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VERSO UN MUTAMENTO PARADIGMATICO?

Nel documento Contrasto al lavoro infantile e decent work (pagine 83-200)

SOMMARIO: 1. Premessa. 2. La crisi dell’OIL e i connessi rischi di una sua

marginalizzazione: come garantire il rispetto delle norme giuslavoristiche internazionali nell’epoca della globalizzazione? 2.1. Le alterne vicende dei primi anni di vita dell’organizzazione. 2.2. L’impatto dei processi di decolo- nizzazione sulle attività dell’OIL e l’emergere di difficoltà sempre più rilevan- ti. 2.3. La globalizzazione e il deciso aggravarsi delle difficoltà in capo all’or- ganizzazione. 3. La politica delle priorità quale possibile via d’uscita dalla crisi dell’OIL: i c.d. «core labour standards». 4. Le ragioni dell’inserimento della lotta al lavoro infantile tra i core labour standards: il ruolo delle altre fonti di diritto internazionale generale, dei progetti di cooperazione tecnica e della società civile. 5. La Convenzione n. 182 del 1999 e il cambio di rotta del- l’OIL nella lotta al lavoro infantile tra linee d’intervento prioritarie e maggio- re attenzione ai Paesi emergenti. 6. I più recenti sviluppi della politica delle priorità in seno all’OIL: dai c.d. «core labour standards» al c.d. «decent work». 7. La centralità del contrasto al lavoro infantile nel nuovo quadro gius- lavoristico internazionale. 8. La fissazione di un’età minima di accesso al la- voro e il contrasto alle peggiori forme di child labour, oggi: strategie comple- mentari o difficilmente compatibili?

1. Premessa

L’analisi condotta nel capitolo precedente dimostra come l’OIL, nel- la prima fase della sua esistenza, abbia ritenuto di dover affrontare la questione del contrasto al lavoro infantile puntando essenzialmente sul- l’età minima.

Si è trattato di una scelta legata anzitutto a ragioni storiche, che tut- tavia, nel corso del tempo, ha dovuto fare i conti con cambiamenti tanto rilevanti da minarla alla radice.

Lo testimonia, in particolare, la vicenda relativa all’implementazio- ne nazionale della Convenzione n. 138 del 1973, uno strumento norma- tivo di consolidamento sul quale l’organizzazione aveva puntato molto, eppure caratterizzato, quanto meno fino alla metà degli anni Novanta del secolo scorso, da uno scarso numero di ratifiche e dunque, in fin dei conti, assai poco efficace. Nonostante infatti la Conferenza Internazio- nale del Lavoro avesse tentato di redigere il testo della suddetta Con- venzione in termini flessibili, una serie di difetti intrinseci di natura tec- nico-giuridica, la rigidità di talune interpretazioni offerte dalla Com- missione di Esperti sull’Applicazione delle Convenzioni e delle Rac- comandazioni (CEACR) e, più di recente, fenomeni quali decolonizza- zione e globalizzazione hanno indotto numerosissimi Paesi membri (emergenti, ma non solo) a decidere di non ratificarla.

L’insuccesso che ha contraddistinto la Convenzione n. 138 del 1973 nei due decenni successivi alla sua adozione è dunque dipeso sia da questioni concernenti specificatamente l’approccio dell’OIL alla que- stione del contrasto al lavoro infantile sia da eventi di portata più gene- rale, che hanno interessato l’organizzazione sotto diversi aspetti e l’hanno fatta precipitare in una crisi profonda.

In proposito, non v’è infatti alcun dubbio sulla circostanza che la decisione dell’OIL, in una prima fase, di puntare tutto sull’età minima di accesso al lavoro abbia indotto numerosi Paesi membri a non ratifi- care la Convenzione, ma neppure sul fatto che questa situazione si sia ulteriormente aggravata, in un secondo momento, proprio a causa del- l’avvento della decolonizzazione, prima, e della globalizzazione, poi.

Volendo entrare un po’ più nel dettaglio, basti rammentare, in questa sede, come la decolonizzazione abbia inciso, essenzialmente, sulla

membership dell’OIL, dal punto di vista tanto quantitativo quanto qua-

litativo. In altri termini, le ex colonie divenute Paesi indipendenti sono da un lato massicciamente entrate a far parte dell’organizzazione, de- terminando un aumento vertiginoso del numero degli Stati membri, e hanno dall’altro reso l’organizzazione assai più disomogenea rispetto al passato, con inevitabili ripercussioni sul suo funzionamento.

