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PROLOGHETTO
Questi dialoghi costituiscono una piccola parte di molti altri che ho scritto durante la mia permanenza nel carcere di Yeserías e rappresentano riflessioni fatte, in momenti diversi, riguardo a situazioni che si presentavano.
Di dialoghi sulla tortura ne ho scritti molti di più, se ora raccolgo questi è perché si tratta dei primi pubblicati in quegli anni e che furono tradotti subito in diverse lingue. Questo favorì la loro circolazione e fece sì che in vari paesi venissero usati come base per varie opere teatrali. Sfortunatamente, molte di esse non potei vederle al momento opportuno, tuttavia vorrei ricordarne una che un gruppo di Parigi mise in scena in Danimarca, o ad Avignone. Altre sì. L’allestimento che fece il gruppo di Bordeaux, Le Gai Savoir, in forma di cabaret, nel novembre del 1992, con il titolo di Eva for Ever, del quale furono fatte parecchie rappresentazioni, nella messa in scena e adattamento di Michel Allemandou. O quello che Le lézard qui bouge49, un gruppo di Baiona, montò con una grande ballerina e del quale vennero fatte diverse rappresentazioni, a Pau ecc.
Quando li scrissi non pensavo che sarebbero stati rappresentati. Tuttavia, certamente li scrissi partendo dalla situazione in cui erano prodotti. Pensando a un gruppo di donne che parlano e si scambiano i loro vissuti. Voglio dire, non pensavo al teatro propriamente detto, bensì a un gruppo di donne recluse, alle quali è capitato un fatto alquanto insolito, sconcertante e inaspettato che commentano e sul quale riflettono. Non è già di per sé una situazione molto teatrale?
Inoltre, era particolare il fatto che quello che si raccontavano lì sicuramente non lo avrebbero raccontato mai più da nessun’altra parte. Erano cose talmente incredibili che non sarebbero mai riuscite a raccontarle e se lo avessero fatto, può darsi che non sarebbero state nemmeno credute. Il rischio di non essere creduti è la chiave di molti silenzi. Sono cose così profonde, così forti, che il minimo dubbio potrebbe ferire enormemente… Si ripiegano su se stesse come una chiocciola.
Vedendo una di queste rappresentazioni teatrali, che era stata elaborata non solo con i testi di questi dialoghi, ma anche con quelli di un mio saggio, che non aveva altra pretesa che farne da
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Il vero nome della compagnia teatrale è Les lézards qui bougent, [http://www.leslezardsquibougent.com/], ultima consultazione il 28/04/2015.
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prologo, rimasi così sorpresa che, da allora, non faccio che chiedermi cosa sia il teatro in realtà. O, meglio, cosa voglia dire scrivere per il teatro. O che importanza possa avere chi elabora “la materia prima” nel risultato finale trasformato in dramma.
9 maggio 2001
Un gruppo di donne, nella sala di un carcere, parla della tortura. Non dell’aspetto politico, ma delle loro esperienze, di come hanno vissuto quell’aggressione e della sua stranezza. È un tentativo di arrivare in fondo a un fenomeno esistenziale e molto rivelatore. Tutte sono giunte a una situazione limite che le ha commosse e ha messo in luce aspetti ignorati della propria esistenza. È di questa sorpresa che si tratta. Non tanto del dolore evidente, della sofferenza che ti penetra dentro, bensì della stranezza di fronte all’inaspettato. Di fronte alla rottura degli schemi. La stranezza che obbliga a fermarsi e a riflettere. Non è tanto il dolore, l’angoscia, l’orrore, bensì, e soprattutto, la scoperta dell’inaspettato: non solo di ciò che stava succedendo fuori e di cui non avevano nessuna notizia, bensì di ciò che ognuno aveva dentro e che quella scossa ha tirato fuori con tutta la sua forza. Scoprire il grande potenziale umano, l’inganno nel quale si è cresciuti, la lontananza dalla verità in cui trascorre la vita. Le donne che parlano qui non sono sconfitte. Anzi, si sono appena svegliate. Sono state ferite da un raggio fulminante che le ha scosse e le ha ridestate dal sonno. Ormai le cose non saranno mai più com’erano, hanno attraversato un’esperienza limite che le ha liberate dal sogno in cui si cullavano. Ormai non sarà più possibile tornarci. I sogni futuri saranno altri, ma con un altro senso. Sognare ci appartiene, ma sognare sulla base di dati reali che rispondano a una verità. Per questo non c’è niente di triste in questi dialoghi. Terribili sì, ma non pessimisti. È stato un risveglio doloroso, ma la realtà è sempre da preferire e non bisogna rifuggirla. Tornare sulla situazione, una o cento volte se è necessario, qualsiasi cosa tranne relegarla nel ripostiglio della memoria e lasciare che lì marcisca. Affrontare e approfittare della ferita per penetrare nel sistema. Soltanto vivendo a fondo quello che è successo in Vietnam, quello che dopo è accaduto in Iraq e in tante altre parti del mondo, si può riuscire a conoscere le viscere dell’imperialismo e iniziare a elaborare i piani per una distruzione definitiva. Solo da queste profondità si può riuscire a intravedere che un mondo migliore è possibile e che non si tratta di un’utopia, bensì di una reale possibilità che ci hanno sempre nascosto.
