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Verso una metacritica degli apocalittic

“Vorremmo dedicare il libro ai critici che tanto sommariamente abbiamo defini- to apocalittici. Senza le requisitorie dei quali, ingiuste, parziali, nevrotiche, disperate, non avremmo potuto elaborare i tre quarti delle idee che sentiamo di condividere; e nessuno di noi, forse, si sarebbe accorto che il problema della cultura di massa ci

coinvolge sino in fondo, ed è segno di contraddizione per la nostra civiltà”289. Um-

berto Eco conclude la sua prefazione alla prima edizione di Apocalittici e integrati con queste righe che, se da un lato sembrano un ammiccamento e l’indicazione per una preferenza per il “polo” apocalittico, dall’altro offrono tutt’oggi una chiave di lettura interessante al suo testo. Pur riconoscendone la “parzialità” – nella duplice

286 Ivi, pp. 77-78.

287 “La patafisica è la scienza immaginaria del nostro mondo, la scienza immaginaria dell’eccesso, degli

effetti eccesivi, parodistici, in particolare dell’eccesso di vuoto e d’insignificanza” (Ivi, p. 75). Per Baj “la patafisica è la scienza che si occupa dell’immaginario e delle eccezioni. Immaginazione è sinonimo di essere: ‘imagino, ego sum’. […] non accetta altro ‘marxismo’ che quello inerente alla esegesi, alla apolo- gia, allo studio, alla descrizione e alla valorizzazione dei famosissimi fratelli Marx: Harpo, Chico, Grou- cho” (E. Baj, Patafisica. La scienza delle soluzioni immaginarie, Milano, Bompiani, 1982, pp. 11-13).

288 Scrive Gabriele Piana nella sua postfazione a Il delitto perfetto: “Il delitto perfetto è un testo filosofico,

letterario o che altro? A questa domanda non si può rispondere in modo univoco e classificatorio e in ciò risiede il carattere scandaloso della scrittura baudrillardiana. Non rendersene conto equivarrebbe a non leggere Baudrillard. Forse si può solo dire che si tratta di un testo patafisica. […] Ciò che in altri termini è in gioco in Il delitto perfetto è un experimentum linguae in cui ne va del pensiero” (G. Piana, Postfazio- ne a J. Baudrillard, Il delitto perfetto, cit. p. 168).

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accezione di “incompletezza” e di “faziosità” –, Eco attribuisce agli apocalittici un ruolo fondamentale nel dibattito sulla cultura di massa e sull’analisi dei media. Rico- nosciuta l’insufficienza degli “apocalittici” per comprendere pienamente, oggi, l’organizzazione e il funzionamento della cultura dei media, l’itinerario attraverso il pensiero dei tre intellettuali scelti, mette in luce alcune caratteristiche della “cultura dei media” che offrono ancora oggi interessanti spunti di riflessione. Comune ai tre autori, ad esempio, è la costante intersezione tra la critica dei media e la critica del consumismo: il soggetto, anche per mezzo della diffusione della comunicazione massmediatica, diviene un “eterno consumatore”, irretito nella società dei consumi, omologato, standardizzato incapace e perfino impossibilitato ad offrire resistenza. Non è casuale la matrice marxista dei tre autori scelti come exempla: anche se cia- scuno, secondo direzioni almeno in parte diverse, si distacca dal marxismo, la critica del capitalismo, della “merce” e del valore di scambio conduce i tre autori a denun- ciare il rischio di alienazione dell’uomo, di distruzione dell’individualità e di costante messa in pericolo della soggettività. Queste critiche, che possono essere riscontrate in gran parte delle frontiere definite “apocalittiche”, oggi rischiano di essere superate per la natura dei nuovi media, che portano ad una personalizzazione, ad un consu- mo non più “di massa”, ma spesso “personale” e “privato” e che offrono una notevo- le quantità di informazione alla portata di tutti. Tuttavia tale “punto a sfavore” degli apocalittici spesso viene liquidato troppo frettolosamente da coloro che Eco definiva “integrati”. Innanzitutto, pur nella diffusione capillare di nuovi personal e mobile media, si può notare come i media tradizionali, seppur “ri-mediati” e “ri-

