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La Valle Stura, la Valle Gesso e la Val Maira

Inquadramento territoriale

Le Alpi occidentali si differenziano dalla centrali per la loro direzione meridiana

predominante, per la loro caratteristica incurvatura intorno alla pianura piemontese e per le caratteristiche incisioni trasversali che penetrano profondamente nella catena montuosa mantenendosi per un buon tratto a quote altimetriche piuttosto basse (1000 mt.), in modo che la penetrazione ne è facilitata. Questi tre elementi non possono non influire sulle condizioni climatiche e sui rapporti coll'antistante pianura da un lato, e con le regioni confinanti

occidentali e meridionali dall'altro, costituendo da sempre mezzo di avvicinamento e spostamento di uomini e animali. Questo è ben chiaro quando in relazione alla pianura si consideri la nota mancanza di quella zona subalpina o prealpina che avvolge invece d'ambo i lati la regione centrale del sistema alpino. In questo quadro assume un rilievo a sé la

disposizione dei valichi tra i versanti ligure e francese che ne hanno facilitato i contatti: innanzitutto verso la Provenza a nord grazie all'agevole Colle della Maddalena (mt.1996),che unendo la Valle Stura a quella dell'Ubaye, immette poi nel bacino della Durance, e poi con il Tirreno a sud

attraverso il Colle di Tenda (1871 mt.).

L'assoluta predominanza nelle Alpi Occidentali dei terreni cristallini in confronto alla preponderanza dei calcari e delle dolomie dell'altra parte del sistema alpino è un altro elemento distintivo non solo dal punto di vista litologico, ma anche per il paesaggio che assume "imponenza e grandiosità" (Roletto G., 1930), e dal punto di vista morfologico condizioni assai favorevoli alla persistenza dei nevai e ghiacciai, riserve idriche preziose in questo contesto dalla piovosità contenuta (Gribaudi D., 1966).

Focalizzando l'attenzione sulle valli oggetto di ricerca osserviamo come la loro diversa struttura e la conseguente morfologia -sia geologica che idrografica- influenzano, com'è ovvio, in differente misura gli insediamenti umani e la possibilità di utilizzare le risorse locali. Le Alpi Marittime, in cui collochiamo la Val Gesso e la Val Stura, presentano un assoluto dominio delle imponenti masse del gneiss ghiandone, di natura silicea, che compongono l'elissoide del

Mercantour. La compattezza del gneiss ghiandone e delle rocce granitoidi spiega la notevole elevazione media della zona e i tratti morfologici dominanti rappresentati da fondi valle molto incassati, a forti dislivelli tra le valli principali e laterali: condizioni tutte che non favoriscono certamente

l'addensamento della popolazione anzi ne spiegano la scarsità. In compenso la fascia mesozoica che avvolge il massiccio alle basi si presenta subito meno aspra, meno alta e più ricca di acque ; in corrispondenza poi delle due depressioni laterali del massiccio si aprono due Valli - la Stura e la Vermegnana- di notevole sviluppo e facenti capo a valichi come si già accennato in precedenza non difficili (Maddalena e Tenda). In questi lunghi solchi si addensano quindi gli insediamenti. Considerate tali condizioni geomorfologiche il complesso delle Alpi Marittime non si presta ad uno sfruttamento intenso.

Anche le Alpi Cozie, in cui si apre la Val Maira, hanno dal punto di visto geologico e orografico un'individualità ben definita. La massa orografica più compatta è formata da un altro massiccio gneissico detto Dora-Val Maira. Questo ha una caratteristica identificativa, quella di elevarsi a diretto contatto con i terreni recenti del piano. Il massiccio è avvolto a nord, a ponente e a mezzogiorno da una larga fascia di calcescisti, di calcari, intercalati da potenti amigdale di rocce verdi, atte alla cattura delle acque. Le testate delle sezioni sono generalmente rivolte ad est tanto che a chi le osserva dalla pianura si presentano come un imponente bastione non facilmente superabile. Invece nella realtà le condizioni sono assai diverse perchè la rete idrografica (a causa dell'eterogeità litologica e per lo schiacciamento del massiccio) ha potuto incidere più fortemente e più profondamente il massiccio in modo da

suddividerlo in vari gruppi orografici secondari abbastanza ben individuati da varie valli parallele, brevi e profonde, come la Val Maira. La Val Maira, percorsa dal torrente omonimo tributario del Po, possiede un ampio bacino e un largo fondovalle, dotata di di buoni corsi laterali e da un profilo longitudinale piuttosto movimentato si è prestata piuttosto bene ad uno sfruttamento idroelettrico. L'alta Valle presenta un aspetto molto chiuso, con valloni laterali poco

accessibili, aperta su terreni talvolta instabili, che hanno pregiudicato da sempre il popolamento (Blanchard R., 1954; Gribaudi D., 1966).

