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FASE 3 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DELLA GIARDIOSI NEGLI OVINI DELLA SARDEGNA E IDENTIFICAZIONE DEGLI ASSEMBLAGGI COINVOLT

2. PARTE SPERIMENTALE

2.3. FASE 3 VALUTAZIONE DELLA PRESENZA DELLA GIARDIOSI NEGLI OVINI DELLA SARDEGNA E IDENTIFICAZIONE DEGLI ASSEMBLAGGI COINVOLT

NELLA MALATTIA OVINA

2.3.1 Background

I dati di prevalenza della giardiosi nell’ovino riportati in letteratura sono molto variabili nei diversi Paesi del mondo.

Le numerose indagini effettuate nell’emisfero occidentale mostrano valori di prevalenza che variano dall’11,1 al 44,0% in Australia (Nolan et al., 2010; Ryan et al., 2005; Yang et al., 2009), al 25,4% negli Stati Uniti (Santin et al., 2007), fino a valori molto elevati (55,6%) in Messico (Di Giovanni et al., 2006).

Anche la situazione in Europa riflette la stessa variabilità, dai valori molto bassi (1,3%) riscontrati in Polonia (Bajer, 2008), al 16,8% in Repubblica Ceca (Strnadová et al., 2008), dal 21 al 22,2% in Polonia (Stojecki et al., 2015a; 2015b), al 25,5% riportato in Belgio (Geurden et al., 2008), al 26,8% in Norvegia (Robertson et al., 2010), e dal 19,2 al 42% in Spagna (Castro-Hermida et al., 2006, 2007; Gomez-Munoz et al., 2009).

In Italia, solo due studi hanno fornito dati epidemiologici sull’infezione nell’ovino: un primo studio condotto in Sicilia, che riportava una prevalenza del 17,6 % su un totale di 596 ovini esaminati (Virga et al., 1998), e uno studio più recente (Giangaspero et al., 2005) che riportava una prevalenza nettamente inferiore nell’Italia Centrale (1.5 % su 525 animali).

Dato il potenziale rischio per la salute pubblica della giardiosi dovuta alla contaminazione dell’acqua e del cibo, è molto importante conoscere non solo la prevalenza ma soprattutto determinare con certezza i genotipi di G. duodenalis circolanti, dato che non tutti i genotipi sono pericolosi per l’uomo (Monis et al., 1999; Monis e Thompson, 2003).

Negli ovini sono state riportate infezioni causate da tre diversi genotipi di G. duodenalis, in particolare gli assemblaggi zoonotici A e B (Giangaspero et al. 2005; Aloisio et al., 2006; Yang et al., 2009; Robertson et al., 2010) e l’assemblaggio ospite-specifico E (Ryan et al., 2005; Santín et al., 2007; Geurden et al., 2008).

Per quanto riguarda la caratterizzazione biomolecolare degli isolati ovini in Italia, oltre all’assemblaggio E ospite-specifico, sono state riportate infezioni determinate dai genotipi AI (Giangaspero et al., 2005) e BI (Aloisio et al., 2006) dei quali è noto il potenziale zoonotico.

Un interessante studio condotto in Australia (Yang et al., 2015) mostra la presenza di cisti di Giardia con una prevalenza intorno al 5%, in diversi mercati di bestiame, in cui venivano venduti

ovini da carne, e nelle acque reflue di un mattatoio. Questo studio risulta particolarmente importante in quanto fornisce sia la prevalenza relativa al periodo pre-macellazione, in cui animali di diversa provenienza vengono radunati insieme e sottoposti a situazioni potenzialmente stressanti che possono favorire l’eliminazione di cisti; inoltre mostra la presenza del protozoo anche nelle acque reflue del mattatoio, che possono andare a contaminare l’ambiente circostante. Talvolta infatti queste vengono riutilizzate dopo trattamento addirittura all’interno degli stessi mattatoi, andando a costituire una possibile fonte di inquinamento delle carcasse (Barros et al., 2007).

Per quel che concerne il ruolo patogeno di G. duodenalis negli ovini, l’infezione determina diarrea e ritardo nella crescita degli agnelli infetti, sebbene in molti studi non vengano riportate manifestazioni cliniche o patologiche (Xiao, 1994).

