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Capitolo 3 Qarya Ẓālima

3.5 Una breve analisi dei personaggi

La trama mette presenta già da sé in modo chiaro le caratteristiche dei vari personaggi. Tento qui di elaborare una loro schematizzazione, dividendoli in positivi e negativi, alla luce della filosofia dell’autore. Fattore determinante in questo è, a mio avviso, l’andamento del ritmo della narrazione che tradisce la simpatia di Kāmil Ḥusayn per certe figure in particolare.

L’accusatore è il primo personaggio che viene assalito dal dubbio in merito alla validità della condanna di Gesù, tanto che non riuscirà a prendere una decisione neppure dopo aver consultato un amico e assistito alla truce scena presso la bottega del fabbro. Il suo silenzio e immobilismo, ricordato più volte nel capitolo del Sinedrio, lascia stupita la folla inferocita che irrompe nella sala. Tengo a sottolineare come la crisi del personaggio abbia inizio, in realtà, attraverso la discussione avuta con la moglie. É quindi a questa che l’autore affida il ruolo di poter cambiare l’animo del marito. Il personaggio non si risolve nel corso dell’opera, tuttavia la sua fissità iniziale viene messa in discussione.

Secondo personaggio che prendo in esame è il commerciante, che va a riscuotere il lavoro commissionato al fabbro. Nella sua furia e nel suo tentativo affannato di trovare giustificazione per ciò che chiede, l’autore fa uso di un tono narrativo ironico e di un ritmo rapido, cose che concorrono a creare quasi un’immagine comica del personaggio. Contrariamente all’accusatore però, quest’uomo trova un riscatto nel momento in cui decide di soccorre il fabbro ferito. Egli è quindi l’esempio di coloro che cedono all’appello della propria coscienza.

80 La figura di Lazzaro non viene presentata in modo positivo, tuttavia la sua descrizione così umana, lo rende originale soprattutto agli occhi del lettore cristiano. L’iniziale apatia che lo caratterizza si riscatta grazie alle preghiere delle sorelle, e quindi solo per volere di Dio. Nemmeno Lazzaro può quindi dirsi un personaggio statico, anche se si intravvede in lui una delicata allusione a quella tristezza e inerzia che, in seguito, verrà presentata come caratteristica pregnante degli Apostoli.

Personaggio caro all’autore è sicuramente Caifa, in quanto il tono narrativo si fa serio e il ritmo del racconto lento. Il senso della misura che caratterizza l’uomo lo rende apprezzato sia dai romani (simbolo dei valori civili) che dagli ebrei (simbolo della legge religiosa), e pare rimandare a quell’armonia interiore che ogni uomo potrebbe raggiungere se solo controllasse le forze che agiscono in lui. L’equilibrio iniziale del personaggio decade, tuttavia, al momento della sua presa di posizione in merito alla condanna di Gesù. Caifa, infatti, dopo un lungo ragionamento fra sé e sé, conclude di non poter salvare Cristo, riconoscendo la responsabilità della sua sorte a esclusivamente a Dio. Il personaggio trova quindi una soluzione all’interno dell’opera, ma non è vincente: Caifa rimane irrequieto e perseguitato da un senso di fallimento personale.

In merito alla scena del Sinedrio, mi soffermo solo sulla folla, la quale seppur presentata con immagini rapide, costituisce un attore determinante nell’intero racconto. Nessuna voce si alza dal gruppo: essa costituisce, infatti, un essere unico, impaziente nel conoscere il verdetto finale, e disinteressato alle ragioni del dibattito in corso fra i dotti riunitisi. La folla si esprime ripetendo uno slogan che riassume la sua volontà, senza fornire alcuna spiegazione. L’autore si limita a presentare con ironia queste «persone influenti del mondo», le quali risultano quindi stereotipate. Maria Maddalena, invece, è un altro personaggio che conosce un’evoluzione nel romanzo. Descritta inizialmente come fanciulla viziata di un casato nobile, viene poi descritta con toni quasi lirici al momento del suo incontro con Cristo. A rendere ancora più spirituale la sua nuova immagine, l’autore inserisce la parabola evangelica della pecorella smarrita. La capacità introspettiva di Kāmil Ḥusayn non può che dirsi indiscussa al momento del rincontro fra la donna e il giovane soldato, suo ex amante.

