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Un’impostazione alternativa di regolamentazione e supervisione

Data la crescente pressione esercitata sui ricavi dalle nuove tecnologie e da nuovi attori, il deficit di vitalità derivante dall’esercizio precedente è destinato ad ampliarsi e a divenire più diffuso, quindi sistematicamente più gravoso. Poiché il problema non concerne solo il sistema bancario italiano, 40 le crescenti preoccupazioni sulla redditività delle banche europee sta spingendo le autorità di vigilanza dell’area a focalizzare lo SREP sulla vitalità dei modelli di business. Tuttavia, è del tutto ancora incerta l’ampiezza dei poteri effettivi attribuiti dalla regolamentazione esistente ai supervisori per imporre misure correttive a banche con problemi di vitalità di lungo termine. Ricadendo nel secondo Pilastro, tali interventi sono al momento lasciati al giudizio discrezionale della vigilanza. Di norma esso è esercitato prescrivendo dosi addizionali di capitale e limiti alla

39 L’esempio degli USA è rivelatore poiché un più elevato RG/TA rispetto alla media

UE è il risultato di più alti costi unitari più che compensati da maggiori ricavi unitari.

40 L’insufficiente redditività discussa nella sezione 1 è stata confermata per le banche

tedesche di medie e piccole dimensioni dai risultati di un recente stress test operato dalla loro vigilanza nazionale (Deutsche Bundesbank, 2017).

distribuzione dei profitti, ma solo se la banca opera, o ci si aspetti che operi, al di sotto dei requisiti regolamentari e di vigilanza.41

Nonostante il significativo aumento dei coefficienti di capitale derivante dalla progressiva implementazione di Basilea 3 e da una vigilanza più severa, la vulnerabilità bancaria dovuta alla bassa redditività continua infatti a rappresentare un motivo di preoccupazione per le autorità pubbliche e per i mercati (IMF, 2017a; EBA, 2016). A circa dieci anni dallo scoppio della crisi, le banche europee presentano ancora un forte divario negativo fra il ROE e il rendimento richiesto dal mercato, che, rendendo difficile aumentare il capitale, accresce il rischio di sottocapitalizzazione quando si verifichino perdite inattese o in presenza di fasi recessive protratte. I più stringenti requisiti patrimoniali imposti dopo la crisi hanno ridotto la capacità delle banche di incrementare il ROE o con l’aumento del leverage o prendendo maggiori rischi nell’ambito dei margini di manovra lasciati dai coefficienti di ponderazione regolamentari. Nel contempo, il venir meno del supporto pubblico nella gestione delle crisi bancarie ha aumentato i rischi di instabilità sistemica derivanti da situazioni di fragilità idiosincratica (Persaud, 2014; Avgouleas e Goodhart, 2015; Micossi et al., 2016). In tale contesto, i problemi di stabilità finanziaria derivanti dalla bassa redditività delle banche rappresentano gli indesiderati effetti collaterali delle riforme regolamentari post-crisi.

Un’analisi coerente richiederebbe che la vigilanza considerasse la solvibilità come la capacità delle banche di generare flussi di cassa prospettici in misura sufficiente ad accumulare un robusto cuscinetto di sicurezza, ossia il capitale (Minsky, 1975). L’approccio prudenziale vigente rivela invece la sua impotenza di fronte al problema attuale della debole redditività delle banche. Se esse non sono in grado di generare adeguati profitti, maggiori requisiti di capitale tendono a peggiorare, anziché migliorare, la loro solvibilità di lungo periodo.42 L’obbligo di dotarsi di una capitalizzazione maggiore di quella che gli

41 Si veda ad esempio la Raccomandazione della BCE del 13 dicembre 2016 sulle

politiche di distribuzione dei dividendi (BCE, 2016).

utili permettono di generare e di remunerare finisce per rendere non sostenibili i costi di tutte le possibili strategie volte sia a risolvere il problema del sovraccarico degli NPL, sia a consolidare la vitalità di lungo termine delle banche. È noto che proprio la bassa redditività incentiva le banche meno capitalizzate e/o più cariche di crediti deteriorati a utilizzare le flessibilità consentite dai principi contabili per non rivelare la reale qualità degli attivi, sottovalutando gli accantonamenti per rettifiche. In queste condizioni, gli stessi supervisori possono essere indotti ad accettare la sopravvalutazione degli attivi, e quindi del capitale, nella speranza che l’economia riprenda a crescere e che gli affidati ritornino a essere solvibili. Questi atteggiamenti tendono ad accentuarsi quando risulti difficile il ricorso al capitale esterno che sarebbe necessario per far fronte a un tempestivo riconoscimento delle perdite, specie da parte di banche già sottocapitalizzate (Hellwig, 2014; Bouvatier et al., 2014; Aiyar et al., 2015; Mesnard et al., 2016). In presenza di un carico elevato di NPL, è molto probabile che strategie di ‘negare e rinviare’ si affermino come le soluzioni più accettabili del difficile puzzle derivante dall’interazione fra capitalizzazione e solvibilità.

