora una volta in vita Denny Colt, mantenendo lo stile e lo spirito del personaggio, ma con personalissime invenzioni e uno spiccato gusto per la citazione e il dettaglio umoristico. Il volume è inoltre corredato da alcune splendi-de tavole splendi-degli stessi autori che rendono omaggio agli episodi clas-sici di Spirit e al talento multiforme dell'anziano disegnatore.

CHIARA BONGIOVANNI

A L A N M O O R E , EDDIE CAMPBELL,

From hell. Voi. I, ed. orig. 1992, trad.

dall'inglese di Alessandra Di Luzio, pp. 130, Lit 22.000, Magic Press, Pa-vona (Roma) 1999

Alan Moore è senza ombra di dubbio una delle figure più impor-tanti del fumetto degli ultimi vent'anni. Negli anni ottanta II suo contributo è stato fondamentale nel rivitalizzare la figura del

supe-reroe e il genere horror

(Miracle-man, V for vendetta, Swamp Thing, Watchmen). All'inizio degli

anni novanta inaugura la sua car-riera da autore indipendente, fon-dando una propria casa editrice, la Mad Love Publishing, abbrac-cia una serie di ambiziosi progetti

(From hell, Big numbers, Lost girls) e amplia la sua area di

inte-ressi alla musica, alla narrativa e alla performance art. Il progetto di

From hell, realizzato in

collabora-zione con il disegnatore Eddie Campbell (Bacchus, Alee), inizia la sua avventura editoriale nel 1989, sulle pagine della rivista americana "Taboo". Nel 1992 i pri-mi capitoli vengono raccolti in vo-lume, e da quel momento inizia anche il successo. L'ultimo volu-me, l'undicesimo, una sorta di ap-pendice a quest'opera monumen-tale (Dance of the Gull Catchers), esce nel 1998. Il volume pubblica-to ora dalla Magic Press compren-de il prologo e 4 compren-dei 14 capitoli. La storia è il frutto di un'accurata ri-cerca bibliografica sui delitti di Whitechapel e sulla misteriosa identità di Jack lo squartatore. Le tavole, affascinanti e tenebrose nel loro incisivo tratto in bianco e nero, sono corredate da un appa-rato ricchissimo di note esplicative e riferimenti storici, che portano alla luce gli aspetti più esoterici dell'antichissima capitale del Re-gno Unito; una continuità di miste-ro e magia che lega tra lomiste-ro gene-razioni di abitatori delle terre dei druidi. L'avventura di From hell pare continuerà a Hollywood; ia New Line Cinema, avanguardia del new horror, sta preparandone un adattamento per il grande schermo.

ANTONIO MORELLO

D A N T E A L I G H I E R I , La Divina Commedia, 3

voli., pp. 190,192,178, Lit 58.000 cad. voi., ili. di Lorenzo Mattotti (Inferno), Milton Glaser (Purgatorio) e Moebius (Paradiso), Nuages, Milano 1999

La letteratura illustrata è un vero e proprio genere, trasversale rispetto agli altri e con i suoi grandi classici, dal Pinocchio di Collodi ai Racconti di Edgar Allan Poe. Primo e maggiore di questi classici è il poema dante-sco: nella collana di letteratura illustrata di Nuages doveva quindi prima o poi comparire una Divina Commedia.

Le illustrazioni di Milton Glaser dedicate al Purgatorio sono quelle più moderne e al tempo stesso più antiche. E non solo per l'im-piego di quel desueto procedimento di stam-pa che è il monotipo, ma anche e soprattutto perché prendono le mosse dalle illustrazioni dantesche di Botticella dalle quali Glaser trae una gran quantità di Soggetti e la stessa sagoma rossa di Dante (mentre Virgilio di-venta un ramoscello d'alloro).

Per quanto riguarda le illustrazioni del

Pa-radiso, la scelta di affidarle a Moebius era in

un certo senso inevitabile: chi meglio di lui avrebbe potuto raffigurarne gli spazi siderali e le creature angeliche? Purtroppo, però, la sua decisione di rifare tali e quali le diciotto tavo-le del Paradiso di Dorè - per quanto il risul-tato sia bello e raffinato - ha il sapore di una rinuncia, e ci priva di un vero e proprio

Para-diso di Moebius, sostituito da un semplice Pa-radiso di Dorè di Moebius che non ha alcuna

speranza (e probabilmente alcuna pretesa) di essere ricordato in futuro.