In agnelli sperimentalmente infetti sono stati riportati effetti negativi sulla crescita, con uno scarso aumento di peso e una riduzione del peso della carcassa al momento della macellazione (Olson et al., 1995). G. duodenalis può causare sindromi da malassorbimento negli agnelli, e di conseguenza perdite economiche nell’allevamento ovino (Aloisio et al., 2006).

Lo scopo della presente indagine è stato pertanto condurre uno studio epidemiologico e biomolecolare sulla giardiosi negli ovini della Sardegna, al fine della valutazione dell’importanza zootecnica dell’infezione e dell’eventuale rischio zoonosico.

2.3.2 MATERIALI E METODI 2.3.2.1 Campionamento

Per valutare la diffusione di G. duodenalis negli ovini della Sardegna, sono stati esaminati in totale 915 campioni coprologici, provenienti da 61 allevamenti siti in tutto il territorio regionale. Il campionamento ha avuto luogo durante la principale stagione dei parti 2015/2016 (novembre 2015/febbraio 2016) su tre differenti categorie di ovini:

• agnelli in lattazione di età inferiore a 30 giorni; • pecore adulte nell’ultimo mese di gravidanza;

• pecore adulte che avevano partorito da massimo 30 giorni.

I campioni coprologici venivano ottenuti su ogni soggetto tramite prelievo rettale, debitamente contrassegnati, riposti in un contenitore refrigerato a 4°C e quindi trasportati entro 24h dal prelievo presso il laboratorio di Parassitologia dell’ODV del Dipartimento di Medicina Veterinaria di Sassari per essere sottoposti ad analisi.

Per ciascuna categoria sono stati prelevati 305 campioni, in particolare in ciascuno dei 61 allevamenti oggetto dello studio venivano prelevati campioni, 5 per ogni categoria di soggetti.

Ogni campione coprologico al momento del campionamento veniva classificato in base alla sua consistenza in tre differenti classi:

1) feci normali (feci secche disidratate scarsamente cedevoli al tatto negli agnelli o pellet fecali evidenti nelle pecore);

2) feci pastose (feci facilmente cedevoli al tatto o pellet non conformati nelle pecore); 3) feci liquide/diarroiche.

2.3.2.2 Analisi microscopica

In laboratorio i campioni venivano analizzati per il riscontro diretto di cisti di G. duodenalis, tramite una metodica di filtrazione e successiva flottazione in centrifuga con una soluzione di Solfato di Zinco (Tecnica di Wisconsin). Le fasi principali di questa tecnica prevedevano l’utilizzo di un campione di feci di almeno 1 - 3 grammi, che veniva stemperato in un barattolo con 10 ml di Solfato di Zinco (ZnSO4, p.s.:1200) e sciolto accuratamente.

Successivamente le feci venivano filtrate con una garza e trasferite in un altro barattolo, da cui, con l’ausilio di una pipetta Pasteur venivano prelevati 2 ml del liquido filtrato e trasferiti in una provetta. La provetta veniva poi completamente riempita con ZnSO4 fino a formare un menisco positivo, sul quale veniva poggiato un vetrino coprioggetto 24 X 24.

Le provette venivano centrifugate a 2000 rpm per 10 minuti, al termine dei quali il vetrino coprioggetto veniva prelevato e appoggiato su un vetrino portaoggetto, con l’aggiunta di una goccia di colorante di Lugol, necessario per la messa in evidenza di cisti di G. duodenalis. (Figura 4). Il vetrino veniva esaminato al microscopio ottico partendo dall’ingrandimento minore fino a 20X. In considerazione della scarsa quantità di feci ottenibile da ciascun agnello, per la ricerca delle cisti di G. duodenalis le analisi venivano effettuate su questa categoria di soggetti ricostituendo un pool dai cinque campioni fecali degli agnelli per ogni azienda, allo scopo di riuscire a ottenere quantomeno una positività aziendale per questa categoria di soggetti.

2.3.2.3 Indagine biomolecolare

Per l’indagine biomolecolare 4 campioni risultati positivi a G. duodenalis venivano sottoposti all’estrazione del DNA utilizzando il kit commerciale QIAamp DNA Stool Mini Kit (QIAGEN, Germany). Ciascun campione di feci veniva sottoposto a 3 cicli di congelamento in azoto liquido (- 196°C per 1 minuto) e scongelamento (100°C per 5 minuti) con lo scopo di frammentare la spessa parete cistica di G. duodenalis ed incrementare il rendimento del processo di estrazione del DNA. Il DNA estratto veniva stoccato a -20°C fino alla successiva fase di PCR.