Prendendo come dato l’impianto regolamentare esistente, l’unica sanzione praticabile per banche con deficit di vitalità di lungo termine potrebbe essere probabilmente una vigilanza più intrusiva, da proporzionare alla gravità del deficit. La cosiddetta “vigilanza rafforzata” è contemplata esplicitamente dalla regolamentazione UE per le banche il cui SREP indichi rischi significativi per il mantenimento della loro solidità finanziaria (Direttiva 2013/36/UE, art. 99, paragrafo 3).43 È comunque difficile valutare la praticabilità di questa soluzione, la sua efficacia e i costi da essa derivanti per le banche e la vigilanza, specie quando i deficit di efficienza e redditività hanno carattere sistemico.

43 Gli interventi di vigilanza rafforzata sono: a) un aumento nel numero o frequenza

delle ispezioni; b) la presenza permanente delle autorità competenti presso gli enti; c) addizionali o più frequenti segnalazioni da parte degli enti; d) riesame supplementare o più frequente dei piani operativi, strategici e di business degli enti; e) controlli tematici per sorvegliare rischi specifici di possibile manifestazione.

Il suggerimento precedente di ampliare il potere discrezionale d’intervento della vigilanza sarebbe in accordo con le revisioni regolamentari inaugurate con Basilea 2 e accentuate dagli sviluppi più recenti, che, rafforzando il ruolo del secondo Pilastro, di fatto cambiano radicalmente il semplice disegno originale basato sulle regole. Si può discutere quanto positivi siano questi sviluppi alla luce degli insuccessi, seri e ripetuti, della vigilanza. La nostra opinione è che prima di incolpare i supervisori dovremmo incolpare il disegno regolamentare che resta focalizzato su requisiti di capitale basati su metriche di rischio discutibili e inefficaci, ma che ancor peggio non si pone la domanda cruciale da dove dovrebbe provenire il capitale. È come se le banche fossero considerate imprese sempre molto redditizie, che producono risorse interne sufficienti a soddisfare la proprietà e i requisiti correnti dettati dalla vigilanza, capaci di ottenere nuovo capitale dal mercato quando ve ne sia necessità, allo stesso tempo accumulando capitale per servire un’economia dinamica. Che non si tenga adeguatamente in conto la reale redditività bancaria, si rileva anche dagli elevati e crescenti costi imposti da una regolamentazione sempre più barocca. Sembra che si sia dimenticata la lezione sulla quale fu costruito il Glass-Steagall Act, ossia assicurare strutturalmente la redditività bancaria come base necessaria per la stabilità finanziaria. Ridurre la dimensione del settore bancario, come si prefigge il progetto UE sull’Unione dei mercati dei capitali, non rende il sistema finanziario più solido se rende meno redditizio il sistema bancario.

In alcune giurisdizioni, come negli USA, le banche si avvicinano alla condizione sopra ipotizzata. Come si è visto, questo non è chiaramente il caso dell’Europa, confermando che regole omogenee di capitalizzazione non calzano ugualmente sistemi strutturalmente eterogenei. Quanto precede dovrebbe fornire ragioni a sufficienza per un ripensamento generale e radicale dell’impianto regolamentare.

La nostra proposta di focalizzare la regolamentazione sulla vitalità delle banche può essere illustrata a partire dalla seguente identità:

𝑅𝐺 𝑇𝐴≡ 𝐶𝑅 𝑇𝐴+ 𝑔𝑘 𝑅𝑅∙𝐿 (1)

dove CR è il costo del rischio, gk il tasso di crescita del capitale da

risorse interne, RR la proporzione dei profitti non distribuiti, L il

leverage e il secondo termine a destra dell’equazione rappresenta il

ROA.

Poiché la crescita del capitale necessaria per accompagnare la dinamica dell’economia viene a buon senso da risorse interne, il risultato di gestione per unità di attivo deve coprire i costi unitari del rischio, il pagamento dei dividendi e, dati i limiti regolamentari sul

leverage, il tasso di crescita del capitale, che, dato L, è pari al tasso di

crescita dell’attivo totale.

