Dalla fine degli anni Sessanta la già citata vocal performance art si è affermata come la pratica più avanzata in ambito vocale e ha avuto un impatto su tutti i generi musicali, soprattutto sulla popular music, ampliando e ridefinendo l’ambito di creatività del cantante/performer. Si tratta, infatti, di un’area di sperimentazione sulla voce in cui la ricerca performativa e quella compositiva coincido-no per lo più nella stessa persona, secondo una tipolo-gia definita – sempre da Theda Weber-Lucks – appunto VocalComposerPerformer. Essa segna in maniera netta una sospensione del rapporto gerarchico tra compositore ed esecutore e costituisce una fase cruciale nel processo di emancipazione e di soggettivizzazione della voce che ha interessato tutti i generi nel Novecento. Nella fase di affer-mazione di quest’ambito di sperimentazione spiccano le figure di Meredith Monk, Joan La Barbara, Diamanda Galás, Demetrio Stratos, David Moss; negli anni Ottanta-Novanta si sono affermate figure come Fátima Miranda, Sainkho Namtchylak, Jaap Blonk, Yvon Bonenfant, Jenni-fer Walsche per nominare soltanto i più noti, che spicca-no in una scena che progressivamente vede moltiplicarsi performers e pratiche specifiche, soprattutto nelle zone di crossover fra i generi, come dimostrano per esempio interpreti quali Petra Magoni e Maria Pia De Vito per citare due nomi italiani, naturalmente non gli unici.
Per la generazione dei pionieri di questa pratica – penso a Stratos e a Joan La Barbara che la citano espressamen-te – Cathy Berberian appare ancor sempre come un punto di riferimento. Tuttavia la vocal performance art oltrepassa di gran lunga il territorio delle sperimentazioni legate all’a-vanguardia degli anni Sessanta e Settanta del Novecento.
Le nuove pratiche vocali, infatti, tracciano una direzione che si muove verso la de-soggettivazione della voce e l’af-francarsi dalla sua funzione di marcatore della dimensione personale, irripetibile e irriproducibile della persona. Il che non significa che la voce dismetta questa funzione nella vita quotidiana. Piuttosto, una volta caduti gli steccati fra gli stili vocali con la conseguente corsa all’individuazione stilisti-ca e timbristilisti-ca, la tendenza alla depersonalizzazione amplia la dimensione della voce e mette in questione gli ordini e le gerarchie su cui è costruita la soggettività occidentale,
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181 spesso anche grazie soprattutto all’uso della tecnologia live electronics.
Tutte le ricerche legate all’estensione della voce, con o senza l’apporto di tecnologie elettroniche, sortiscono effetti di “ventriloquia” e dunque di spossessamento e di de-soggettivazione48. Questi fenomeni si sono manifestati nell’ambito rituale di molte religioni, si pensi alla profezia, allo sciamanesimo, alla glossolalia. L’antropologia della voce ha descritto ampliamente questa dimensione dell’alterità della voce che permette a istanze “altre” di parlare al suo interno. Tuttavia al di fuori di contesti mitologici condivisi da una comunità, questi fenomeni costeggiano pericolosa-mente i territori della psicosi, nel tentativo di destabilizzare la soggettività occidentale e le codificazioni dualistiche su cui è basata: animale/uomo, uomo/donna, natura/cultura, immediato/mediato.
Inoltre in questo tipo di sperimentazioni si manifesta in maniera inequivocabile la logica del continuo supera-mento dei traguardi, come dimostra uno dei più aggiornati repertori delle frontiere estreme della voce estesa, definita qui “extra-normal voice”, The 21st-Century Voice di Michael Edgerton. Questo volume propone esercizi e sonorità che riprendono tecniche di respirazione yoga, e si spingono fino a indagare usi della voce nei territori estremi ai confini con l’apnea49. La prossimità con alcuni lavori di Bill Viola, soprattutto Nine Attempts to Achieve Immortality del 1996, conferma quanto il fenomeno di convergenza delle arti, di cui si è parlato all’inizio, perduri per tutto il xx secolo e oltre.
Se la trasgressione che ha caratterizzato l’arte moderna ha esaurito la sua funzione polemica, essa si è trasformata dagli anni Settanta in poi in un impulso di superamento
48. Su questo tema si veda S. Connor, Dumbstruck cit.
49. M.E. Edgerton, The 21st-Century Voice. Contemporary and Traditional Extra-Normal Voice, Rowman & Littlefield, Lanham 20152. Tanto i compositori che operano con la voce estesa, quanto i performer sono interessati a catalogare e definire le varie tecniche. La cantante Sharon Mabry ha compilato un’altra gui-da, Exploring the Twentieth-Century Vocal Music, Oxford University Press, Oxford 2002. La catalogazione delle tecniche elaborate a partire da principi fonologici e acustici da Weber-Lucks, in Körperstimmen cit., corredata da spettrogrammi di esempi tratti da registrazioni, rappresenta uno degli studi più articolati in quest’ambito, soprattutto per il tentativo di uscire dalla semplice catalogazione tecnica e affrontare una contestualizzazione storica ed estetica del fenomeno.
L’arte orale.
Poesia, musica, performance
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dei limiti del corpo che caratterizza tutta quanta la nostra cultura. In netta opposizione con la tradizione estetica sette-centesca, la seduzione connessa al pericolo, spesso edulco-rata nelle testimonianze dei protagonisti, marca la nostra epoca dedita agli sport estremi e segnata dalla seduzione oscura della cosa, per esprimerlo in termini lacaniani.