I campioni di DNA estratti venivano sottoposti ad una Nested PCR specifica per un tratto di ~175bp della regione prossima alla terminazione 5’ del gene 16S-rRNA di Giardia. Nel primo step sono stati utilizzati i primers RH 11 (forward; 5’ –CAT CCG GTC GAT CCT GCC -3’) e RH 4 (reverse; 5’-AGT CGA ACC CTG ATT CTC CGC CAG G-3’) (Hopkins et al., 1997), nel secondo step i primers interni Giar-F: 5’ –GAC GCT CTC CCC AAGGAC-3’ e Giar-R: 5’ –CTG CGT CAC GCT GCT CG-3’ (Read et al. 2002). Ciascuna reazione di PCR veniva condotta in un volume finale di 25μl contenente PCR buffer (1X), MgCl2 (1,5 mM), dNTPs (0,2 mM di ognuno), primer FOR (0,2 µM), primer REV (0,2 µM), 1 U di Taq polimerasi (Invitrogen), DNA, H2O milliq.

Per quanto riguarda i parametri di reazione sono stati utilizzati per entrambi gli step le seguenti condizioni: denaturazione a 94°C per 7 minuti, seguita da 35 cicli di amplificazione con denaturazione a 95°C per 30 secondi, annealing a 65°C per 30 secondi, amplificazione a 72°C per 30 secondi, estensione finale a 72°C per 10 minuti.

Tutte le reazioni di amplificazione venivano effettuate in un termociclizzatore GeneAmp PCR System 2007 (Applied Biosystems).

Gli amplificati ottenuti dalla Nested PCR venivano sottoposti a elettroforesi in gel di agarosio all’1% in tampone TAE 1X (Tris-Acetato 40mM, Na2EDTA 0,1 Mm, pH 8) e Sybr Safe DNA gel stain (Invitrogen). La visualizzazione dei risultati e l’acquisizione dell’immagine veniva effettuata mediante lo strumento UVITEC (Cambridge). La stima della lunghezza del frammento veniva effettuata mediante l’utilizzo dello standard di pesi molecolari Thermo Scientific GeneRuler (100 bp DNA ladder).

2.3.3 RISULTATI

Nessun animale adulto esaminato nelle categorie delle pecore nel periodo post parto ed in quelle in gravidanza è risultato positivo per G. duodenalis.

Dall’analisi dei campioni provenienti dagli agnelli è stato possibile rilevare l’infezione da G. duodenalis nel 6,6 % (4/61) degli allevamenti monitorati.

Il numero di cisti rinvenuto all’esame microscopico era molto contenuto (Figura 1), sono state osservate infatti in media 1-2 cisti per campo microscopico a 20X (Figura 2); solo in un caso si sono riscontrate 5/6 cisti per campo.

Il basso numero di campioni positivi, non ha consentito di effettuare un’analisi dei fattori di rischio per l’infezione.

I risultati ottenuti attraverso la Nested PCR ed il successivo sequenziamento hanno permesso di isolare l’assemblaggio AI di G. duodenalis.

2.3.4 DISCUSSIONE

I dati ottenuti dalla nostra indagine su G. duodenalis hanno evidenziato come la giardiosi sia attualmente presente negli allevamenti ovini della Sardegna. I valori di prevalenza non sono risultati elevati (6,6% degli allevamenti monitorati), ma il protozoo è stato evidenziato esclusivamente in categorie di animali a rischio, come gli agnelli.

La positività di 4 allevamenti ovini, significa che almeno 4 degli agnelli esaminati presentavano un’infezione da G. duodenalis (uno per ciascun pool positivo), pertanto la prevalenza individuale è stata stimata essere maggiore o uguale all’1,3%, in linea quindi con quanto riportato da Giangaspero et al. (2005).

La presenza di G. duodenalis è stata riscontrata limitatamente alla categoria degli agnelli, in analogia anche con Olson et al. (1997), che evidenzia una maggior sensibilità degli animali giovani rispetto ai capi adulti. I motivi di tale maggiore suscettibilità vanno probabilmente ricercati nella minor efficacia della risposta immunitaria in questa categoria di soggetti, così come già sostenuto da altri autori (Castro-Hermida et al., 2011).