Riconoscendo la natura e il ruolo specifici dell’attività di banca commerciale, dovremmo scinderla dalle altre tipologie di attività bancaria, ad esempio tenendole separate all’interno di un conglomerato bancario come propose molti anni fa Minsky (1995; vedi anche Kregel, 2014) e come è stato più recentemente riproposto nella forma di ring fencing (ICB, 2011). La logica della separazione è volta ad applicare i requisiti regolamentari alla banca commerciale in maniera indipendente dal resto del gruppo. In queste condizioni si potrebbe adottare l’identità precedente come fondamento di un impianto regolamentare alternativo per l’attività di banca commerciale.44

La regolamentazione dovrebbe in primo luogo abbandonare i costosi e inefficaci requisiti di capitale sensibili al rischio in favore della fissazione di un limite superiore a una semplice misura di

leverage. Smantellare la costosa architettura di Basilea basata sulla

misura dei rischi aiuterebbe anche non poco ad accrescere RG/TA.45 Data un’approssimata proporzionalità tra il tasso di crescita del PIL nominale e il tasso di crescita del totale attivo bancario, la regolamentazione dovrebbe in primo luogo garantire un valore di gk

44 Per una discussione più ampia dei principi che ispirano la proposta si veda

Tonveronachi (2016).

45 A causa dei rilevanti costi fissi derivanti dalle procedure di supervisione, ciò

in linea con lo sviluppo dell’economia. Questo avverrebbe, come proposto da Minsky, tramite l’intervento dei supervisori sulla quota dei profitti distribuibili. Una banca che non accettasse di svolgere la funzione sociale di servire la crescita economica, non accettando quel vincolo, non giustificherebbe le implicite ed esplicite garanzie pubbliche di cui gode, incluso l’accesso alla liquidità della banca centrale, e dovrebbe quindi essere formalmente esclusa da esse.

La vigilanza dovrebbe anche operare uno scrutinio accurato sulla politica delle rettifiche e imporre un tetto al rapporto tra gli NPL netti e il capitale totale. Ciò richiederebbe l’adozione di un trattamento degli NPL chiaro e semplice, come quello adottato negli USA che impone la cancellazione dal bilancio dopo sei mesi dei prestiti irrecuperabili. La nostra opinione è che questo tetto costituirebbe un deterrente contro l’eccessiva presa di rischi molto più potente delle regole attuali. La critica basata sulle distorsioni agli incentivi derivanti da obiettivi non sensibili al rischio, come i nostri RG/TA e leverage, verrebbero fortemente mitigati da queste misure.

Tornando ai risultati del test di vitalità, l’impianto regolamentare ora proposto lascerebbe le banche che falliscono il test libere di rifiutare una profonda ristrutturazione e il vincolo sulla distribuzione dei profitti, cioè libere di rifiutare il ritorno alla capacità di espandere i prestiti all’economia, ma a costo della rinuncia alla rete di garanzia pubblica.

5. Conclusioni

La proposta che presentiamo in questo studio per porre rimedio alle principali vulnerabilità del sistema bancario italiano riguarda sia la soluzione dell’enorme retaggio di crediti deteriorati sia, e soprattutto, le condizioni necessarie per assicurare la vitalità di lungo termine delle banche.

L’attenzione dei commentatori, degli studiosi e delle autorità si è prevalentemente concentrata sul primo profilo, ossia su come ridurre rapidamente il carico degli NPL.

Sulla necessità di misure radicali per risolvere questo problema esiste ormai un consolidato consenso, dato che è illusorio sperare che la soluzione possa venire spontaneamente dalla crescita del PIL nominale del paese (Jobst et al., 2016; Mohaddes et al., 2017). Le proposte relative al sistema bancario italiano condividono anche, più o meno esplicitamente, la convinzione che una soluzione tempestiva di questo retaggio della crisi si scontri con le esitazioni delle autorità di vigilanza italiane, che non vedono con favore interventi radicali temendone i possibili impatti di instabilità sistemica. In ogni caso, anche se le autorità dell’Unione (Consiglio Europeo e Consiglio dell’Unione Europea, 2017; Commissione Europea, 2017) hanno recentemente riconosciuto che il problema dei crediti deteriorati delle banche deve essere affrontato in una prospettiva europea, la tradizionale ostilità verso qualsiasi forma di mutualizzazione delle perdite implica, in ultima analisi, che i relativi costi debbano essere sostenuti a livello del singolo stato membro.

