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DELL'USO PURO DELLA RAGIONE

Nel documento CRITICA DELLA RAGION PURA * (pagine 120-200)

DOTTRINA TRASCENDENTALE DEGLI ELEMENTI

C. DELL'USO PURO DELLA RAGIONE

Si può isolare la ragione, ed allora è essa tuttavia una speciale fonte di concetti e di giudizi, che derivino unicamente da essa, e per cui essa si riferisca ad oggetti? o essa è una semplice facoltà subal-terna di conferire a conoscenze date una certa forma, che si dice logica, e per la quale le conoscenze dell'intelletto sono subordinate

242 Dottr. trasc, degli elem., Parte IL. Logica trasc. IL Dialettica trasc, Introduzione II 243 le une alle altre, le regole inferiori alle superiori (la cui condizione

abbraccia nella sua sfera la condizione delle prime), per quanto è possibile ottenere ciò col paragone delle medesime? Questa è la que-stione, di cui ora dobbiamo occuparci soltanto in via preliminare. Nel fatto la molteplicità delle regole e l'unità dei princìpi è una esigenza della ragione, per rendere l'intelletto perfettamente coe -rente con se stesso, come l'intelletto subordina il molteplice della intuizione a concetti, e così l'unifica. Ma un principio siffatto non prescrive agli oggetti nessuna legge, e non contiene il principio della possibilità di conoscerli e di determinarli come tali, in generale; anzi è una semplice legge soggettiva dell'economia del corredo del nostro intelletto, a fine di ridurre, mercé il paragone dei suoi concetti, l'u-so universale dei medesimi al minor numero possibile, senza che si richieda la comodità e l'estensione del nostro intelletto, e nello stes-so tempo a fine di attribuire a quella massima una validità oggettiva. In una parola, la questione è, se la ragione in sé, cioè la ragion pura a priori, contenga princìpi sintetici e regole, e in che questi princìpi possano consistere.

Il procedimento logico e formale di essa nel sillogismo già ci dà in proposito lume sufficiente circa il principio sul quale si fonderà il principio trascendentale di essa nella conoscenza sintetica mediante la ragion pura.

In primo luogo, il sillogismo non si riferisce a intuizioni, per sottoporle a regole (come l'intelletto con le sue categorie), ma a con-cetti e giudizi. Se dunque la ragion pura si riferisce anche ad ogget-ti, non ha tuttavia nessuna attinenza immediata con essi e con la loro intuizione, ma solo con l'intelletto e con i suoi giudizi, che immediatamente si applicano ai sensi e alla loro intuizione, per de-terminare questo loro oggetto. L'unità razionale dunque non è unità di un'esperienza possibile, anzi è distinta essenzialmente da questa unità come unità dell'intelletto. Che tutto ciò che accade abbia una causa, non è un principio conosciuto ed imposto dalla ragione. Rende esso possibile l'unità dell'esperienza, né trae nulla dalla ra-gione, la quale, senza questo riferimento a una esperienza possibi-le, non avrebbe potuto, da semplici concetti, imporre una tale uni-tà sintetica.

In secondo luogo, la ragione ricerca nel suo uso logico la con-dizione generale del suo giudizio (sillogismo), e lo stesso sillogismo non è altro che un giudizio mediante la sussunzione della sua con-dizione sotto una regola generale (premessa maggiore). Ora, poic hé questa regola, a sua volta, è assoggettata esattamente alla stessa

ri-cerca della ragione, e poiché deve pertanto ri-cercarsi la condizione della condizione (mediante un prosillogismo), finché ciò è possibile, così si vede bene che il principio proprio della ragione in generale (nel suo uso logico) è: trovare per la conoscenza condizionata del-l'intelletto quell'incondizionato, con cui è compiuta l'unità di esso intelletto.

Ma questa massima logica non può altrimenti diventare princi-pio della ragion pura, che ove si ammetta che, se è dato il dizionato, è anche data (cioè contenuta nell'oggetto e nella sua con-nessione) tutta la serie delle condizioni l'una all'altra subordinate; serie, quindi, che è essa stessa incondizionata.