Tuttavia sono presenti in letteratura altre indagini nelle quali si sono registrati dei tassi di prevalenza più elevati in agnelli svezzati e in ovini adulti (Santìn et al., 2007; Wang et al., 2016). La maggior recettività registrata nei confronti di G. duodenalis negli ovini adulti, secondo Yang et al. (2009) può dipendere da situazioni stagionali e di stress dei soggetti monitorati; lo studio in questione infatti si trattava di campioni raccolti da soggetti adulti ricoverati nella stalla in un macello per cui questi autori ipotizzano che lo stress del raduno, del trasporto e della stabulazione possano aver determinato un aumento nell’eliminazione di cisti da parte degli animali positivi, e quindi una maggiore contaminazione ambientale.

La giardiosi ovina, sembrerebbe quindi scarsamente diffusa in Sardegna, e in ogni caso limitata agli agnelli e in grado di determinare un’infezione non particolarmente grave. Tutto questo è in analogia anche a quanto riscontrato in un’indagine simile condotta da Giangaspero et al. (2005) su agnelli e pecore adulte dell’Abruzzo, in cui era stata riscontrata una prevalenza dell’1,5% (5/325), e anche in questo caso i soggetti positivi erano tutti agnelli di età inferiore ai 2 mesi. Ben diversi sono i valori di prevalenza riportati in Sicilia circa venti anni fa, in cui, su 596 ovini destinati alla macellazione, il 17,6% risultava positivo a G. duodenalis (Virga et al., 1998).

L’analisi biomolecolare dei campioni positivi da noi riscontrati, ha permesso di identificare l’assemblaggio AI. Tale risultato risulta in linea con quanto riportato da Giangaspero et al. (2005) in Abruzzo; gli autori hanno isolato per la prima volta l’assemblaggio AI come genotipo di G. duodenalis responsabile dell’infezione negli ovini in Italia (Giangaspero et al., 2005).

Aloisio et al. (2006) riportano invece un caso di grave sindrome da malassorbimento, calo di peso, emissione di feci malformate raramente diarroiche, che ha coinvolto un gruppo di 450 agnelli di età compresa tra i 30 e i 90 giorni. Dopo il decesso di tre animali sono state compiute approfondite analisi che hanno portato all’identificazione di G. duodenalis quale responsabile dell’episodio, e inoltre le sequenze ottenute dall’analisi biomolecolare hanno mostrato una stretta omologia con l’assemblaggio B, più precisamente con il sottotipo B1, precedente riscontrato in infezioni umane e in contaminazioni ambientali (Thompson e Monis, 2004).

2.3.5 FIGURE

Figura 1 - Cisti di Giardia duodenalis ottenute mediante flottazione, ingrandimento 10X.

Figura 2 – Campo microscopico a 20X, utilizzato per calcolare la media delle cisti di Giardia duodenalis nei campioni esaminati.

CONCLUSIONI

Il presente lavoro apporta un sostanziale contributo alla conoscenza dell’epidemiologia di criptosporidiosi, giardiosi e sarcosporidiosi negli ovini della Sardegna, colmando il gap di conoscenza che riguardava questi protozoi, due dei quali di interesse zoonosico (criptosporidiosi e giardiosi), e le loro effettive implicazioni sullo stato zootecnico-sanitario del comparto ovino in Sardegna.

In particolare è stato evidenziato come Cryptosporidium spp. sia presente nel 34,4% degli allevamenti ovini sardi monitorati e nel 10,1% dei campioni analizzati. Questo protozoo coinvolge in modo significativo soprattutto gli agnelli (16,4%), rispetto alle pecore nel periodo post parto (6,6%) e quelle in gravidanza (7,2%), confermando la correlazione negativa tra l’età e i tassi di prevalenza.

Inoltre sebbene siano state riscontrate maggiori positività in campioni di feci liquide/diarroiche, non bisogna trascurare gli animali che seppur non mostrando turbe dell’apparato digestivo (5,7%) contribuiscono al mantenimento dell’infezione in allevamento.

L’analisi del genotipo e la subtipizzazione ha consentito di rilevare le specie zoonotiche C. parvum, sottotipo IIa e IId, e C. ubiquitum, sottotipo XIIa, dando prova del fatto che gli ovini in Sardegna potrebbero rappresentare una potenziale fonte di infezione per l’uomo.

