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Un ventennio di crescita economica e benessere sociale (1951-1970)

Il periodo che va all‘incirca dai primissimi anni ‘50 fino indicativamente all‘inizio dei ‘70 è unanimemente considerato come un‘epoca di crescita economica, di espansione dei consumi, di mutamenti sociali e culturali per molti aspetti radicali. Bisogna comunque precisare che perlopiù queste tendenze sono riferibili specificatamente al mondo occidentale ed industrializzato, e solo parzialmente ai cosiddetti Secondo e Terzo Mondo. Hobsbawm ha definito questi processi nel loro insieme ―la più grande, veloce e universale trasformazione della storia umana‖125.

Restando ancorati al tema preciso di questa ricerca, ci si limiterà di seguito ad analizzare, nel contesto cui si è appena accennato, quali politiche furono adottate in Gran Bretagna per quel che riguarda il welfare state, in che modo queste andarono ad incidere sulla vita economica e sociale del Paese e quale dibattito generò tra gli intellettuali e nei partiti politici la riflessione sulle finalità politiche e sociali per cui il

welfare state esiste e si evolve. Non si può però evitare di riportare la cornice sociale,

economica e politica entro cui si svilupparono queste tematiche, proprio perché – come già detto – il welfare state va visto nel proprio contesto storico, e non isolatamente da esso.

Questo periodo, che ha coperto quasi un quarto di secolo, può inoltre essere trattato unitariamente anche perché, generalizzando e semplificando, coincise con una sostanziale omogeneità nell‘approccio alle politiche di intervento sociale ed economico; si instaurò infatti in questo periodo un intreccio molto stretto tra l‘ideologia della crescita economica, l‘ ―economia mista‖, la nascente società dei consumi e il welfare

state. Ognuno di questi aspetti era considerato presupposto per gli altri, e nessuno di

questi pareva poter essere realizzabile senza gli altri.

È importante soffermarsi brevemente sugli sviluppi globali di questa interdipendenza, proprio perché è stata parte integrante di un quadro complessivo fatto non solo di benessere materiale e accesso di massa ai consumi, ma anche di ottimismo e speranze

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collettive e individuali, che sono ben riassumibili nello slogan elettorale vincente del candidato premier conservatore MacMillan nel 1959: ―Non siete mai stati così bene.‖126 D‘altro canto, non è forse del tutto corretto esagerare l‘unanimismo in merito alle politiche sociali: è vero che i conservatori non andarono a ridimensionare i provvedimenti presi dai laburisti nel 1945-51, ma è altrettanto innegabile che essi non sfuggirono da una logica che tendeva comunque a preferire il settore privato piuttosto che l‘azione dello Stato in materia di politiche sociali. Altro aspetto da rilevare – in un certo senso forse scontato – è che per i conservatori, a differenza che per i laburisti, le politiche sociali non si intrecciavano con una visione più generale dell‘economia. Essi per così dire si ―limitarono‖ a sfruttare la crescita economica per poter espandere le politiche di welfare127. Una politica più organica di ampie riforme in materia sociale

sarebbe stata ripresa solo con il ritorno al governo dei laburisti di Harold Wilson, tornati al potere dopo una decisa svolta ideologica e un lungo dibattito programmatico che ebbe tra i suoi punti focali proprio il welfare state ed il suo ruolo ―storico‖. Tuttavia, i laburisti governarono anche in un momento, la seconda metà degli anni ‘60, in cui l‘economia cominciò a registrare segni di rallentamento a livello globale, mentre crebbe l‘intensità del conflitto sociale.

3.1. Gli anni ‘50 e ‗60: crescita economica e società dei consumi

Lo storico dell‘economia Van Der Wee ha riportato come negli anni del dopoguerra la crescita non fosse un semplice fenomeno economico, ma anche uno strumento di coesione sociale. Una vera e propria programmazione della crescita fu in cima alle esigenze dei governi occidentali, tanto che ―essa divenne una frontiera, se non addirittura un‘ossessione: l‘obiettivo era non solo crescere, ma crescere in fretta, più in fretta della media storica delle economie occidentali‖128. Sinteticamente i fattori globali

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Ivi. Citato a pp. 303-304. In realtà, Peter Clarke riporta come sui manifesti elettorali conservatori apparisse la frase: ―La vita è meglio coi conservatori. Non lasciare che i laburisti la rovinino‖. Cfr. P. Clarke, op. cit., p. 345. Il ministro dell‘economia tedesco Ludwig Erhard, soprannominato ―il padre del miracolo economico tedesco‖, usò l‘espressione ―Benessere per tutti‖ come slogan elettorale nel 1957, in termini analoghi a quelli di MacMillan, essendo peraltro entrambi appartenenti a partiti conservatori. Si veda L. Erhard, Benessere per tutti, in Id., La politica economica della Germania, cit., pp. 197-215.