mediatori”290, continuano a riscuotere successo. Inoltre, si può notare come talvolta

anche quei media che promettono di allargare quasi all’infinito la scelta dell’utente, e si pensi alla “babele informatica” di internet, non sempre traducano nella realtà le caratteristiche che possiedono in potenza: per un soggetto non correttamente “alfa- betizzato” e non sufficientemente consapevole nella sua “navigazione” nel magma comunicativo il rischio è quello di andare incontro alla solita “illusoria libertà” o alla scelta “del tutto uguale” denunciata dagli stessi apocalittici. Altro punto che “testi- monia” ancora in difesa degli apocalittici è l’attualità della provocazione di McLu- han, sposata da ciascuno dei tre autori, secondo la quale medium is message: i media trasmettono non solo un contenuto manifesto, ma veicolano anche uno “schema co- strittivo”, forme che comportano inevitabilmente funzioni di condizionamento.

L’aggettivo “apocalittico”, inoltre, viene spesso utilizzato nei media studies come sinonimo di sostenitore di un “conservatorismo culturale oligarchico” e di un elitari- smo che rinnega tutte le nuove forme di cultura espresse dall’evoluzione tecnologica

290 Si vedano in proposito le tesi di Bolter e Grusin in Remediation, Milano, Guerini, 2002.

e dalla sua diffusione industriale. Un accostamento che, pur risultando efficace in alcuni casi, in realtà è spesso frutto di una semplificazione. Si pensi ad esempio ad Adorno: da un lato si possono leggere sì le sue critiche alla musica jazz e al “regresso dell’ascolto” che la diffusione commerciale della musica comporta, ma da non sotto- valutare sono i suoi studi sull’avanguardia musicale. La diffusione dell’opera d’arte come oggetto kitsch, inoltre, non è denunciata soltanto da autori apocalittici ed e- sprime una caratteristica tipica della seconda metà del Novecento; non è raro, poi, che autori definiti apocalittici aspirino ad una valorizzazione delle forme di cultura popolare, distinguendole dalla cultura di massa: Adorno ed Horkheimer coniano l’espressione “industria culturale” proprio per non offrire la possibilità ai loro detrat- tori di utilizzare il concetto di cultura di massa con la cultura popolare; lo stesso Pa- solini, attraverso la sua “passione” per le forme dialettali e le culture locali, ha punta- to sulla letteratura come forma di cultura alta ma non ha certo svalutato le forme popolari di cultura. In ciò, forse, questi stessi apocalittici offrono voci non troppo discordanti da quei cultural studies che, come si vedrà nel prossimo capitolo, hanno portato una ridefinizione del concetto di cultura.

Oggi un’altra delle accuse principali rivolte agli “apocalittici” è quella di far leva su ideologie vetuste e di arroccarsi su posizioni ormai superate. Accuse in parti con- divisibili, ma che vanno contestualizzate: nel caso dei tre autori, e in particolare di Adorno e Pasolini, si tratta di intellettuali schierati contro il sistema, contro il Palaz- zo, contro il potere autoritario. Intellettuali spesso “costretti ad urlare” le loro idee perché arrivassero a destinazione, costretti anche ad usare un tono provocatorio per risultare più efficaci. Adorno ed Horkheimer, già in fuga dal regime nazista, scrivono la loro Dialettica dell’illuminismo negli Stati Uniti, contraddistinti dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e dall’imperare di quella stessa “industria cul- turale” che sottoponevano a dura critica, essi cercano inoltre in qualche modo di ri- spondere alle ricerche empiriche di Lazarsfeld. Le provocazioni di Pasolini sono scritte da un intellettuale appunto “corsaro”, spesso ai margini e attento a denuncia- re le derive consumistiche di un’Italia in pieno sviluppo economico. Baudrillard, francese apprezzato più all’estero che in patria, intende prefigurare la fine della mo- dernità, studia da critico radicale – e critico nei confronti della stessa critica – la “so- cietà dei consumi” e denuncia provocatoriamente aspetti perversi della vita politica internazionale. Arrivando fino agli autori che, oggi, vengono definiti come apocalit- tici – come si vedrà nel prossimo capitolo, da Maldonado a Simone, per arrivare fino a Carr – i quali producono i loro contributi critici come tentativi di mettere in guar- dia contro le posizioni più “integrate” e più ottimistiche sulla “neutralità” dell’uso tecnologia in ambito comunicativo e formativo. Più che compiere analisi della socie- tà, ciascuno di questi autori si fa investigatore; più che “giudice”, “pubblico ministe- ro”, che intende denunciare certi aspetti perversi della comunicazione di massa.