La sempre più significativa presenza nei diversi organi dell’OIL – e in particolare in quello assembleare, la Conferenza Internazionale del Lavoro – di rappresentanti dei Paesi emergenti ha fatto da cassa di riso-

nanza di tale disomogeneità, determinando contrapposizioni sempre più evidenti e, in fin dei conti, incidendo negativamente sulla produzione di nuovi strumenti normativi, spesso rimasti lettera morta. Al tempo stes- so, le ex colonie divenute Paesi membri dell’OIL, già di per sé caratte- rizzate da un notevole livello di arretratezza, si sono ritrovate di fronte una mole notevolissima di Convenzioni (adottate precedentemente al loro ingresso) da ratificare, senza che l’organizzazione si preoccupasse di far loro presente quali tra queste dovessero avere la priorità.

La situazione che si sta descrivendo si è poi ulteriormente aggravata a causa della globalizzazione. L’emergere di tale fenomeno, lo si è ac- cennato già nel corso del Capitolo Primo, ha fatto sì che alle difficoltà dovute alla decolonizzazione se ne siano aggiunte di nuove, concernenti soprattutto il versante dell’implementazione nazionale delle Conven- zioni adottate dall’OIL.

Con la globalizzazione, infatti, si è assistito a un’apertura e a un’in- terconnessione senza precedenti dei mercati, che ha consentito ai Paesi emergenti di far valere il proprio vantaggio comparativo – consistente in larga misura nel basso costo del lavoro che li caratterizzava e li carat- terizza ancor oggi – a discapito di quelli industrializzati. A tale possibi- lità si è accompagnato il convincimento, sempre più diffuso nei mede- simi Paesi, che la ratifica delle Convenzioni OIL potesse avere riper- cussioni negative sul citato vantaggio comparativo, mettendolo perico- losamente in discussione. Ne è conseguito il progressivo venir meno, in capo ai Paesi emergenti, della volontà politica di dare attuazione ai provvedimenti adottati dall’organizzazione nei propri ordinamenti na- zionali, il che, evidentemente, ha aggravato in modo deciso la crisi che già aveva colpito l’organizzazione stessa a seguito dei processi di deco- lonizzazione.

La combinazione dei due fenomeni di cui si sta dicendo, dunque, ha rischiato di far venire meno la centralità dell’OIL nella promozione dei diritti dei lavoratori sul piano internazionale, se non addirittura di ren- derne marginale il contributo, e ciò essenzialmente per le difficoltà del- l’organizzazione di adottare nuovi strumenti normativi e di convincere i Paesi membri (specie quelli emergenti) a ratificare e implementare in concreto quelli già esistenti.

La crisi che ha colpito l’organizzazione a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, e che si è poi aggravata nei primi anni Novanta, avendo portata generale, non poteva non ripercuotersi anche sulla que- stione del contrasto al lavoro infantile, incidendo soprattutto (e negati- vamente) sul numero delle ratifiche della Convenzione n. 138 del 1973, che come si è già visto nel capitolo precedente è rimasto decisamente basso, soprattutto se si considera l’allargamento della membership del- l’organizzazione stessa.

Di fronte a questa situazione, l’OIL aveva sostanzialmente due di- verse possibilità: la prima, arrendersi a una sua progressiva marginaliz- zazione nel panorama delle organizzazioni internazionali; la seconda, mettersi alla ricerca di possibili soluzioni alla crisi che l’aveva colpita.

Come forse ci si poteva attendere, l’organizzazione ha preferito ten- tare di percorrere questa seconda strada, ottenendo peraltro buoni risul- tati. Sebbene infatti non si possa certo affermare che la crisi sia stata ad oggi del tutto superata, le scelte operate dall’OIL quanto meno per mi- gliorare le prospettive di implementazione nazionale delle Convenzioni adottate sembrano essere andate nella giusta direzione.

Tali scelte si sono fondate sulla c.d. «politica delle priorità», ovvero sulla decisione dell’organizzazione di concentrarsi su taluni soltanto degli standard giuslavoristici internazionali esistenti, quelli ritenuti più rilevanti, e di cercare al contempo di persuadere gli Stati membri ad attuarli nei propri ordinamenti nazionali prioritariamente rispetto a tutti gli altri. L’OIL ha così dapprima puntato sui c.d. «core labour stan- dards», i diritti sociali fondamentali, rafforzando successivamente la propria strategia innovativa attraverso il c.d. «decent work», il lavoro dignitoso.

Questo modo di procedere ha avuto un impatto positivo anche con riguardo alla questione del contrasto al lavoro infantile, atteso che tale questione è stata inclusa nella citata politica delle priorità e ha quindi potuto beneficiare dei buoni risultati che, come si accennava, tale poli- tica ha prodotto nel corso degli ultimi due decenni.