Leggendo questo verrebbe da dire che sia un elogio alla tortura. Niente di tutto ciò. Piuttosto, un esempio del fatto che le peggiori vessazioni possono essere superate. Non come malattie, bensì come dignità umana che non accetta l’ingiustizia, né il sopruso. Conoscere il nemico dà la forza per affrontarlo e resistergli. L’aspetto triste di questa storia è che molti devono morire e muoiono lungo il cammino ma, e questo lo sanno molto bene quelli di Guantánamo, quelli di molte
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altre carceri, i cubani prigionieri degli USA o i cari compagni baschi che resistono nelle carceri della dispersione; quelli che resistono e attraversano quella zona così altamente pericolosa, se ne escono, ne escono guariti e più forti di prima. È stato un viaggio, un vero e proprio viaggio… Un’iniziazione per altri viaggi dei molti che ancora restano a chi ha intrapreso questo lungo cammino di lotta per un mondo più giusto, più solidale, più…
In un momento in cui sono ancora sconvolte, si raccontano l’accaduto, che non smettono di assorbire. Una stranezza lucida, che le ha segnate per sempre e di cui, con ogni probabilità, non torneranno più a parlare in questo modo.
Ecco perché questa conversazione può aver luogo in qualsiasi momento della storia: durante il franchismo, prima o dopo. Fa parte della storia, della storia della tortura, i cui effetti sono quasi sempre gli stessi.
Ciò che è davvero imprescindibile è che quanto è “successo” sia recente. È trascorsa appena qualche settimana, qualche giorno e la persona è ancora stordita da quello che è successo, piena d’immagini e, capace di assorbire a pelle viva, come se fosse un radar, tutte le cose che ha passato. È il momento dei vissuti.
Hondarribia, 28 agosto 2001
Le situazioni-limite e la tortura è una di quelle rivelano la realtà. Se se ne esce vivi non si resta indenni. Qualcosa ti ha “toccato” in maniera tale che non sarai più la stessa persona. L’impronta che resta, nel bene e nel male, ti arricchisce il bagaglio…
Il detto “non tutti i mali vengono per nuocere” contiene un fondo di verità che, però, deve essere spiegato bene. Equivale a un proverbio cinese che dice che ogni male porta dentro di sé un bene. È l’altra faccia della medaglia… “Una volta passato il passato, non mi lamento dell’esperienza” (Camino de Guantánamo50
).
Eva Forest
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Frase ripresa dal film Camino a Guantánamo del 2006, diretto da Michael Winterbottom e Mat Whitecross. Il film narra la storia di quattro amici britannici che nel settembre del 2001 fanno un viaggio partendo da Tipton, nelle Midlands, per partecipare a un matrimonio e per fare una vacanza in Pakistan. Il viaggio li porta da Tipton a Kara-chi, Kandahar, Kabul e Konduz, dove vengono catturati dall’Allenaza del Nord (formata da diversi gruppi armati uniti con l’obiettivo di sovvertire il regime talebano), per poi passare nella mani degli statunitensi che li condurranno a Kandahar. Da lì tre di loro vengono trasferiti a Cuba, alla base americana di Guantánamo, dove rimarranno per più di due anni, subendo le più atroci torture. Il 5 marzo 2004 vengono trasferiti nel Regno Uniti e assolti dopo vari interrogatori.
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