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La prima parte del presente lavoro si prefigge lo scopo di analizzare le premesse alla nascita del movimento ucrainofilo, sulla base della più accreditata storiografia sull’argomento, sia recente ed aggiornata che –per così dire- “classica”, allorquando a mio giudizio questa conservi ancora spunti di interesse ed originalità. Sono stati presi in considerazione sia i contributi della scuola sovietica, quanto quelli “occidentali” in genere, ivi considerati quelli della diaspora: solo recentemente, infatti, tale distinzione ha cessato di essere d’attualità, mentre nel passato troppo a lungo queste due macro-branche non hanno dialogato tra loro, se non in minima parte. Tuttavia, chi oggigiorno intendesse studiare tali fenomeni, deve saper maneggiare questi materiali pubblicati nel corso del Novecento, qualitativamente il più delle volte di ottima fattura, ma con la consapevolezza di quanto fosse stato pressante, sino al recente passato, il condizionamento ideologico in sede interpretativa.

L’area ucrainofona indagata nel corso del saggio, in particolare, detiene una caratteristica determinante: in ragione di diverse dinamiche storiche, qui venne a lungo a mancare il ruolo attivo svolto dalle élites (anche a fini di affermazione nazionale), la cui posizione, anzi, fu per molto tempo caratterizzata da un atteggiamento nei confronti del potere imperiale estremamente lealista, quando non direttamente e marcatamente centripeto.

Nel corso dello svolgimento della prima parte del lavoro si dirà, tra l’altro, del modo (o dei modi, viste e registrate le non poche tendenziali variazioni nel corso dell’Ottocento) in cui lo Stato conformò la propria politica nei confronti della periferia malorussa, imperniato sulle ragioni della “nazionalità ufficiale”, le quali portavano a ritenere l’insieme delle popolazioni slave-orientali –curiosamente in simbiosi con la nascente sensibilità slavofila- parte di una unica “nazionalità russo-comune”.

Nel secondo paragrafo, l’intendimento sarà semplicemente quello di prendere in considerazione una serie di dati anagrafici, al fine di valutare la consistenza quantitativa della popolazione ucrainofona, la sua disposizione geografica sul territorio, in particolare al fine di meglio comprendere il suo rapporto con l’elemento grande-russo, intorno al quale era plasmato e si reggeva l’Impero zarista, benché multinazionale sin nella sua definizione di Rossijskaja Imperija. Molti fra questi dati verranno forniti in una prospettiva diacronica, per meglio permettere una più globale

comprensione delle problematiche relative al tema nazionale ucraino, pure se ciò parrebbe in teoria esulare rispetto alle finalità della presente trattazione.

Infine, verranno già introdotte alcune delle considerazioni che si dimostreranno centrali nell’economia del successivo sviluppo della dissertazione, argomentate in relazione alle questioni della lingua, della sua codificazione e dell’alfabetizzazione dei sudditi piccolo-russi.

1.1) L’Impero multinazionale zarista e gli Ucraini: una questione di élites

“Che cos’è l’Ucraina?”4: proprio così, in modo volutamente provocatorio, intitolarono il primo volume della collana “Ucrainica-Italica” i curatori dell’opera. Le ambiguità e le difficoltà connesse al percorso di auto-identificazione nazionale con cui dovettero fare i conti i sudditi ucrainofoni dell’Impero zarista nel corso dell’Ottocento costituiscono il nucleo tematico centrale del presente lavoro: per molto tempo la problematica dell’autoriconoscimento di un “noi” collettivo quale comunità nazionale, caratterizzata da peculiarità storiche, culturali e linguistiche squisitamente originali, si dimostrò una questione sfuggente, e spesso marginale rispetto alle esigenze economiche, sociali e politiche nutrite dalle masse ucrainofone che costituivano la maggioranza della popolazione nell’area dei cosiddetti Governatorati Sud-occidentali, sia pur con un peso demografico variabile all’interno delle differenti regioni5.