La logica su cui si basano tutte le principali proposte sul problema degli NPL è che per ripulire rapidamente i bilanci bancari siano necessari interventi pubblici finalizzati a favorire la cessione al mercato di questi attivi deteriorati. La stessa BCE sembra essersi recentemente allineata a questo orientamento (Constâncio, 2017b), mentre la sua posizione era prima tendenzialmente in accordo con quella della Banca d’Italia (Visco, 2016), come emergeva dalle parole di Draghi (2016) secondo cui “risolvere efficacemente il problema degli NPL richiede anni. Non è una questione che possa essere affrontata in modo affrettato e risolta in tempi brevi”. Le soluzioni di mercato si basano, come noto, o sull’istituzione di bad bank di sistema (Asset Management Company, AMC) o sulla creazione di veicoli esterni per la cartolarizzazione degli NPL. Le autorità italiane hanno optato per la seconda soluzione,46 dopo aver accantonato il progetto

46 Nell’ambito dello schema denominato “Garanzia sulla cartolarizzazione delle

sofferenze” (GACS), i veicoli possono comprare una garanzia pubblica sulle tranche senior emesse a fronte delle sofferenze acquistate dalle banche. Dato che le commissioni pagate per la GACS dovrebbero coprire integralmente i costi attesi, la garanzia pubblica non ha la natura di aiuto di stato. Tuttavia, almeno finora, gli

di bad bank di sistema per evitare i vincoli derivanti dalle regole europee sugli aiuti di stato.47 Soprattutto su impulso della proposta presentata dal Presidente dell’Autorità Bancaria Europea (Enria, 2017a e 2017b; cfr. anche Haben e Quagliarello, 2017),48 la maggioranza delle proposte è invece orientata in favore del modello della AMC, di dimensione nazionale o prevalentemente europea (Avgouleas e Goodhart, 2017). Funzione primaria della AMC sarebbe quella di favorire la cessione degli NPL a un prezzo il più possibile prossimo al loro valore di bilancio, ma definito, al tempo stesso, secondo criteri compatibili con la disciplina europea sugli aiuti di stato. Questo consentirebbe, da un lato, di contenere l’entità delle perdite a carico delle banche e, dall’altro, di limitare gli interventi pubblici di ricapitalizzazione.

A differenza dell’orientamento prevalente, la nostra opinione è che la soluzione del sovraccarico degli NPL non debba necessariamente passare per un loro rapido trasferimento sul mercato. La vendita degli NPL resta ovviamente un’opzione gestionale, che tuttavia, come giustamente sostiene la Banca d’Italia, dovrebbe essere lasciata alla libera scelta degli amministratori; vendite forzate degli NPL “conducono, di fatto, ad un trasferimento di risorse dalle banche italiane a pochi investitori specializzati” (Banca d’Italia, 2017b, p. 14). La prospettiva della vigilanza dovrebbe essere, ovviamente, quella di superare le vulnerabilità derivanti dallo spaventoso livello dei crediti deteriorati netti in rapporto ai mezzi propri che caratterizza oggi molte banche italiane. Vendere gli NPL ad un valore con ampio

incentivi per le banche ad avvalersi dello schema GACS sono stati relativamente modesti, poiché il prezzo di trasferimento comprensivo della garanzia pubblica non sembra tale da ridurre in misura apprezzabile il differenziale rispetto al valore di bilancio (Garrido et al., 2016). Per una proposta in linea con questo approccio si veda Bruno et al. (2017).

47 Cfr. ad esempio, Banca d’Italia (2017b, p. 13).

48 Sulla proposta di Enria, la Banca d’Italia ha espresso riserve: “siamo ancora convinti

che sarebbe una misura potenzialmente utile, a condizione che il prezzo di trasferimento degli attivi non sia distante dal loro reale valore economico, che l’adesione allo schema da parte degli intermediari avvenga su base volontaria, che le caratteristiche dei piani di ristrutturazione delle banche partecipanti siano ben definite ex ante” (Banca d’Italia, 2017b, p. 13).

sconto rispetto a quello di bilancio comporterebbe effetti negativi sul patrimonio, lasciando quindi sostanzialmente irrisolto il problema. A nostro parere, usare risorse pubbliche per ridurre questo sconto è un’opzione inefficiente dal punto di vista sistemico.

