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Controllo nelle nuove imprese innovative

4. Il valore della compliance nel settore degli investimenti in private

equity.

A fronte della panoramica appena illustrata dei presidi di organizzazione e controllo che idealmente una società dovrebbe adottare per prevenire il rischio di condanne ai sensi del D.lgs. n. 231/2001, risulta innegabile che ad un’impresa di nuova costituzione viene richiesto un impegno non indifferente sia in termini di risorse economiche che in termini di risorse umane.

Da questo punto di vista, l’applicazione indiscriminata della responsabilità amministrativa degli enti potrebbe avere ripercussioni controproducenti in termini di disincentivo nell’adozione del Modello organizzativo. Infatti, le startup innovative potrebbero essere indotte ad una valutazione di costi-benefici nell’ambito della quale la probabilità di sanzione viene considerata come un mero rischio di impresa e, dunque, decidere per la “non compliance” quando i costi della prevenzione del rischio-reato risultino sproporzionati rispetto ai vantaggi di escludere una potenziale – ma non certa – sanzione amministrativa. Ancora, le startup potrebbero decidere di risparmiare costi rilevanti Vigilanza dovrebbe prescrivere la predeterminazione

annuale di un piano di audit, nonché la formalizzazione, attraverso la stesura di verbali e annotazioni, di ogni controllo effettuato, con la specificazione dei controlli svolti, dei destinatari e degli esiti dell’audit. Parimenti, l’Organo Dirigente dovrà relazionare annualmente all’Assemblea dei soci sull’attività di vigilanza espletata e sullo stato di adeguatezza del sistema di controllo preventivo. La registrazione dell’attività ispettiva, se è raccomandata qualunque sia la composizione dell’Organismo di Vigilanza, risulta fondamentale quando le funzioni di controllo sono attribuite all’organo dirigente, poiché in questo caso la tenuta processuale del Modello sarà subordinata ad uno standard probatorio rafforzato sull’indipendenza ed effettività dell’attività di vigilanza.

Il ricorso alla facoltà di cui all’art. 6, comma 4, d.lgs. n. 231/2001 è sconsigliabile, per la necessaria e completa commistione tra i ruoli di controllore e controllato, alle startup che presentano un assetto organizzativo di tipo verticistico, con poteri gestionali ed esecutivi concentrati nell’amministratore unico o nel consiglio di amministrazione.

Per siffatte realtà, occorrerà dunque identificare una soluzione alternativa che coniughi le esigenze di economicità connaturate ad un’impresa di nuova costituzione con la garanzia che le funzioni di vigilanza vengano svolte in modo autonomo ed efficace.

Un punto di equilibrio, in tal senso, si può trovare mediante l’assegnazione delle funzioni di vigilanza all’organo di controllo interno già presente a seconda della struttura societaria prescelta, vale a dire il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza e il comitato per il controllo interno sulla gestione. Del resto, secondo le previsioni del codice civile, tali organi hanno un ruolo analogo – benché non sovrapponibile – rispetto a quello attribuito all’Organismo di Vigilanza ex d.lgs. n. 231/2001: invero, nell’ambito del dovere di vigilare «sull’osservanza della legge e dello statuto» nonché «sul rispetto dei principi di corretta amministrazione» rientra il compito di vagliare il comportamento degli amministratori anche sotto il profilo dell’illiceità penale26; parimenti, in modo del tutto simile all’O.d.V., l’organo di controllo interno è tenuto a sorvegliare «sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento»27. Peraltro, per quanto si possano condividere in astratto le preoccupazioni connesse alla potenziale sovrapposizione di ruolo di controllore e controllato in relazione ai reati per i quali è prospettabile una responsabilità dei sindaci a titolo di concorso omissivo ex art. 40, comma 2, c.p.28, non si può

mediante appositi protocolli aziendali, rappresenta una garanzia che il buon esito dell’investimento non possa essere pregiudicato quantomeno dalle conseguenze sanzionatorie di contestazioni legate a normative di dettaglio, prese in considerazione dal d.lgs. n. 231/2001.

Sotto altro profilo, in prospettiva prudenziale, occorre indagare la possibilità che il Venture

Capitalist riceva contestazioni dirette di

responsabilità ex d.lgs. n. 231/2001 in relazione a violazioni penalmente rilevanti perpetrate nella compagine della startup.