La comunità linguistico-nazionale che andò progressivamente configurandosi quale nazionalità ucraina elaborò con un certo ritardo il passaggio –tipicamente “risorgimentale”- da “popolo” a “nazione”6, ovvero a comunità consapevole delle

4 Che cos’è l’Ucraina? Що таке Украïна?, L. Calvi, G. Giraudo, Padova, E.V.A., 1998. Mutatis

mutandis, una questione del genere potrebbe essere posta in termini simili a proposito di ciascun’altra

nazione europea in via di formazione nel corso dell’Ottocento.

5 Tale groviglio apparve a lungo inestricabile se persino la Santa Sede, per tradizione molto ben informata in fatto di geo-politica, in piena epoca sovietica avvertì la necessità di redigere il seguente documento, focalizzato sull’esigenza di chiarire ciò che, per nazionalità, fosse di pertinenza della Russia, rispetto a ciò che era riconducibile alla più ignota Ucraina: “non parvam hic confusionem

attulit illa nominis «Russia» historia. Haec ante saec. XV indubia, at usque at saec. XVIII bene distinta. Temporibus recentoribus turbata est, ob illa; saeculi XVIII nominum permutationem. Moscovia fit Russia, Russia-Ucraina, quae nomina sunt hodie in quotidiano usu. Est praeterea et alter confusionis fons: ratio politica, qua Moscovia et Ucraina communi veniunt nomine «Russiae»”,

in Documenta Pontificium Romanorum historia Ucrainae illustrantia, I, Romae, 1953, p. XV, cit. in G. GIRAUDO, La Piccola Russia, il Grande Fratello, il Santo Padre, in «Ricerche Slavistiche», Vol. XXXVIII, Venezia, La Fenice Edizioni, 1991, p. 206.

6 Cfr. A. GRAZIOSI, Dai Balcani agli Urali. L’Europa orientale nella storia contemporanea, Roma, Donzelli, 1999. Va in questa sede specificato che in lingua russa, lingua ufficiale di questo Impero dalla struttura multinazionale, la distinzione terminologica fra i concetti di “popolo” e “nazione” non è così diretta, in quanto risulta essere alquanto vasto il repertorio di termini russi in grado di tradurre queste espressioni, sia pur con sfumature diverse. Il termine народ (narod), se originariamente contrassegnava semplicemente una “moltitudine”, la “gente” in generale, sin dall’Ottocento ha progressivamente ampliato la sua gamma di significati, passando ad indicare pure il “popolo”; da questo significato a quello di “nazione” il passaggio si è rivelato breve. Su questa radice fu scientemente coniato per opera del principe Vjazemskij l’espressione народность (narodnost´), rintracciabile per la prima volta nel 1819 in una lettera ad A. Turgenev: nelle intenzioni di Vjazemskij, essa doveva veicolare, sul calco della voce polacca narodowość, i concetti contenuti nella parola francese nationalité, per poi assumere, in piena temperie romantica, i connotati del

proprie specificità linguistiche, culturali e, conseguentemente, politiche. Tale ritardo caratterizzò il completamento dello sviluppo nazionale ucraino pure in relazione alle altre nazionalità non dominanti soggette all’Impero zarista, il cui asse si fondava sull’elemento russo7, multinazionale per definizione8.

sostantivo tedesco Volsktum, “spirito del popolo”; cfr.: A. FERRARI, La foresta e al steppa. Il mito

dell’Eurasia nella cultura russa, Milano, Scheiwiller, 2003, p. 33, n° 47; A. WALICKI, Una utopia conservatrice. Storia degli slavofili, Torino, Einaudi, 1973 [or.: W kręgu konserwatywnej utopii. Struktura i przemiany rosyjskiego słowianofilstwa, Warszawa, Państwowe Wydawnictwo Naukowe, 1964], p. 65, n° 74. Come si vedrà più diffusamente in seguito, il concetto di narodnost´ sarebbe stato ripreso dal Ministro Uvarov, il quale lo volle rendere un o dei pilastri della sua teoria della “nazionalità ufficiale”. In russo, altri termini di significato affine sono “родина” (rodina), termine che conserva nella sua radice il concetto di “род” (rod, gente, stirpe), evocante i concetti di famiglia, parentela, nascita; “отечество”, traducibile con la voce italiana “patria”, deriva direttamente da “отец” (otec, padre); di conio moderno, formato sul calco latino, è il sostantivo нация (nacija), il quale indica la nazione. Interessante a questo riguardo una considerazione di Calvi, secondo il quale il termine язык “oltre a lingua, indica in slavo-ecclesiastico anche popolo, nazione. Traduce nelle