Ma un tal principio della ragion pura evidentemente è sinteti-co; perocché il condizionato, veramente, si riferisce analiticamente a una qualche condizione, ma non all'incondizionato. Da esso de-vono altresì derivare diverse proposizioni sintetiche, di cui l'intel-letto puro non sa nulla, come quello che non ha da fare se non con oggetti di un'esperienza possibile, la cui conoscenza e sintesi è sem-pre condizionata. L'incondizionato, per altro, se ha realmente luo-go, può essere particolarmente esaminato secondo tutte le determi-nazioni, che lo distinguono da ogni condizionato, e deve quindi dare materia a parecchie proposizioni sintetiche a priori.

I princìpi derivanti da questo principio supremo della ragion pu-ra sapu-ranno però, rispetto a tutti i fenomeni, tpu-rascendenti; cioè di questo principio non potrà mai farsi un uso empirico ad esso ade-guato. Esso dunque è interamente distinto da tutti i princìpi del-l'intelletto (il cui uso è pienamente immanente, avendo essi per loro tema soltanto la possibilità dell'esperienza). Ora, se quel prin-cipio, che la serie delle condizioni (nella sintesi dei fenomeni, o an-che del pensiero delle cose in generale) si spinga fino all'incondi-zionato, abbia o no la sua esattezza oggettiva; quali conseguenze ne provengano all'uso empirico dell'intelletto; o se piuttosto non ci sia punto una simile proposizione razionale oggettivamente valevole, ma soltanto una semplice prescrizione logica di avvicinarsi, ascen-dendo a condizioni sempre più alte, alla compiutezza di esse, e di portare così la più alta unità razionale per noi possibile nella nostra conoscenza; se, dico, questo bisogno della ragione sia stato per un equivoco ritenuto per un principio trascendentale della ragion pura, il quale postuli, precipitatamente, una siffatta compiutezza della serie delle condizioni negli oggetti stessi; e, in questo caso, che cosa possa essersi insinuato per false interpretazioni ed abbagli nei sillogismi, la cui premessa maggiore è stata presa dalla ragion pura

244 Dottr. trasc, degli elem., Parte IL Logica trasc. (e che forse è più una petizione che un postulato), e che dall'espe-rienza risalgono alle sue condizioni, tutto ciò sarà argomento della nostra ricerca nella Dialettica trascendentale, che ora intendiamo di svolgere dalle sue fonti, che sono profondamente celate dentro alla ragione umana. La divideremo in due parti principali, di cui la prima tratterà dei concetti trascendenti della ragion pura, la seconda dei sillogismi trascendenti e dialettici della

mede-sima. Libro Primo

DEI CONCETTI DELLA RAGION PURA

Checché ne sia della possibilità dei concetti ricavati dalla ragion pura, essi di certo non sono semplici concetti riflessi, ma dedotti. I concetti dell'intelletto sono anche pensati a priori, prima dell'espe-rienza e in servizio dell'espedell'espe-rienza; ma essi non contengono se non l'unità della riflessione sui fenomeni, in quanto questi devono ne-cessariamente appartenere a una possibile coscienza empirica. Sol-tanto per essi vien resa possibile la conoscenza e la determinazione di un oggetto. Essi dunque forniscono primieramente la materia di ogni inferenza, e innanzi ad essi non v'ha concetti a priori di og-getti, da cui essi possano essere dedotti. La loro realtà oggettiva si fonda invece unicamente sul fatto, che, dal momento che essi co-stituiscono la forma intellettuale di ogni esperienza, deve sempre potersene additare l'applicazione nell'esperienza.

Ma la denominazione di concetto razionale dimostra già fin da principio, che questo non vuoi essere limitato dentro l'esperienza, poiché esso concerne una conoscenza, di cui ogni conoscenza em-pirica (e forse la totalità dell'esperienza possibile o della sua sintesi empirica) è soltanto una parte, e alla quale poi invero non c'è espe-rienza reale che si adegui mai pienamente, benché tuttavia vi ap-partenga. I concetti della ragione servono a comprendere1, come i concetti dell'intelletto a intendere (le percezioni). Se essi con-tengono l'incondizionato, riguardano qualcosa, sotto cui sta ogni esperienza, ma che per se stesso non è mai oggetto dell'esperienza; qualcosa, a cui la ragione conduce nelle sue conclusioni dall'espe-rienza, e secondo cui essa giudica e misura il grado del suo empirico, ma che non costituisce mai un membro della sintesi empirica. Se, malgrado ciò, questi concetti hanno valore oggettivo, possono dirsi

1 Concetto in ted. Begriff da begreifen, comprendere, abbracciare; come intel-letto, Verstand, ha la stessa radice di verstehen, intendere.

