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Finora l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda sono stati presentati come strumenti che permettono una più proficua liquidazione dell’attivo, ma in quale modo, in concreto, questi istituti permettono di raggiungere tale risultato? La risposta si trova negli articoli 105 e 107 della legge fallimentare. L’art. 105 al primo comma dispone che “la liquidazione dei singoli

beni ai sensi degli articoli seguenti del presente capo è disposta quando risulta prevedibile che la vendita dell’intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rapporti giuridici individuabili in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori” e al

secondo comma che “la vendita del complesso aziendale o di rami dello stesso è effettuata

con le modalità di cui all’articolo 107, in conformità a quanto disposto dall’articolo 2556 del codice civile”.

Tale articolo permette al curatore di procedere alla vendita dei singoli beni solo quando la cessione in blocco non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori. Questo significa che il curatore dovrà, prima di tutto, tentare di procedere alla vendita unitaria del complesso aziendale in modo da ottenere un risultato migliore dalla liquidazione dei beni. Per far questo però sarà necessario che l’azienda sia in funzionamento (o almeno in condizioni di funzionare), in caso contrario nessun soggetto potrà essere interessato a rilevarla, in quanto essa non sarà più tale, ma solamente un complesso di beni non idoneo a svolgere attività d’impresa. Gli organi della procedura dovranno allora procedere prontamente a disporre l’esercizio provvisorio o l’affitto d’azienda, se sussistono le condizioni per la continuazione. Ma quali sono le circostanze ottimali per dar luogo all’esercizio provvisorio o all’affitto d’azienda? Il terreno più fertile dal quale possono prendere vita questi due istituti si trova prevalentemente nell’istanza di “autofallimento” e nel concordato preventivo revocato.

54 Per quanto riguarda il primo, è facile imbattersi in casi di dissesto non irreversibile, per esempio dove la crisi è stata causata da sovraindebitamento. L’imprenditore potrebbe voler collaborare con l’autorità giudiziaria per risolvere la propria situazione e tornare sul mercato libero dai debiti. La cooperazione del soggetto che fino a poco tempo prima guidava l’impresa è quanto di più utile il tribunale possa ricevere per ottenere tutte le informazioni possibili sull’azienda fallita; esso riceverà immediatamente tutti i dati di cui necessita, senza doverli ricercare dall’imprenditore che, magari, sarà più propenso a nasconderli. Il tribunale, dunque, non dovrà “combattere” con il fallito per ottenere sue notizie. Un altro aspetto importante è che le informazioni fornite saranno presumibilmente veritiere e quindi gli organi della procedura potranno prendere le scelte che ritengono più opportune con piena cognizione di causa, senza dover perdere tempo ad analizzarle ed interpretarle. In definitiva il tribunale, avvalendosi della collaborazione del fallito, avrà più chiara la situzione in cui si trova l’impresa ed in questo modo potrà verificare tempestivamente, senza ulteriori indugi, se è conveniente o meno disporre l’esercizio provvisorio o affittare l’azienda.

In ogni caso è comunque importante prestare attenzione a queste istanze, poiché dietro ad esse può nascondersi la volontà dell’imprenditore di trovare una scappatoia per andare esente da colpa oppure per beneficiare ingiustamente dell’esdebitazione, senza reali vantaggi per la procedura.

Anche il concordato preventivo revocato che sfocia nel fallimento può essere una buona base di partenza per l’esercizio provvisorio o l’affitto d’azienda. Questo è evidente soprattutto nel caso di concordato con continuità aziendale, disciplinato dall’art. 186-bis, l. fall.: qui la prosecuzione dell’attività è espressamente prevista dal provvedimento con il quale il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato. Se l’autorità giudiziaria ha precedentemente autorizzato la continuazione dell’attività significa che ha visto

55 nell’impresa i presupposti per la stessa. Quando però sopraggiunge la revoca per uno dei motivi indicati dall’art. 173, l. fall., ossia il compimento di atti scorretti da parte del debitore, il concordato preventivo viene meno e potrà essere dichiarato il fallimento. La revoca sarà disposta, non perché il piano non è stato realizzato, ma perché sono stati compiuti atti dannosi imputabili al debitore; questo significa che la continuazione sarebbe pur sempre utile per tutelare i creditori. Il tribunale potrà quindi autorizzare l’esercizio provvisorio o l’affitto d’azienda con la sentenza di fallimento, perché sarà già a conoscenza delle informazioni necessarie per la continuazione dell’attività ed i presupposti per l’esecuzione del piano disciplinato dall’art. 186-bis non sono venuti meno.