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Dunque si tratta di “voci” che non pretendono di essere esaustive, ma che rappresen- tano in qualche modo una “risposta” e un “controcanto” a quella cultura che, pro- muovendosi da sola, forse può non aver bisogno di difensori. A rendere meno “apo- calittiche” le voci degli apocalittici può essere anche il ricorso che alcuni di loro, si vedano ad esempio Baudrillard e Pasolini, hanno fatto degli stessi mezzi di comuni- cazione: la televisione, il cinema, i quotidiani pur essendo tra gli strumenti di comu- nicazione di massa messi sotto accusa, vengono utilizzati da questi autori facendo ricorso consapevolmente alla loro possibilità di raggiungere un ampio pubblico e sulle loro innegabili – anche se, a loro dire, spesso inespresse – potenzialità formati- ve.

Si è visto come le accuse “apocalittiche” spesso finiscano per essere stilizzate e banalizzate. Condivisibile è la critica rivolta a molti autori di rivolgersi ai media in termini generici, senza operare distinzioni tra essi. Tuttavia ciò non rende “cestina- bili” tutte le conclusioni, ma richiede di produrre approfondite analisi che si artico- lino medium per medium, valorizzandone attentamente strutture e funzioni. Ad una lettura attenta si può notare come in realtà più che demonizzare i media, spesso gli autori rivolgano la loro attenzione al rapporto tra uomo e tecnica e il rischio della tecnologia di trasformarsi in strumento di dominio. Centrale è nei tre autori presi in esame – e forse in tutti gli autori etichettabili come apocalittici – anche la denuncia verso una nozione esclusivamente positiva di “progresso”: sostenere che l’evoluzione tecnologica non corrisponda ad un automatico progresso non significa svalutare la portata delle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche e arroccarsi su un conserva- torismo culturale. Significa sottoporre a critica ogni innovazione tecnologica, cer- cando di comprenderne le strutture e le funzioni e cercando di valorizzarle nelle loro possibilità di arricchimento delle capacità umane. Tra questi autori, inoltre, i media, più che essere individuati come “demoni” che portano alla finis historiae, sono scelti come esempi del rischio che un Potere, un Centro, una qualsiasi forma di Dominio prevalga sul soggetto, che essi si facciano strumento di una “educazione paternalisti- ca”. Gli autori presi in esame, inoltre, denunciano una “mutazione antropologica” in atto sotto l’azione dei mezzi di comunicazione. La trasformazione coinvolge ogni a- spetto della vita dell’uomo: a partire dai cambiamenti linguistici che avvengono nella comunicazione massmediata, per arrivare alle nuove forme di esperienza – e si pensi alla realtà virtuale, ma anche alle nuove forme artistiche – o alle nuove forme di so- cialità che essi veicolano, o, ancora, alle nuove “forme di sapere” (per dirla con Raf- faele Simone) attraverso le quali il soggetto si avvicina alla conoscenza. Innegabili sono le trasformazioni linguistiche e un certo “impoverimento” quantomeno lessica- le della lingua, più discutibili sono le conclusioni sulla “svalutazione” del segno e del- la significazione, visto che la comunicazione multimediale e la digitalizzazione dell’informazione offrono nuove possibilità linguistiche. Tra impoverimento e arric-

chimento, il suggerimento ancora attuale degli apocalittici in questo senso conduce verso uno studio dei linguaggi dei nuovi media e dei loro meccanismi di significa- zione: studio che impone, oggi ancor più di ieri, una corretta alfabetizzazione che porti i soggetti a padroneggiare, e a padroneggiare consapevolmente, ciascuno di questi “alfabeti del sapere”.