127 I. Masulli, op. cit., pp. 93-95. 128

H. Van Der Wee, op. cit., p. 29. Sulla crescita nei singoli Paesi europei, in termini di effettive

performance economiche e per l‘ideologia dello sviluppo che le accompagnò, si veda anche M. Postan, Storia economica d‟Europa 1945-1964, Laterza, Roma-Bari 1975, cfr. pp. 3-47.

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alla base di questa crescita senza precedenti in Europa occidentale furono molteplici, e tra questi anzitutto la ripresa dagli anni di ristagno economico della Grande Depressione e il boom della Guerra di Corea dopo la ricostruzione postbellica. La Seconda guerra mondiale aveva portato a consistenti danneggiamenti delle infrastrutture e ad una carenza di materie prime e di valuta estera (soprattutto i dollari) per poterle importare. Tuttavia, nei principali Paesi europei, la capacità produttiva industriale non era andata distrutta e, in certi settori, era superiore ai livelli prebellici. Gli impianti e i macchinari (il capitale fisso) in Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna erano rimasti sostanzialmente intatti. Soprattutto in Germania, essi erano oltretutto all‘avanguardia dal punto di vista tecnologico grazie agli investimenti bellici degli anni precedenti129. Questi fattori avrebbero permesso ben presto ai Paesi europei di riprendere e superare i livelli di produzione pre-‘29. Se queste erano le premesse per la futura crescita economica in Europa occidentale, altri fattori si sarebbero accompagnati nel corso degli anni ‘50 e fino ai primi anni ‘70.

L‘ampio accesso alle materie prime dai Paesi produttori del Terzo Mondo a prezzi competitivi ha garantito la benzina per il motore dello sviluppo industriale e dei consumi nei Paesi occidentali130. Questo è stato nello specifico il caso del petrolio che, abbondante e a buon mercato, dal 1958 al 1973 sarebbe divenuto la principale fonte energetica per l‘Europa occidentale, surclassando il carbone come produzione e consumo131. In secondo luogo vanno considerati gli aumenti della domanda e dell‘offerta; ad un‘espansione dei mercati esteri, dei consumi di prodotti industriali e di beni voluttuari crebbero simultaneamente i salari e le retribuzioni grazie alle rivendicazioni sindacali. Sul versante dell‘offerta, la grande disponibilità di manodopera

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Per un quadro d‘insieme, si veda V. Zamagni, op. cit., pp. 217-221. Per un‘analisi sui singoli Paesi si rimanda a The economics of World War II. Six great powers in international comparison, cit., dove sono contenuti i già citati saggi di S. Broadberry, P. Howlett, The United Kingdom: “Victory at all costs”, cit., cfr. in particolare pp. 63-73 e W. Abelshauser, Germany: guns, butter and economic miracles, cit., cfr. pp. 151-170, e il saggio di V. Zamagni, Italy: how to lose the war and win the peace, pp. 177-214, cfr. pp. 207-214.

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Nello specifico caso britannico non va inoltre sottovalutato, fino almeno alla metà degli anni ‘60, la posizione di vantaggio nell‘accesso e nello sfruttamento delle immense risorse e materie prime, non solo energetiche, delle colonie del Medio Oriente e soprattutto dell‘Africa. Su un bilancio costi/benefici del mantenimento dell‘Impero nel XX secolo inoltrato, anche in relazione ai ritardi nell‘ammodernamento dell‘industria britannica, le interpretazioni sono tutt‘altro che univoche, e tenderebbero piuttosto a conclusioni negative. Si veda P. Wende, L‟Impero britannico, Einaudi, Torino 2009, cfr. pp. 247-297, in particolare pp. 268-271 e 290-293.

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La domanda di petroli sarebbe aumentata di otto volte tra il 1946 ed il 1973, mentre quella di carbone sarebbe solo raddoppiata nello stesso periodo. A. Gauthier, L‟economia mondiale dal 1945 ad oggi, Il Mulino, Bologna 1998, cfr. pp. 167-170.

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favorì in maniera fondamentale la crescita. Inoltre, essa permise lo sviluppo dei settori industriali arretrati dal punto di vista tecnologico così come di quelli maggiormente produttivi e all‘avanguardia.