In conclusione determinate circostanze, come l’istanza di “autofallimento” o la revoca del concordato preventivo, possono assicurare maggiormente la buona riuscita dei due strumenti, facilitando la verifica dei presupposti indispensabili alla loro applicazione, velocizzando così l’autorizzazione.

L’attività aziendale potrà quindi continuare sin da subito il suo corso e contribuire a rendere più realizzabile la vendita unitaria del complesso, come auspicato dal primo comma dell’art. 105, l. fall..

Anche se completamente diversi tra di loro l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda concorrono a raggiungere il medesimo risultato. Il primo è caratterizzato dalla prosecuzione dell’attività di impresa sotto la responsabilità del curatore con oneri gravanti sulla procedura, il secondo invece affida l’attività d’impresa (e i rischi inerenti) ad un soggetto terzo e senza alcun onere per la procedura (59). È ovvio che tra i due istituti il secondo è preferito dai creditori, visto che la curatela non si accollerà spese prededucibili, ma, anzi, il (59) Così La riforma del diritto fallimentare, Il fallimento: esercizio provvisorio ed affitto di azienda, 2007, op. cit., p. 3.

56 pagamento dei canoni di locazione andrà ad incrementare il patrimonio sul quale essi si soddisferanno, inoltre non è detto che il curatore abbia tutte le capacità professionali per poter svolgere l’esercizio provvisorio.

Ovviamente l’esercizio provvisorio e l’affitto d’azienda non potranno essere disposti contemporaneamente, tuttavia il primo può svolgere la funzione di “ponte” tra il momento in cui viene dichiarato il fallimento e il momento in cui sarà venduta l’azienda, così da fornire al curatore il tempo necessario per effettuare le formalità richieste dall’art. 107, l. fall.. Quindi ci può essere anche una successione tra i due istituti poiché l’esercizio provvisorio può essere funzionale ad una migliore utilizzazione dell’affitto d’azienda.

L’art. 105, comma 2, l. fall., rimanda all’art. 107, l. fall., per individuare le modalità con le quali il curatore dovrà procedere alla vendita. L’art. 107, comma 1, l. fall., prevede che “le

vendite e gli altri atti di liquidazione posti in essere in esecuzione del programma di liquidazione sono effettuati dal curatore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di modesto valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli interessati”. Questo articolo richiede al

curatore di svolgere procedure competitive per poter procedere alla cessione dei beni. La legge non dice espressamente cosa si intende per procedure competitive, tuttavia una procedura può definirsi tale se si fonda su un sistema incrementale di offerte, su un’adeguata pubblicità che riesca ad informare tutti gli interessati, sulla trasparenza, su regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell’offerente e su una completa apertura a tutti gli interessati (60).

(60) Per ulteriori approfondimenti si veda STEFANI, Il ruolo del notaio nelle procedure competitive, 2011, p. 4 s.

57 Si capisce bene che queste procedure avranno una durata non certamente breve, visto che le stime possono richiedere non poco tempo, soprattutto per osservare e studiare correttamente valori dinamici come le aziende, così come richiede tempo un’adeguata pubblicità che informi tutti gli interessati. In questa frazione di tempo, se l’attività aziendale non prosegue, il valore del patrimonio può andare incontro ad un’inesorabile diminuzione, derivante dalla disaggregazione dei suoi elementi. Ecco che subentrano l’istituto dell’esercizio provvisorio e dell’affitto d’azienda che così arrestano la (quasi certa) perdita di valore del complesso aziendale in modo da mantenerlo intatto nel tempo necessario a svolgere le procedure competitive.

È comunque necessario che il curatore presti bene attenzione all’applicazione di tali strumenti poiché, se è vero che la continuazione dell’attività permette presumibilmente una maggior realizzazione dell’attivo, questo non significa che essi non possano nascondere insidie per la massa dei creditori; l’esercizio provvisorio potrebbe, ad esempio, produrre perdite tali da abbattere di molto l’attivo fallimentare e disincentivare i potenziali compratori all’acquisto mentre, dal lato dell’affitto d’azienda, la durata del contratto potrebbe essere di ostacolo all’alienazione della stessa, nell’ipotesi in cui si presenti l’occasione per una vendita vantaggiosa del complesso aziendale.

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CAPITOLO QUINTO

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