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B Weston, Wallace Stevens: an Introduction to the Poetry, Columbia University Press, New York 1977.

di meglio, come per l’appunto il Boine, che è il giovane del quale finora ho

S. B Weston, Wallace Stevens: an Introduction to the Poetry, Columbia University Press, New York 1977.

JACOPO GALAVOTTI

LA COSTANZA DEL DOLORE NEL LIBRO DI UNA VITA:

CASA E CAMPAGNA DI UMBERTO SABA

Un grande amore (disse) un grande dolore Quelle O larghe immense e un tremolo di erre Capra belante e acuti fra rughe Sioux Di stregone bellissimo gli occhi celesti

Giovanni Giudici, La via

1. Introduzione

Umberto Saba è noto per essere il poeta meno frammentario del Novecento italiano e questo rende doverosa una premessa. L’interpretazione dei testi sabiani deve passare sempre dal- l’analisi dell’ordinamento dei testi, delle sezioni, delle varianti, dalla ricerca delle trame nascoste, che molto spesso si celano anche solo dietro al ricorrere di un piccolo reticolo di termini chiave. Il mio intento è quello di osservare in un ristretto cam- pione le caratteristiche di ricorsività e coerenza degli elementi dell’immaginario sabiano che vanno a costituire il Canzoniere nel suo insieme. La mia ricognizione attraverserà la raccolta

Casa e campagna, sconfinando di pochi passi nelle zone limi-

trofe del Canzoniere, ipotizzando un rapporto tra i richiami ebraici lì presenti e il filo rosso del personaggio di Carmen (proprio la Carmen di Merimée e poi di Bizet), senhal della mo- glie del poeta Lina, o come vedremo meglio, di Lina ragazza. Farò poi alcune osservazioni su una poesia, intitolata Il maiale, presente nel Canzoniere del 1921 (la prima edizione) e poi cas- sata a partire dalla raccolta Ammonizione e altre poesie del 1932, e sul suo rapporto con la più famosa poesia La capra.

2. Una famiglia ebrea 2.1 Echi biblici

Dopo la prima prova davvero matura di Saba, costituita dai

Versi militari, Casa e campagna si apre nel 1921 con una deli-

rante preghiera ebraica, Dopo la vendemmia,1 capace a mio av-

viso di porre tutta la sezione sotto l’ombra funesta dell’oppri- mente religione materna. Il poeta parla di «esigliarsi nella cam- pagna» (v. 6), implora il Signore di diventare squallido, povero e mendico, di abbassarsi ad amare una donna pingue e sfatta. Nel Canzoniere manoscritto del 1919,2 Casa e campagna era

preceduta da questa e da altre due poesie, la serie Passeggiando

la riviera di Sant’Andrea e Ricordo d’infanzia, nella quale al

riemergere di ricordi infantili si accostava il necessario ripudio dei compagni che si prendevano gioco del «vecchio e del de- forme».3 Saba lì sembrerebbe dunque intenzionato ad accettare

quello che aveva definito «troppo ebraico»,4 «troppo panciuto»

e «troppo lamentosamente impuro», e a cui aveva sparato nella famosa poesia Il bersaglio dei Versi militari, bersaglio che La- vagetto ha identificato con la parte della sua personalità che an- cora sottostava all’ipoteca materna-ebraica.5 Dovremo poi os-

servare la persistenza di altri elementi veterotestamentari ed ebraici: in primo luogo la famosa «capra dal viso semita», da

                                                                                                                         

1 Saba 1981, 161-163.

2 La descrizione del manoscritto si trova in Saba 1981, LVIII-LX. Alle

pagine CV-CXXVII si trovano le tavole di concordanza realizzate da Giorda- no Castellani per i testi nelle varie raccolte precedenti il 1921.

3

«E rompere sentivo dal profondo / la preghiera, all’Iddio dei padri grato; / che negli averi ancor magnificato / m’avrebbe, se di quel peccato mondo; / se dei compagni, che il vecchio e il deforme / schernivano, ed il mio strano fervore, / più non avessi seguitato l’orme», Saba 1981, 424, vv. 5-11.

4 Ma significativamente «troppo vecchio» in una variante del 1911, caduta

per «ebraico» proprio nel 1919.

5

La costanza del dolore nel libro di una vita 199

Saba identificato come un verso solo «visivo»,6 ma nel quale,

appunto come caratteristica visiva, credo (con Baldacci)7 che

Saba riconoscesse qualcosa dei propri lineamenti, quasi un se- gno esteriore della propria appartenenza (si pensi solo al verso di Tre vie dove gli ebrei sono «simili tutti d’animo e di volti»).8

Inoltre nell’Insonnia in una notte d’estate ricorre la figura di Giacobbe che sogna la scala degli angeli e a cui viene preconiz- zata ricchezza per la propria progenie. Marzia Minutelli ha infi- ne rilevato recentemente una nutrita serie di memorie bibliche nella forma di lode litanica di A mia moglie, a partire dal Canti-                                                                                                                          

6

Cfr. U. Saba, Storia e cronistoria del Canzoniere, in Saba 2001, 107- 352, p. 143: «“In una capra dal viso semita” è un verso prevalentemente visi- vo. Quando Saba lo trovò, non c’era in lui nessun pensiero cosciente né pro né contro gli ebrei. È un colpo di pollice impresso alla creta per modellare una figura». Mi limiterei ad osservare che il fatto che non ci fosse «nessun pensiero cosciente», non vieta che si possa leggere fra le righe che ci fossero pensieri inconsci, portati alla luce solo successivamente, e soprattutto non ne- ga che l’associazione visiva capra-ebreo, esente da giudizi, sia per lui reale e significativa.

7 Cfr. Baldacci 1962, 159: «E si aggiunga, per completare questo piccolo

bestiario domestico, un’altra famosa lirica dalla stessa raccolta: La capra, una capra “dal viso semita”; dice Saba: viso appunto perché essa, in quel muto colloquio, si riflette il suo viso, semita, e caprino». Cfr. anche Calimani 1998, 76: «Saba è vicino a riconoscere, infatti, che quei lamenti sono anche i suoi, e lo saranno per il resto dei suoi giorni».

8 Saba 1988, 100, v. 34. Nell’ottica del riconoscimento dell’ebraicità di

quel dolore eterno, i due testi sono avvicinati anche da Calimani 1998, 76-77, che aggiunge al dossier anche i versi di Parole (1933-1934), Risveglio, 2-3 «[…] sono / il montone dipinto da Bolaffio», ricordati anche da Minutelli 2007, 369. Se valesse l’identificazione in accezione negativa delle lamentose capre con gli ebrei (ma eviterei prudenzialmente di trasformare un simbolo in cifra), si potrebbe allora menzionare anche la scena delle capre che brucano l’erba tra le tombe nella poesia Intorno ad una cappella chiusa. Nella versio- ne pubblicata su «Poesia» nel 1908 il v. 16 recita «Brucano capre dei quel- l’erba amara», che può forse avere qualche attinenza con le erbe amare con- sumate durante la Pesach, la Pasqua. Nella versione definitiva si legge «Chi gli si appressa ode fanciulli guerra / fingere e paci rotte da improvvisi / inse- guimenti; fra le sue compagne / e le tombe ripete i nuziali / riti d’un tempo la bambina ignara. / Bruca una capra l’erba corta e rara» (Saba 1988, 30, vv. 12- 17), dove il rito nuziale si associa già alla capra: che già qui possa nasconder- si un presagio del dolore coniugale?

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