Focalizzarsi, inoltre, sul carico degli NPL e guardare al problema in termini aggregati significa non tener conto delle cause che, per molte banche, oltre alla crisi recente, sono responsabili della dinamica del rapporto NPL netti/TC. In altre parole, si trascura il fatto che, anche se ripulite dell’eccesso di crediti deteriorati, varie banche rimarrebbero comunque fragili a fronte di possibili futuri scenari negativi. I dati aggregati presentati nella sezione 1 suggeriscono che il peso degli NPL del sistema bancario italiano è strutturalmente deviante rispetto alla media europea e degli altri principali paesi, a causa di insufficienti stock e flussi di risorse in rapporto ai profili di rischio specifici dell’economia italiana.

Proprio per chiarire se i valori aggregati dipendano da pochi casi specifici o riflettano invece una realtà di dimensioni sistemiche, abbiamo costruito una base dati sui bilanci consolidati di un campione rappresentativo di istituti nazionali, gruppi bancari e banche individuali. Allo scopo di verificare se la soluzione dell’eredità rappresentata dai crediti deteriorati lasci comunque irrisolte ulteriori vulnerabilità, applichiamo a ciascuna banca del campione uno stress test sugli NPL integrato da un test di vitalità, basato sulla valutazione prospettica dei flussi di risorse interne. Ovviamente, tali esercizi hanno più il significato di una proposta di metodo che non l’ambizione di una precisa valutazione quantitativa: disponendo di informazioni molto più analitiche, le autorità di vigilanza potrebbero adeguare i test alle condizioni specifiche di ciascuna banca.

L’esercizio di stress test sugli NPL, alternativo a quelli tradizionali basati su incerti scenari avversi, assume che l’autorità di vigilanza sia dotata del potere di imporre la cancellazione dei crediti deteriorati in eccesso rispetto un valore obiettivo, ma anche di consentire una parziale e temporanea riduzione dei requisiti di capitale come anticipazione dei futuri guadagni per recuperi, secondo una aliquota largamente prudenziale. L’esercizio consente di calcolare l’impatto

della pulizia dei bilanci sui capital ratios, utilizzando come fattori di aggiustamento le medie europee dell’NPL ratio e del rapporto di copertura.

Il risultato dell’esercizio è che 78 banche non passano lo stress test, di cui 52 sono BCC; tutte le banche Raiffeisen lo superano. La distinzione fra categorie giuridiche è rilevante, dato che, alla luce della recente riforma che obbliga alla costituzione dei gruppi bancari cooperativi, il ‘contratto di coesione’ permette trasferimenti interni di capitale. In base ai nostri calcoli, la riserva di capitale in eccesso del comparto delle BCC è largamente sufficiente a coprire gli obblighi di ricapitalizzazione derivanti dal nostro stress test. Rimangono deficitarie 26 banche ordinarie, il cui deficit di capitale ammonterebbe a circa 10 miliardi di euro. Le autorità dovrebbero autorizzare la ricapitalizzazione precauzionale solo se tali banche superino il test di vitalità.

Il significato del test di vitalità va tuttavia al di là di un mero complemento allo stress test sugli NPL. Esso è servito a verificare quanto rilevanti siano i profili di fragilità delle banche italiane che permarrebbero irrisolti anche se il miglioramento della congiuntura, le riforme regolamentari e i possibili interventi pubblici consentissero una progressiva riduzione del carico degli NPL. Abbiamo quindi applicato il test di vitalità a tutte le banche del nostro campione, e non solo a quelle che non hanno passato lo stress test sugli NPL.

Definiamo la vitalità di lungo termine delle banche come la loro capacità di generare un risultato di gestione unitario (RG/TA) coerente con un ROE obiettivo, stimato come quel livello minimo necessario alle diverse categorie di banche per accompagnare la crescita dell’economia e mantenere nel contempo livelli di capitalizzazione adeguati. Questi ultimi tengono conto non solo delle soglie regolamentari, ma anche della necessità di far convergere il rapporto

NPL netti/TC almeno sulla media europea. Il test di vitalità consiste, in

sintesi, nel verificare se gli eventuali divari negativi del RG/TA registrati da ciascuna banca rispetto al valore obiettivo possano essere bilanciati mediante un possibile risparmio di costi operativi unitari in eccesso rispetto al valore medio europeo.

Per l’intero campione di 410 banche, 274 registrano un valore del

RG/TA inferiore al valore obiettivo e 137 non passano il test di vitalità,

evidenziando quanto sia diffuso il problema dell’eccesso di costi. In

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