Preliminarmente si deve constatare l’astratta applicabilità della disciplina di cui al d.lgs. n. 231/2001 - alla luce dell’ampia previsione dell’art. 1 del decreto - all’investitore, laddove si tratti di un Corporate Venture Capitalist: in tal caso, infatti, l’attività è gestita da un’azienda, tipicamente attraverso una struttura societaria, mediante investimenti diretti nella startup34

oppure mediante la costituzione di un fondo interno dedicato o di un veicolo ad hoc35. Peraltro, in Italia, chi vuole utilizzare un fondo di Venture

Capital per investire in un’attività di rischio deve

necessariamente ricorrere alla forma giuridica della società di gestione del risparmio (SGR). Trattasi di una società per azioni a regime speciale costituita secondo le norme del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (c.d. Testo Unico Finanziario) che necessita della preventiva autorizzazione di Banca d’Italia, rilasciata a seguito di una valutazione sull’adeguatezza patrimoniale, strutturale e sulla prudente gestione delle risorse a disposizione. Inoltre, occorre considerare che l’investimento avviene generalmente mediante l’acquisto di partecipazioni o, in alternativa, mediante l’emissione di strumenti finanziari (anche obbligazionari) forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti amministrativi36.

Ciò premesso, nel fornire riscontro alla questione della potenziale responsabilità del Venture

Capitalist per reati commessi nell’ambito della Target, vengono in soccorso i principi fissati dalla

giurisprudenza di legittimità sul tema, differente ma affine, della responsabilità ascendente della società controllante rispetto a reati commessi nel contesto aziendale della controllata.

Ebbene, la Suprema Corte ha affermato che la holding/controllante possa essere ritenuta responsabile in presenza di due condizioni: a) che il reato-presupposto sia stato commesso nell’interesse o vantaggio immediato e diretto, oltre che della controllata, anche della controllante e b) che le persone fisiche collegate in via funzionale alla controllante (c.d. soggetti apicali o c.d. soggetti subordinati) abbiano partecipato alla commissione predisponendo un sistema preventivo “sulla carta”,

privo di effettiva operatività, con l’auspicio che tale schermo regga all’accertamento di idoneità ed effettività condotto dal Giudice penale.

Tuttavia, la compliance può essere letta come strumento di attrattività per investimenti in private

equity, in particolare da Venture Capitalist, pronti

ad immettere risorse in imprese che, per la natura dell’attività o lo stadio di sviluppo, risultano troppo rischiose per i mercati dei capitali tradizionali o dei prestiti bancari31.

A riprova di quanto appena detto, si deve considerare che, identificata un’opportunità di investimento, nella fase c.d. di Execution il Venture

Capitalist conduce ordinariamente un’attività

di Due Diligence (legale, finanziaria, di business, etc…) sulla potenziale target, a cui segue in caso positivo la negoziazione dell’investimento con i fondatori32. La due diligence legale avrà ad oggetto anche aspetti connessi ai diritti di proprietà industriale eventualmente già ottenuti o in fase di acquisizione, posto che l’obiettivo dell’investitore è anche di ottenere profitti attraverso l’esercizio esclusivo del diritto sottostante il brevetto sulla nuova scoperta. Parimenti, verrà analizzata in dettaglio la situazione economica, patrimoniale e finanziaria della target, oltre la posizione fiscale. Non da ultimo, la target dovrà portare a conoscenza dell’investitore la sussistenza di attuali o pregresse contestazioni penali nei confronti di apicali e subordinati, dettagliando l’eventuale rimprovero

ex d.lgs. n. 231/2001 mosso nei confronti della

società e descrivendo lo stato del procedimento, l’oggetto della contestazione e le prospettive di difesa33.

È chiaro che l’emersione, in sede di due diligence, di potenziali violazioni normative latenti – soprattutto di rilevanza penale – se non preclude alla startup ogni possibilità di ottenere l’investimento, quantomeno indebolisce il potere contrattuale dei fondatori.

All’opposto, il possesso del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo non può che essere un valore aggiunto per la società target, quale indicatore di una particolare attenzione all’etica nella gestione societaria e incentivo all’affidamento sul rispetto delle normative settoriali rilevanti per la natura dell’attività espletata. In altri termini, dal punto di vista del Venture Capitalist – chiamato a decidere se porre in essere un’operazione che di per sé presenta un elevato rischio operativo ed un elevato rischio finanziario connesso alla riuscita o meno del progetto finanziato – il possesso di un Modello di organizzazione, gestione e controllo coerente con le best practices, aggiornato alle ultime novità legislative ed effettivamente attuato

di valore e la crescita della partecipata. In alcuni (seppur rari) casi, il team di gestione del CVC viene distaccato in secondment presso la target, con un coinvolgimento più attivo che comporta anche l’assunzione di cariche manageriali39.