Immediatamente a sud del bacino del Maira si distende il primo gruppo di affluenti di sinistra del Tanaro costituito dalle Valli della Stura di Demonte, del Gesso e del Vermenagna, che rappresentano il più importante sistema viabile di penetrazione e di valico delle Alpi occidentali, grazie ai citati collegamenti. Queste particolari condizioni mettono a contatto le testate delle valli con la pianura con tutte le conseguenze positive dal punto di vista antropogeografico. La zona dei calcescisti così importante quando si studia l'ambiente in relazione specialmente dell'economia pastorale è pure largamente rappresentata: essa si affianca attorno all'elissoide Dora-Val Maira, affiorando lungo i margini orientali e quindi si presenta sulla pianura tra la Valle Stura e Maira, passa ad occupare la parte centrale del Massiccio e si allarga sempre

più nella zona del confine occidentale, formando una linea di displuvio relativamente bassa e, quel che più conta intaccata da numerose insellature che avvicinano i due versanti. Queste particolari condizioni spiegano le relazioni sia antropiche ma soprattutto commerciali tra i due versanti favorite anche dalle comunicazioni relativamente facili attraverso i secoli.

Evoluzione del popolamento e dinamiche socio-economiche

La storia recente del paesaggio alpino, e quello delle Alpi Occidentali nello specifico (ma verrebbe da dire pure in particolare vista l'intensità delle dinamiche che lo hanno coinvolto) appare strettamente connessa a quella dell'agricoltura europea: alla sua difficile

sopravvivenza in alcuni ambiti geografici (fino alla sua scomparsa in certe aree), al suo riaffermarsi in altri contesti, ma secondo logiche produttive in larga parte nuove, alla sua capacità quindi di determinare e di prodursi in marcate distinzioni territoriali. In un contesto fortemente selettivo, buona parte delle valli alpine sono risultate pesantemente penalizzate, in ragione di una molteplicità di fattori fisico-ambientali, storici ed economici. È con la seconda metà del XIX secolo - ma anche in senso cronologico si deve tener conto di una certa variabilità - che i fenomeni di migrazione definitiva dalla montagna producono un primo alleggerimento della pressione demografica sugli spazi agricoli determinando il progressivo abbandono di aree agricole divenute rapidamente marginali nel nuovo contesto economico nazionale prima, europeo e mondiale poi. Marginali, per l'area alpina, sono risultati

innanzitutto gli spazi meno produttivi e quelli di più difficile lavorabilità, nonché, in molti casi, quelli periferici, più distanti dalle sedi abitative: in altri termini, più sinteticamente, quelli meno redditizi in rapporto all'intensità di lavoro. La rivoluzione agricola di metà Ottocento, infatti, sopprimendo la messa a riposo del terreno e aumentando rapidamente le rese, soprattutto quelle della pianura, ha considerevolmente e velocemente ridotto il bisogno di spazi agricoli. Esattamente mentre lo sviluppo industriale andava determinando una crescente richiesta di mano d'opera nei centri urbani, a loro volta in via di forte espansione. Congiuntamente, tali mutamenti hanno procurato l'innesco di importanti processi di esodo rurale dalle vallate alpine, in molti casi destinati a protrarsi sino ai nostri giorni. È in questa fase storica che si pongono quindi le basi per un successivo e spesso ben più ampio abbandono dello spazio alpino italiano, con le poche eccezioni rappresentate da alcuni settori delle Alpi centrali e

guerre (senza dimenticare la sensibile perdita di manodopera prodottasi durante il primo conflitto mondiale), nel Secondo Dopoguerra e, in alcune aree soprattutto, negli anni Sessanta. Decenni, questi ultimi, durante i quali le difficoltà sopradescritte tenderanno a generalizzarsi all'intero arco alpino, non solo nazionale, lasciando apparire il peso di fattori appartenenti al patrimonio socio-culturale delle civiltà rurali.

Questi fenomeni che a macroscala interessano tutto l'arco alpino, fatta eccezione per alcuni settori delle Alpi centrali e orientali, possono essere letti e arricchiti a scala regionale come nel caso delle Alpi Marittime su cui si concentra la nostra analisi. Ripercorrendo le vicende attraverso cui sono maturate le organizzazioni territoriali possiamo rilevare come le

determinanti demografiche ed economiche abbiano agito nell'innervare le strutture del territorio delle Alpi Marittime.

