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2.2 La dimensione non verbale

2.2.3 La vestemica

L’abbigliamento, soprattutto in termini di appropriatezza e

nell’opposizione formale/informale può essere causa di incomprensioni interculturali poiché, come le altre dimensioni sopradescritte, assume significati differenti a seconda della cultura di appartenenza. Anche l’abbigliamento, quindi, ha una forte valenza comunicativa ed è anzi considerato da Bonaiuto (2018: 43) il canale privilegiato di presentazione di sé. Egli afferma infatti che “L’aspetto esteriore può essere considerato una forma del linguaggio non verbale poiché fornisce importanti informazioni sugli individui, influenza la formazione delle impressioni e prevede l’autopresentazione”.

Balboni (2012: 130), invece, descrive la dimensione vestemica come il “saper padroneggiare il mondo della moda”. Il vestiario, soggetto al continuo mutamento delle mode, comprende tutto ciò che riguarda vestiti, abiti, uniformi, capi di abbigliamento indossati in diversi contesti, formali o informali, o dei quali ci avvaliamo per identificarci in un determinato gruppo.

Al giorno d’oggi l’immagine esteriore conta molto, l’abbigliamento diventa quindi la chiave di lettura della nostra personalità e l’obiettivo è, attraverso esso, compiacere gli altri e accrescere l’opinione che hanno di noi. Possiamo affermare,

quindi, che l’abbigliamento assume la funzione di strumento di socializzazione, di definizione delle appartenenze di gruppo e dell’identità sociale, soprattutto in età adolescenziale.

Secondo Stone (cfr. Bonaiuto, Maricchiolo 2018: 43-44), la funzione comunicativa degli abiti segue un processo che si sviluppa insieme all’individuo stesso: esso inizia dalla prima infanzia, con la distinzione dei ruoli sessuali attraverso gli abiti e gli oggetti. Tale scelta è guidata dai genitori. Successivamente, si passa alla ricerca attiva da parte dei ragazzi di ruoli da interpretare secondo modelli reali o immaginari offerti dal mondo degli adulti e/o dai media. Questa fase è tipica della fanciullezza ma soprattutto dell’adolescenza. Infine, vi è una fase di costruzione e codificazione dell’apparenza di sé, accessibile a tutti e utilizzata per mostrare agli altri e a sé stessi un’identità e un ruolo socialespecifici.

Bonaiuto (1995), a questo proposito, afferma che “Le funzioni principali dell’abbigliamento e degli accessori sono infatti sia di aiutare a negoziare le proprie identità con gli altri, sia di aiutare a definire le situazioni e i contesti di interazione”.

L’abbigliamento, dunque, identificato come marcatore delle identità sociali, ha importanti effetti sulla relazione interpersonale, in quanto influenza la percezione , da parte degli interlocutori, dell’immagine di una persona.

Numerose ricerche, condotte nel campo della psicologia sociale, hanno dimostrato come persone vestite in modo diverso, ad esempio formale vs informale, rappresentanti quindi status sociali diversi, possano essere percepite in maniera differente.

Ne consegue che, l’abbigliamento, influenza l’immagine percepita dagli altri e la prima impressione che daremo andrà ad influenzare il loro pensiero anche dopo averci visto per la seconda volta o per più volte. Il nostro modo di vestirci può anche influenzare le nostre prospettive di lavoro, la nostra vita amorosa e più in generale il modo in cui gli altri ci tratteranno e si intratterranno con noi proprio perché, come già sottolineato, i vestiti definiranno il nostro status sociale, il nostro atteggiamento interpersonale e in alcuni casi i nostri obiettivi e le nostre intenzioni, la nostra professione.

In molte professioni, l’appartenenza ad un dato mestiere, molto spesso viene comunicata e percepita attraverso gli abiti quali divise, uniformi ecc. Un esempio possono essere le forze dell’ordine che, a seconda del tipo d’arma a cui appartengono, del grado e della stagione indossano delle uniformi che fano in modo di identificarli come tali (poliziotti, carabinieri, militari).