La presenza di sarcocisti macroscopiche e microscopiche negli ovini della Sardegna rappresenta un importante dato epidemiologico, inoltre la loro presenza sembra avere una distribuzione uniforme in tutta l’isola. La bassa prevalenza delle sarcosporidiosi macroscopiche (23,3%), che hanno come ospite definitivo il gatto, rispetto a quelle microscopiche (95,5%), che hanno come ospite definitivo il cane, può essere spiegata dal fatto che a causa del tipo di allevamento le pecore sarde hanno più contatti con i cani, che vengono impiegati normalmente per la custodia del gregge, rispetto ai gatti, che invece gravitano preferenzialmente intorno alle strutture murarie delle aziende (ovili e capannononi).

Sebbene le specie macroscopiche sembra abbiano un ruolo patogeno marginale, la loro presenza nei vari organi può provocare importanti perdite economiche nell’industria della macellazione, poiché il riscontro di una massiva infestazione durante l’ispezione sanitaria post-mortem della carcassa ne

determina l’esclusione dal consumo umano. D'altro canto, le elevate prevalenze delle specie microscopiche potrebbero avere un importante impatto sulla produzione degli ovini a causa degli effetti negativi sulla crescita e sull’incremento ponderale degli animali, oltre a poter arrecare danni non sottovalutabili dovuti al loro ruolo di agenti potenzialmente abortigeni.

Meno preoccupante risulta essere la situazione zootecnico-sanitaria riferibile alla giardiosi. L’infezione infatti, oltre ad essere stata riscontrata con una bassa prevalenza (6,6% degli allevamenti monitorati), sembra coinvolgere solamente gli agnelli, e non sembra determinare importanti problemi sanitari, in virtù della sua scarsa diffusione e dello scarso numero di cisti rilevate nei campioni. Tuttavia l’identificazione dell’assemblaggio AI tra i campioni esaminati rappresenta un dato importante dal punto di vista della salute pubblica in quanto gli agnelli della Sardegna potrebbero rappresentare una potenziale fonte di trasmissione per l’uomo. Infatti l’elevato numero di soggetti allevati in Sardegna, che vengono poi “concentrati” all’atto della macellazione, che avviene intorno ai 30-40 giorni di vita, può comportare ad esempio presso i mattatoi degli importanti situazioni maggiormente a rischio di contaminazione ambientale.

Le metodiche diagnostiche utilizzate in laboratorio hanno dato degli ottimi risultati per quasi tutte le specie oggetto di studio, eccetto per G. duodenalis negli agnelli, per cui sono state riscontrate non poche difficoltà, dovute all’esigua quantità di campione prelevato, che non ha consentito di poter concentrare le feci in modo ottimale e quindi di avere un’adeguata quantità di DNA per poter effettuare un’agevole determinazione degli assemblaggi. In particolare l’esigua quantità di feci prelevabile in individui molto giovani ha costretto ad utilizzare un protocollo diagnostico su pool di cinque animali, diluendo quindi la quantità di cisti presenti nel campione analizzato successivamente in laboratorio.

I risultati ottenuti nel presente studio rimarcano la necessità di stabilire appropriate misure di monitoraggio e controllo al fine di arginare la diffusione di questi parassiti tra la popolazione ovina della Sardegna. Queste misure andrebbero in primo luogo a beneficio del settore zootecnico ovino, sia da un punto di vista prettamente sanitario, con il miglioramento delle condizioni di salute e di benessere animale, sia da un punto di vista zootecnico-economico, con la riduzione delle perdite dovute allo scarso incremento di peso alla macellazione nel caso di criptosporidiosi e giardiosi, e di quelle dovute all’esclusione dal commercio delle carni parassitate nel caso della sarcosporidiosi. In secondo luogo tali misure andrebbero a beneficio della salute umana, con la riduzione della contaminazione ambientale e di conseguenza delle fonti di contagio per l’uomo.

Per quanto riguarda la criptosporidiosi e la giardiosi sarebbe auspicabile in primo luogo il monitoraggio coprologico degli agnelli, in modo da stabilire se l’infezione sia presente nell’allevamento in maniera da eventualmente applicare un’adeguata strategia di controllo. Mentre per la giardiosi si sono rivelate efficaci terapie a base di fenbedazolo a una dose di 10 mg/kg per tre giorni consecutivi (Xiao et al., 1996; O’Hadley et al., 1997, Aloisio et al., 2007), in Italia non esistono farmaci registrati per il trattamento della criptosporidiosi negli agnelli (Mariano et al., 2014). Sebbene alcuni prodotti si siano dimostrati efficaci in fase sperimentale (ad es. alofuginone lattato e paromomicina solfato), il controllo della criptosporidiosi è affidato tuttora soprattutto a misure profilattiche quali pulizia a caldo e ad alta pressione dei locali, disinfezione con ammoniaca, vuoto sanitario, allevamento in box molto puliti, isolamento degli animali malati e separazione degli animali in base alle classi di età (Chartier, 2002; Mariano et al., 2014).

