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Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del 16. sec.: il <i>Maestro di Ozieri</i>

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Maria Giovanna Arras

Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del XVI secolo: Il Maestro di Ozieri Tesi di dottorato in Storia delle Arti

Università degli Studi di Sassari

1

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SASSARI

Dipartimento di teorie e ricerche dei sistemi culturali

SCUOLA DI DOTTORATO IN SCIENZE DEI SISTEMI CULTURALI

STORIA DELLE ARTI

XXV CICLO

D

IRETTORE DELLA

S

CUOLA DI

D

OTTORATO

:

Prof. Massimo Onofri

SPAGNA, ITALIA ED EUROPA SETTENTRIONALE NELLA

PITTURA SARDA DEL XVI SECOLO:

IL MAESTRO DI OZIERI

Tutor:

Prof. ALDO SARI

Tesi di dottorato di

MARIA GIOVANNA ARRAS

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Maria Giovanna Arras

Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del XVI secolo: Il Maestro di Ozieri Tesi di dottorato in Storia delle Arti

Università degli Studi di Sassari

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INDICE

Introduzione

pag. 2

Capitolo I:

Il Manierismo italiano

pag. 4

Capitolo II:

Il Manierismo europeo

pag. 27

Capitolo III:

Il Maestro di Ozieri

pag. 45

Tavole

pag. 81

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Maria Giovanna Arras

Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del XVI secolo: Il Maestro di Ozieri Tesi di dottorato in Storia delle Arti

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2 INTRODUZIONE

Il progetto di ricerca è nato dal mio interesse verso uno dei protagonisti della pittura sarda del Cinquecento, un anonimo pittore cui è stato assegnato il nome di Maestro di Ozieri.

Attraverso una rilettura degli studi che a oggi sono stati fatti sulla sua figura, ho voluto rilevare uno degli aspetti peculiari della sua arte: l’intreccio di relazioni con altri linguaggi pittorici, diversi e distanti da quelli con cui poteva entrare in contatto in ambito isolano.

Il discorso è valido, in generale, per la pittura ma è ancora più marcato per le opere del Maestro che risentono in maniera fortissima d’influenze e arricchimenti esterni.

La prima parte del lavoro è dedicata al manierismo italiano. Il percorso segue le tappe fondamentali che hanno portato alla nascita in Italia, e più tardi in Europa, della nuova espressione artistica attraverso le figure dei protagonisti che hanno caratterizzato l’arte italiana del Cinquecento.

Una rilevanza maggiore è stata data a quei pittori del manierismo italiano – nello specifico quello lombardo e campano – i cui richiami, leggibili nelle opere del

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3 Maestro di Ozieri, ne arricchiscono la produzione e ampliano la conoscenza di tutta la pittura sarda del XVI secolo.

La seconda parte include il manierismo europeo.

I richiami alla pittura di area tedesca e spagnola, e gli influssi delle stesse nelle opere del Maestro, trovano concordi i più grandi storici e critici dell’arte isolana. Numerosi sono i legami con l’ambito iberico che tanto ha condizionato l’arte, la storia e la cultura della Sardegna, ma anche la corrente Nord europea s’insinua molto presto nella vicenda critica che ha interessato l’attività del Maestro tanto che alcune delle sue opere erano state attribuite a Mathis Grünewald.

Il terzo capitolo è interamente riservato alla figura del Maestro e alla sua produzione. In esso si tenta di definire e ampliare la figura del pittore e i legami con la corrente manierista italiana ed europea.