246 Dottr. trasc, degli elem., Parte II: Logica trasc. II. Dialettica trasc, Lib. I, Set. I 247 conceptus ratìocinati (concetti esattamente dedotti); se no, essi si

in-troducono surrettiziamente con un'apparenza almeno di deduzione, e possono essere detti conceptus ratiocinantes (concetti sofistici). Ma poiché questo può chiarirsi soltanto nel capitolo dei raziocinii dia -lettici della ragion pura, non possiamo ancora occuparcene; pure, in via preliminare, come abbiamo chiamato categorie i concetti puri dell'intelletto, indicheremo con un nuovo nome i concetti della ra-gion pura, e li denomineremo idee trascendentali; ma ora spieghe-remo e giustifichespieghe-remo tale denominazione.

Sezione Prima DELLE IDEE IN GENERALE

Pur nella grande ricchezza delle nostre lingue, il pensatore si trova spesso in imbarazzo nella ricerca d'una espressione che rispon-da esattamente al suo concetto; e, in mancanza di questa, non gli riesce di farsi intendere bene né dagli altri e né anche da se mede -simo. Coniare nuovi termini è come una pretesa di dettar leggi nella lingua; pretesa, la quale riesce di rado; e, prima di ricorrere a questo mezzo disperato, è prudente cercar di vedere in una lingua morta e dotta se già in essa non si trovi cotesto concetto insieme con la sua espressione appropriata; e, quand'anche l'antico uso di essa fosse divenuto, per malaccortezza dei suoi creatori, alquanto ondeggian-te, è sempre meglio raffermare il significato che originariamente le era proprio (avesse anche a restar dubbio, se allora proprio quello si avesse proprio esattamente in mente), che perder tutto col solo ren-dersi inintelligibili.

Pertanto, se per un certo concetto si trova soltanto un termine unico, che nel significato già in corso risponda esattamente a questo concetto, la cui distinzione da altri concetti affini è di grande im-portanza, non è opportuno esserne prodigo, o adoperarlo a mo' di sinonimo in luogo di altri, tanto per amore di varietà; ma convien conservargli il suo significato peculiare, con ogni cura: perché altri-menti avviene facilmente che l'espressione non fermi più in modo particolare l'attenzione, anzi si smarrisca nella folla delle altre di significato assai diverso, e pertanto ne vada smarrito anche il pen-siero, che soltanto la parola avrebbe potuto fissare.

Platone si servì dell'espressione idea in modo, che si vede bene che per essa egli intendeva qualcosa che non soltanto non è ricavato mai dai sensi, ma sorpassa anche di gran lunga i concetti

dell'intel-letto, di cui si occupò Aristotile, in quanto che nell'esperienza non si incontra mai nulla che vi sia adeguato. Le idee sono per lui gli archetipi delle cose stesse, e non semplici chiavi per le esperienze possibili, come le categorie. Secondo il suo pensiero, esse emanaro-no dalla ragione suprema, donde vennero partecipate alla ragione umana, la quale, per altro, non si trova più nel suo stato or iginario, ma deve a fatica richiamare le antiche idee, ora molto oscurate, per mezzo della reminiscenza (cioè la filosofia). Non entrerò qui in un'indagine letteraria, per stabilire il senso che il sublime filosofo annetteva a quella espressione. Noto soltanto, che non è niente in-solito, tanto nella conversazione comune quanto negli scritti, me-diante il confronto dei pensieri che un autore espone sul suo ogget-to, intenderlo, magari, meglio che egli non intendesse se medesimo, in quanto egli non determinava abbastanza il suo concetto, e però talvolta parlava, o anche pensava, contrariamente alla sua propria intenzione.

