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3.4 - VIAGGIARE E COLTIVARE

Nel documento SCRITTURE DI VIAGGIO DI GOFFREDO PARISE (pagine 88-92)

Viaggiare con noia e pazienza59 - Nanchino

Pechino è stata lasciata per sempre, il reporter si dirige a sud-est per visitare Nanchino, descrive il modo di viaggiare in Cina e l’agenzia turistica China Travel Service, poi la estenuante burocratizzazione del sistema, le astuzie per raggirarla, gli alloggi e la campagna vista dal treno e dall’aereo.

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Nanchino è una megalopoli non lontana da Shanghay ed il mar Cinese Orientale, che ai giorni nostri conta circa otto milioni di abitanti e seimilacinquecento km2 di superficie, e il viaggio per arrivarvi da Pechino è l’occasione per Parise di raccontare come uno straniero viaggia in Cina.

Il reportage è asciutto, senza dialoghi, viene la tentazione di definirlo “rilassato”, considerata la fine e quasi impercettibile ironia usata nel descrivere come si può raggirare la burocratizzazione e il chiodo fisso degli interpreti, quello di far visitare fabbriche e musei della rivoluzione. Il reporter è “prigioniero” di molti condizionamenti, a partire dal fatto che per spostarsi di città bisogna avere il permesso della polizia; non può parlare con nessuno senza l’interprete; non può fissare un posto in alberghi, treni, aerei, teatri senza

il China Travel Service, che si occupa degli stranieri. A complicare il tutto una totale «burocratizzazione della propria persona e infine un senso di estraneità quasi biologica che al viaggiatore appare molto più profondo»60 rendono complicata la vita a Parise, che ricorre ai suoi usuali strumenti: «gli occhi per vedere, il cervello per riflettere, il caso e infine la propria persona, con tutto quanto possiede di lampante e di oscuro».61

Il reporter, oltre agli impedimenti “fisici” prima elencati, ne ha un altro “psicologico” ben più grande, che discende sempre dal fatto che la sua persona è “burocratizzata” dal sistema che decide se lui può o non può fare una cosa, e nel caso essa sia negli schemi previsti, quando la deve fare, arrivando a fargli osservare snervanti tempi biblici di attesa, a fumare su un divano dell’ufficio che gli deve dare il permesso o comunicare la risposta negativa.

Parise a tutto questo reagisce con un lato non molto conosciuto della sua personalità, quello di prendere in giro la gente per divertirsi o vendicarsi; è una costante della sua vita giovanile, quando per esempio fa fare agli amici, caricati su una barca presa in affitto, un giretto “con scherzo”,62 facendo finta che si capovolga; e anche dell’ età adulta, come quando gioca delle burle ai suoi amici letterati importanti e uno dei bersagli preferiti è il mite Carlo Emilio Gadda.63

Passano i giorni, non arriva la risposta alla domanda e nemmeno l’informazione sulla risposta alla domanda. Irritazione, proteste, musi, antipatia, noia da parte nostra: sorrisi, sorrisi e ancora sorrisi da parte loro. […] si giunge alla conclusione di usare il loro stesso sistema: la pazienza. Ogni dieci minuti ci si avvicina sorridendo al bureau e si chiede gentilmente, ma inesorabilmente, sempre la stessa cosa. Per uno, due, tre giorni: venti, cinquanta, cento volte al giorno. Ho visto cinesi esasperati perdere la pazienza e, di conseguenza, acquistarla noi. Alla fine si ottiene l’informazione, la risposta alla domanda, insomma ciò che si desidera.64

Rilevanti, oltre alle tenaci e umoristiche contromisure adottate dall’artista, è la prosa asciutta del reportage professionale e distaccato, anche se a ben considerare Parise tacitamente condanna questo mummificato sistema burocratico, ma lo fa senza chiasso, in punta di piedi: è un altro dei pochi difetti che trova nella sua Cina, ma non vuole sparare

60 Ibidem.

61 Ibidem

62 QUESADA M., Cronologia , cit., p. 55.

63 Ivi, pp. 79-80.

a zero su un paese che, come già detto, vede molto spesso, o troppo spesso, come composto «da molti quasi infiniti versi»65. Più o meno la stessa tattica adotta con gli interpreti che vogliono a tutti i costi fargli visitare le glorie del comunismo, come musei, scuole e fabbriche a cui non è interessato.

La prosa del reportage torna sorridente quando Parise passa in rassegna i vantaggi del China Travel Service, i servizi vari, buoni e con prezzi competitivi, i treni e gli aerei dai cui finestrini osserva la sterminata campagna, coltivata a mano senza macchinari e:

Cosparsa di milioni di collinette non più alte di un metro che sorgono dalle coltivazioni, con un foglio di carta bianca che svolazza sulla sommità: sono i loro cimiteri; lì, tra le radici del grano e del riso che si rinnovano di stagione in stagione, vicino alla casa, alle galline, al bufalo, giacciono gli avi e i trisavoli.66

Questi morti che “vivono” dove lavorano i contadini e in mezzo alla materia vivente dei loro prodotti agricoli, suggeriscono l’idea che il reportage finisca con una velata commozione di Parise, dovuta forse alla sua personalità in buona parte dominata - come si può rilevare meglio in altre sue opere e particolarmente ne Il ragazzo morto e le comete67 e I movimenti remoti68 - dal pensiero della morte.