Ampio spazio è dato a una ricerca svolta sul campo mirata all’osservazione diretta delle opere conservate in diverse parti della Sardegna. Dal retablo di

Nostra Signora di Loreto, nella cattedrale di Ozieri, alle tavole superstiti del retablo di Sant’Elena Imperatrice di Benetutti; dalla Crocefissione alla tavola del San Sebastiano del Museo Sanna di Sassari; dalla tavola della Sacra Famiglia di

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4 CAPITOLO I

Maniera e Manieristi

I termini “Maniera” e “Manierismo” sono stati utilizzati dalla critica, fin dal Cinquecento, per descrivere e qualificare i fenomeni stilistici che interessano l’arte figurativa d’Italia e d’Europa nel periodo compreso tra l’apogeo del Rinascimento, con Leonardo, Raffaello e Michelangelo, e l’inizio di un nuovo periodo artistico inaugurato dai Carracci, Caravaggio e Bernini. 1

La lunga indagine sul problema del manierismo, iniziata con Vasari 2(1511 – 1574) e forse non ancora conclusa, ha prodotto nel tempo diversi atteggiamenti critici che hanno ampliato la conoscenza di questo movimento. Tra concezioni negative e revisioni di volta in volta più appassionate, è nata una letteratura ampia e variegata sulla vicenda della “maniera” e del manierismo.

La stessa ha portato ad ampliare la visione e la conoscenza di tutta l’arte del Cinquecento.

In un certo momento storico l’attenzione si sposta dai grandi maestri a quelle correnti minori che fino ad allora erano state trattate come un riflesso della grande arte, e alle quali non era stato dato un peso rilevante nel tessuto artistico e

1 Enciclopedia universale dell’arte, Firenze 1958, vol. VIII p. 802

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5 culturale del secolo. In esse si scopre una vitalissima elaborazione di fatti figurativi, rimasti fino allora inavvertiti ma fondamentali a dare continuità al tessuto storico e capaci di giungere alla chiarezza del capolavoro.

Il fatto più importante, fondamentale al rinnovarsi moderno del problema del manierismo, è stata la riscoperta critica di quegli artisti fiorentini che erano stati quasi rifiutati dal gusto del classicismo, dal Seicento all’Ottocento. Il Goldschmidt per primo vede nella loro arte il rovesciamento delle norme più solide del Rinascimento: la misura, l’equilibrio, la razionalità prospettica, la naturalezza espressiva. E il Friedländer vede, nella deliberata volontà anticlassica, l’origine di un nuovo stile, che avrebbe poi avuto gli esiti più espressivi con il Pontormo,3 (1494 – 1557 ) 4che in piena maturità, si accosta all’arte di Dürer ( 1471-1528).5

Le aperture di Pontormo verso l’arte del nord non sorprendono più se si considerano l’esito di quella rivoluzione figurativa iniziata nel primo decennio del secolo.

I segni di una crisi profonda che sconquassa l’ordine tradizionale, proprio dello spirito classico, sono già manifesti nelle opere di Leonardo (Vinci 1452- Cloux

3 Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VII, p. 807

4 Jacopo Carucci detto Pontormo. Pittore italiano, Pontorme, Empoli 1494, Firenze 1557. È il protagonista

della svolta della pittura fiorentina dal pieno Rinascimento al Manierismo. Si forma nell’ambiente fiorentino di inizio Cinquecento. Esordisce come allievo di Andrea del Sarto con affreschi nella Santissima Annunziata e nei chiostri di Santa Maria Novella.

5 Albrecht Dürer. Pittore e incisore tedesco, Norimberga 1471-1528. È uno dei più grandi pittori e

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6 1519), Michelangelo (Caprese 1475 – Roma 1564) e in misura minore di Raffaello (Urbino, 1483 - Roma, 1520), protagonisti dell’<<età dell’oro>>. Leonardo lo manifesta attraverso la difficile dialettica interiore e Michelangelo lo affronta con il suo drammatico tormento spirituale. A loro appartengono le prime espressioni della nuova tendenza: i cartoni delle Battaglie. Il dipinto incompiuto della Battaglia di Anghiari e il cartone di quella di Cascina sono i modelli su cui si esercitano fino alle estreme conseguenze i più antichi manieristi, prima di dare sfogo alle loro esperienze personali.6

L’espressionismo formale e coloristico dell’arte gotica, contro la quale si è mossa un’accesa polemica, diventa comprensibile in questo nuovo dinamismo formale. E il Pontormo e anche il Rosso (1495 – 1540)7 guardando alle incisioni di Dürer e di Luca da Leida (1489 circa – 1533) 8seguono e sostengono ampiamente le spinte più vitali del momento. Se c’è in loro una reazione, è verso l’equilibrio compositivo, presente nella pittura devozionale di Fra Bartolomeo (1472 – 1517)9 che neppure Andrea del Sarto (1486 – 1531)10 riesce appieno a superare.