Altri fattori di crescita furono anche le politiche economiche dei governi, a seconda dei singoli Stati più o meno interventiste, per favorire la crescita, ad esempio attraverso la ―concertazione‖ tra governi e parti sociali per stabilire investimenti e redditi. Si arrivò così ad un equilibrio tra investimenti nelle infrastrutture e nei servizi, nei settori trainanti la società dei consumi, e negli interventi di rilancio economico e industriale delle aree arretrate. Tutte queste politiche furono rese possibili proprio dalla convergenza degli interessi economici, politici e sociali: alle imprese conveniva investire in quei settori e aree geografiche in cui ci fosse abbondante forza-lavoro con bassi salari; ai governi, una politica economica concertata in tal senso andava bene nella misura in cui poteva garantire una crescita economica uniforme e la piena occupazione; mentre i sindacati si vedevano riconosciuti come controparte all‘interno delle fabbriche e avevano ampie libertà in materia assistenziale132. Questo era – in termini generali – il nuovo sistema economico e sociale instaurato nel dopoguerra, l‘―economia mista‖ basata sul compromesso fra parti sociali e sull‘intervento dello Stato nella vita economica. Questo sistema di capitalismo riformato garantì nel tempo la piena occupazione, l‘aumento della produttività e quello generalizzato dei redditi133

, e, ben presto, le politiche dello Stato si rivolsero alla redistribuzione dell‘aumentata ricchezza attraverso, appunto, le politiche sociali.

Si potrebbe inoltre segnalare in questo quadro generale anche un elemento più ―politico‖ che forse ha influenzato sia l‘ideologia della crescita sia quella dell‘intervento sociale. Gli anni ‘50 videro infatti anche un‘impetuosa crescita economica nei Paesi dell‘Est europeo a economia pianificata. Peraltro, da un punto di vista strettamente tecnico risulta difficile comparare i tassi di crescita delle democrazie popolari con quello delle economie miste occidentali134. Ci si limiterà qui a riportare come l‘esperimento delle democrazie popolari avesse portato a tassi di crescita molto elevati,

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Per tutti questi aspetti sul ventennio di crescita economica e sugli sviluppi dell‘economia mondiale e occidentale nel secondo dopoguerra, si vedano H. Van Der Wee, op. cit., cfr. in particolare pp. 41-54, e P. Bairoch, op. cit., cfr. in particolare pp. 994-1010.

133 H. Van Der Wee, op. cit., pp. 235-241. 134

H. Van Der Wee riporta come la misura della crescita economica non tenga conto dell‘effettivo benessere raggiunto nei vari Paesi, delle spese militari e da ultimo degli obiettivi della crescita economica. Ivi. pp. 47-49.

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perlomeno nell‘immediato. In un primo momento si sviluppò un‘economia pianificata ―ibrida‖ tra il collettivismo sovietico e programmi più gradualisti di riforme, cui fece seguito una seconda fase di più pesante pianificazione centralizzata, che privilegiò l‘industria pesante piuttosto che la produzione per i consumi135

.

In un‘Europa che stava sperimentando, nel suo complesso, modelli più o meno avanzati di economia mista/pianificata, l‘impressione che non pochi intellettuali ricavarono dalle democrazie popolari fu quella di una promessa realizzabile di ―vera‖ giustizia sociale e progresso136. Non è forse del tutto azzardato ipotizzare che anche la presenza delle democrazie popolari ad Est spinse i Paesi dell‘Europa occidentale ad allargare i propri sistemi di protezione sociale.

Andando nuovamente ad analizzare lo specifico caso inglese, è necessario rilevare le grandi differenze, in termini di crescita economica, rispetto a Italia, Francia, Germania occidentale. La crescita economica media negli anni 1950-70, in termini di Prodotto interno lordo, si rivelò essere la metà rispetto a quella registrata negli altri grandi Paesi dell‘Europa occidentale. Tuttavia bisogna anzitutto considerare come la Gran Bretagna ―partisse‖ da una situazione – in termini di sviluppo industriale, consumi e tenore di vita – sicuramente migliore rispetto ad un Paese come l‘Italia. In secondo luogo, se è vero che la Gran Bretagna arrancò rispetto agli indici di crescita di Italia, Francia e Germania, è pur vero che nel periodo tra il 1950 ed il 1974 essa registrò le più alte percentuali di crescita nel corso del XX secolo, fino almeno agli anni ‗90. Basti pensare che se nel periodo tra il 1870 ed il 1913 la media di crescita annuale britannica fu del 2,2%, negli anni tra 1913 e 1950 fu dell‘1,7%, per assestarsi intorno al 2,8% tra il 1950 ed il 1969. In termini di crescita pro capite, poi, essa quasi raddoppiò prendendo in considerazione i periodi 1870-1950 e 1950-‘59, passando dall‘1,3 al 2,2% (vedi tabella 1).