Convince invece senza riserve il meraviglio-so Inferno di Lorenzo Mattotti, che attinge a Botticella a Dorè, a Blake, ma che tutto meta-bolizza e trascende nel suo personalissimo e inconfondibile stile. Dalla "selva oscura" a Lu-cifero, il percorso di Mattotti è disseminato di nero, di lividi verdi e di viola, di ombre e di squarci di luce abbacinante, del rosso del san-gue e del fuoco. Tanto nei diavoli quanto nei dannati si intravedono i corpi lacerati e le fi-sionomie contorte di Bacon, mentre alcune immagini appaiono come dettagli ingigantiti delle pitture visionarie di Bosch.

Quasi tutti gli episodi sono degni di essere menzionati singolarmente: Caronte, "bianco

JEAN GIRAUD - MOEBIUS, Il mio

dop-pio io. L'autografia del genio

dell'im-maginario fantastico, trad. dal francese

di Ferruccio Giromini, pp. 191, Lit 24.000, DeriveApprodi, Roma 1999

Nella premessa alla propria au-tobiografia Jean Giraud si dice in-capace di ricordare le date, e con-clude definendo il senso della tra-sposizione letteraria dei suoi ricor-di: "Questa sarà dunque un'auto-biografia decisamente senza date. Solo qualche vignetta come punto di riferimento nella storia, stavolta non a fumetti. Dei fuoricampo. Qualche nota a margine. Sfondi. Paesaggi. Visi. Voci Off. Racconto come disegno. Ora Giraud, ora Moebius: il mio doppio io. Autobio-grafia del mio pseudonimo. Pseu-dobiografia". Si tratta di una cadu-ta libera nel ricordo, dove la linea-rità del tempo si perde nel para-dosso del matematico tedesco Moebius, a cui l'autore è debitore del suo pseudonimo: un nastro ritorto dove l'inizio e la fine della storia coincidono in maniera capo-volta. Jean Giraud si identifica con la sua doppia maniera di disegna-re e raccontadisegna-re: il tratto epico e iperrealistico dell'autore di

Blue-berry e la visione mitica e

fantasti-ca delle tavole di Moebius. I suoi ricordi, nonostante l'assenza di da-te, spaziano dalla banlieue parigi-na durante l'occupazione tedesca alla guerra d'Algeria e al viaggio nel Messico anni cinquanta con la scoperta del jazz, delle droghe, dell'arte e del sesso, per poi soffer-marsi sulle esperienze legate all'at-mosfera del Sessantotto francese, vissuto attraverso un nuovo modo di fare fumetto, di rottura rispetto alla tradizione franco-belga dei dopoguerra. Emerge inoltre la ne-cessità di scoperte filosofiche estreme accompagnate dalla ricer-ca di maestri da seguire, come nel caso del rapporto discepolare con il regista Jodorowski. Giraud utiliz-za quindi l'autobiografia come rive-lazione del proprio doppio, ma la li-bera traduzione del titolo italiano ri-sulta inappropriata: "Il mio doppio io" è ben lontano dall'intimo lega-me tra narrazione e rivelazione che si cela nel più distaccato Histoire

de mon doublé.

IVANA BOSSO

per antico pelo", che spinge la sua barca su un Acheronte paludoso; le anime di Paolo e Fran-cesca che volteggiano nella bufera infernale; le schiere dei prodighi e degli avari che si scon-trano spingendo i loro enormi pesi; il lumino-so Meslumino-so celeste che apre ai due pellegrini le porte della città di Dite; l'immagine - vera-mente meravigliosa - di Farinata degli Uberti che emerge dal sepolcro in fiamme; la figura mostruosa di Gerione che sale dal baratro in cui precipita il Elegetonte; la pattuglia dei dia-voli; la metamorfosi di Vanni Eucci, morso dal serpente "là dove '1 collo a le spalle s'annoda"; le anime di Ulisse e Diomede che ardono in una sola fiamma; i seminatori di scandali e di scismi, squartati e decapitati; il conte Ugolino, immerso nel Cocito ghiacciato e intento a di-vorare il suo "fiero pasto".

L'emozione è tale, nel vedere queste tavo-le, da far sperare che Mattotti voglia un gior-no rimettere magior-no all'impresa e illustrare anche le altre due cantiche. Perché - anche senza tentare paragoni imbarazzanti - si è di-mostrato un illustratore di Dante sicuramen-te degno di essere ricordato nel sicuramen-tempo.