L'analisi può essere scandita come suggerisce E.Leardi utilizzando la periodizzazione indicata per l'insieme delle Alpi Francesi (Preau P., 1984; Estienne 1989), che individua essenzialmente tre fasi significative per lo studio del popolamento: l'800, il 900 fino agli anni 60-70 e il periodo successivo. Nella prima fase si registrano fenomeni di decremento a partire dal 1871 limitati alle parti più elevate, mentre nelle basse valli continua un modesto

incremento che si esaurisce solo alla fine del secolo. Infatti tra il 1861 e il 1901 si registrano queste variazioni: da 21211 abitanti a 18085 (-14,7%) nelle alte valli; da 21257 a 23348 (+9,85) nelle basse. (20). In un periodo in cui l'organizzazione del popolamento è saldamente fondata sulle capacità produttive locali, rappresentate da un'agricoltura di sussistenza, da un allevamento ovino, caprino e bovino e da uno sfruttamento del bosco capaci nel loro insieme di garantire nel loro insieme solo una condizione di sussistenza. Le lavorazioni restano ovunque limitate alle forme di artigianato (lavorazione latte, legno, lana e pietra) e a modeste estrazioni di minerali, di qualche rilievo solo nella Valle Stura. Le condizioni di

sovrappopolamento delle alte valli spinge molti degli emigranti a rendere definitive le

migrazioni temporanee che dal XV secolo caratterizzavano la mobilità dei pastori transumanti piemontesi verso la Provenza. Nella fase successiva al primo conflitto mondiale e fino al 1936 la popolazione cala di un 31,5% nel complesso, ma ben del 40,8% nelle parti più elevate e del 30, 6% in quelle più basse. A vantaggio di quest'ultime hanno giocato parecchi fattori: il

20 indicazioni più complete sono fornite da INEA, Istituto Nazionale di Economia Agraria, lo spopolamento

montano in Italia, Roma, 1932; cfr. Le Alpi liguri e piemontesi, pp.442-618 e da Giusti U., Lo spopolamento delle Alpi liguri e piemontesi (1881-1931), in "Rivista Italiana Statistica Economica e Finanziari", Roma IV (1932), pp.515-542

trasferimento già concluso all'inizio del secolo delle industrie verso lo sbocco delle valli, al contatto tra la pianura e la montagna, in aree ricche di legname (querce, castagni e faggi) di materiale da costruzione e talora anche di minerali, favorite dalla complementarietà dei loro prodotti con quelli della pianura e da comunicazioni più agevoli con i maggiori centri di servizio. Nel 1936 l'insediamento sparso è ancora notevole: il 39 % della popolazione nel complesso, ovviamente in misura più accentuata alle minori altitudini (46%) e inferiore a quelle più elevate (28%). La base della vita economica è fondamentalmente quella rilevata dal catasto agrario del 1929 che censisce 5755 aziende per il 74% di ampiezza inferiore a 5 ha (82% nelle alte valli, il 71 % nelle basse). I seminativi occupano una modesta superficie (il 4 % della superficie agraria e forestale nelle alte valli, il 15% nelle basse) e per la metà sono costituiti da cereali, tra cui primeggia la segale. La parte maggiore se la prendono i pascoli permanenti (un terzo) assai estesi a Valdieri (Val Gesso) e a Pietraporzio (Val Stura) nelle alte valli e a Demonte nelle basse. In queste aree e in quelle dei comuni di Aregentera e Vinadio (Val Stura) si concentrano i due terzi dei 10540 ovini presenti. Il patrimonio bovino (10082 capi) risulta particolarmente ricco nelle basse valli , soprattutto a Demonte, Vernante e Borgo San Dalmazzo. Il bosco occupa il 30 % della superficie agraria e forestale delle alte valli, il 37.7% delle basse, dove per un buon terzo è rappresentato dal castagnate.

Allevamento e silvicoltura continuano ad essere fonti di reddito pressochè esclusivo nelle alte valli e di primaria importanza in quelle basse, ma i prezzi progressivamente cedenti rendono sempre più scarsa la remunerazione del lavoro e la spinta ad emigrare verso traguardi

francesi e americani. Dopo le emorragie provocate dal secondo conflitto mondiale (1936-1946 si assiste ad una riduzione di un quarto della popolazione) si apre un periodo per molti aspetti diverso dai precedenti. Nel 1951 la prima differenza che balza agli occhi rispetto al 1936 non riguarda tanto la diminuzione di popolazione (-10% nelle alte valli), quanto le variazioni rilevabili nell'insediamento: una crescente presenza di centri ormai disabitati (18 su 46) e una netta riduzione della popolazione sparsa scesa al 19 % del totale (11% nelle alte valli, 23% nelle basse). L'agricoltura occupa ancora uno spazio largamente prevalente: il 60% degli attivi nel complesso, il 71% nelle alte, il 54 % nelle basse. Qui comincia ad acquisire qualche importanza anche l'industria (25%) che risulta tra le più modeste dell'intero arco alpino piemontese. Anche l'allevamento bovino ha densità di gran lunga inferiori rispetto alle altre sezioni alpine. Rispetto ad esse è molto più florido l'allevamento ovino particolarmente