Platone osservò molto bene, che la nostra attività conoscitiva sente un bisogno ben più alto di compitare semplici fenomeni se-condo un'unità sintetica, per poterli leggere come esperienza, e che la nostra ragione naturalmente s'innalza a conoscenze, che vanno troppo in là perché un qualunque oggetto, che l'esperienza può da-re, possa mai adeguarvisi, ma che, ciò nondimeno, hanno la loro realtà, e non sono per nulla semplici chimere.

Platone trovava segnatamente le sue idee in tutto ciò che è pratico1, che cioè si fonda sulla libertà; la quale, dal canto suo, sta tra le conoscenze, che sono un prodotto proprio della ragione. Chi volesse trarre dall'esperienza i concetti della virtù, chi (come molti hanno fatto realmente) volesse prendere come modello, per la fonte della conoscenza, ciò che, in ogni caso, può servire soltanto da esem-pio per una imperfetta spiegazione, farebbe della virtù un nome vano2 ed equivoco, variabile secondo i tempi e le circostanze, e non adoperabile come regola. Ciascuno, al contrario, vede che, ove gli sia proposto un uomo come modello di virtù, egli tuttavia ha sempre

1 Egli certamente estese il suo concetto anche alle conoscenze speculative, quan do esse fossero soltanto pure e date completamente a priori, e perfino alla matema tica, sebbene questa non abbia il suo oggetto altrove che nell'esperienza possibile. Ora in ciò io non posso seguirlo, come non posso seguirlo nella deduzione mistica di queste idee, o nelle esagerazioni, onde egli in certo modo le ipostatizzava, per quanto il linguaggio alto, di cui ci si serviva in questo campo, si presti ad una interpretaziune più moderata e proporzionata alla natura delle cose (N. d. K.).2

248 Dottr. trasc, degli elem., Parte II: Logica trasc. IL Dialettica trasc, Lib. I, Sez. I 249 solo nella sua propria testa il vero originale, con cui paragona il

pre-teso modello, e alla cui stregua soltanto l'apprezza. Or questo ori-ginale è l'idea della virtù, rispetto alla quale tutti i possibili oggetti dell'esperienza servono sì di esempi (prove della fattibilità, in certo grado, di quello che il concetto della ragione esige), ma non di ar-chetipi. Il fatto che un uomo non agirà mai in un modo adeguato al contenuto dell'idea pura della virtù, non dimostra per nulla un che di chimerico in tale pensiero. Ogni giudizio sopra il valore o disva-lore morale è infatti possibile soltanto mediante questa idea; e però essa sta necessariamente a fondamento di ogni approssimazione alla perfezione morale, per quanto anche gli impedimenti, il cui grado non è determinabile, propri dell'umana natura, possano tenercene discosti.

La Repubblica platonica è diventata proverbiale come un preteso esempio, che salta agli occhi, di perfezione fantastica, che non può avere sua sede se non nel cervello del pensatore sfaccen-dato; e il Brucker trova ridicola l'affermazione del filosofo, che un principe non possa mai ben governare se non è a parte delle idee1. Se non che, si farebbe meglio ad insistere di più sopra questo pen-siero e (dove il grand'uomo ci lascia senza il suo aiuto) metterlo in luce con nuove cure, anzi che metterlo da parte come inutile sotto il troppo misero e nocivo pretesto della sua inattuabilità. Una co-stituzione che miri alla maggiore libertà umana secondo leggi, che facciano che la libertà di ciascuno possa coesistere con quella degli altri (non della maggior felicità, perché questa già ne seguirà da sé), è pure per lo meno un'idea necessaria, che deve es-sere a fondamento non solo del primo disegno d'una costituzione politica, ma di tutte le leggi, e in cui si deve, da principio, astrarre dagli ostacoli presenti, che probabilmente non derivano inevitabil-mente dalla natura umana, quanto piuttosto dall'inosservanza delle idee vere in materia di legislazione. Niente infatti può trovarsi di più dannoso e di più indegno in un filosofo, che quel triviale appello a una presunta esperienza contraria, che per altro non sarebbe punto esistita, se a tempo opportuno si fossero stabilite quelle istituzioni secondo le idee e se, in luogo di queste, concetti, rozzi appunto perché presi dall'esperienza, non avessero frustrato ogni buona intenzione. Quanto più la legislazione e il governo fossero ordinati