P A O L O FRANCESCO PIERI, Dizionario

junghiano, pp. 832, Lit 150.000,

Bolla-ti Boringhieri, Torino 1999

Il pensiero di Jung si situa allo snodo di diversi saperi: psicologico e psichiatrico sul versante clinico, ma anche filosofico, antropologico, storico, mitico, religioso. Il linguag-gio che ne deriva è dunque preso a prestito da diversi ambiti, e reso omogeneo nel crogiolo dell'autore. Utile quindi un vocabolario che ab-bia come scopo inventariare i termi-ni usati, rintracciarne la storia e le variazioni di significato, le eventuali differenze rispetto all'uso comune o proprio di altre discipline. Pieri ha fornito uno strumento di consulta-zione storicamente radicato di una rete concettuale articolata come la psicologia analitica di Jung, co-struito secondo uno schema meto-dologico rigoroso nell'impianto ge-nerale e nello svolgimento delle sin-gole voci, e affiancato da un Cd-Rom (purtroppo solo Ibm compati-bile) che comprende una bibliogra-fia accurata e permette approfondi-menti secondo percorsi sia liberi sia prestabiliti. Ne risulta un'opera di 700 voci, per la quale l'autore si è valso della collaborazione, oltre che di Umberto Galimberti, autore del Dizionario di Psicologia edito dalla Utet nel 1992 e riedito nelle Garzantine nel 1999 (cfr. "L'Indice", 2000, n. 3), di Mario Trevi per la psi-cologia analitica, Maurizio Ferrara per la psichiatria, Eugenio Borgna per la psicopatologia, Luciano Me-cacci per la psicologia, Carlo Sini per la filosofia, Silvano Tagliagam-be per l'epistemologia. Ma fatto uno sforzo enciclopedico di questa portata per quel che riguarda il les-sico della ples-sicologia analitica, per-ché non integrarlo anche con voci sugli autori che assieme e dopo Jung hanno contribuito a sviluppar-ne il pensiero?

ANNA VIACAVA

PATRICK J . M A H O N Y , Freud e Dora. Storia e psicoanalisi di un testo

freudia-no, ed. orig. 1996, trad. dall'inglese di

Alessandra Olivieri, introd. di Riccar-do Steiner, pp. 194, Lit 28.000, Einau-di, Torino 1999

Sul caso Dora si è scritto molto: più di cinquecento contributi critici precisa Steiner nell'introduzione. Nonostante ciò, Patrick Mahony rie-sce a suscitare un nuovo interesse su Freud e Dora, organizzando il proprio contributo a strati, in una sor-ta di gioco che ricorda quello delle

matrioske russe. Nel 1900 Freud

ac-colse Dora nel suo studio pensando di guarirne la depressione attraver-so la comprensione dei sintomi. Il progetto naufragò in meno di tre me-si. Mahony, attraverso un'accurata ricerca storica, tesse, per questo fal-limento, una trama di ipotesi che connettono quelli che oggi appaiono come difetti di comprensione con le vicende psichiche e storiche di Freud stesso. In particolare ritorna su uno degli elementi chiave del ca-so - la mancata comprensione del transfert omosessuale sulla signora K (amante del padre di Dora) - e lo riconduce alla problematica amici-zia tra Freud e Fliess. L'autore cerca conferme alle sue ipotesi, non solo in ciò che è esplicitamente narrato, ma anche nel linguaggio e nella

struttura narrativa del resoconto cli-nico. La ricerca dell'autore viene contestualizzata nella Vienna di ini-zio secolo, dove le asimmetrie della relazione tra i sessi poterono costi-tuire una delle radici dei molti traumi a cui Dora fu esposta. Non trascura-bile quello scaturito dall'analisi con Freud, che finì per accusarla di "non voler donare il suo scrigno di gioielli a Hans (il signor K.) per paura di lui e ancor più di sé stessa". Con la sensibilità di oggi potremmo dire che Freud finì per colpevolizzare la vittima. Sappiamo anche, peraltro, l'impossibilità di cogliere, agli albori della psicoanalisi, la profondità delle vicende pre-edipiche di Dora, il suo tentativo di radicarsi in una genealo-gia femminile dentro cui sviluppare una sufficiente sicurezza per simbo-lizzare il proprio malessere. Mahony cerca di "raddrizzare la storia", co-me afferma nel primo capitolo. Ma alla fine del libro, dopo tante ipotesi interpretative, rimane l'impressione che Dora - la più piccola delle

ma-trioske - rimanga al centro di tutta la

vicenda, senza la possibilità di esse-re aperta, custode del segesse-reto della propria vita, di quel desiderio - che oggi interpreteremmo - di un ab-braccio materno in cui trovare la propria collocazione.

