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Mercoledì primo luglio […] già era alla porta l’enciclopedico Gervasio, con la carrozza, che ci attendeva, avendo seco i soliti stimabili compagni signor Fortunato Naccari in primo posto, il signor conte Azzalli in capriolè per scelta sua, ed invece della giovine fiorentina tanto meglio educata del signor economo Bartolini, che volle occupare per elezione il suo posto, ed in carrozza il signor canonico e fra’ Silvestro; che doveva Gervasio mettere da Roma a Firenze la società per colonnati 18 per ciascheduno, non compresa la buona mano; e di due signori da Roma a Faenza per 15 a testa, secondo il diario, che anderemo descrivendo.

Alle ore 8 italiane si prendeva il caffè in carrozza in piazza Colonna, lasciando questa metropoli, dopo 25 giorni di soggiorno367.

Il primo luglio 1829 Silvestro Bernardini, Jacopo Bartolini e Gaetano Talej lasciano Roma e, ritrovando i compagni della partenza, si preparano a compiere il viaggio di ritorno a bordo della carrozza guidata dal famoso vetturino di Fuligno, Gervasio. Da notare il parallelismo che si istituisce tra questa figura, resa enciclopedica dal continuo girovagare, che non usava codici e quella dell’economo Bartolini il quale, anche in questa occasione, dà prova del suo scarso grado di educazione nell’atto di occupare il posto dell’andata, quasi come gli spettasse di diritto.

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Partiti, dunque, per la strada magnifica, che si venne in Roma, e passato il maestoso Ponte Molle, La Storta, ed arrivati a Baccano qui si fermò.

Vi erano molti legni di passeggeri. Un’insalata, e del nero prosciutto, costò molto caro al nostro economo Bartolini, ma il peggio fu certo vino, che ci segnò quasi tutti con dolori di corpo, e qualcos’altro dietro.

Passato Monterosi, di due miglia, si trovò la bella colonna, che indicava la strada di Firenze, e di Loreto368.

I nostri viaggiatori si immettono lungo il tracciato della via Flaminia prendendo poi la strada nuova369 che passa per Civita-Castellana – Nepi – Monterosi – Baccano – La Storta (in direzione di Roma) in quanto il traffico della vecchia Flaminia già a partire dal 1788, come rileva Armando Finodi, era stato dirottato su questo tratto per razionalizzare le spese di manutenzione370.

Prima di questa data il tracciato si snodava lungo le poste di Narni, Otricoli, Borghetto, Civitacastellana, Rignano, Castelnuovo, Malborghetto, Prima Porta: alcuni componenti della famiglia Doria – Pamphilj, infatti, viaggiando verso Venezia nell’aprile del 1725, descrivono il passaggio lungo questa strada postale in un resoconto che ci è pervenuto mutilo e anonimo371. Nell’anno 1667 anche il principe Giovanni Battista Pamphilj (del cui lungo viaggio ho parlato nel primo capitolo di questa tesi) partendo da Roma avrebbe percorso la via Flaminia.

Le annotazioni registrate nel nostro resoconto sulla via del ritorno sono essenziali e circostanziate, strettamente legate al viaggio materiale: in questo breve tragitto la pagina di diario non accoglie ancora alcuna descrizione in quanto, come accade in tutte le scritture odeporiche dell’età moderna, all’uscita da Roma

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AC, Ms 134, Diario, f. 95.

369 Così si legge nell’Itinerario Italiano del 1823: «A Civita Castellana la maggior parte de’ viaggiatori lascia l’antica strada Flaminia, la quale, essendo ora guasta è assai incomoda; e quindi prende la strada nuova passando a Nepi, ed appresso a Ronciglione, Monterosi, Baccano e la Storta». Cfr. Itinerario Italiano o sia la descrizione de’ viaggi per le strade più frequentate alle principali città d’Italia, stampato in Roma presso B. Olivieri 1823, p. 276.

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A. Finodi, Dalle locande di posta alle strade ferrate nello Stato Pontificio (1650-1860), scaricabile dal sito http://www.tortreponti.com/pubblicazioni/0005_posta_stato_pontificio.pdf., p. 5.

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il paesaggio sembra sottrarsi alla vista del viandante. Roma divora il Lazio, asserisce nei suoi studi Vincenzo De Caprio372.

Dopo aver imboccato la Lauretana, si transita per Nepi, dove i socj osservano molti condotti per l’acqua di non piccola mole e seguitando il cammino s’arrivò a Civitacastellana sulle 13 ore, con 38 miglia da Roma.