1 Vedi BRUCKER,Hist. crii, philos2(Lipsia, 1767), I, 726.

in accordo a tale idea, tanto più rare sarebbero le pene; ed è per-fettamente ragionevole pensare che (come Platone asserisce) in un ordinamento perfetto di quelli, le pene non sarebbero più necessa-rie. Ora, sebbene quest'ultimo caso non possa mai aver luogo, non-dimeno è interamente esatta l'idea, che pone questo maximum come archetipo, affinchè alla sua stregua la costituzione legale degli uo-mini venga sempre più avvicinata alla maggiore perfezione possibi-le. Giacché quale sia per essere il grado supremo, a cui l'umanità debba arrestarsi, e quanto grande, quindi, il distacco che necessa-riamente rimanga tra l'idea e la sua attuazione, nessuno può o deve determinarlo, appunto perché si tratta di libertà, che può superare ogni limite che le si voglia assegnare.

Ma non soltanto in ciò, in cui la ragione umana dimostra una vera causalità, e in cui le idee diventano cause efficienti (delle azioni e dei loro oggetti), ossia nel campo morale, sibbene anche rispetto alla stessa natura Platone vede a ragione manifeste prove della sua origine da idee. Un vegetale, un animale, l'ordinamento regolare dell'universo (presumibilmente, dunque, anche l'ordine intero della natura) mostrano chiaro che non sono possibili se non secondo idee; che, certo, nessuna creatura singola, nelle condizioni individuali della sua esistenza, si adegua all'idea dell'essere più perfetto della sua specie (come non si adegua l'uomo all'idea dell'umanità, che egli stesso pur reca nell'anima sua, come archetipo delle sue azioni); che, nondimeno, coteste idee nell'intelletto supremo stanno ognuna di per sé, immutabilmente e interamente determinate, e sono le cause originarie delle cose; e che soltanto la totalità del nesso di queste nell'universo è adeguata a quella idea. Se si toglie quello che v'è di esagerato nell'espressione, lo slancio spirituale del filosofo per sol-levarsi dall'osservazione della copia nell'ordine fisico dell'universo al suo sistema architettonico secondo scopi, cioè secondo idee, è uno sforzo che merita di essere rispettato e imitato; ma rispetto a ciò che concerne i princìpi della moralità, della legislazione e della religione, in cui le idee, prima di tutto, rendono possibile la stessa esperienza (del bene), comecché non vi possano trovare una piena espressione, egli è un merito al tutto peculiare, che non si riconosce soltanto perché lo si giudica per l'appunto per mezzo di regole em-piriche, la validità delle quali come princìpi ha dovuto esser distrutta appunto da esse idee. Quanto alla natura, infatti, l'esperienza ci fornisce la regola ed è la fonte della verità; ma rispetto alle leggi morali l'esperienza (ahimè) è la madre dell'apparenza, e niente è più

250 Dottr. trasc, degli elem., Parte II: Logica trasc. II. Dialettica trasc, Lib. I, Sez. II 251 da riprovare che voler determinare o limitare la legge di quel che io

devo fare guardando quel che si fa.

Invece di tutte queste considerazioni, il cui conveniente svilup-po forma nel fatto il vero titolo della filosofia, noi ora ci dobbiamo occupare di un lavoro non cosi brillante, ma né anche tuttavia privo del suo pregio: di spianare cioè, e rassodare, per quel maestoso edi-fizio morale, il terreno in cui si trovano ogni sorta di gallerie di talpa fattevi da una ragione che scavava inutilmente, ma con buona in-tenzione, alla ricerca di non si sa quali tesori; gallerie, che compro-mettono la sicurezza di quell'edifizio. L'uso trascendentale della ra-gion pura, i suoi princìpi e le sue idee son ciò che ora ci spetta di conoscere con esattezza, per poter convenientemente determinare e apprezzare l'influsso della ragion pura e il valore della medesima. Tuttavia, prima di lasciare questa introduzione preliminare, io prego coloro ai quali sta a cuore la filosofia (ciò che si dice più che comunemente non avvenga), che, se dovessero trovarsi convinti di questo e di quel che segue, prendano sotto il loro patrocinio l'e-spressione idea nel suo significato originario acciò d'ora innanzi essa non vada confusa tra le altre espressioni, con cui comunemente si designa ogni sorta di rappresentazione, in un negligente

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