Scritture il termine έθυος”, in I Libri della genesi del popolo ucraino, a cura di L. Calvi, in «Annali di Ca’ Foscari», XXXII, n° 1-2, Venezia, 1993, p. 124, n° 36.

Fa problema il fatto che, in italiano, anche la voce “popolo” possa venire correttamente tradotta in russo con narod. Consapevole di tale ambiguità, negli anni Quaranta dell’Ottocento Vissarion Belinskij si spese per discernere linguisticamente i due ambiti semantici: “«esiste una differenza –egli

affermava- tra una nazione nel suo stato naturale, patriarcale e spontaneo, e quella nazione nel suo sviluppo storico». Nel primo caso, una nazione non è ancora una nazione (nacija), ma unicamente «popolo» (narod). La stessa scelta di questa terminologia non appariva casuale: la parola narodnost´

[...] aveva infatti all’epoca diN icola I una risonanza conservatrice, mentre la parola racional´nost´,

grazie alla sua etimologia francese, sin ricollegava alla rivoluzione francese e e a quei movimenti nazionali democratico borghesi che essa aveva creato. Così la differenziazione fra «popolo» e «nazione», elemento «popolare» ed elemento «nazionale» divenne la base della visione di Belinskij del processo di evoluzione storica della Russia”, WALICKI, Una utopia conservatrice…, cit., pp.

392-393.

7

Sulla questione realtiva al concetto di “Rossija”, nonché a quelli, ad esso collegati, di “russkij” e di “Imperator rossijskij”, -ma non a quello di “Rus´”, invero troppo “scabroso” e complesso, oltre che legato ad un troppo lontano passato medievale per poter essere preso in considerazione in questa sede- si sofferma pure Imart: “que signifie, que réprésente, que recouvre ce concept, extensible et

flou, de Rossia? Fait-il référence […] au seul habitat et à la seule ethnie des Russes, comme «France» ou «Espagne» fait réference au seul habitat, à la seule nation, au seul État des Français, des Espagnols, etc.? Mais Kiev fut fondamentalement multinational, la Moscovie (une, parmi trois autres Rous) était infranationale, l’Empire qui suivit immédiatement avec Ivan le Terrible largement supranational et tout fut mise en œvre dans une U.R.S.S. supra -et surtout anti-nationale pour que la majésteuese évocation de la «Grande Rous» [alla Velikaja Rus´ fa riferimento anche l’inno sovietico

–testo di S. Michalkov e Registan, musica di Aleksandrov- cui qui allude Imart. Sul tema della apparentemente paradossale continuità fra Rus´, Impero Russo e Unione Sovietica, cfr.: GIRAUDO,

Le continuità dimenticate, in «Studi in onore di Riccardo Picchio offerti per il suo ottantesimo

compleanno», a cura di R. Morabito, Università degli Studi di Napoli-L’Orientale, Dipartimento Studi dell’Europa Orientale, Napoli, D’Auria, 2003] invite à célébrer, plûtot qu’un peuple

apparemment porté aux nues, l’ancêtre mythique de l’État-Parti et à nourrir une loyauté ultranationale, dite «patriotisme soviétique»”, G. IMART, Preface, in A. KAPPELER, La Russie. Empire multiethnique, Paris, Institut d’Études Slaves, 1994, p. 7 [or.: Russland als Vielvölkerreich:

entstehung, Geschichte, Zerfall, München, C.H. beckßsche Verlagsbuchhandlung, 1992]. A proposito della articola storia di toponimi ed etnonimi, sia di origine laica che ecclesiastica, presenti nell’Europa slavo-orientale, cfr. GIRAUDO, Слово Русь и связанные с ним термины, pro

manuscripto.

