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Violenze fasciste nella provincia di Padova dal 1921 al 1923

1) L’ascesa al potere del Fascio padovano tra la fine del 1922 e le elezioni del 1924. Quando nel marzo 1922 le assemblee dei Fasci e dei sindacati fascisti avevano deciso di dichiarare l’incompatibilità tra l’iscrizione al Pnf e l’iscrizione all’Associazione agraria, era inevitabile che sarebbe seguito un periodo di grandi tensioni: intanto da Milano venivano inviati a Padova Achille Starace, che aveva il compito di indirizzare la nuova azione sindacale nelle campagne, e Celso Morisi che, in base alle informazioni presenti nel precedente capitolo, aveva l’onere di reggere la carica di segretario della sezione del Fascio di Padova, nel gennaio 1922, mentre Polazzo veniva spostato alla carica di segretario della Federazione provinciale.

La fuoriuscita degli agrari dal movimento fascista portava alla repentina, quanto inaspettata, dimissione di Polazzo dalla carica appena ottenuta il 30 maggio 1922. E’ da questo momento in poi che la violenza squadrista tornava ad entrare pesantemente nella vita politica della provincia. La reazione “legalitaria” antifascista dell’agosto 1922 si rivelò un fiasco completo122. Due mesi più tardi le squadre fasciste padovane sarebbero riuscite ad occupare la città veneta, mostrando tutta l’incapacità delle forze dell’ordine padovane. Prima però di analizzare il colpo di stato che permetterà ai fascisti di ottenere il controllo della città di Padova il 28 ottobre 1922, svolgiamo un’analisi più generale, per cercare di capire cosa stavano orchestrando i leader politici a livello nazionale. Nelle pagine successive analizzeremo, perciò, la Marcia su Roma, ossia la presa del potere politico da parte del Pnf attraverso un’insurrezione armata mirata all’abbattimento del governo liberale in carica nell’ottobre 1922.

2) Marcia su Roma e dintorni. 2.1) Le fasi iniziali della Marcia.

Intanto la situazione nazionale stava pericolosamente volgendo a favore dello squadrismo fascista; infatti il governo liberale guidato da Facta si rivelava nettamente incapace di tenere a bada le azioni violente fasciste; per questo Mussolini e gli altri leader fascisti cominciavano a vagheggiare un vero e proprio colpo di stato.

Il 26 settembre 1922 Mussolini arrivava a Cremona, celebrato da una folla di camicie nere festanti che mostravano le bandiere e le insegne rappresentative delle organizzazioni fasciste. Qui Farinacci arringava la folla, ricordando tutti i caduti fascisti che avevano immolato la loro vita per il sogno rivoluzionario fascista; Mussolini invece proferiva parole di fuoco: “E’ dalle rive del Piave che noi abbiamo iniziato una marcia che non può fermarsi fino a quando non abbiamo raggiunto la meta suprema: Roma”. Il cronista del “Popolo d’Italia” comprendeva molto bene che quelle parole erano delle spinte ad agire senza provare il minimo timore123.

Eppure ancora all’inizio dell’ottobre 1922 il ministero dell’Interno aveva deciso di mettere in guardia tutti i prefetti del Regno dalla possibilità che si verificassero tentativi di nuove violenze da parte delle squadre fasciste nelle varie provincie, aspettandosi che queste autorità sarebbero state in grado di risolvere la questione124. La riunione del congresso fascista a Napoli poteva innescare tensioni e pericoli per il mantenimento dell’ordine pubblico, e i fascisti che si spostavano verso Napoli dovevano essere disarmati, non

122VENTURA, Padova, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 322-323

123 Citazione da L. FREDDI, Le sagre della rinascita, in “Il Popolo d’Italia”, 26 settembre 1922, dove si trovano le cronache della manifestazione

124ACS, TUC, 1922, Partenze, 6-18 ottobre, telegramma del ministro dell’interno al prefetto di Milano, 10 ottobre 1922 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 76

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dovevano viaggiare armati e dovevano essere separati dagli altri gruppi politici, dato che era inevitabile lo scontro tra bande armate dei vari partiti125.

Intanto continuavano ad essere inviate circolari dal governo, timoroso che si potesse verificare una mobilitazione delle squadre armate fasciste a Roma, nella capitale del Regno d’Italia, dove risiedeva il governo liberale126.

La situazione era stata vagliata a fondo dal ministro degli Interni, il quale aveva richiesto, già dall’inizio di ottobre, alle varie autorità pubbliche di impedire ogni esplosione di violenza illegale ed estremista; eppure, lo stesso ministro sospettava che molti dei suoi sottoposti non avrebbero fatto il proprio dovere civico, dato che già in alcuni casi le sue direttive non erano state seguite127.