Al di là delle interpretazioni, sicuramente queste prati-che estreme di oltrepassamento al confine tra body art e vocal performance art, anche nelle versioni mediatizzate come nel caso citato di Bill Viola, pongono il problema del rapporto tra corpo e mente: dalle pratiche che si rivolgono al corpo come un oggetto, come uno strumento a propria disposi-zione, fino a quelle che si propongono di coltivare il corpo e mostrarlo come il risultato di un determinato allenamento e addestramento.
Si è appena detto che tanto le arti visive quanto quelle performative, soprattutto la body art degli ultimi decenni, sono state spesso interpretate in termini di “realismo psicotico”50. È innegabile il fatto che tutte le arti, comprese quelle della voce, costeggino sempre più da vicino i territori del disturbante, del disgustoso, dell’estremo, del compul-sivo e quelli della dimensione psicotica, della pulsione di morte o – in termini lacaniani – del godimento mortale. Ciò non significa, però, che ne siano l’espressione immediata.
La voce, come il corpo nel teatro e nella body art, è anche un’istanza mediatrice, un medium appunto, che al contem-po incorcontem-pora e media significati simbolici ed espressivi. Mi riferisco qui alla definizione della duplice valenza del corpo come apparato tecnico e come medium, Leibkörper, svilup-pata da Kati Röttger sulla scorta della fenomenologia di Bernhard Waldenfels51.
Nelle sue manifestazioni estreme, la mediazione simbo-lica avviene attraverso il raggiungimento del limite delle possibilità del corpo e della voce e il suo controllo, in un senso non molto diverso dall’esposizione al pericolo nelle arti circensi e nelle arti marziali. L’interpretazione di
Deme-50. M. Perniola, L’arte e la sua ombra cit., pp. 30-34.
51. K. Röttger, Intermedialität als Bedingung von Theater: methodische Überlegun-gen, in H. Schoenmakers et. al. (Hg.), Theater und Medien / Theatre and the Media.
Grundlagen - Analysen - Perspektiven. Eine Bestandsaufnahme, Transcript, Bielefeld 2008, pp. 117-124.
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183 trio Stratos di uno dei passi più violenti del teatro di Artaud, Pour en finir avec le jugement de Dieu, fornisce un esempio concreto di questa dinamica tra spossessamento e control-lo52. L’inserimento di scioglilingua e di vocalizzi multifonici concretizzano, ma non addomesticano, la poe tica dell’urlo di Artaud. La voce modula e controlla l’urlo, ne identifica le sfumature diverse di sarcasmo, capovolge l’eccesso in virtuosismo, o con le parole di Kristeva, in jouissance.
Nelle personali riflessioni intorno alle ricerche sulla vocalità, diffuse soprattutto attraverso interviste spesso audiovisive, Stratos ha comunicato il progetto culturale che sta alla base delle sue sperimentazioni. In un’intervista con Massimo Villa, pur nel linguaggio frammentario e semplice che gli è proprio, espone i termini di una ricerca ai margini della parola.
Il problema è abolire la parola. Noi quando si canta in questa direzione qui non crediamo tanto alla parola.
Vogliamo abolirla, perché la parola è proprio la parola ci incastra, ci schiavizza all’interno di un discorso stilistico.
Noi non crediamo nello stile. Quindi si cerca di abolire la parola che è un secondo segnale della realtà. Non è la realtà, l’unica realtà, la parola. Si cerca di frugare all’inter-no, nelle pieghe, di rovistare nelle piaghe del linguaggio per tirare fuori qualcosa di nuovo. Questa è la direzione di questo tipo di sperimentazione vocale. Qui si fanno espe-rimenti sul limite del linguaggio. E può essere utile questo tipo di discorso al bambino, allo psicanalista, al foniatra, al logopedista, al folle, alla casalinga; può essere utile per tutti. Siamo in cinque miliardi che utilizziamo la voce, non la utilizziamo molto bene. Siccome non la conosciamo, si può scoprire; qui il tipo di sperimentazione che noi propo-niamo, è scoprire che non è tornare indietro, né cercare di riagganciarsi a una situazione di civiltà bianca o negativa, ma di scoprire quali sono i limiti del linguaggio oggi, nella nostra società53.
52. Una clip di questa interpretazione è reperibile in La voce Stratos, un docu-mentario di Luciano D’Onofrio e Monica Affatato, dvd, Feltrinelli, Milano 2009. È disponibile anche su YouTube: <https://www.youtube.com/watch?v=G6nGSNI--qU>.
53. Demetrio Stratos: suonare la voce, documentario di Massimo Villa, Cramps, 1994; il passo è disponibile online: <https://www.youtube.com/watch?v=
ZC3IWYPYQHI>: 30’45”-31’49”.
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La ricerca all’interno delle pieghe e piaghe del linguag-gio, con un esplicito richiamo al concetto deleuziano di piega, dischiude la dimensione dell’impersonale e del sub-personale. È una ricerca che si rivolge concretamente alla riscoperta di quelle possibilità fonatorie trascurate durante il processo di apprendimento delle lingue naturali e dei diversi stili di canto e che completa e approfondisce quella dimensione emancipatrice del semiotico, cui si è fatto cenno all’inizio.
Rispetto alla dimensione descritta da Julia Kristeva, l’apporto della sperimentazione vocale dalla fine degli anni Settanta è stata la ricerca sulle tecniche di vocalizzazione di altre culture, di cui Stratos è stato uno dei pionieri ed oggi si estende dalle pratiche vocali transculturali rappresenta-te per esempio da Fátima Miranda, Sainkho Namtchylak, Tania Tagaq, che rappresentano ora uno standard di base irrinunciabile per qualsiasi performer vocale, attivo in qual-siasi genere.