Per quest’ultime ipotesi, il Venture Capitalist non può trascurare il rischio di contestazioni ex d.lgs. n. 231/2001 dirette, in quanto, in fase di sviluppo di nuove opportunità di business per la partecipata, può accadere che soggetti appartenenti alla compagine societaria del CVC (il team di gestione) partecipino a scelte commerciali (di utilizzo o meno di una nuova tecnologia, di lancio o meno di un nuovo prodotto, di sostituzione o meno di un fornitore per avere un risparmio nei costi) che celino violazioni penalmente rilevanti.

Laddove ciò accadesse, sarà difficile sostenere che il Venture Capitalist non abbia tratto vantaggio dall’illecito che ha generato un’utilità per la startup, dal cui successo imprenditoriale dipende il ritorno dell’investimento.

Nella prospettiva di scongiurare siffatte contestazioni, il Venture Capitalist dovrebbe quindi adottare egli stesso un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo che preveda - tra l’altro - sia controlli preventivi rispetto agli obiettivi di investimento (formalizzando le procedure di due

diligence legale, con precipuo riferimento alle aree

a rischio di contestazioni ex d.lgs. n. 231/2001) che controlli periodici sulle partecipate, da effettuarsi a seguito dell’ingresso nella proprietà, soprattutto con riferimento a modifiche rilevanti, come ampliamenti del business, l’acquisizione di nuovi brevetti e l’introduzione di nuove tecnologie. Peraltro, il Venture Capitalist – come entità più strutturata – potrebbe supportare la startup (oltre che a livello operativo con la messa a disposizione di competenze manageriali e tecniche) anche nell’implementazione dei presidi di prevenzione del rischio-reato40. Lo stesso, infatti, potrebbe sfruttare l’opportunità di replicare il sistema di controllo su una molteplicità di investimenti, così ammortizzando, da un lato, i costi di implementazione e ottenendo, per contro, benefici in termini di efficienza della gestione e controllo sulle partecipate.

del reato presupposto, fornendo un contributo causale rilevante37.

Sostanzialmente, la Corte di Cassazione ha escluso ogni automatica estensione di responsabilità sulla scorta del mero dato del rapporto di collegamento o controllo societario e ha ribadito la necessità di procedere all’accertamento di tutti i presupposti dell’illecito amministrativo dell’ente (livello apicale o subordinato dell’autore del reato presupposto e interesse o vantaggio per la persona giuridica) anche con riferimento alla società controllante. Traslando i principi sopra espressi nella materia che ci occupa, si palesano due diverse situazioni, connotate da una minore o maggiore sinergia operativa tra la startup e il Venture Capitalist, determinata dagli obiettivi finanziari e strategici sottesi all’investimento38.

Il primo caso è quello in cui il Venture Capitalist persegue obiettivi strategici di tipo “abilitativo” di ampliamento del proprio business mediante attività collaterali oppure intende effettuare un investimento “passivo”, motivato dalla sola finalità di avere un ritorno finanziario: queste tipologie di CVC si caratterizzano per una relazione più libera e priva di sinergie operative, nell’ambito della quale l’amministrazione della startup è di esclusivo appannaggio delle risorse aziendali interne alla stessa e il team dell’investitore effettua una gestione di tipo indiretto, ossia di mero controllo delle performance. In tale ipotesi, la contestazione della responsabilità amministrativa

ex d.lgs. n. 231/2001 alla società investitrice

risulta altamente improbabile, in quanto le scelte di business competono esclusivamente alla target senza un’ingerenza sostanziale da parte del Venture

Capitalist.

Quando, invece, il Venture Capitalist persegue obiettivi strategici “incrementali” di consolidamento della strategia di business attuale e obiettivi finanziari “emergenti” di espansione e consolidamento nel mercato di riferimento, si vengono a creare stretti legami e sinergie operative tra la Corporate e la startup. In particolare, i team di gestione dell’investitore possono essere chiamati ad un’attività di affiancamento al management della target finalizzata a promuovere la creazione

1 Il d.l. n. 179/2012, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, ha introdotto la disciplina organica delle startup innovative al dichiarato scopo di «favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile, con riguardo alle imprese start-up innovative».