In questa città i nostri viaggiatori gettano uno sguardo veloce sul paesaggio che li circonda, apprezzando i lavori di manutenzione del tracciato stradale con la costruzione di un magnifico ponte nuovo da una non indifferente altezza, i lavori di scavo che avevano rinvenuto molte statue portate a Roma e passano accanto ad buona fortezza, custodita con molta gelosia, per esservi un reclusorio di circa 120 patrioti […] Nessun vivente può fermarsi oltre quelle mura, che la circondano, sorvegliata dalle sentinelle, che intimano il camminare, come seguì alla nostra brigata, che nulla sapeva, andando per diporto373.

Come era accaduto durante il viaggio di andata nel territorio viterbese, si registra un’annotazione lapidaria sul costume femminile, Si veddero qui le donne portare la sottana in capo, quasi come a volere tracciare una differenza con la città di appartenenza e quelle incontrate fino a questo punto del viaggio374.

I socj si fermano a Civita Castellana per la cena ma non per la notte, proseguendo il viaggio in direzione di Terni oltrepassando Borghetto, Otricoli, Narni per giungervi dopo 32 miglia da Civitacastellana trovando il necessario riposo in un’ottima locanda.

L’arrivo a Terni favorisce l’incontro con un territorio nuovo che svela ai nostri viaggiatori un paesaggio dominato interamente dai colori della natura verso la quale il viaggiatore mostra sensibilità: la osserva con occhio attento ed animo

372 Cfr. V. De Caprio, Viaggiatori nel Lazio, op. cit., pp. 23-30.

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AC, Ms 134, Diario, f. 95.

374 Goethe, invece, avrebbe affidato alla scrittura la descrizione del paesaggio osservato in questa città: «La città è costruita su tufo vulcanico, nel quale m’è parso di ravvisare cenere, pomice e frammenti di lava. Bellissima la vista del castello: il Monte Soratte, una massa calcarea che probabilmente fa parte della catena appenninica, si erge solitario e pittoresco. Le zone vulcaniche sono molto più basse degli Appennini, e solo i corsi d’acqua, scorrendo impetuosi, le hanno incise creando rilievi e dirupi in forme stupendamente plastiche, roccioni a precipizio e un paesaggio tutto discontinuo e fratture». Cfr. J. W. Goethe, Viaggio in Italia, Milano 1993.

partecipe, come è possibile percepire nella descrizione della visita alla cascata delle Marmore

Dopo un buon pranzo, presa una padovanella alla posta, per quattro compagni, s’andò verso la rinomata cascata detta delle Marmore. Ma arrivati ad un certo punto di vista, che mostrava una ripida salita, tra due alpi di nudi macigni, che non sembrava avere strada, ma un perpendicolare precipizio, fra’ Silvestro volle smontare di legno, e andare colle sue gambe, finchè poteva.

Un sole cocente, una salita ardita, e fresco degli incomodi sofferti dagli strapazzi, dava pena ai soci, e più per la sua, creduta temerarità. Non si stancarono persuaderlo, che non vi erano pericoli, ma finalmente dopo un tratto di strada, dando lena a’cavalli, e ai buoi presi, smontarono ancor’essi, dicendo, che la strada era larga, e sicura, con i muri di difesa; fatta da molti sovrani, e principesse, o che saliva in legno, o tutti sarebbero tornati indietro. Bastò tal persuasiva, fare montare in legno fra’ Silvestro ben’ spossato, e sudato, e seguitare l’apparente spaventosa gita, benché ottima strada, larga, e difesa, ma il suo aspetto fa un sommo orrore.

Arrivati alla cima di quest’orrido alpe, cinque miglia distante da Terni, si trovò una pianura sementata, e coltivata, con qualche abitazione colonica. Giunti ad una casa ad un certo punto, e lasciato il legno, e cavalli, con una guida venuta di Terni, presi certi viottoli, si cominciava a sentire lo strepito dell’acqua.

Andati ad una loggia fatta costruire per l’imperatore Francesco, si vedde la precipitosa, e veemente sortita d’acqua da massi della montagna, con una forza incredibile, e che casca in tanta abbondanza in un precipizio, che forma un fumo, ed una saponata, e tante iridi, che se resta sorpresi, e che quest’acqua, va formando il torrente detto Bottaccio. Quei monti, che circondano questa gran’ caduta d’acqua, sono ripieni di quel tartaro, che l’aria, il fumo, e quei sali, producono, che ne sono ricavati da quei contadini, o guardiani di bestiame, dei pozzi molto scherzosi375.