Ultimo aspetto comune agli autori apocalittici che può essere opportuno sottoli- neare è la nozione di dialettica. Una nozione apparentemente in contraddizione con le consuete caratteristiche abbinabili all’etichetta di “apocalittici”: si è visto però co- me da Adorno a Pasolini, arrivando fino a Baudrillard, la nozione di dialettica sia sempre presente e vada almeno in parte a mettere in crisi le “riduzioni” e le “stilizza- zioni” operate sul loro pensiero. Si pensi, ad esempio, in Adorno alla dialettica tra “illuminismo” e “mito” che attraverso la storia dell’uomo e il suo rapporto con la tecnica; ma anche poi al concetto di “dialettica negativa”; si pensi in Pasolini alla dia- lettica intesa come “confronto-scontro”, come “libertà” e come “verifica che mira alla realtà”; e ancora alla dialettica che, cardine della comunicazione interpersonale, viene valorizzata da Baudrillard come risposta alla “società dei consumi”. Scegliere una prospettiva interpretativa capace di cogliere le trasformazioni della vita sociale avvenuta con la diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione non significa accantonare le tesi “estreme” di apocalittici e integrati, ma può avveni- re anche attraverso un percorso dialettico che sappia mettere in comunicazione, a confronto e in dialogo le tesi degli uni con le tesi degli altri. E si può dunque notare come Adorno, Pasolini e Baudrillard, al di là delle loro tesi sui media e sulla loro cul- tura, discusse e talvolta discutibili, offrono dunque un suggerimento metodologico: il ricorso sistematico ad un pensiero critico che, conciliato con un pensiero “ironi-

co”291, scansi il rischio di autoreferenzialità e di una critica fine a se stessa, ma pre-

servino il soggetto, valorizzandolo nella sua libertà, nella sua autonomia e nella capa- cità critica.

291 Per il rapporto tra ironia, critica e formazione cfr. anche F. Cambi e E. Giambalvo, Formarsi

Il concetto di cultura è stato al centro di un dibattito che ha indelebilmente se- gnato ogni riflessione sul rapporto tra uomo e tecnica. Da una definizione di cultura di tipo elitaristico, l’allargamento del concetto operato a partire dai cultural studies, dalla sociologia, dall’antropologia e dalla semiologia ha portato ad una revisione di alcuni dei punti-chiave della critica apocalittica e impone, oggi, nuove riflessioni ai media studies, chiamati a porsi in modo critico e dialettico rispetto alle nuove tecno- logie dell’informazione e della comunicazione. Non soltanto il concetto di cultura, ma anche altre parole chiave, quali “massa”, “medium”, “pubblico”, “audience”, etc. sono state prese in considerazione nel corso del ‘900 per ripensare totalmente il rap- porto tra soggetto e strumenti di comunicazione e per ridimensionare alcuni dei capi di accusa degli apocalittici. Questo ridimensionamento, pur essendo spesso necessa- rio attualizzare teorie ormai datate, spesso ha portato quasi a “demonizzare” gli apo- calittici e si è nutrito di critiche altrettanto parziali e talvolta perfino ideologiche nei confronti di molti autori. Uno sguardo distaccato, critico e metacritico, può invece consentire di valutare se e come questi autori possono essere ancora centrali per con- servare e rilanciare una lettura e un uso consapevole dei media, oltre ad un atteggia- mento riflessivo nei loro confronti. Dunque, salvaguardare e rilanciare valutazioni critiche e al tempo stesso dialettiche sulla “cultura dei media” contemporanea può favorire la promozione di itinerari formativi che, come si propone di fare, ad esem- pio, la Media Education, valorizzino “l’umanità dell’uomo”, la sua libertà e la sua au- tonomia.