2 Il d.l. n. 179/2012 (artt. 26-31) e, successivamente, il d.l. 24 gennaio 2015, n. 3 convertito dalla legge 24 marzo 2015, n. 33 hanno predisposto diverse misure finalizzate a facilitare e sostenere le start-up nelle fasi di: a) avviamento dell’attività, come ad esempio la costituzione in modalità digitale, disintermediata e gratuita ovvero l’esonero da diritti camerali e imposta di bollo in sede di iscrizione nella sezione speciale del registro di imprese; b) crescita dell’attività, quali a titolo

esemplificativo l’accesso gratuito e semplificato al fondo di garanzia per le PMI, l’accesso a finanziamenti agevolati e gli incentivi all’investimento nel capitale di rischio; c) il consolidamento della startup anche in caso di insuccesso dell’attività, quali le deroghe alla disciplina societaria ordinaria, la possibilità di remunerare i collaboratori con strumenti di partecipazione al capitale sociale, l’esclusione dalla normativa sulle società di comodo e in perdita sistematica.

3 I dati sono messi a disposizione dal Ministero dello Sviluppo Economico, nel documento Cruscotto di Indicatori Statistici – Dati nazionali, Report con dati strutturali, Startup innovative, 2^ trimestre 2020, reperibile al seguente url https://www. mise.gov.it/index.php/it/impresa/competitivita-e-nuove-imprese/start-up-innovative. Dal documento si apprende – senza stupore – che a livello macroeconomico l’impatto delle nuove imprese non è così elevato in quanto, «tra le circa 366mila società di capitali costituite in Italia negli ultimi cinque anni e ancora in stato attivo, il 3,1% risultava registrata come start-up innovativa alla data della rilevazione» D’altra parte, «in alcuni settori economici l’incidenza delle start-start-up innovative sul totale delle nuove società di capitali appare rilevante»: 37,8% nel settore della fabbricazione dei computer; 39,4% in quello della produzione di software e ben oltre il 68,9% nel settore della ricerca e sviluppo.

4 Cfr. Cruscotto di Indicatori Statistici – Dati nazionali, Report con dati strutturali, Startup innovative, 3^ trimestre 2020 disponibile al seguente url https://www.mise.gov.it/index.php/it/per-i-media/notizie/it/198-notizie-stampa/2041672-startup-innovative-tutti-i-dati-al-30-settembre-2020.

5 Nel report del 2^ trimestre 2020 del Ministero dello Sviluppo Economico, Ibid., viene dato atto che «nel 2018 permane tra le startup innovative una maggioranza di società in Perdita: oltre il 51,8% (dato di appena quattro centesimi di punto percentuale più basso rispetto alla precedente rilevazione), contro la restante parte (circa il 48,2%) che segnala un utile di esercizio». Il dato viene confermato nel report del 3^ trimestre da cui emerge che «le startup innovative mostrano un’incidenza più elevata della media di società in perdita (oltre il 52,6% contro il 30,8% complessivo). Tuttavia, le società in utile mostrano valori particolarmente positivi in termini di redditività (ROI, ROE) e valore aggiunto. Inoltre, le startup innovative presentano un tasso di immobilizzazioni – uno dei principali indicatori della propensione a investire delle aziende – di circa sette volte più elevato rispetto alle altre aziende comparabili».

6 Forte di tale consapevolezza, il Legislatore emergenziale con il citato Decreto “Rilancio”, nel compendio delle misure a sostegno delle nuove imprese innovative, ha assegnato risorse aggiuntive nella misura di 2 milioni di euro per l’anno 2020 al Fondo a sostegno del Ventur Capital nell’ottica del sostentamento agli investimenti in capitale. A seguito della registrazione della Corte dei conti, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale (GU Serie Generale n. 288 del 19-11-2020) il decreto attuativo del 1 ottobre firmato dal Ministro dello Sviluppo economico che disciplina le «modalità di impiego delle risorse aggiuntive conferite al fondo di sostegno al venture capital e finalizzate a sostenere investimenti nel capitale delle start-up innovative e delle piccole e medie imprese innovative», che prescrive che il valore di ogni singola operazione effettuata dal Fondo non potrà essere superiore a massimo quattro volte l’investimento, nel limite complessivo di 1 milione di euro per singola Startup o PMI innovativa.

7 Nel Cruscotto di Indicatori Statistici del 2^ trimestre 2020, cit., viene dato atto che «in media ciascuna startup ha 4,7 soci, contro i 2,1 riscontrati tra le altre nuove imprese». Il dato è confermato dall’ultima edizione del report, aggiornata al 30 settembre 2020.