Legna, bestiame, patate e castagne sono gli unici prodotti eccedentari le necessità locali. Anche la presenza di centrali elettriche rispetto alla vicina Val Maira risulta assai modesta: solo tre impianti di modesta potenza a soddisfare le esigenze locali. Il quadro di una

condizione economica assai depressa è completato dallo scarso attecchimento delle attività turistiche, eccezion fatta per i centri di Valdieri e Vinadio, che assumono un buon rilievo quali centri di cure termali e idropiniche, che in Piemonte vede chiaramente privilegiate le sezioni alpine centro-settentrionali, cioè le valli prossime a Torino. Sicuramente il fenomeno di industrializzazione che si realizza a Cuneo negli anni sessanta vede aprirsi una nuova fase per le valli Stura e Gesso che prosegue fino al 1970 (Vallega A, 1972). Necessaria premessa di sviluppo fu il potenziamento e un miglior sfruttamento delle risorse idroelettriche, nonchè gli investimenti esogeni destinati da Italcementi e Cementir allo sfruttamente delle cave di silice o calcari dislocate a Borgo San Dalmazzo, Roccavione e Robilante, dove operano grandi cementifici e una vetreria a Robilante. Uno stabilimento grafico di origine settecentesca a Borgo San Dalmazzo, una cartiera a Roccavione, poi varie officine meccaniche e modesti stabilimenti alimentari e per la lavorazione del legno assicurano lavoro a circa il 90% della manodopera addetta all'industria nell'ambito dell'intero territorio. Il resto attiva un movimento pendolare con la città di Cuneo, che sviluppa la sua attrazione su tutta la Valle Gesso e fino a Vinadio nello Stura di Demonte; non mancano pendolari diretti all'agglomerazione torinese ma questo è generalmente premessa per un cambio di residenza. L'itinerario demografico sotteso alle vicende economiche sopra descritte ha portato al censimento del 1991 a 25067 abitanti con densità pari a 9,4 e 23,2 ab/kmq (6.4 nelle alte valli e 73,4 nelle basse) con un invecchiamento notevole pari al 20 % ma sale a 26 % nelle alte valli, mentre scende a 18 % nelle basse. E' questa la realtà in cui il censimento agricolo del 1990 colloca circa 3000 agricoltori: un territorio coperto dai boschi nella misura del 32 %, una superficie agricola utilizzata che ne impegna meno della metà (48%) ed è quasi interamente occupata dai prati e dai pascoli (il 99 % nelle alte valli, l'81% nelle basse). I modestissimi spazi che restano ai seminativi sono dedicati ai cereali nella misura del 21 %. Essendo fortemente decaduta la risorsa boschiva, sia per le forniture di legname che per la raccolta di castagne, l'unica ricchezza è quella dell'allevamento. sono presenti circa 14000 bovini ( di cui 4400 vacche) notevolmente più numerosi nei comuni delle basse valli (12200) dove si avvantaggiano di buone produzioni foraggere, favorite anche dalla maggiore estensione delle aree irrigate e di dove salgono all'alpe estiva spesso restando entro i confini comunali. Sono al contrario molto più numerosi gli ovini allevati nei comuni delle alte valli (5800 contro 2300) ed il principale centro di allevamento è a Vinadio in Val Stura (2317 ovini). L'industria, in tutti i comparti ma

specialmente in quello delle costruzioni e degli impianti, nel decennio 1981 subisce un decremento strutturale premessa di un processo di deindustrializzazione per cui nel 1991 risultano persi circa 2000 posti di lavoro ripetto al 1971. Tale riduzione sommata a quella dell'agricoltura viene parzialmente assorbita dal settore terziario, in cui sicuramente oltre all'impiego pubblico (17% intera offerta lavoro) anche dal turismo: la dotazione alberghiera di Vinadio è di 8 strutture a cui seguono Demonte e

Vernante con 7, mentre nel 1991 la situazione delle abitazioni non occupate è di 16.000 distribuite per il 61% nelle alte valli, il che testimonia la loro forte rilevanza nella funzione residenziale, sfruttata quasi esclusivamente nel periodo estivo.

Nel 1992 a Valdieri si sono avute 11041 presenze, di cui poco meno della metà nel solo mese di luglio; a Vinadio le presenze più numerose sono state nel mese di agosto: 3560 sulle 12772 dell'intero anno. Questi due centri termali subiscono però un progressivo scadimento che è come in altri casi

determinato dalla posizione periferica rispetto ai grandi bacini di utenza nazionale e internazionale e dalla mancanza di quei richiami di carattere culturale ai quali molti turisti risultano sensibili e a cui la creazione degli Ecomusei della Segale e della Pastorizia nella loro idea originaria cercano di dare risposte.