135

M. Mazower, op. cit., pp. 254-266.

136

Mazower cita per esempio il caso di due storici britannici specializzati in storia della Russia e dell‘Europa centrale, Seton Watson e Masaryk, che furono affascinati dalle ―conquiste‖ delle democrazie popolari per quel che riguarda ricostruzione, sistema politico e conquiste sociali. Ivi. cfr. pp. 250-251. Più in generale, ci fu un momento in cui si ritenne anche da parte di capi di governo che l‘economia socialista avrebbe prima o poi superato quella capitalista in termini di produzione industriale. Questa era, per esempio, l‘opinione del premier britannico Macmillan. Cfr. E. J. Hobsbawm, op. cit., p. 441.

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Tabella 1

Medie percentuali di crescita del Pil (fra parentesi i valori pro capite) nei Paesi dell‘Europa occidentale, Stati Uniti, Canada e Giappone (1870-1979)

Fonte: H. Van Der Wee, L‟economia mondiale tra crisi e benessere (1945-1985), cit., p. 42.

Un‘analisi generale della condizione economica e finanziaria della Gran Bretagna non può comunque che essere ambivalente. L‘economia nazionale inglese fu difatti afflitta in generale, oltre che da tassi di crescita relativamente bassi per il periodo, anche da problemi di deficit cronico nella bilancia dei pagamenti, da una debolezza del valore della sterlina (che nel 1960-‘61 fu anche investita da un attacco speculativo), da una complessiva involuzione dell‘apparato industriale sia in termini di produzione che di innovazione e da una politica economica definita di stop and go in riferimento alle modalità di intervento dei governi, tra incentivi agli investimenti e all‘occupazione e politiche deflazionistiche per difendere la moneta. A tal proposito, si può anche affermare che la difesa della sterlina e il controllo dell‘inflazione avessero comunque la priorità sullo sviluppo, e che l‘aumento dei prezzi era tollerato nella misura in cui non andava a incidere sulla bilancia dei pagamenti137.

137 Per un‘analisi della situazione economica britannica, riferita agli anni ‘50 e primi anni ‘60, si veda

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Oltretutto, la Gran Bretagna si ritrovò in grande difficoltà per quel che riguardava il commercio internazionale, stretta tra il mantenimento di un mercato privilegiato con il Commonwealth e l‘autoesclusione (provvisoria) dal Mercato comune europeo creato nel 1957, dando anche vita ad un effimero tentativo di creazione di un piccolo spazio di libero scambio concorrenziale, l‘EFTA, in breve tempo fallito138.

E tuttavia c‘era uno iato tra la condizione economica comparata del Paese e la sua percezione da parte dei cittadini britannici. Anche in Gran Bretagna la sensazione collettiva fu quella di un periodo di benessere generalizzato, grazie alla piena occupazione e al welfare state. Questi fattori rendono almeno in parte contraddittoria un‘analisi dell‘epoca.

Al livello del benessere individuale difatti è possibile misurare come fosse cambiata la società. I consumi aumentarono di quasi il 50% negli anni 1952-1964, e furono rivolti anzitutto verso i nuovi prodotti che stavano inondando l‘Europa in quegli anni: televisioni, lavatrici, radiatori, aspirapolvere, spese per l‘intrattenimento come il cinema, o la TV commerciale, e ovviamente cibo, tabacco, alcolici, anche se la maggior parte del reddito era spesa per l‘acquisto di beni come gli autoveicoli, che si diffusero in massa, specialmente le motociclette139. I cambiamenti coinvolsero per la prima volta la classe operaia inglese, che fornì in questo modo anche un mercato per i prodotti di consumo. I salari reali medi erano aumentati tra il 1950 ed il ‘55, e poi fino alla metà degli anni ‘60, rispettivamente del 20% e del 50%. Tutto questo in un regime di piena occupazione, in cui solo in pochi anni la disoccupazione media superò il 2%140. I benefici dell‘economia investirono insomma tutti gli strati della società, in un momento in cui il lavoro era garantito pressoché per tutti, così come la possibilità di accedere a numerosi prodotti a cui in precedenza avrebbero potuto accedere solo i ceti benestanti. Per quel che riguarda invece le politiche industriali, si può affermare che anche i governi conservatori, abbiano ricercato un vero e proprio consenso nelle relazioni industriali, attraverso la ―concertazione‖ tra le parti. Nel manifesto elettorale conservatore del 1951 si riconosceva esplicitamente alle Trade Unions - definite ―an