8 Per definizione in quanto, sin nell’amplia titolatura, dal tempo di Pietro I in avanti, lo car´ si autointitolava “Imperator Vserossijskij”: tale attributo, intraducibile in modo diretto, in italiano viene generalmente reso, con buona dose di approssimazione, “di tutte le Russie”, e si riferisce a ciò che si

Secondo il noto schema generale proposto da Hroch9, cui gli storici dell’idea di nazione hanno fatto ampliamente ricorso, lo sviluppo10 del sentimento di autocoscienza nazionale all’interno delle comunità che non avevano ancora portato a compimento la realizzazione del proprio Stato nazionale doveva attraversare un complesso percorso evolutivo, prima di sfociare ad un esito positivo, originariamente nient’affatto scontato in un contesto in cui l’Europa orientale –come quella centrale e quella balcanica- erano governate da grandi imperi pluri-nazionali. Tale schematizzazione può risultare certamente utile in generale anche se, secondo Graziosi, mette in luce delle rigidità eccessive nel momento in cui pretende di identificare in maniera oggettiva tutte le diverse questioni nazionali, che in realtà si costituirono quale frutto di una costante reinterpretazione soggettiva11. Ad ogni modo, lo schema di Hroch offre una interessante chiave di lettura generale, utile a comprendere come, nel volgere di un secolo, si fosse passati da un sistema incentrato sull’Ancien Régime, nel quale i grandi imperi multinazionali si affiancavano a solide monarchie tendenzialmente nazionali, ad un’“Europa delle

riferisce alla sfera del potere statale, a ciò che è pubblico. Tale aggettivo è privo di qualsivoglia riferimento etnico.

Tale espressione differisce dalla voce “russkij”: derivata dal toponimo “Rus´”, è passata a designare esclusivamente ciò che riguarda la comunità etnico-culturale russa, e non più l’insieme delle popolazioni slavo-orientali che condivisero la medesima origine medievale.

Si è rossijskij in quanto sudditi dello Carstvo, indipendentemente dall’etnia; si è russkij per nazionalità, lingua, sangue (categoria, quest’ultima, prettamente ottocentesca, e oggi piuttosto smitizzata): in questo caso, russi.

La questione è sinteticamente sintetizzata da Kappeler, il quale sottolinea la centralità del legame fra autocrazia e sudditi, a prescindere da quella che fosse la loro origine nazionale, vero cemento dell’Impero zarista: “come per altri stati pre-moderni, la popolazione della Russia era unita dal

sacro sovrano e dalla sua dinastia. La Russia era un impero sopranazionale denominato con il termine ufficiale di rossijskaja imperija, da distinguersi dalla definizione etnica di russkij (russo). I concetti di autocrazia zarista e di impero russo erano strettamente connessi. La perdita di autorità su una parte dell’impero veniva percepita come una minaccia per il governo autocratico. La lealtà politica costituiva il legame più importante tra lo zar e i suoi sudditi”, A. KAPPELER, Centro e periferia nell’Impero russo, in «Rivista Storica Italiana», Torino, Edizioni Scientifiche Italiane, Anno

CXV, fasc. II, agosto 2003, p. 422.

9 M. HROCH, La nascita del nazionalismo, in Storia d’Europa. L’età contemporanea, secoli XIX-XX, a cura di P. Bairoch, E. Hobsbawm, Torino, Einaudi, 1996, pp. 1425-1448.

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In questa sede risulta adeguato il ricorso al più asettico termine “sviluppo”, piuttosto che a “risveglio”, dalle più evidenti implicazioni ideologiche, oltre che maggiormente connesso con la cultura politica risorgimentale, con la sensibilità romantica, ma spendibile pure in un’ottica incline al positivismo darwiniano. Secondo il punto di vista dei liberali ottocenteschi, le nazioni europee si sarebbero configurate alla stregua di entità innate, che proprio l’intellettuale, animato da un’incrollabile Sensucht, avrebbe dovuto riscoprire. O, per l’appunto, risvegliare. Sulla genesi dei movimenti nazionali, cfr.: F. CHABOD, L’idea di nazione, Roma-Bari, Laterza, 1996 [or.: 1961], pp. 23-26.