6 G. Briganti, La Maniera italiana, Firenze 1985, p. 10

7 Giovan Battista di Jacopo detto Rosso Fiorentino. Firenze, 1495 – Fontainebleau, 1540. Protagonista

della prima e fondamentale stagione del manierismo fiorentino, si forma insieme a Pontormo presso la bottega di Andrea del Sarto ed esordisce con loro negli affreschi del chiostrino dei Voti della Santissima Annunziata. L’evoluzione stilistica del pittore è documentata da opere di notevole importanza. Nel giro di pochi anni passa dall’influsso fiorentino a quello romano di Michelangelo, fino al confronto con Parmigianino. Nel 1530 si trasferisce a Parigi e per Francesco I realizza la grandiosa galleria del castello reale di Fontainebleau monumento fondamentale per la diffusione dell’estetica manierista in Europa.

8 Incisore e pittore olandese. Leida, 1489 circa – 1533. Luca da Leida contribuisce a spingere verso nord

i confini dell’arte rinascimentale facendo di Leida una piccola capitale aperta al dialogo con gli artisti internazionali.

9 Bartolomeo della Porta detto Fra’ Bartolomeo. Savignano, 1472 – Firenze 1517. È uno dei protagonisti

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7 Vi riescono i discepoli seguendo l’impulso liberatore di Michelangelo.

La critica tende così a valutare con più forza il peso di Michelangelo negli artisti italiani del primo manierismo.

Le opere dei primi manieristi ci danno la misura dell’inquietudine spirituale e dell’introversione psicologica che caratterizza in maniera diversa le loro espressioni.

La natura introversa dei vari temperamenti, gli umori solitari e bizzarri conferiscono alle figure una sorta di estraniamento dalla società. In molti casi queste personalità sono davvero particolari come si evince dalle biografie e autobiografie, basti pensare al diario di Pontormo, ossessionato dalla morte, e alla descrizione che dello stesso fa Vasari nelle Vite, o al Parmigianino (1503- 1540) 11 che lasciò la pittura per l’alchimia.

Le loro inquietudini animano il loro mondo figurativo di ambigui adolescenti, fanciulle androgine, vecchi spiritati che nei loro incerti atteggiamenti rivelano un erotismo represso ed esasperato. Le forme assumono aspetti bizzarri, le figure

dall’avvento dei primi manieristi. Inizia l’attività collaborando con Mariotto Albertinelli, ma in seguito alle predicazioni del Savonarola conosce una profonda crisi mistica e nel 1500 abbandona la pittura per prendere i voti.

10 Andrea d’Agnolo, Firenze 1486 – 1531. Erede della tradizione fiorentina del tardo Quattrocento, ne

propone un aggiornamento garbato e di ampio respiro, senza spingersi alle audaci polemiche dei primi manieristi, che pure saranno suoi allievi. Formatosi presso Piero di Cosimo, accurato copista dei cartoni di Leonardo e Michelangelo, Andrea apre una bottega autonoma a Firenze nel 1508.

11 Francesco Mazzola detto il Parmigianino. Parma, 1503 – Casalmaggiore, 1540. Dotato di un talento

precocissimo si confronta subito con Correggio, tanto da fare di Parma, durante gli anni venti e trenta, uno dei più avanzati laboratori dell’arte cinquecentesca.

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8 umane subiscono estrose metamorfosi, un moto turbolento le assottiglia e le allunga in pose improbabili, nella ricerca di un elegante equilibrio. 12

Queste profonde intemperanze non trovano il sostegno di una società forte, ma si scontrano con un momento storico complesso e indebolito dagli avvenimenti, che ostenta una potenza e una perfezione che non gli appartengono e che subisce la crisi profonda e l’incertezza religiosa con la Riforma luterana.