138

A. Gauthier, op. cit., pp. 308-311.

139

P. Clarke, op. cit., pp. 317-327.

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essential part of our industrial system‖141 - il ruolo di controparte in materia di politica industriale ed economica. Anzi, le proposte e la concertazione sindacale erano ritenute necessarie per garantire una più alta produttività nelle fabbriche. Lo schema programmatico di politica industriale dei conservatori riconosceva il ruolo del sindacato nell‘economia nazionale e nello stesso sistema di welfare, e si riproponeva di incrementare la collaborazione tra politica e sindacati142. Ricorda Taylor come il documento segnasse una svolta nelle relazioni tra conservatori e sindacati, dal punto di vista del ―conciliatory language used towards organized labour‖143

ancor prima che sul piano delle proposte, che comunque si inserivano in una tradizione che non era mai stata di aperto conflitto. Anche da parte sindacale ci fu un‘iniziale volontà di collaborare, fatte salve le continue rivendicazioni salariali. Prova ne fu il decremento delle ore complessive di sciopero tra il 1951 ed il 1955144. Il clima tuttavia sarebbe cambiato già nel corso degli anni ‘50, in seguito ai primi tentativi dei conservatori di rimettere mano al Trade Unions Act per quel che riguardava l‘aspetto specifico degli scioperi spontanei o non ufficiali, ossia proclamati a livello locale senza l‘approvazione dei comitati organizzativi centrali145.

Particolarmente dalla seconda metà degli anni ‘60, il dibattito si sarebbe poi svolto attorno ad alcuni temi di politica economia, tra cui il (costante) deficit nella bilancia dei pagamenti inglese e il contemporaneo aumento di prezzi e salari non proporzionati all‘aumento della produttività, con le loro conseguenze per quel che ha riguardato la piena occupazione, la crescita economica e i programmi di welfare. La soluzione prospettata dal premier conservatore Eden fu una contrazione dei salari concertata con i sindacati, come misura anti-inflazionistica146. I sindacati, per parte loro, insistettero su misure alternative come ad esempio misure protezionistiche per ridurre il divario tra importazioni ed esportazioni, favorendo queste ultime. Una rinnovata stagione di lotte sindacali si ebbe proprio a partire dalla seconda metà degli anni ‘50, caratterizzata da una nuova ondata di scioperi in settori sensibili come quello dei trasporti, i quali però,

141 Conservative Party, Britain Strong and Free, 1951 Conservative party general election manifesto, p. 6,

citato in R. Taylor, The Trade Union Question in British Politics. Government and Unions since 1945, Blackwell, Oxford 1993, p. 77.

142

R. Taylor, op. cit., pp. 66-76.

143 Ivi. p. 70. 144

H. Pelling, op. cit., pp. 275-279.

145

R. Taylor, op. cit., pp. 90-94.

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riporta Pelling, ebbero ―conseguenze disastrose per la reputazione complessiva del movimento sindacale‖147

, mentre per l‘opinione pubblica e anche per molti elettori laburisti il governo commise un errore nell‘essersi dimostrato così cedevole nei confronti dei sindacati.

3.2. I governi conservatori e le politiche sociali (1951-1964)

Fu il partito conservatore, che governò in Gran Bretagna dal 1951 al 1964, a gestire questa fase di mutamenti nella società e a indirizzare e diversificare il welfare britannico, che – come detto - non fu rimesso in discussione nelle sue fondamenta, e anzi fu progressivamente ampliato. Con riferimento al clima politico di ―collaborazione‖ tra i partiti in materia di welfare, soprattutto negli anni ‘50, è stato coniato il nome di Butskellism, dal nome del Cancelliere dello Scacchiere conservatore, Butler, e del suo predecessore – e poi Cancelliere nel governo ombra laburista – Gaitskell. Il termine rimandava appunto a quella condivisione di massima rispetto alle fondamentali politiche economiche e sociali, ma ha indicato anche una sorta di consociativismo tra i due principali partiti politici. È forse però necessario sfumare leggermente l‘idea di una piena convergenza tra le due posizioni. Da parte conservatrice, la tendenza maggioritaria del partito era mossa più che altro da considerazioni pragmatiche riguardo ai benefici dell‘intervento pubblico in un sistema di libero mercato e capitalista. Da parte laburista, invece, ancora negli anni ‘50 si inseriva il welfare in una più ampia prospettiva di regolazione del mercato e dell‘economia per la creazione di una società più equa e socialista148

. Ad ogni modo, pur con diverse ―declinazioni‖, nel 1951 cominciò un periodo politico che, proprio in