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nazioni” progressivamente orientatasi verso gli ideali del liberalismo e della democrazia12, come preconizzato da Mazzini13.

Durante il primo stadi dell’emancipazione nazionale, definita da Hroch “fase A”,

“le energie degli attivisti vengono soprattutto impiegate sia nell’indagine conoscitiva sulla consapevolezza degli attributi linguistici, culturali, sociali e talvolta storici del gruppo etnico non dominante, sia nell’opera di diffusione di tale consapevolezza”14.

Inizialmente, stando a quanto asserito da Hroch, i prodromi del potenziale, successivo sviluppo del concetto di appartenenza ad un insieme comune erano incubati presso le sole élites della nazione non dominante le quali, coltivando un amore “filologico” per la propria comunità etnico-linguistica (nazione in fieri), si limitavano a prendere in considerazione i soli aspetti prettamente culturali e storici connessi alla stessa. Tale fenomeno, che avrebbe accomunato sostanzialmente ogni area d’Europa, finendo con l’acquisire una valenza politica, si sarebbe manifestato in tempi diversi, a seconda della maturità culturale delle intellettualità locali più sensibili nei confronti della nuova onda del pensiero risorgimentale: come si vedrà dettagliatamente, questo fenomeno si sarebbe realizzato abbastanza tardivamente in area ucraina, proprio in ragione della già menzionata esiguità di un notabilato che

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Nell’ambito di un discorso sin qui generale, che a mo’ di volo di uccello, consideri l’evoluzione politica cui andò incontro il sistema europeo di Stati nel corso dell’Ottocento, occorre sottolineare come l’idea di Stato nazionale sia parzialmente contraddetta dalla sua stessa aporia, ovvero la minoranza etnica.

È opportuno sottolineare in questa sede introduttiva come l’aggettivo “etico” derivi dal sostantivo greco-antico “ethnos” (έθυος). Secondo Rocci, tale voce può essere tradotta con “razza”, “moltitudine”, “torma”, “gente”, “popolo”, “tribù”, “stirpe”. Ribadito che la nascita del concetto di nazione va ascritto all’Ottocento, va sottolineato che, in epoca pre-nazionale, la voce ethnos appare sostanzialmente ambigua, e politicamente malleabile a seconda degli orientamenti di chi vi faccia ricorso, in quanto tiene insieme l’idea di collettività cosciente dei propri valori condivisi con uno, più neutro, di massa generica, priva di coesione. Pur con la consapevolezza data dal fatto che, nel Novecento, l’espressione “etnia” avrebbe finito con l’assumere una connotazione intrisa di un significato razziale, in questo saggio vi si farà ricorso sulla base del suo significato Ottocentesco di sinonimo di “nazionale”, “pertinente alla nazione”; cfr.: L. ROCCI, Vocabolario greco-italiano, Società Editrice Dante Alighieri, 1987, p. 544. Si tenga infine presente che, nella lingua greca moderna, “ethnos” significa propriamente “nazione”.

13 L’Europa vagheggiata da Mazzini preconizzava “uno Stato per ogni nazione”; cfr.: E.J. HOBSBAWM, Nazioni e nazionalismi dal 1780. Programma, mito, realtà, Torino, Einaudi, 1991 [or.: Nations and Nationalism since 1780, 1990], p. 119.

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intendesse spendersi in chiave nazionale15. In ragione di ciò, in Ucraina si manifestò con una certa lentezza il passaggio verso gli ulteriori approdi:

“in un secondo periodo, o fase B, attivisti di nuovo tipo cercano di acquisire il maggior numero possibile di appartenenti al proprio gruppo etnico e al progetto di creazione di una futura nazione, «risvegliandone» una vecchia”16.