Campagna e contadini69 - Nanchino

L’autore va a visitare la Comune popolare di Ottobre, esamina lo stretto rapporto fra Cina e agricoltura, illustra la concezione politico-giuridica cinese della terra e dei beni agricoli, è ospite nella casa di un contadino dove gli viene spiegata l’organizzazione della comune, va alla fine a far visita a un “latifondista”.

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Lo scrittore mette sotto microscopio il rapporto Cina-terra agricola, cioè una sterminata distesa agricola che per leader ha il grande statista Mao, nato contadino, vissuto da contadino e con una visione politica, si scusi il termine, “agrocentrica”. Parise - che scrive questo reportage probabilmente perché in Cina l’agricoltura, come

65 Ivi, p. 5.

66 Ivi, p. 86.

67 PARISE, Il ragazzo morto e le comete, cit.

68 PARISE, I movimenti remoti, cit.

l’agopuntura, è uno degli aspetti che i turisti ben preparati si aspettano prima o poi di vedere – non è né un esperto di agricoltura, né, da quello che si è potuto appurare nelle ricerche per questo elaborato, un dilettante estimatore di coltivazioni vegetali.

Non è insomma come il suo grande amico e corregionale Giovanni Comisso che con la terra ha nei suoi scritti molto spesso uno speciale rapporto, basti qui citare due sue opere La terra e i contadini ed altri racconti e La terra, le genti, i prodotti, i mercati e le feste delle provincie di Padova e di Treviso. Comisso come si vede, pur ottimo scrittore, non si vergogna di scrivere su modeste fiere di provincia.

Parise invece si avvicina al grande tema agricolo cinese con poche nozioni, come al solito viaggia sempre “con i soli occhi per vedere”, senza una preparazione specifica, ma affronta il tutto con la sua professionalità che, dopo i precedenti singoli reportage cinesi e Le lettere americane del 1961, è molto cresciuta.

Dire Cina è come dire terra e contadini, non mi stancherò mai di ripeterlo come mai si stanca l’occhio che spazia su un territorio immenso popolato di contadini: che sono sempre stati e resteranno contadini perché la Cina ha troppi abitanti da sfamare, il cibo esce soltanto dal suolo e, per il momento, soltanto dalle mani di chi lavora. Perché quasi non si vedono macchine agricole in Cina? Perché, appunto, le mani sono molte, moltissime, e tali da poter far fronte a qualsiasi impiego al posto di macchine: che esigono carburante ed energia elettrica, cioè forza industriale ben più necessaria ad altre produzioni.70

Ma pur con professionalità, come si vede, vi sono dette cose banali, usando un tono professorale. Sempre usando questo tono spiega cos’è la comune popolare, grande famiglia composta da numerose piccole famiglie, le cellule del sistema, che con la loro laboriosità hanno permesso alla Cina imperiale, e poi comunista, di sostenersi nei secoli. La terra non è dei privati, né dello stato, ma della comune, di proprietà cioè di tutti i contadini, mentre la sola proprietà privata del contadino è la casa, un pezzo di terra da coltivare e le bestie che vi vuole allevare.

A cento chilometri ad ovest di Nanchino Parise va a visitare la Comune popolare di Ottobre, dove è ospite di un contadino che ha la fortuna di possedere una casetta non di fango e paglia, ma in muratura, composta da due stanze e cucina, con il pavimento in terra battuta. Sono presenti i responsabili della comune più l’interprete.

Qui la descrizione si fa ricca di dettagli ed è avvincente perché vi è l’analisi della comune nella sua struttura organizzativa e nelle tecniche agricole; quindi nella struttura didattica con le scuole di vario grado; si passa a quella medica con l’ospedale; ed infine a quella militare in caso di aggressione americana.

Parise fa molte brevi domande, lascia spazio alle risposte, usa un tono pacato e distaccato da reporter; lui però, pare di indovinare, sembra ammirare nel suo animo questi grandiosi sforzi collettivi, fatti da quei contadini in precedenza definiti “poveri ma non poveri”, perché hanno tutto il necessario senza essere schiavi del consumismo.

Alla domanda del giornalista se vi siano dei latifondisti, scopre che ci sono e che lavorano come gli altri, privi però del diritto di elezione alle assemblee della comune. Nel villaggio del padrone di casa ne abita proprio uno che li accoglie con aria impaurita e Parise, sbalordito, scopre che il “latifondista” era proprietario di soli due ettari e mezzo di terra che rendevano più o meno quello che guadagna ora come lavoratore della comune: ottocento yen all’anno. Gli spiegano che la differenza fra latifondista e lavoratore della comune non è nel reddito: è che prima faceva lavorare gli altri, ora lavora lui.

Nel documento SCRITTURE DI VIAGGIO DI GOFFREDO PARISE (pagine 88-92)