8 GUP Milano, sentenza 16 luglio 2020, n. 971, con cui è stato dichiarato il non luogo perché il fatto non sussiste nei confronti di una società a responsabilità limitata di tipo semplificato, con socio unico. Nella motivazione, il Giudice specifica che «viene a mancare […] la ratio di fondo della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche la quale immagina contegni penalmente devianti tenuti da persone fisiche nell’interesse di strutture organizzate di un certo rilievo di complessità quale centro di imputazioni di rapporti giuridici distinto da chi ha materialmente operato». La sentenza si pone nel solco dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che esclude l’applicazione del d.lgs. n. 231/2001 alle imprese individuali non in forma societaria [cfr. Cass., Sez. 6, sent. 23 luglio 2012 (ud. 16 maggio 2012), n. 30085, in CED 252995; Cass., Sez. 6, sent. 22 aprile 2004 (ud. 3 marzo 2004), n. 18941, in CED 228832], principio che può ritenersi ormai acquisito in quanto vi è solo una pronuncia isolata di segno opposto [Cass., Sez. 3, sent. 20 aprile 2011 (ud. 15 dicembre 2010) n. 15657, in CED 249320] ribaltata nel 2012. Quanto, invece, all’applicabilità della disciplina sulla responsabilità da reato in capo alla S.r.l. Unipersonale, occorre segnalare che la Suprema Corte ha sinora esposto una tesi positiva sulla scorta della considerazione che essa costituisce un «soggetto di diritto distinto dal soggetto che ne detiene le quote» [cfr. Cass., Sez. 6, sent. 25 ottobre 2017 (ud. 25 luglio 2017), n. 49056, in CED 271564].

9 Oltre alla fattispecie a rischio “specifico”, qui prese in considerazione perché connaturate allo status di startup innovativa, il risk assessment funzionale all’adozione del Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo potrà ovviamente far emergere il rischio di commissione di ulteriori categorie di reato, a seconda della tipologia societaria e dell’attività concretamente svolta dall’ente. Il riferimento è, ad esempio, ai reati societari, ai reati di omicidio e lesioni colpose per violazione del Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e ai reati ambientali, rispettivamente presi in considerazione dagli artt. 25-ter, 25-septies e 25-undecies d.lgs. n. 231/2001.

10 Gli altri requisiti alternativi per acquisire lo status giuridico di startup innovativa sono a) il sostentamento di spese in ricerca e sviluppo e innovazione pari ad almeno il 15% del maggior valore tra fatturato e costo della produzione, ovvero b)

l’impiego di personale altamente qualificato, con la presenza di almeno un terzo di dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori oppure almeno due terzi di laureati magistrali.

11 I reati di cui all’artt. 473 (rubricato “Contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni”) e 517-ter c.p. (rubricato “Fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale”) sono stati introdotti nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, la quale ha rispettivamente modificato gli artt. 25-bis e 25-bis.1. del d.lgs. n. 231/2001.

12 Vale a dire, il bene immateriale rappresentato dall’invenzione industriale che, in forza del brevetto, costituisce oggetto di esclusivo godimento e sfruttamento economico.

13 Nell’analisi del rischio di commissione dei delitti contro la Pubblica Amministrazione non deve essere, altresì, trascurato l’eventuale consolidato rapporto con Università statali, primaria fonte di approvvigionamento di risorse umane per molte startup innovative, considerando che, tra i requisiti alternativi che le startup devono possedere per dimostrare il carattere innovativo vi è l’impiego di personale altamente qualificato, composto da 1/3 di dottori di ricerca, dottorandi o ricercatori ovvero di almeno 2/3 di laureti magistrali. Con le Università, poi, le startup sovente condividono progetti di ricerca, eventualmente attraverso la sottoscrizione di specifiche convenzioni.

14 Tutti inclusi nel novero dei reati presupposto in forza dell’art. 24 d.lgs. n. 231/2001, modificato dalla L. n. 161/2017e dal d.lgs. n. 75/2020.

15 Il Regolamento Consob n. 18592/2013 si occupa di equity-crowdfunding. Con il termine crowdfunding ci si riferisce al processo con cui più persone conferiscono somme di denaro per finanziare un progetto imprenditoriale o iniziative di diversa tipologia mediante internet, avendo in correspettivo una ricompensa. Si ha “equity-crowdfunding” quando il finanziatore ottiene, come contropartita, una partecipazione al capitale dell’ente finanziato.

16 È opportuno, sul punto, specificare che il delitto di indebita compensazione può comportare il rimprovero di responsabilità amministrativa all’ente solo a condizione che sia stato commesso «nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri» e al fine di evadere l’IVA. Pertanto, nell’esempio qui descritto, il rapporto tra la startup e il fornitore o i fornitori delle consulenze fittizie