Si rende necessaria inoltre la formazione di veterinari e addetti ai lavori, affinché effettuino controlli (esami coprologici specifici e mirati) volti a conoscere la distribuzione di queste infezioni nelle aziende di tutto il territorio, ma anche l’informazione degli stessi sui reali rischi per la salute umana affinché possano applicare misure igieniche mirate per prevenirne la trasmissione alle categorie più suscettibili. In letteratura sono presenti casi di trasmissione indiretta della criptosporidiosi: in un recente studio è stata descritta la trasmissione zoonotica dell’infezione ad un bambino, ed è stata dimostrata la correlazione con un focolaio di criptosporidiosi ovina nell’azienda di un familiare (Cacciò et al., 2013).

Al monitoraggio di queste infezioni in allevamento, è necessario associare il controllo della contaminazione ambientale, fondamentale se si considera l’estrema resistenza delle forme di propagazione di questi protozoi alle comuni condizioni atmosferiche e ai comuni processi di sanitizzazione delle acque. È stata infatti riportata la presenza di questi protozoi nelle acque di alcuni impianti di trattamento delle acque reflue in varie regioni d’Italia, tra cui la Sardegna (Cacciò et al., 2003), e sono noti numerosi episodi di contaminazione delle acque ad uso ricreativo quali le piscine (Yoder et al., 2008; Plutzer et al., 2010).

Anche il monitoraggio delle sarcosporidiosi risulta di estrema importanza in quanto possono essere utilizzate come marker di contaminazione ambientale e di un corretto management aziendale. In particolare la presenza delle sarcosporidiosi macroscopiche (S. gigantea e S. medusiformis) indica uno stretto contatto tra gli ovini e i gatti, i quali fungono da ospiti definitivi anche per la più importante zoonosi protozoaria di origine alimentare, la toxoplasmosi, che presenta un ciclo biologico sovrapponibile. Il monitoraggio delle sarcosporidiosi macroscopiche al mattatoio potrebbe rappresentare un indicatore di rischio di toxoplasmosi in allevamento e quindi nei prodotti

di origine animale, tenuto anche conto che la diagnosi di toxoplasmosi nelle carni è possibile solamente mediante le metodiche istologiche, immunologiche o biomolecolari (PCR), mentre le sarcosporidiosi sono visibili macroscopicamente durante la visita ispettiva.

Allo stesso modo le forme microscopiche, che abbiamo visto essere molto diffuse tra gli ovini della Sardegna (basti pensare al 95,5% di prevalenza riscontrato per S. tenella), e che hanno come ospite definitivo il cane, indicano uno stretto contatto tra gli ovini e questo carnivoro, responsabile della trasmissione di altre zoonosi particolarmente importanti, quali ad esempio l’echinococcosi e la cenurosi, entrambe endemiche in Sardegna.

In quest’ottica occorre rimarcare quindi l’importanza dello stato sanitario non solo degli ovini, ma anche di tutti gli altri animali presenti in allevamento e con i quali gli ovini e l’uomo stesso entrano in contatto. Per perseguire questo obiettivo non è sufficiente (anche se sarebbe già un importante passo avanti) il trattamento periodico con antielmintici (come suggerito dalle linee guida ESCCAP), ma sono necessari dei controlli periodici tramite tecniche di diagnostica parassitologica, al fine di accertarsi della situazione sanitaria e razionalizzare l’uso degli antiparassitari.

In conclusione i risultati del presente studio aggiornano i dati sulla presenza di queste importanti zoonosi parassitarie nel territorio della Sardegna, e rimarcano la necessità di affrontare il problema attraverso l’approccio “One Health” (la salute umana e la salute animale devono essere “una sola salute”), attraverso la sinergia delle diverse discipline, tra la medicina veterinaria e quella umana, affinché operino di concerto a livello locale, nazionale e globale, stabilendo un approccio integrato. L’obiettivo comune è la prevenzione ed il controllo delle malattie zoonosiche mantenendo al

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