ELENA MOLINARI

A N T O N I N O F E R R O , Prima Altrove Chi,

presentaz. di Aurelio Principato, ili. di Claudia Melotti, pp. 159, Lit 28.000, Boria, Roma 2000

Mi diverte pensare che Magritte, o forse Mirò, avrebbe dedicato un quadro a questo libro, e che il qua-dro si sarebbe potuto intitolare "ce-ci n'est pas psychanalyse". A diffe-renza degli scritti precedenti di Ni-no Ferro (cfr. "L'Indice", 1992, n. 8; 1996, n. 6; 1999, n. 7/8), questo in-fatti non è un libro di psicoanalisi. Il guaio è che, ancor più degli scritti citati, questo non è altro che un bro di psicoanalisi. Meglio, è un li-bro in cui alcuni elementi della psi-coanalisi si sono animati di vita propria e sono diventati piccole creazioni letterarie, aforismi, epi-grammi, racconti brevissimi e bre-vi, nonché illustrazioni. Il lettore vie-ne condotto fra le righe di un testo che ha visto probabilmente la luce nella caliginosa, perturbante zona di confine tra sonno e veglia, tra realtà e fantasma, tra salute e ma-lattia. Un testo ritmato sulle polirit-mie affannose dei sogni, nel quale si è sempre in bilico fra molti mon-di possibili. Nei corso mon-di questo viaggio il lettore incontra una folla di personaggi incredibili, in ballot-taggio fra Alice in Wonderland e

DEI LIBRI DEL MESE

Hannibal: salami che divengono

bassotti, "bambuomini" impatacca-ti d'oro e simpatacca-tilografiche, amiche inopportune opportunamente sur-gelate, amanti in conserva di po-modoro, rei confessi impuniti. I pro-fumi e i sapori del racconto sono quelli della Sicilia nativa, ma la to-nalità di fondo è viola angoscia (ar-ti mozza(ar-ti, sangue a profusione, tessuti in putrefazione) con una spruzzatina di noir franco-inglese e un po' di quella irriproducibile con-dizione meteorologica - non è nebbia, non è pioggia, non è null'altro -che nella Pavia adottiva dell'autore viene detta scarnebia. Il libro è, for-se, anche qualcos'altro, di più spe-cificamente psicoanalitico; riguar-da alcune trasformazioni che è ne-cessario avvengano nella coppia al lavoro, ma che quasi sempre oc-corre custodire a lungo altrove, pri-ma che possano divenire parole nella stanza d'analisi. E su queste trasformazioni, io credo, non si può che - provvisoriamente - tacere.

PIERLUIGI POLITI

PIERANGELO D I VITTORIO, Foucault e Basaglia. L'incontro tra genealogie e

movimenti di base, pp. 170, Lit 25.000,

Ombre Corte, Verona 1999 Questo libro di Pierangelo Di Vit-torio non è solo un intelligente omaggio letterario a due uomini che da versanti diversi ma complemen-tari (quello della filosofia storica da una parte e quello della sperimenta-zione storica dall'altra) hanno per-messo di abbattere le mura dell'in-ternamento psichiatrico in Italia e in Europa. Oltre a fornire una lettura critica del pensiero del filosofo fran-cese accompagnata da un reso-conto partecipato dell'imponente opera di deistituzionalizzazione del-lo psichiatra italiano, questo saggio si presenta anche come una docu-mentata monografia su Foucault e Basaglia e, soprattutto, sulla con-vergenza del loro percorso umano e professionale. Quella che Di Vittorio definisce la "strana somiglianza" tra Foucault e Basaglia non riguarda unicamente il riconoscimento dei punti di contatto tra le riflessioni sto-rico-filosofiche dell'uno e i presup-posti epistemologici da cui muove la riforma psichiatrica dell'altro. Si basa altresì sul riconoscimento del ruolo centrale giocato dal contesto politico, economico e culturale in

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