Dopo un primo momento che vede Firenze accogliere opere dense di tensione spirituale del Rosso, del Pontormo, del Berreguete, e Siena del Beccafumi, (1486 circa- 1551)13 l’attività si sposta a Roma, dove Michelangelo affresca la Sistina e Raffaello le Stanze vaticane. 14

Gli affreschi della Scuola di Atene o della Disputa del Sacramento diventano il paradigma universale dell’arte, dove confluiscono tutti gli apporti della cultura. Nell’ultima impresa, la decorazione delle Logge Vaticane, che impegna una schiera vastissima di aiuti, si riconosce la personale impronta di Giulio Romano (1492 – 1546)15, del Penni, di Perin del Vaga (1501 – 1547)16, di Giovanni da Udine, e di Polidoro da Caravaggio (1499 – 1543)17.

12 Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. VII, p. 809

13 Domenico di Giacomo di Pace detto Beccafumi, Montaperti, 1486 circa - Siena, 1551. Principale

protagonista dell’arte senese della prima metà del Cinquecento lavora quasi ininterrottamente per quarant’anni nella sua città. Ben aggiornato sulle ricerche leonardesche e sugli affreschi di Raffaello e Michelangelo in Vaticano, esordisce con il Trittico della Trinità del 1513.

14 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 12-13

15 Giulio Pippi conosciuto come Giulio Romano, Roma, 1492 – Mantova, 1546. Prestigioso architetto e

grande pittore compie la sua prima formazione nella bottega di Raffaello, di cui diventa il più fidato collaboratore nell’esecuzione di importanti opere nelle Stanze e nelle Logge Vaticane. Alla morte di Raffaello nel 1520 assume la direzione della bottega, portando a compimento lavori di notevole impegno come la Sala di Costantino.

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9 A Roma si incontrano i nuovi artisti, e Roma diventa la capitale della “maniera”. In Italia, solo Venezia mantiene una posizione isolata rispetto alla nuova tendenza. Ma Venezia, nel Cinquecento, ha una situazione storica diversa da quella del resto d’Italia. Michelangelo e Tiziano (1490 circa – 1576)18 costituiscono due opposte concezioni dell’arte racchiuse nella formula di

<<disegno fiorentino>> e <<colorito veneziano>>. Secondo Michelangelo la

bellezza si raggiunge, non attraverso l’imitazione della natura, ma solo attraverso un’idea interiore nata nell’animo dell’artista; secondo i veneziani la bellezza si ritrova nella natura e si può rendere nella luce e nei colori.

Anche Tiziano, tuttavia, non rimane estraneo alle idee che da Firenze e da Roma si diffondono per l’Italia. Il Tintoretto (1519 – 1594)19 fa ancora di più per risolvere il contrasto della cultura figurativa italiana, e altrettanto fa il Veronese (1528-1588)20 adottando moduli compositivi e scorci divergenti tipici del manierismo. Il manierismo veneziano si limita, però, ad accogliere i moduli

16 Pietro Buonacorsi detto Perin del Vaga, Firenze, 1501 – Roma, 1547. Figura centrale del manierismo

italiano, uno dei più importanti artisti coinvolti nella fuga da Roma nel 1527, è stato definito “l’anello mancante” tra l’ambiente raffaellesco e lo sviluppo delle arti figurative nell’età dei Farnese.

17 Polidoro Caldara detto da Caravaggio. Caravaggio, 1499 – Messina, 1543. Protagonista della diaspora

degli allievi di Raffaello svolge una parte considerevole della sua carriera in Italia meridionale. In seguito al Sacco di Roma, infatti, mentre tutti i suoi amici e colleghi fuggono verso nord, Polidoro torna a Napoli e poi a Messina.