Di fronte a tali tensioni politiche si aggiungeva la possibilità della caduta del governo guidato da Luigi Facta durante una lunga riunione del consiglio dei ministri del 7 ottobre 1922. Lo stesso Facta informava il re Vittorio Emanuele III, che allora si trovava a Racconigi, in Piemonte.

L’osservato speciale in quel mese di ottobre era l’esercito, vista la sua posizione filo-fascista durante le tensioni dello sciopero legalitario del mese di agosto, in quanto nessuno, compreso il governo italiano, poteva prevedere come si sarebbe comportato in caso di una manifestazione violenta dei fascisti. Il governo voleva avere la certezza che l’esercito sarebbe stato fedele al governo e non alle bande armate fasciste. Il ministro della Guerra riceveva rassicurazioni da parte dei vari comandanti dell’esercito, nonostante questi confessassero che alcuni ranghi dell’esercito provavano simpatia per i fascisti128. Ma ancora la sera del 24 ottobre 1922 il presidente del Consiglio ostentava sicurezza a tal punto che scriveva al re che: ”Credo ormai tramontato progetto marcia su Roma tuttavia conservasi massima vigilanza”129. Eppure il 26 ottobre un telegramma scritto dal presidente del Consiglio insieme al ministro dell’Interno, Paolino Taddei, a tutti i prefetti del Regno prospettava un pericolo imminente per il mantenimento dell’ordine pubblico: “Da varie fonti giunge notizia di tentativi insurrezionali che sarebbero stati predisposti dal Partito fascista e che verrebbero in data immediatamente prossima attuati con presa possesso uffici governativi in alcuni centri. Quando tentativi siano per manifestarsi si dovrà, esperito ogni mezzo, resistere con le armi”130. Quello stesso 26 ottobre Marcello

125Cfr. ACS, TUC, 1922, Partenze, 18-30 ottobre. Si vedano anche le richieste del prefetto di Napoli, in ACS, TUC, 1922, Arrivi, 6-16 ottobre cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari, p. 76

126Il capo della polizia Raffaele Gasbarri, per conto del ministro dell’Interno, scriveva al prefetto di Napoli di controllare la velocità della voce circolante di un possibile tentativo dei fascisti di spostarsi su Roma via mare, sbarcando ad Anzio e Civitavecchia, cfr. ACS, TUC, 1922, Partenze, 18-30 ottobre, telegramma del ministero dell’interno al prefetto di Napoli, 23 ottobre 1922, h. 12, cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 76

127Cfr. ACS, TUC, 1922, Partenze, 6-18 ottobre, telegramma del ministro dell’Interno ai prefetti, 7 ottobre 1922, h. 17.15. Cfr. anche M. SAIJA, I prefetti italiani nella crisi dello Stato liberale, Giuffrè, Milano 2001, pp. 394-398: l’autore enfatizza in questa circostanza il rapporto tra Taddei e il governo, dimostrando un

cedimento del ministro dell’Interno alla strategia maggiormente conciliante di Facta, piuttosto che quello tra Taddei e i suoi sottoposti, dove invece, come questo telegramma dimostra, egli cerca di mostrare un atteggiamento più fermo nella reazione ai fascisti. Ovviamente, però, la presenza di due strategie non coincidenti indebolisce ulteriormente la conduzione governativa di questa fase di crisi, rendendo possibili ampi spazi di discrezionalità per i prefetti

128 La letteratura su questo è concorde, e questo pure è il tenore delle comunicazioni tra il generale Pugliese e il ministro della Guerra Soleri dell’inizio agosto 1922, cfr. M. MICHAELIS, Il generale Pugliese e la difesa di

Roma, in “La Rassegna mensile di Israel”, vol. XXVIII, 1962, nn. 6-7, pp. 262-283 e DE FELICE, Mussolini il fascista. La conquista del potere(1921-1925) vol. II, Einaudi, Torino, 2005, pp. 322-323

129Citazione daACS, TUC, 1922, Partenze, 18-30 ottobre, telegramma del presidente del Consiglio Facta a Vittorio Emanuele III, 24 ottobre 1922, h. 21.40 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, p. 78

130 Citazione daACS, MI, PS, 1922, b. 105, telegramma del ministero dell’Interno ai prefetti del Regno, 26 ottobre 1922, h. 12.10. Quattro ore dopo, alle 16.30, il ministero dell’Interno inviava una rettifica al telegramma, aggiungendo il periodo “governo dispone pure al primo accenno tali atti di insurrezione VS