È una descrizione fresca e spontanea che insegue con vivacità i movimenti dei socj: la natura non è semplicemente un elemento che definisce l’architettura del paesaggio incontrato, al contrario, si sviluppa con essa un rapporto di interazione. Siamo decisamente lontani dalle descrizioni del soggiorno romano: la soggettività ed il vissuto del viaggiatore non si colgono più soltanto attraverso i flashback, ma irrompono nel farsi del viaggio quotidiano.

Nella pagina di diario si trasferiscono le impressioni visive dell’io viaggiante che penetra nel territorio attraversato: la montagna, che già a partire dal secolo XVIII aveva conquistato lo status di autonomia geografica e culturale nel

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resoconto odeporico376, accende il sentimento del sublime (orrido alpe; il suo aspetto fu un sommo orrore) nei viaggiatori consapevoli, però, della sua praticabilità stante la strada ottima e sicura.

Il paesaggio osservato è appagante e si armonizza perfettamente con la dimensione dilettevole che accompagna questa gita, anche nei tratti in cui la strada può risultare sì cattiva, sì sassosa con una salita di quasi un miglio, come quella incontrata oltrepassato il Bottaccio che ci levò il fiato.

L’occhio si compiace della vista di un piano ben coltivato e abitato da’ coloni che trattano con cortesia gli ospiti offrendo un rinfresco.

L’Itinerario Italiano, ristampato con successo nel corso del XIX secolo, scrive, infatti, che

La strada che da Bologna conduce a Roma, passando per Loreto, quantunque a Colfiorito valichi l’Appennino, è più amena, di quella che da Firenze mette a Siena. Può dirsi lo stesso dell’altra, che da Firenze va a Roma per Perugia e Foligno. E sebbene questa sia più lunga circa 30 miglia, pure l’aspetto ridente del paese rende il cammino aggradevole, e le locande, oltre che se n’incontrano di frequente, sono anche più ben fornite377.

L’itinerario del viaggio di ritorno è, quindi, scandito da annotazioni che dedicano maggiore attenzione alla lunghezza e alla condizione del percorso nonché ai comportamenti dei singoli viaggiatori. Si viaggia con il caldo, per molte ore consecutive e la società ne risente, pertanto, i disagi: la fatica a volte sembra sopraffare i tre religiosi al punto tale da scrivere che si sale e scende dal legno ma non con quella gaietà del primo di giugno, quando il viaggio era appena iniziato.

Da Terni la gita prosegue passando per Spoleto: alle ore nove francesi del 3 luglio si giunge a Foligno378, si smonta alla locanda trattati a spese del

376 Si vedano, in tal senso, i resoconti dei viaggi di esplorazione. Per una loro descrizione generale si rinvia a F. Rodolico, La Toscana descritta dai naturalisti del Settecento: pagine di storia del pensiero scientifico, Firenze 1945; cfr. anche F. Rodolico, L'esplorazione naturalistica dell'Appennino, Firenze 1963.

377 Itinerario d’Italia, o sia Descrizione dei viaggi per le strade più frequentate alle principali città d’Italia, Milano 1828, presso Pietro e Giuseppe Vallardi, p. 251. L’edizione consultata è la diciannovesima.

378 Per viaggi e descrizioni odeporiche lungo questo tracciato stradale, cfr. anche A. Brilli, Il petit tour: itinerari minori del viaggio in Italia, Milano 1988.

vetturino esternando, però, il rimpianto per aver perso il bello che si poteva vedere dentro Spoleti avendo preferito Gervasio rinfrescare per un’ora ad un luogo detto Le Vene, forse per un’acqua limpidissima che vi si trova, piuttosto che entrare nella città.

Giunti a Foligno si organizza una breve escursione ad Assisi per soddisfare la devozione del canonico Talej la cui presenza, in questa parte del diario, acquisisce i tratti della partecipazione (nelle pagine precedenti si parla di lui solo nominalmente): ne percepiamo l’impazienza nonostante gli altri compagni di viaggio tentino di persuaderlo dall’intento. Commenta, infatti, l’estensore Riflettendo [per chi ha un poco di senso comune], che dopo una nottata addosso, ipso immediata, appena smontati, per prendere un poco di riposo, con 35 miglia già fatte, sull’ore calde di luglio, intraprender’ digiuni altre 20 miglia di cammino, sulla certa persuasiva di non essere in tempo all’oggetto benché santo, non sembrava prudenza. Non ostante fu fatto forza volere andare; e benché meno santi, ma più compiacenti, si partì verso le ore 10 per Assisi379.