18 Tiziano Vecellio, Pieve di Cadore, 1490 – Venezia, 1576. Dapprima allievo di Giovanni Bellini e poi

collaboratore di Giorgione, con la potenza della sua pittura si avvia ad assumere la supremazia incontrastata sulla pittura veneziana.

19 Jacopo Robusti detto Tintoretto, Venezia, 1519 – 1594.

20 Paolo Caliari detto il Veronese, Verona, 1528 – Venezia, 1588. E’ uno dei principali protagonisti della

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10 formali che arrivano da Firenze, da Roma o da Parma differenziandosene però nella sostanza.21

Nonostante Roma prenda il posto di Firenze come teatro dell’arte e della cultura italiana, non dobbiamo dimenticare che nel primo decennio del secolo, Firenze è ancora il centro dell’arte e della cultura. Il progetto di decorare la Sala del Maggior Consiglio richiama in patria vecchi e nuovi artisti. Rientra Leonardo pronto ad assumere il ruolo di guida e si trova subito in contrasto con Michelangelo, più giovane di lui ma già autorevole. Quando nel 1503 viene loro commissionata la decorazione del salone di Palazzo Vecchio i contrasti sono inevitabili. All’intellettualità di Leonardo e alle sue ricerche luministiche si contrappone la spiritualità di Michelangelo e l’imponenza plastica delle sue figure.22

L’arrivo a Firenze di Raffaello, nel 1504, la presenza di Fra Bartolomeo e di Andrea del Sarto animano l’atmosfera artistica fiorentina. Nelle botteghe circolano le novità artistiche, nascono discussioni e dispute e si riuniscono artisti e cittadini. Il Vasari racconta: <<si facevano bellissimi discorsi e dispute

d’importanza. Il primo di costoro era Raffaello d’Urbino; dopo Andrea

21 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 15 22 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 18

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11 Sansovino, Filippino, il Maiano, Antonio e Giuliano Sangalli e alcuna volta, ma però di rado, Michelangelo>>

Sono gli anni in cui Michelangelo realizza il Tondo Doni e il cartone per la

Battaglia di Cascina, opere di straordinaria potenza visiva in cui compaiono

quelle novità stilistiche che ne faranno i testi capitali della Maniera pittorica: il vigore plastico, la potenza titanica, la conoscenza dell’anatomia fiorentina del Quattrocento, il primato del disegno e la profonda coscienza dell’antico.

Sulle nuove generazioni si fa sentire anche l’influenza di Leonardo, meno immediata di quella di Michelangelo perché più intellettualistica, più ermetica. Emerge delicatamente la figura di Andrea del Sarto che raccoglie le idee di Leonardo e Raffaello in una sintesi equilibrata di velata malinconia. Le sue opere sono determinanti per la pittura fiorentina del secondo decennio del secolo. 23 Attraverso i suoi insegnamenti emergono due giovani artisti, i nuovi interpreti della “maniera”: il Pontormo e il Rosso. Ai loro anni giovanili risale la conoscenza diretta della maniera michelangiolesca, attraverso lo studio del cartone della Battaglia di Cascina.

La loro attività inizia nel 1513 negli affreschi del chiostro dell’Annunziata. In queste opere si avverte con immediatezza che qualcosa sta cambiando nell’interpretazione delle cose e nell’impostazione formale. Nell’Assunzione del Rosso, il gruppo degli apostoli è animato da un impeto improvviso, quasi

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12 grottesco; nella Visitazione del Pontormo la scena è intrisa di fermento irrequieto e bizzarro. Le novità introdotte dai due artisti non sono solo il frutto dell’influsso michelangiolesco – anche perché Michelangelo era già andato a Roma – ma un peso maggiore si deve alla presenza a Firenze dal 1508, dello spagnolo Berreguete che vi rimane fino al 1518 e che ha avuto il merito a detta del Longhi di <<aver mosso la maniera moderna.>>24

L’attività del Rosso e del Pontormo si diversifica subito dopo l’esordio. Il primo opera nella sua città fino alla morte con uno stile che si arricchisce di fantasia. L’adozione di uno spazio prospettico affollato e incombente, in pieno contrasto con la chiarezza spaziale di Andrea del Sarto, è un immediato richiamo alle stampe nordiche di Luca da Leyda e di Dürer. Il contatto coi Medici è l’occasione per dipingere tra il 1520 e il 1521 la lunetta con Vertunno e Pomona, nella villa di Poggio a Caiano, dove gli influssi nordici e lo spirito inquieto si placano in un racconto arricchito di fantasia.