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Soleri, ministro della Guerra, informava preoccupato i comandanti militari di un enorme pericolo da affrontare: “Riservato personale stop. Da varie parti vengono segnalati indizi di un prossimo movimento insurrezionale diretto a impadronirsi con mezzi violenti dei poteri dello Stato stop. Ho la certezza che nessuno elemento militare potrà aderire a tale movimento infrangendo essenziali doveri giuramento militare stop – Disponga V.E per intensificare vigilanza nonché per eliminare qualsiasi diversa convinzione che da alcuno fosse nutrita in buona fede stop. Tengasi V.E coi Comandi dipendenti pronto assumere poteri per il mantenimento dell’ordine pubblico non appena ricevuto avvisi con relativi ordini del Ministero Interno stop – Accusi ricevuta stop”131. Tali due telegrammi mostravano molto bene che il governo Facta non era in grado di pianificare una strategia di difesa da possibili attacchi di estremisti, anzi riusciva soltanto a invitare esponenti dell’esercito a fare attenzione, cosa che questi ultimi sapevano fare benissimo senza la necessità che qualcuno li richiamasse. Ma il problema di fondo era che il governo non si fidava della lealtà dell’esercito e non poteva sapere se quest’ultimo avrebbe obbedito agli ordini. Per quanto riguarda i prefetti, invece, il governo già sapeva che il loro operato non sarebbe stato di obbedienza agli ordini, in quanto da ben quattro anni avevano lasciato correre la violenza para-miltare delle squadre fasciste. Anche il governo liberale aveva più volte lasciato correre tale situazione, visto che considerava la violenza fascista come un argine alla vittoria elettorale del socialismo e della sua ideologia marxista.

Il giorno dopo, 27 ottobre 1922, il prefetto di Ancona informava il ministero dell’Interno di avere avuto un colloquio con il deputato fascista Silvio Gai, il quale era a conoscenza del timore presso la presidenza del Consiglio e il ministero dell’Interno di una possibile spedizione delle squadre fasciste verso Roma. Arrivato in prefettura, Gai tranquillizzava il prefetto, affermando che era una pura fantasia che i fascisti volessero compiere una marcia armata verso Roma132. Così un deputato fascista sapeva che le forze dell’ordine e l’esercito erano a conoscenza di presunte manifestazioni violente delle squadre fasciste, fatto che doveva far preoccupare il governo o il prefetto di Ancona. Invece, sia il governo sia il prefetto decidevano di non preoccuparsi, con quest’ultimo che riferiva che avrebbe seguito le direttive da Roma, aspettando nuovi ordini133.

Per quanto riguarda la situazione di Ferrara, il prefetto aveva ottenuto informazioni da fonti anonime, le quali riferivano che i fasci della provincia si sarebbero riuniti tra la sera del 27 e la mattina del 28 ottobre 1922 avendo come “obbiettivo per ora occupare Ufficio Postale Telegrafico e Stazione ferroviaria”134. Così Il prefetto programmava la difesa delle zone sensibili della città, ma la mobilitazione delle forze dell’ordine era molto debole, sia perché i fascisti avevano dimostrato da almeno tre anni di essere in grado di controllare la città e la provincia, sia perché, come suggeriva Giorgio Alberto Chiurco, lo storiografo della marcia fascista, il prefetto Giovara si era dimostrato equanime per non dire complice verso

debba immediatamente cedere suoi poteri autorità militare” cfr. ACS, TUC, 18.10-30.10, telegramma del ministro dell’Interno ai prefetti del regno, 26 ottobre 1922, ore 16.30. Marcello Saija interpreta ciò come il ritorno della strategia di Taddei dopo l’evidente scacco dei giolittiani a fronte dell’azione fascista. Taddei è nell’interpretazione di Saija l’unico vero e possibile artefice di una risposta forte contro i fascisti da parte del governo, cfr. SAIJA, I prefetti italiani, cit., pp. 398-400

131Citazione dal telegramma del ministro della Guerra ai comandanti militari, 26 ottobre 1922, h. 17, citato in REPACI, La marcia su Roma, Rizzoli, Milano 1972, p. 812 e in PUGLIESE, Io difendo l’esercito, Rispoli editore, Napoli 1946, p. 42

132ACS, MI, Ps, 1922, b. 106, fasc. Ancona, telegramma del prefetto al ministero dell’Interno, 27 ottobre 1922, h. 19.10 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 79

133Cfr. ACS, MI, Ps, 1922, b. 106, fasc. Ancona, telegramma del prefetto al ministero dell’Interno, 28 ottobre 1922, h. 17 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 79

134 Citazione da ACS, MI, Ps, 1922, b. 106, fasc. Ferrara, telegramma del prefetto al ministero dell’Interno, 27 ottobre 1922, h. 20.45 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari, p. 79

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le violenze fasciste e, quasi per gratitudine, i fascisti decidevano di non occupare la Prefettura e la Questura di Ferrara135.

