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Vecchia e nuova filantropia in America e l’avvento dei giving circle

2. Giving Circle: un’introduzione

2.2. Vecchia e nuova filantropia in America e l’avvento dei giving circle

circle

A partire dall’inizio degli anni 2000, una grande parte degli studiosi di finanza americani (oltre che sociologi e giornalisti) ha riconosciuto che fosse cominciata una nuova era per la filantropia locale. Si è infatti passati da un modello tradizionale in cui il settore era normalmente popolato da istituzioni filantropiche organizzate (utili in un primo periodo anche per razionalizzare e professionalizzare il campo, costituite principalmente da fondazioni e programmi filantropici federati, con un alto tasso di competizione) alla cosiddetta “nuova filantropia”, in cui sono essenzialmente i singoli individui a voler partecipare a processi di donazione e volontariato meno convenzionali, ma più mutevoli (nel coprire settori anche molto diversi tra di loro) e coinvolgenti rispetto alle precedenti esperienze, in cui il rapporto interpersonale era passato in secondo piano. Eikenberry74

fa anche notare che non si tratta solamente di una tendenza a sé: la nuova filantropia si colloca in un ambiente di grande trasformazione sociale in cui i donatori (provenienti da contesti diversi) cercano nuovi modi di essere coinvolti nelle loro comunità.

72 Wuthnow, R., Sharing the journey: Support groups and America’s new quest for community. New York:

Free Press, 1994

73 Wuthnow (1994), p.40.

74 Eikenberry, A. M., Philanthropy and Voluntary Association in the Hollow State: Giving Circles and

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La nuova filantropia si manifesta sotto svariate forme negli USA, una delle quali più interessanti è quella dei giving circle. Essi sono strumenti particolarmente duttili e dai contorni non delineati; possono, ad esempio, seguire principi identitari (come nel caso di circoli composti unicamente da persone afro-americane o di sesso femminile) oppure essere improntati all’imprenditorialità, solitamente sempre concependo l’idea di un gruppo di individui che concentrano le proprie risorse per poi decidere insieme dove devolverle. Dalle ricerche che sono state fatte in questo Paese, non è certo quanti circoli siano presenti75, ma certamente aiutano i membri ad essere coinvolti nelle comunità,

spesso per molto tempo.

Secondo i risultati di interviste che Eikenberry ha condotto per studiare il fenomeno, anche qui come nel Regno Unito (vedi in seguito) i giving circle sono considerati differenti rispetto alle altre forme di filantropia in quanto offrono un valore aggiunto alla relazione con i beneficiari. Infatti, non si tratta solamente di circolazione di denaro, ma anche e soprattutto di nuovi volontari, risorse maggiori, nuovi contatti, prestigio ed accesso a nuovi donatori che il rapporto porta con sé. Si può quindi dire che l’enfasi non ruoti solamente attorno ai movimenti di cassa, ma anche all’esperienza umana e di crescita per entrambe le parti.

Il grande punto interrogativo che rimane su questi gruppi riguarda alcune loro altre caratteristiche. In particolare, gli intervistati hanno sottolineato quanto sia stato facile ottenere fondi dai circoli, nonché le loro attitudini di “informalità” e “flessibilità”; da un lato si può dedurre che questi due sostantivi corrispondano a qualità che possono dare un senso “leggero” e familiare alla relazione, ma dall’altro si rischia di instaurare un rapporto di eccessiva confidenza e lascività che porta al decadimento degli obiettivi ed ad una perdita di focus. Questo pericolo è evidenziato anche in una conversazione telefonica che Eikenberry riporta nel suo scritto:

“La gente era felice di donare denaro (…) non comportava alcun tipo di sforzo. Non dovevo compilare e firmare alcun tipo di contratto (…) Era come se la gente capisse che il loro denaro stava andando ad una buona causa, ed indipendentemente che si parlasse

75 Più di 400 nel 2008 secondo il Forum of Regional Associations of Grantmakers, ma sicuramente molte

di più oggi vista l’espansione del fenomeno negli ultimi anni, che coinvolge uomini e donne di tutte le età e provenienze

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comprare libri, pagare un trainer o contribuire a finanziare un’assicurazione sanitaria (…) la cosa a cui pensavano non era “mi serve una ricevuta per vedere dove vanno esattamente questi soldi” (…) il che era piacevole per me” [professional no profit,

intervista telefonica condotta da Eikenberry nel giugno 2006]

Senz’altro la dimensione più personale che si instaura nel rapporto tra circoli e destinatari contribuisce spesso a far pervenire benefici non contemplati dalla relazione tra le parti; esempi di ciò sono nuovi volontari che rimangono anche al di fuori dell’esperienza, maggiori fondi e contributi allo sviluppo, nuovi contatti portano a maggiori risorse, prestigio e futuri benefici dati dal fatto che i membri sono spesso ben collocati nelle comunità d’appartenenza ecc. Questi aspetti pure contraddistinguono i

giving circle e li rendono unici rispetto agli altri strumenti filantropici.

Dall’altro lato, altri intervistati raccontano come effettivamente tutte le note positive che finora si sono elencate non arrivino facilmente o non siano sempre presenti. In molti casi, i giving circle non sono interessati ad essere cercati dai beneficiari una volta che gli obiettivi fissati in partenza si sono raggiunti, andando a creare possibili “buchi” nella strategia finanziaria dei destinatari. A volte anche arrivare ai singoli membri risulta difficile, in quanto i circoli rimangono chiusi a chi è esterno in termini di facilità di contatto, scoraggiando il fiorire di nuove relazioni individuali interpersonali e possibile prosperità futura a favore della compattezza del circolo e della sua maggior forza ed efficacia.

Ancora, la relazione tra le parti può risultare difficoltosa quando si crea un’incongruenza tra ciò di cui l’entità no profit ha bisogno e ciò che i circoli cercano per adempiere a quanto gli obiettivi educativi e di engagement richiedono; a volte questi ultimi rischiano anche di mettere in difficoltà i beneficiari avanzando richieste inadatte al loro status attuale, creando problemi che richiedono tempo per essere risolti ed adattati. Da un punto di vista comportamentale, a volte non risulta chiaro a chi interloquisce con i circoli come ci si debba comportare con loro e soprattutto quale ruolo i professionisti del settore che sono in contatto debbano ricoprire. Ecco un esempio:

“Di solito è molto chiaro quale sia il loro scopo. Il loro scopo è quello di donare denaro in base a determinati criteri prefissati, o valori, o qualcosa (…) Non credo che qualcuno si

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stia grattando il capo dicendo “Cosa succederà dopo?” e questo è sotto gli occhi di tutti. Credo che con questi giving circle ci sia un po’ meno chiaro cosa dovremmo fare esattamente” [professional no profit, intervista telefonica

condotta da Eikenberry nel giugno 200676]

Questa confusione è data anche dal fatto che i membri spesso stanno ancora cercando di capire quali siano gli obiettivi del proprio circolo ed i processi che vi stanno dietro quando vanno a collaborare con altre entità, dato che questi strumenti sono una novità nel meccanismo filantropico, oltre che spesso appena nati quando avviano partnership. Questi fatti portano a volte a cambiamenti improvvisi in corso d’opera agli obiettivi, a cui le controparti fanno fatica ad adattarsi e che screditano la serietà dei circoli. Purtroppo anche il fatto che i giving circle spesso siano presenti solo per cooperare per un progetto specifico, o comunque per poco tempo, fa venir meno tutti quei benefici extra di cui si parlava in precedenza, portando la tipologia della relazione ad un livello pressoché “standard” e simile a quelli degli altri atti filantropici.

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