Prendendo le mosse dal quadro evolutivo descritto sin qui, nelle pa- gine che seguono si tenterà dapprima di indagare nel dettaglio le ragioni che hanno determinato la più volte citata crisi in cui è precipitata l’OIL a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso e le sue conseguenze, sia

in termini di c.d. «standard-setting», sia con riferimento ai processi di attuazione delle Convenzioni emanate dall’organizzazione negli ordi- namenti giuridici dei Paesi membri.

In seconda battuta si esaminerà la strategia adottata dall’OIL per tentare di uscire dalla crisi e consistita, come si accennava, nell’elabo- razione della politica delle priorità. Più nel dettaglio, ci si concentrerà anzitutto sui primi risultati di tale politica, che sono consistiti nella se- lezione dei core labour standards, solennemente proclamati a Ginevra nel 1998.

Successivamente si cercherà di comprendere i motivi per i quali la questione della lotta al lavoro infantile è stata inclusa dall’OIL all’inter- no della politica delle priorità. Si è infatti trattato, per molti versi, di una decisione inaspettata, che va peraltro salutata positivamente, data l’altrettanto inaspettata centralità che tale decisione è stata in grado di conferire proprio a tale questione.

Non è un caso, del resto, se quasi contestualmente al lancio della po- litica delle priorità l’organizzazione ha deciso di adottare un nuovo strumento normativo sul punto, la Convenzione n. 182 del 1999 relativa alle peggiori forme di lavoro infantile (Worst Forms of Child Labour

Convention) che, a giudizio di chi scrive, rappresenta una delle più si-

gnificative espressioni proprio della suddetta politica. Tale Convenzio- ne verrà analizzata nel dettaglio, non solo (e non tanto) per metterne in luce i contenuti principali, ma anche (e soprattutto) per far emergere quanto diversa essa sia, sotto molteplici profili, dalla precedente Con- venzione n. 138 del 1973.

Verranno poi presi in considerazione gli sviluppi più recenti della politica delle priorità dell’OIL, consistenti nel decent work, i cui ele- menti essenziali sono stati tracciati in una importante Dichiarazione adottata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel giugno del 2008. Come si vedrà, i core labour standards – e pertanto anche la que- stione del contrasto al lavoro infantile – sono parte integrante della stra- tegia del lavoro dignitoso, il che ha consentito all’organizzazione di mantenere alta l’attenzione su questa tematica anche negli anni più re- centi.

La centralità assunta, in sede OIL, dalla questione del contrasto al lavoro infantile negli ultimi due decenni costituirà il presupposto per

valutare criticamente, da ultimo, i rapporti esistenti tra le due Conven- zioni in materia, la n. 138 del 1973 sull’età minima di accesso al lavoro e la n. 182 del 1999 concernente le peggiori forme di lavoro infantile. Si tratta, lo si accennava poco sopra, di strumenti normativi diversissi- mi tra loro – sia dal punto di vista tecnico-giuridico, sia sotto il profilo dei contenuti, sia in relazione ai valori che li hanno ispirati – ai quali, tuttavia, l’OIL continua pervicacemente (e, per certi versi, inspiegabil- mente) ad attribuire la medesima importanza nel perseguimento dei propri obiettivi.

2. La crisi dell’OIL e i connessi rischi di una sua marginalizzazione: come garantire il rispetto delle norme giuslavoristiche internazionali nell’epoca della globalizzazione?

2.1. Le alterne vicende dei primi anni di vita dell’organizzazione

Se si guarda all’ormai quasi centenaria storia dell’OIL, ci si rende conto di come l’organizzazione abbia conosciuto, specie all’inizio, fasi di successo alternate a momenti di difficoltà, dai quali peraltro è sempre riuscita a risollevarsi.

Lo dimostra, ad esempio, quanto accaduto tra le due Guerre Mon- diali.

Mentre infatti in quel periodo l’OIL fu in grado di elaborare un nu-

mero assai elevato di nuove Convenzioni1, che vennero poi ratificate da

molti Paesi membri, la grande depressione di fine anni Venti produsse effetti negativi sull’attività di implementazione nazionale degli stru-

1 In effetti, tra il 1919 e il 1939, l’OIL adottò ben 67 Convenzioni (e 66 Raccoman-

dazioni), relative a numerosi aspetti del rapporto di lavoro (quelli, all’epoca, ritenuti più urgenti). Per approfondire i contenuti di tali strumenti normativi si v., in particolare, ILO, The International Labour Code, 1939: A Systematic Arrangement of the Conven-

tions and Recommendations Adopted by the International Labour Conference, 1919- 1939, with Appendices Embodying Other Standards of Social Policy Framed by the International Labour Organisation 1919-1939, Montreal, 1941, p. 1 ss. Cfr. altresì N. VALTICOS, Droit international du travail, Parigi, 1983, p. 84 ss.

menti normativi adottati, che subì invece un vero e proprio tracollo2.