Quel 26 di ottobre, invece, il prefetto di Genova rispondeva al telegramma di Facta e Taddei riferendo che aveva raccolto informazioni sulla preparazione di moti insurrezionali fascisti e sulla volontà degli stessi fascisti di preparare un colpo di stato136 per il 4 novembre 1922, anticipato dall’occupazione dei vari uffici governativi in molte città137. Il prefetto aggiungeva che le informazioni ricavate erano molto carenti perché gli stessi fascisti locali sarebbero stati informati solo all’ultimo momento sulle operazioni da seguire, il che non faceva altro che generare congetture e supposizioni su tale insurrezione138. Ad Alessandria la situazione sembrava simile a quella di Genova, anche se qui il prefetto avrebbe dovuto affrontare un’occupazione armata della città da parte delle squadre fasciste in piena regola. Il prefetto informava lo Stato centrale, il 28 ottobre 1922, che il giorno prima aveva ricevuto le assicurazioni da parte dei capi fascisti sulla non attuabilità di un movimento insurrezionale. Eppure quello stesso 28 ottobre, alle ore 18.00, la furia fascista occupava, nell’ordine, una caserma di fanteria, la questura, la prefettura, arrivando ad isolare dal punto di vista comunicativo la città dal resto d’Italia, grazie all’occupazione degli uffici dei telefoni, delle poste e dei telegrafi. Forse in questo caso non si può parlare di “collusione” del prefetto con i fascisti, in quanto l’insurrezione armata era stata ordinata nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, ossia dopo l’incontro conciliante con il prefetto stesso; l’ordine di occupare la città di Alessandria era venuto dal deputato fascista Edoardo Torre, che proveniva da Milano da cui aveva ricevuto le istruzioni della classe dirigente nazionale del Pnf139.

Il 28 ottobre 1922 anche il prefetto di Padova, Vittorio Serra Caracciolo, inviava al ministero dell’Interno un telegramma in cui informava sul possibile allestimento di un moto fascista in città e quindi chiedeva al governo come doveva comportarsi di fronte alla questione140.

Dalla breve analisi dei telegrammi qui citati risultava chiaro che i prefetti avessero un importante rapporto comunicativo con i dirigenti fascisti, cosa che rivelava un pericoloso atteggiamento di acquiescenza verso la violenza fascista; evidentemente per i prefetti le bande armate fasciste avevano un’autorità politica maggiore rispetto al legittimo governo liberale, che si rivelava incapace di mettere in pratica il potere esecutivo, tanto che di lì a poche ore il governo Facta avrebbe deciso di rassegnare le dimissioni. Di fronte ad un tale vuoto di potere non doveva sorprendere che i prefetti si rivolgessero verso altri protagonisti politici.

Di fronte a possibili occupazioni delle città italiane da parte delle squadre fasciste, il 15 ottobre 1922 le squadre nazionaliste “Sempre pronti”, guidate dai comandanti di legione di Milano, Bologna, Torino e Genova, avevano deciso, con l’incontro a Milano, di aspettare lo scenario politico che la marcia fascista su Roma avrebbe creato per decidere come schierarsi politicamente141. Ancora il 27 ottobre il giornale “Idea nazionale”, organo del partito nazionalista, manifestava tutta la propria preoccupazione: “Bisogna assolutamente guardarsi dal pericolo di un’azione violenta, intempestiva e superflua (…). Un moto

135CHIURCO, Storia della rivoluzione fascista, Vallecchi, Firenze 1929, p. 70

136ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 76-79

137ACS, MI, PS, 1922, b. 106, fasc. Genova, telegramma del prefetto al ministero dell’Interno, 26 ottobre 1922, h. 21.10 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, p. 80

138Ibidem, 26 ottobre 1922, h. 21.10 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, p. 80

139ACS, MI, PS, 1922, b. 106, fasc. Alessandria, telegramma del prefetto al ministero dell’Interno, 28 ottobre 1922, h. 13 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 80

140cfr. ACS, MRF, b. 146, telegramma del prefetto di Padova al ministero dell’Interno cit. in ALBANESE, La

marcia su Roma, p.80

141Cfr. telegramma del comandante interinale del corpo d’armata di Bologna al ministero dell’Interno, 19 ottobre 1922, in ACS, MI, PS, 1922, b. 100 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, p. 81

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violento, nelle attuali condizioni della vita economica del nostro paese, avrebbe ripercussioni formidabili e nefaste. (…) Gli uomini che dirigono le forze nazionali, se hanno vera coscienza dell’interesse di queste, non possono non tenere presente la considerazione di questa condizione di cose, nello scegliere i mezzi per raggiungere lo scopo”142. In queste parole prevaleva la consapevolezza che bisognasse riflettere a fondo prima di decidere di compiere un gesto rivoluzionario e anti-istituzionale.