81 L’episodio della straziante morte del giovane soldato, affrontata nel secondo capitolo della sezione dedicata ai romani, rappresenta un ulteriore esempio della sensibilità tipica dell’autore. Se il capo militare, che condanna a morte il giovane per l’atto di misericordia da questi compiuto verso un nemico, risulta stereotipato, il soldato, convertitosi al cristianesimo, rivela la sua originale personalità nel coraggio di trasgredire all’ordine militare. Il personaggio pare, quindi, guadagnarsi la simpatia dell’autore, anche se la sua decisione di soccorrere il nemico pare più un’autoforzatura che un’effettiva convinzione. Ed è proprio questo, ciò che Kāmil rimprovera alla coscienza: la sua imperatività rischia di costringere l’uomo a fare il bene senza che ne sia davvero convinto219.

Altra figura di donna che a mio avviso risulta in un certo senso scontata è quella della malata, in quanto personaggio strumentale solo al fine di sollevare la discussione fra la Vergine Maria e un apostolo in merito alla sofferenza degli innocenti. Nonostante l’immancabile sensibilità dell’autore nel descrivere l’accettazione della malattia da parte della ragazza e la sua profonda serenità, il personaggio non spicca per un qualche particolare. La sua vicenda, inoltre, permette al lettore di conoscere un’altra figura femminile, di indiscusso valore nell’Islam, ovvero quella della Vergine Maria, madre di Gesù, donna che l’autore distingue per la sua fermezza d’animo di fronte alla tragedia della morte di un’innocente.

In merito agli Apostoli mi limito qui a trarre una conclusione generale della loro presenza nell’opera. Nel complesso, paiono figure stereotipati, poiché incapaci di decidere come reagire alla condanna del Maestro. Lo spazio che l’autore lascia ai loro discorsi sembra una strategia narrativa atta ad evidenziare il preferire la disquisizione oratoria all’azione vera e propria. Forse è la figura di Pietro a tradire una qualche simpatia da parte dell’autore nel momento in cui ricorda di aver sfoderato la spada per difendere Gesù dall’arresto.

Colui che rende dinamica la figura degli Apostoli è il Magio. A lui va infatti il merito di aver guarito la loro tristezza e inerzia, spronandoli ad andare per il mondo. L’autore presenta in modo magistrale, con un linguaggio semplice ma dai toni lirici, la concezione che il personaggio ha della fede: essa sarebbe quel senso che permette all’uomo di percepire i valori spirituali che lo circondano e di comprenderne i

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82 significati. Aggiunge poi che non è necessario conoscerla intellettualmente per ammettere la sua esistenza.

La tesi del Magio viene ribadita da Pilato, il quale spiega ad un amico filosofo come l’ipotesi dell’esistenza di Dio sia un principio fissato nell’anima e pertanto verificabile solo all’interno di essa. Tuttavia, se questo personaggio pare meritarsi la stima dell’autore alla luce di quanto appena detto, è anche vero che l’autore stesso opta per un suo fallimento. Pilato, infatti, dopo aver assistito al comportamento degli ebrei nei confronti di Gesù, perde la fiducia in quella retta via che si era promesso di osservare. Sceglie di essere un romano come gli altri, interessato solo a rispettare le usanze e le tradizioni dei suoi antenati.

Concludo dicendo che l’unico personaggio che emerge come pienamente positivo è il Magio. Ciò, a mio avviso, tradisce una sorta di pessimismo dell’autore, il quale vede nella condanna di Cristo l’emblema dell’incapacità umana di prestare ascolto alla propria coscienza.

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