Una situazione, quest’ultima, dovuta probabilmente al fatto che gli Stati membri decisero di dedicare tutte le proprie energie al rilancio delle rispettive economie e alla lotta contro la disoccupazione, fortemente aumentata proprio a causa della grande depressione, trascurando, al contempo, una serie di altre attività, tra cui quella di ratifica delle Con-

venzioni OIL3.

Questa fase problematica fu peraltro superata all’indomani della Se- conda Guerra Mondiale, i cui esiti contribuirono a un vero e proprio rilancio dell’OIL e delle sue attività. Come si ricorderà, infatti, prima ancora della fine del conflitto, la Conferenza Internazionale del Lavoro,

riunita a Filadelfia4, adottò l’omonima Dichiarazione, che fu successi-

vamente inserita in appendice al testo della Costituzione dell’OIL5 e

sostituì, di fatto, l’art. 427 del Trattato di Versailles6.

L’adozione della Dichiarazione di Filadelfia e il suo inserimento nel testo della Costituzione dell’OIL costituiscono una tappa fondamentale nel percorso evolutivo dell’organizzazione, soprattutto per il fatto che, fino ad allora, i principi e gli obiettivi di quest’ultima erano frammenta-

ri e assai poco chiari7. Con la suddetta Dichiarazione, invece, tali prin-

cipi e obiettivi furono almeno in parte precisati8 e, come già si accenna-

2 Per un’analisi dei dati che testimoniano tale tracollo si v., in particolare,

B. HEPPLE, Labour Laws and Global Trade, Oxford and Portland, Oregon, 2005, p. 31.

3 È quanto sostenuto, in particolare, da B. HEPPLE, op. cit., ibidem.

4 In quegli anni, a causa del secondo conflitto mondiale, le riunioni della Conferen-

za Internazionale del Lavoro si tennero infatti negli Stati Uniti d’America. Per qualche approfondimento sulla Dichiarazione di Filadelfia del 1944 si v. quanto già detto nel corso del Capitolo Primo.

5 Con una serie di emendamenti alla Costituzione che, come si vedrà tra breve, ri-

salgono al 1946.

6 Anche sull’art. 427 del Trattato di Pace di Versailles si cfr. quanto messo in luce

nel corso del Capitolo Primo.

7 Come si evince, del resto, dal medesimo art. 427 del Trattato di Versailles e dalla

versione originaria del Preambolo della Costituzione dell’OIL.

8 Anche se, è bene precisarlo, pure dopo l’adozione della Dichiarazione di Filadel-

fia del 1944 i principi e gli obiettivi dell’OIL continuano a essere concepiti in termini assai generali (per non dire, in qualche caso, generici), al fine di consentire alla Confe- renza Internazionale del Lavoro di muoversi piuttosto liberamente nella scelta delle questioni sulle quali elaborare nuove Convenzioni e Raccomandazioni.

va nel Capitolo Primo, venne data importanza sempre maggiore al tema della giustizia sociale, a discapito del perseguimento di obiettivi di na-

tura concorrenziale9.

Se ne ha conferma, oltre che nel riferimento esplicito a tale concetto

contenuto nel punto II della Dichiarazione di Filadelfia10, in una serie di

ulteriori passaggi della Dichiarazione medesima, come ad esempio quello in cui viene ribadito l’adagio – peraltro già contenuto nell’art. 427 del

Trattato di Versailles – secondo il quale «il lavoro non è una merce»11,

ovvero quello in cui si affermano i principi di non discriminazione e di

parità di trattamento12, ovvero ancora quello nel quale si attribuisce al-

l’OIL il compito di creare le condizioni perché possano essere raggiunti il pieno impiego e un significativo miglioramento delle condizioni di

vita e di lavoro delle persone13.

Sebbene la Dichiarazione di Filadelfia non sia stata in grado di supe- rare del tutto gli obiettivi di natura concorrenziale che si sono poco so- pra richiamati, è tuttavia assai evidente come il riferimento in essa con- tenuto alla giustizia sociale abbia contribuito a dare all’OIL nuovo

9 Su questo punto si v., in generale, V.-Y. GHEBALI, The International Labour Or-

ganisation. A Case Study on the Evolution of U.N. Specialised Agencies, Dordrecht, Boston, Londra, 1989, p. 61 ss.