Gli altri partiti antifascisti preferivano aspettare piuttosto che preparare contro-insurrezioni per arginare la violenza fascista, anche se tale tattica politica così cauta non era accettata dal popolare Giuseppe Cappi, che ricordava l’esempio di Parma, in cui i fascisti non erano riusciti ad occupare la città emiliana nell’agosto 1922, venendo fermati dai gruppi armati degli Arditi del popolo, e invitava il segretario del Partito popolare, don Luigi Sturzo, a smetterla con la strategia della resistenza passiva contro i fascisti, dato che non funzionava, perché solo una reazione armata poteva bloccare l’espressione delle violenze fasciste143.

L’unico partito o movimento politico che era pronto a non aspettare la marcia su Roma dei fascisti si rivelava il Comitato di difesa proletaria di Roma, che era pronto allo scontro armato per impedire l’occupazione fascista della città eterna. La stessa proclamazione di uno sciopero generale veniva cassata dal Comitato, il quale decideva di radunare tutte le categorie dei lavoratori nelle vie del centro e dei quartieri popolari per prepararsi ad ogni evenienza144. Ma lo stesso prefetto di Roma comprendeva, attraverso un’analisi molto lucida, che tale misura era funzionale ad allontanare la colpa nel Comitato per l’eventuale insuccesso politico145 ma, ovviamente, non bloccava l’azione insurrezionale fascista146.

2.2) La mobilitazione fascista.

Le occupazioni delle varie città iniziavano, così, il 27 ottobre, in anticipo rispetto ai piani iniziali, cogliendo di sorpresa le varie forze dell’ordine, dato che il governo si aspettava l’attacco solo contro la capitale del Regno.

Pisa era la prima città che subiva l’occupazione; erano le 11.30 del 27 ottobre 1922. I fascisti iniziarono a devastare le linee telegrafiche e telefoniche che permettevano le comunicazioni con Firenze e Genova, isolando la città147. Una doppia ondata delle squadre armate aveva sconvolto la quiete cittadina, dove la seconda armata defluiva per la zona meridionale della città, pronta per andare a Roma, con il prefetto della città, Renato Malinverno, che informava il ministero dell’Interno, nella notte del 27 ottobre 1922, che i fascisti avevano sgomberato la città già la mattina dello stesso giorno148. Comunque

142Citazione daOra decisiva, editoriale in “L’Idea Nazionale”, 27 ottobre 1922

143Cfr. DE ROSA, Storia del partito popolare, Laterza, Bari 1958, pp. 274-275. Il consiglio nazionale popolare, alcuni giorni prima dell’inizio della marcia, aveva pubblicato un appello ai suoi, denunciando il pericolo per le istituzioni dello Stato, la mancanza di rispetto dello statuto e le debolezze della monarchia e del governo, cfr. L’appello ai popolari, in “Il Corriere d’Italia”, 22 ottobre 1922

144ACS, MI, PS, 1922, b. 84, telegramma del questore di Roma al prefetto, 10 ottobre 1922 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 82

145ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 80-82

146ACS, MI, PS, 1922, b. 84, telegramma del questore di Roma al prefetto, 10 ottobre 1922 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, p. 82

147ACS, MI, PS 1922, b. 106, fasc. Pisa, telegramma del prefetto di Pisa al ministero dell’Interno, 27 ottobre 1922, h. 12.10, h. 14.10 e h. 17.27 cit. in ALBANESE, La marcia su Roma, p. 86. Si vedano A. TASCA,

Nascita e avvento del fascismo (1938), Laterza, Bari 1972, p. 462 e GENTILE, Storia del partito fascista: 1919-1922, Movimento e milizia, Laterza, Roma-Bari, 1989, p. 668

148ACS, MI, PS, 1922, b. 106, fasc. Pisa, telegramma del prefetto di Pisa al ministero dell’Interno, 28 ottobre 1922, h. 11 citato in ALBANESE, La marcia su Roma, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 86; cfr. anche Le

operazioni fasciste in Toscana, in “La Nazione”, 28 ottobre 1922; Migliaia di fascisti pisani partiti per Roma,

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