Nonostante i suoi impegni lo trattengano ormai a Roma per la maggior par- te del tempo, Colonnetti mantiene per tutti gli anni Cinquanta continui e stretti contatti con l’ambiente torinese. Ogni volta in cui torna nel “suo” Po- litecnico, è accolto con unanimi manifestazioni di entusiasmo, sia da parte degli studenti che dei docenti. Ricorda per esempio Cesare Merlini: “L’ho
visto la prima volta quando ero studente al Politecnico (direi 1954), men- tre teneva, fuori programma, alcune lezioni di scienza delle costruzioni, l’aula pienissima di studenti di ogni corso. È un ricordo vivo perché quel- le conversazioni a un uditorio volontario, attento ed entusiasta, mi hanno dato l’occasione, ahimé non frequente, di sentire il rapporto maestro-al- lievo nel suo senso più vero, senza autorità e senza sopportazione”77.
Al compimento dei settant’anni, nel 1956, Colonnetti lascia per so- praggiunti limiti d’età la presidenza del CNR, di cui resta comunque pre- sidente onorario.
A partire da questa data torna a dimorare stabilmente in Piemonte, al- ternandosi tra Pollone e Torino, dove accetta di assumere la presidenza della Reale Mutua Assicurazioni del Piemonte (1951-1967), al solo fine di esaltare “la mutualità concepita come senso di reciproca solidarietà
umana”78.
Ancora pienamente attivo, nel 1961, in occasione delle celebrazioni del primo centenario dell’Unità d’Italia, cura per le edizioni Tallone il volu- me Grandi Primati Italiani, che illustra le principali invenzioni e scoper- te tecnico-scientifiche dovute a scienziati italiani.
Agli anni Sessanta risalgono i suoi due ultimi importanti progetti scientifici: quello per il consolidamento della Torre di Pisa e quello per il salvataggio dei templi di Abu Simbel, a seguito della vittoria di un con- corso internazionale bandito dall’UNESCO. Dopo aver compiuto nume- rosi viaggi di studio e di ricognizione sul posto, Colonnetti e il collega Riccardo Morandi presentano un progetto di salvataggio che prevede il completo sollevamento dei templi. Tale progetto non è però accolto, es- sendo considerato troppo dispendioso. La scelta cade su una soluzione più economica, anche se più invasiva, consistente nel taglio e nel rimontaggio dei templi in una posizione sopraelevata.
I Colonnetti trascorrono ormai la maggior parte dell’anno nella loro villa di Pollone e a questo piccolo paese che tanto amano decidono di la- sciare un ultimo dono: una biblioteca, poi intitolata a Benedetto Croce, di cui possano servirsi, nella stessa misura, studenti e bimbi, intellettua- li e contadini79. Viene quindi costituita la Fondazione Alberto Colonnetti,
in ricordo del figlio scomparso nel 1933, volta a creare una biblioteca per bambini, contenente tutti quei testi che il piccolo non aveva potuto legge- re. Nasce in questo modo il primo nucleo della biblioteca “Croce” di Pol-
78 Alberto Francesco Muratore, in AA.VV. 1973, p. 96.
79 Enza Mellano, in AA.VV. 1973, p. 90. Racconta un amico di famiglia (Ivano Maffeo, in AA.VV.
2000, p. 98): “Era piacevolissimo constatare le premure di donna Laura nel dare informazioni e con-
sigli agli utenti. Nel darli e… nel riceverli. ‘Madama Colonnetti, lo deve leggere anche lei, è di un bel- lo!’. La raccomandazione le era giunta da un’anziana contadina, avida lettrice, al momento di restitu-
lone: oltre 8000 volumi, “una delle più belle biblioteche pubbliche mi-
nori che vanti ancor oggi il Paese”80, dapprima ospitata nella dimora dei
Colonnetti e poi, dal 1960, in un edificio costruito tra il 1957 e il 1958 su progetto dell’architetto Leonardo Mosso.
L’ultimo anno della lunga vita consacrata da Colonnetti alla scienza e alla società è dedicato alle questioni generali che lo avevano visto impe- gnato dagli anni Trenta: i problemi della scuola e dell’Università ma, an- cor più, il tema della responsabilità degli scienziati di fronte al progresso tecnologico, per affrontare il quale organizza un convegno all’Accademia delle Scienze di Torino (13-14 giugno 1967). L’ansia e la missione di apo- stolato di Colonnetti, in quell’occasione, è stata rievocata da molteplici te- stimoni. Per dirla con Giuseppe Montalenti, presidente del Comitato Ta- lassografico del CNR, il grande scienziato “si volgeva ora a considerare
i valori etici della conoscenza scientifica e la responsabilità degli uomini di scienza, e con energia spirituale non fiaccata dalla mortificazione del corpo, e con la stessa viva passione dei suoi giovani anni, dettava, qua- si testamento spirituale, le linee programmatiche di una sorta di giura- mento ippocratico da chiedere agli scienziati […]. Egli apriva dinanzi al-
la mente dei suoi ascoltatori giovani e anziani una visuale sul futuro. E noi tutti persuadeva che dei destini dell’umanità e del bene e del male di cui saranno carichi, dobbiamo sentirci responsabili”81.
Per la sua portata, urgenza e attualità, questo tema preoccupa Colon- netti fino agli ultimi giorni di vita. Da un lato, con accenti quasi da pro- feta, egli indica nell’“inadeguatezza delle attrezzature culturali un sicuro
indizio”82 della crisi sociale e della rivolta giovanile che sta profilandosi
all’orizzonte, dall’altro si batte per ottenere, dalle Accademie scientifiche di tutto il mondo, un impegno morale a non impiegare le conquiste spa- ziali a fini bellici. Con quest’ultima iniziativa Colonnetti auspicava di riu- scire a “creare negli scienziati (e nei tecnici, che delle scienze curano le
applicazioni) una così sicura coscienza morale da impedire per sempre che la scienza e i suoi frutti potessero diventare strumenti di rovina e di
80 Virginia Carini Dainotti, in AA.VV. 1973, p. 74.
81 Giuseppe Montalenti, in AA.VV. 1973, p. 85. Cfr. anche Mario Alberto Chiorino, in AA.VV. 1973,
p. 73.
morte invece che di progresso e di vita. Pensava alla bomba di Hiroshi- ma, pensava alla potenza micidiale degli strumenti atomici, alla impor- tanza militare – come diceva Von Braun – che potevano avere i voli co- smici; pensava alla possibile fredda esecuzione di ordini disumani”83.
Con la richiesta ai colleghi di sottoscrivere questa sorta di “giuramen- to di Ippocrate”, Gustavo Colonnetti si congeda dal mondo scientifico, fi- ducioso nel fatto che la sua memoria non sarebbe “venuta meno nel cuore
di quanti ritengono che la vita è lavoro e che solo han diritto alla quie- te eterna coloro i quali passarono nella terra adempiendo alla legge del dovere”84.
Membro della Pontificia Accademia delle Scienze (1936), dell’Accade- mia Nazionale dei Lincei (corrispondente nel 1947, nazionale nel 1948), dell’Académie des Sciénces de l’Institut de France, dell’Accademia Po- lacca delle Scienze, dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Istituto Lombardo di Scienze, Lettere e Arti, insignito di quattro lauree honoris
causa dalle Università di Tolosa, Losanna, Poitiers e Liegi, Colonnetti si spegne a Torino il 20 marzo 1968.