10 Si tratta, a ben vedere, della prima parte di tale punto II, laddove si afferma te-

stualmente quanto segue: «Convinta che l’esperienza ha dimostrato pienamente la fon- datezza della dichiarazione che figura nel Preambolo della Costituzione dell’Organiz- zazione Internazionale del Lavoro, e cioè che una pace durevole non può essere stabilita che sulla base della giustizia sociale, la Conferenza afferma che (…)». Il testo della Dichiarazione di Filadelfia del 1944 è consultabile al sito web dell’organizzazione: www.ilo.org.

11 La circostanza che il punto I della Dichiarazione di Filadelfia del 1944, dedicato

ai principi sui quali l’OIL è fondata, metta tale adagio al primo posto dimostra chiara- mente la sua fondamentale importanza.

12 Cfr., in proposito, il punto II, lettera a) della Dichiarazione di Filadelfia del 1944

ai sensi del quale «tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla razza, dalla religione e dal sesso a cui appartengono hanno il diritto di tendere al loro progresso materiale e al loro sviluppo spirituale in condizioni di libertà, di dignità, di sicurezza economica, e con possibilità eguali». Sia consentito rinviare, in proposito, a M. BORZAGA, Accommo-

dating Differences: Discrimination and Equality at Work in International Labor Law, in Vermont Law Review, 2006, p. 749 ss.

slancio in qualità di principale organizzazione internazionale dedicata

alla tutela dei lavoratori14.

Se poi a quanto detto con riguardo al ruolo della Dichiarazione di Filadelfia si aggiunge che, sempre all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, la Costituzione OIL fu sottoposta a un’efficace operazione di

restyling, ci si rende pienamente conto del fatto che a quel punto sussi-

stevano tutti i presupposti istituzionali per l’avvio di una nuova fase di

successo dell’organizzazione15.

Su quest’ultimo aspetto va solo brevemente messo in luce come l’operazione di restyling della quale si sta dicendo abbia riguardato, essenzialmente, due diversi aspetti.

In primo luogo, essa è servita per dare all’OIL la giusta collocazione nel nuovo panorama delle organizzazioni internazionali, il cui attore principale era rappresentato non più dalla Società delle Nazioni, bensì dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Così, poiché ai sensi dell’art. 57 della Carta delle Nazioni Unite l’OIL era divenuta un’agen-

zia specializzata dell’ONU16, la Costituzione è stata modificata per

creare i giusti collegamenti tra le due entità17, ma tutto ciò è avvenuto

senza mettere in alcun modo in dubbio l’autonomia e il tripartitismo

dell’OIL stessa18.

14 Per approfondimenti su questo punto si v., ad es., A. SUPIOT, The Spirit of Phila-

delphia: Social Justice vs. the Total Market, New York, Londra, 2012. Cfr. altresì E. LEE, The Declaration of Philadelphia: Retrospect and Prospect, in International

Labour Review, 1994, p. 467 ss., nonché E. SENGHAAS-KNOBLOCH, Ausgaben, Heraus-

forderungen und Entwicklungen der Internationalen Arbeitsorganisation aus einer Perspektive politisch-organisatorischen Lernens, in E. SENGHAAS-KNOBLOCH, J. DIRKS, A. LIESE (a cura di), Internationale Arbeitsregulierung in Zeiten der Globalisierung.

Politisch-organisatorisches Lernen in der Internationalen Arbeitsorganisation, Müns- ter, 2003, p. 7 ss.

15 Si v., in proposito, V.-Y. GHEBALI, op. cit., p. 17 ss.

16 Come noto, tale norma prevede la possibilità di integrare nel sistema ONU orga-

nizzazioni internazionali preesistenti attraverso specifici accordi. Si cfr., sul punto, N. VALTICOS, G. VON POTOBSKY, International Labour Law, Deventer, Boston, 1995, p. 19.

17 In effetti, diverse disposizioni della Costituzione dell’OIL sono state del tutto o

parzialmente riscritte. Di alcune delle suddette disposizioni si dirà nel dettaglio nei paragrafi seguenti.

Secondariamente, sono state introdotte talune modifiche volte a ren- dere più moderna ed efficiente l’organizzazione. Tali modifiche hanno riguardato, ad esempio, le Raccomandazioni, in merito alla cui natura si sono fatte alcune precisazioni, definendole quali atti che la Conferenza Internazionale del Lavoro può emanare «quando l’oggetto trattato o uno

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