Coloro che svolgeranno, invece, un lavoro d’ufficio, politici, Manager e così via si presenteranno sempre con abiti formali, in completo.

Importantissima e da non sottovalutare è l’influenza che l’abito ha sulla percezione di sé stessi. In psicologia, infatti, si è osservato come, il modo in cui vestiamo, può influenzare la nostra mente modificando il nostro umore, il mondo in cui ci sentiamo, ci comportiamo e addirittura le nostre performance.

Tutti gli elementi appartenenti alla sfera dell’abbigliamento (accessori, divise ecc.) pur non essendo modificabili durante l’interazione, sono comunque modificabili sia nel corso della vita di una persona, quindi nei vari stadi della crescita, sia nel corso di ventiquattr’ore o dei periodi stagionali. Al giorno d’oggi, la pluralità degli ambienti sociali e i diversi impegni all’interno di una giornata

fanno si che una persona presti attenzione all’abbigliamento, quindi si cambi, anche più volte al giorno a seconda dell’impegno e del ruolo da rivestire. Bonaiuto(1994), inoltre, ci informa che l’abbigliamento può avere anche variazioni più minute. Ci descrive, ad esempio, un uomo in ambito formale che, per rendere la situazione più leggera ed informale, si toglie la giacca e arrotola le maniche della camicia. Qui, l’abbigliamento, assume una funzione “discorsiva”. I frequenti mutamenti nel controllo dell’abbigliamento si legano poi al cambiamento stagionale e al fenomeno socioculturale della moda. La moda riguarda la ricerca di costumi che accomunino le persone all’interno di un gruppo e di una cultura, è un fenomeno psicologico-sociale, distingue sul piano sociale tra classi e gruppi sociali e dà all’individuo la possibilità di poter comunicare la propria identità. Identità che può rivelarsi sia conformista e “al passo con i tempi”, sia anticonformista e ribelle.

Anche la dimensione vestemica, come le altre dimensioni non verbali, è fortemente influenzata dai valori culturali. Balboni e Caon( 2015: 76-77) affermano che “La scelta del vestiario comunica sia il rispetto che portiamo all’interlocutore sia l’atteggiamento relazionale che si vuole instaurare, soprattutto in termini di ufficialità o informalità di un incontro.” Ma gli indicatori di formalità sono gli stessi per ogni cultura? Ovviamente la risposta è no, essi variano non solo tra Oriente e Occidente, come vedremo nel terzo capitolo, ma anche tra Europa ed America.

Partendo dal presupposto che la formalità dell’abbigliamento è essenziale per comunicare rispetto nei confronti dell’altro, ciò che è inteso come formale in Italia può includere elementi ritenuti in più o superflui in un’altra. In Italia, per esempio,

l’abito formale comprende camicia, cravatta e giacca. Negli USA è sufficiente la cravatta, in Iran è vietata. Inoltre, lo spezzato è considerato formale in Italia, ma è visto in maniera molto negativa negli USA.

L’abbigliamento, quindi, può essere considerato come una forma di comunicazione, si esprime attraverso stili diversi, cambia a seconda del contesto e ha valenza culturale.

Uno strumento utilissimo a comprendere e conoscere alcune delle caratteristiche culturali che possono essere fonte di incomprensione e che sono proprie della cultura di appartenenza è “La mappa della comunicazione interculturale” sviluppata sulla base del modello elaborato da Balboni e poi integrato da Caon (2015, La comunicazione interculturale, Marsilio). La mappa è reperibile online all’indirizzo www.mappainterculturale.it ed è da considerarsi un lavoro

continuamente in fieri, grazie al continuo aggiornamento da parte degli autori, è uno strumento da cui poter attingere per attuare confronti veloci tra le diverse culture ed ampliare il proprio bagaglio interculturale.

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