Si raggiunge la città di San Francesco dopo due ore di cammino per un pezzo di strada sassosa, altra di salita, caldo e forse bestie più fiacche trovando, però, serrato il convento. Emerge, a questo punto, la delusione del signor canonico e l’inquietudine degli altri viaggiatori per l’infelice esito della corsa fatta. Tutti i componenti della società vengono colti nel vivo delle loro emozioni e, in queste pagine del Diario, si ha l’impressione che la scrittura sia stesa cammin facendo, focalizzandosi sui comportamenti dei singoli per tentare di rimediare all’increscioso incidente.

Alla fine le lusinghe del vetturino convincono un sacerdote del convento a consentire la visita e si delinea una sorta di interazione tra i nostri viaggiatori e la presenza umana incontrata occasionalmente in quel luogo, riassumendo il dialogo instaurato e descrivendo l’atteggiamento quasi fraterno con cui il sacerdote, un buon giovine, stende un fazzoletto sulle spalle del canonico Talej per asciugarne il sudore.

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Il 4 luglio, a mezzanotte, la società lascia Foligno fermandosi alla posta di Serravalle per una breve refezione di pesce e frittate riscontrando una pulizia assai maggiore del 15 luglio 1787: è la prima volta che una data precisa (chi aveva compiuto un viaggio in quel periodo?) rinvia al confronto con una cultura dell’accoglienza dei tempi passati.

Il gruppo di pellegrini scledensi che nel 1725 percorreva questo tratto di strada in direzione di Roma, fermandosi a Serravalle descrive così i luoghi circostanti: luoghi tutti chiusi tra i monti […] piccioli e poveri luoghi, ne quali appena si trova con che si possa mangiare e dormire380.

Osservazioni sintetiche che lasciano trapelare lo stato di indigenza che affliggeva quei luoghi, sicuramente poco ospitali per i viaggiatori dei secoli XVII – XVIII. Serravalle è dipinto, infatti, nelle guide del tempo, come un grosso villaggio rinchiuso fra due montagne, che separa la Marca d’Ancona dall’Umbria381.

Il documento mutilo e anonimo sopra citato, conservato tra le carte della famiglia Doria – Pamphilj, descrivendo un viaggio da Roma a Venezia nello stesso anno, annota le difficoltà fisiche legate alla strada da percorrere:

Su l’alba si prese la strada che conduce a Seravalle, e fra questi due luoghi vi è la salita più inaccessibile, e continuata, dopoche si calò al Ponte della Trava, da ivi a Valcimara, et in appresso a Tolentino, ove si fe’ alto per venerare le santa braccia del glorioso San Nicola assieme con altre sante reliquie382.

Proseguendo il viaggio si giunge a Tolentino e da qui, veduto il poco della città, mentre era accomodato un ferro di carrozza, e preso il caffè si partì per Macerata.

Mentre si attraversano quei territori si profilano, davanti agli occhi dei nostri viaggiatori, le memorie dei recenti eventi storici:

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Don Nadale Conforto, Viaggio di Roma, op. cit., p. 71. 381 Itinerario italiano, op. cit., p. 252.

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Prima però d’arrivarvi [a Macerata], si trovò la vasta e bella pianura, dove centoventimila napoletani alla testa del traditore del duca d’Enghien, Murat, che da una torre, ancora esistente, animava i suoi maccheronai, posti in fuga da 40 mila tedeschi, e da 700 ungheri a cavallo. Si vedde il luogo ove furono sepolti, segnato da una croce, e dove era un ottimo grano383.

È un’evocazione della celebre battaglia di Tolentino384, considerata dagli storici la prima combattuta per l’unità e per l’indipendenza dell’Italia, un ulteriore conferma di come il Risorgimento condizioni l’osservazione dei nostri viaggiatori che, passando in questo luogo, immediatamente attivano la loro memoria storica affidandone il ricordo perenne alla scrittura. Affiora lo sprezzo nei confronti del generale Murat, al quale è associata l’immagine del Giuda, del traditore e le sue truppe, quasi ironicamente, sono appellate con il tipico epiteto che identifica i partenopei in tutto il mondo, maccheronai. Una croce indica il luogo della loro sepoltura accanto ad un campo di grano che appare ottimo ai nostri viaggiatori; un simbolo di morte accompagna così un segnale della vita: nella liturgia sacra, infatti, il grano è un frutto della terra e, quindi, un dono divino.