Si può affermare che tale stadio coincida, nel caso in oggetto, con la salita alla ribalta intrapresa dalla “Confraternita Cirillo-Metodiana”17, formata da un gruppo di intelligenty ucrainofili e slavofili, coagulatisi nel 1846 presso l’Università di Kiev, in particolare intorno alla figura dello storico Nikolaj Ivanovič Kostomarov. I

membri della Confraternita (detti Bratčiki, “Confratelli”) ambivano a diffondere la fede nei confronti dell’ideale di emancipazione della nazione ucraina, da realizzarsi all’interno di una contestuale federazione panslava, vagheggiata come democratica ed irenica, privata della figura dello car´ e senza nobili, ispirata ai principi evangelici.

15 Si dirà di come le élites presenti in Ucraina, in gran parte polonizzate nell’area occidentale e russificate in quella orientale, risultassero nell’Ottocento abbondantemente assorbite nella struttura dell’Impero zarista cui, in cambio del mantenimento dei privilegi di ceto, dovevano garanzie di lealtà: “in the early nineteenth century, the Ukrainians seemed fully integrated”, A. WILSON, The

Ukrainians. Unexpected Nation, New Haven-London, Yale University Press, 2000, p. 78.

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HROCH, La nascita del nazionalismo, cit. p. 1431.

17

Kirilo-Mefodivskoe Bratstvo (rus.), Kyrylo-Mefodivs´ke Bratstvo (ukr.): questa fu la “prima

organizzazione ad indirizzo politico esistente in Ucraina”, in I Libri della genesi del popolo ucraino,

cit., p. 103. La denominazione che gli adepti di tale associazione ucrainofila scelsero per sé molto probabilmente rimanda all’esperienza delle confraternite laiche che furono animate, nel Sei-Settecento, da soggetti slavo-orientali sudditi del regno polacco-lituano: sorte dopo l’Unione di Brest (1596), queste confraternite si dettero il compito di difendere l’ortodossia cristiana, oltre che di svolgere attività caritative e di mutuo soccorso di diverso genere. Tra l’altro, queste associazioni venivano a formare al contempo dei centri culturali piuttosto vivaci, i quali promuovevano lo scambio di idee e favorivano la circolazione delle opere letterarie; presso le stesse venivano istruiti i futuri maestri di scuola, incaricati poi di diffondere l’alfabetizzazione fra gli Slavi-orientali della

Rzeczpospolita. Paradossalmente, dopo che questi territori entrarono a far parte dell’Impero zarista in

seguito alle spartizioni della Polonia, il Santo Sinodo si premurò di sopprimerle, in quanto la l’autorevolezza progressivamente acquisita da queste confraternite le rendeva potenzialmente pericolose per la Chiesa di Stato. L’inizio del Seicento si configurò quale periodo di grande fioritura culturale presso i territori sud-orientali della Rzeczpospolita, soprattutto per merito dell’attività svolta dall’Accademia di Kiev, istituita dal dotto metropolita Petro (Pëtr/Petru) Mohila (Mogila/Movila). Ricorda Lami che, “sostenute sia da laici che da ecclesiastici, sorgevano nelle cottò ucraine

confraternite ortodosse sul modello occidentale, che a loro volta davano vita a scuole, a stamperie, creando un ambiente favorevole al mantenimento di un senso identitario ucraino”, LAMI, La questione ucraina fra ’800 e ’900, Milano, CUEM, 2005, pp. 19-20.

Dato che i Confratelli operavano all’interno dell’Università di Kiev, in un contesto sociale ancora alquanto bloccato, nel quale quasi solo i figli dei nobili avevano accesso alle alte sfere dell’istruzione, e tenuto conto del livello sociale e culturale poco evoluto e scarsamente articolato delle masse ucraine del tempo, l’attività promossa dal gruppo incontrò una radicale opposizione da parte delle autorità statali, e sostanzialmente fallì nell’impresa di diffondere massicciamente il proprio credo fra le masse, rimaste sostanzialmente estranee al loro insegnamento, benché ne costituissero il vero fulcro della loro attenzione.

Infatti, ricorrendo a prorpia volta alle categorie proposte da Hroch, Kappeler puntualizza che

“ce ne fut que dans les années 1890 que le mouvement national

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