Le città incontrate lungo questo tracciato ricevono nel Diario un’inquadratura geografica che ne mette in rilievo l’importanza “economica”, accanto al prestigio derivante dall’aver dato i natali a personaggi illustri e/o dal conservare importanti monumenti storico-artistici.

Foligno, per esempio, è definita Città bagnata dal Topino, illustre, per aver dato i natali a valenti professori in medicina, e alle belle arti, con cattedrale e altre

383 AC, Ms 134, Diario, f. 105.

384

Con il ritorno di Napoleone in Francia il 1 marzo 1815, dopo la fuga dall’isola d’Elba, Gioacchino Murat, sostenuto dagli insistenti richiami dei patrioti, innalza la bandiera dell’indipendenza italiana, nel miraggio di un disegno di pacificazione tra le nazioni d’Europa, nel quale anche Napoleone avrebbe conservato un adeguato potere. Il 15 marzo Murat parte da Napoli, mentre le sue truppe invadono lo stato Pontificio e la Toscana; il 19 raggiunge Ancona, dove la folla lo acclamerà re d’Italia. Il 30 marzo Murat emana il proclama di Rimini, esortando gli italiani a combattere alfine di preparare e disporre la costituzione e le leggi che reggano oggimai la felice Italia, l’indipendente Italia. La marcia offensiva ha inizio nel mese di aprile e dopo brevi scontri tra le forze austriache e le avanguardie napoletane, presso le mura occidentali di Toelntino, il 30 aprile i due eserciti si trovano rispettivamente a Macerata e a Tolentino. Dopo le iniziali vittorie dell’esercito murattiano, gli austriaci, con una rapida avanzata, riescono ad accerchiarlo nei pressi di Cantagallo mettendolo così in ritirata. Cfr. La Battaglia di Tolentino e la campagna di Murat nel 1815, Macerata 1996, p. 156.

belle chiese, buone fabbriche, gran commercio dei tre C. carta, cera e confetti, e opere di seta.

Tolentino è qualificata come piccola città nella Marca Anconetana, bagnata dal Chiento, patria di Francesco Filelfo, sede della chiesa di San Nicola che conserva le sue braccia in un’urna d’argento.

Quello che osserva è l’occhio di un viaggiatore curioso che, anche laddove non si ferma o sosta per un breve periodo, cerca di cogliere una caratterizzazione generale del luogo incontrato affidandone la memoria alla pagina di diario. Il viaggio di ritorno si configura, in tal modo, come scoperta di una geografia nuova che cattura le sensibilità dei nostri viaggiatori.

Nuovo, durante il tragitto, è anche il rapporto che si instaura tra i nostri tre socj e tutti i compagni di vettura con i quali si condividono interamente le esperienze quotidiane, sviluppando una rete di solidarietà nella consapevolezza che chi voleva fare il comodo suo dovesse adattarsi anche al comodo degli altri: è un atteggiamento favorito e stimolato dal viaggio in carrozza e rafforza ulteriormente la dimensione dilettevole di questa gita.

La loro presenza conferisce “coralità” al resoconto odeporico rendendo piacevole il ritorno verso casa: se il distacco da Roma genera nei viaggiatori dell’età moderna sentimenti di nostalgia e malinconia, nel nostro Diario il viaggio prosegue felicemente e continua ad essere contrassegnato dalla piacevolezza della scoperta di luoghi inusitati che la strada riserva al viandante.

Anche nel Giornale di viaggio di Giuseppe Gioacchino Belli emerge questa dimensione corale385 della narrazione a contatto diretto con la moltitudine variegata dei personaggi incontrati in carrozza, in locanda o altrove: nel nostro Diario di società, però, questa coralità crea un legame che persiste durante l’intero viaggio di ritorno, fino al momento in cui ognuno dei componenti avrà raggiunto la propria residenza. Al momento della sosta non ci si divide ma si resta insieme, uniti.

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Nella Marca d’Ancona i viaggiatori mostrano apprezzamento per Macerata, bella città, popolata e mercantile posta sopra un monte vicino al Chiento con un’amena e spaziosa veduta per ogni parte: si scuopre il mare, si

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