Nelle opere eseguite tra il 1522 e il 1525 il richiamo a Dürer è così diretto che Vasari lo accusa di aver tradito la “maniera” toscana per quella tedesca. Con la

Deposizione, per la cappella Capponi a Santa Trinità, tocca il livello più alto

della sua pittura e di tutta la Maniera italiana del Cinquecento. 25

24 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 22 25 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 24

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13 Il Rosso ha una personalità opposta a quella del Pontormo. Vasari lo ritrae più socievole, più allegro, interessato alla musica e alle lettere, e soprattutto più indipendente dalle concezioni di Andrea del Sarto. Nel 1521 dipinge il suo capolavoro: la Deposizione di Volterra. La sua interpretazione lascia sconcertati i contemporanei per la violenta deformazione delle figure e per il colorismo deciso che accosta e giustappone con un azzardo sorprendente.26

Altra variante della “maniera” in Toscana è data dall’opera di Domenico Beccafumi a Siena. Comincia a dipingere nei primissimi anni del secolo, un decennio prima del Rosso e del Pontormo, a contatto con l’ambiente classicista di Fra Bartolomeo e di Albertinelli (1474 – 1515)27. Le sue opere confermano la sua netta aderenza al manierismo, tuttavia indipendente dai manieristi suoi coetanei: Pontormo e Rosso. Lo accumuna ad essi l’estro bizzarro dell’invenzione.28

Come è stato precedentemente detto, Firenze non è più la capitale della cultura e della politica, ha ceduto a Roma le redini del processo artistico e culturale e gli artisti vivono appieno questo momento di isolamento e di disordine psicologico espresso attraverso la loro stravaganza formale.

A Roma si vive una situazione completamente diversa, dal 1506 c’era Michelangelo e due anni dopo arriva Raffaello, entrambi sostenuti da

26 AA.VV. La Storia dell’arte: Il Rinascimento, in La Biblioteca di Repubblica, Milano 2006, vol. 9,

pp. 590,591

27 Mariotto Albertinelli, Firenze, 1474 – 1515. Il suo stile si dimostra ben presto ampio e solenne, con

figure monumentali che si stagliano su paesaggi accurati, memori del gusto fiammingo mentre l’influsso peruginesco addolcisce contorni e toni cromatici.

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14 un’atmosfera di fervore artistico che sarà determinante per esprimere la grandezza del loro talento creativo.29

Si crede che la rinascita dell’Italia possa partire da Roma. E’ un momento di illusione effimera destinato a precipitare nell’abisso più profondo con il Sacco del 1527.

Nell’anno del Sacco Raffaello era morto e Michelangelo non era a Roma, l’aveva lasciata per Firenze. Vi ritorna nel 1534 incaricato da Paolo III di dipingere il

Giudizio finale, sulla parete della Sistina. Il confronto tra questo e la volta, è

sufficiente a mostrare la sua risposta tormentata di fronte alla desolante infelicità della condizione umana, trascinata dalla orrenda realtà di quegli anni. Un tormento che si esprime con estrema contraddizione nell’imponente parete. Durante l’assenza di Michelangelo da Roma, il linguaggio raffaellesco aveva avuto ampio sviluppo. L’Urbinate si circonda di allievi e collaboratori che diffondono le sue idee, detentori di un’eredità che non è solo formale ma anche spirituale. Il suo stile si afferma in opere straordinarie che accompagnano la cultura pittorica romana fino al terzo decennio del secolo. 30

Giulio Romano è il più autorevole degli scolari e collaboratori di Raffaello. Negli anni che seguono la morte del Maestro la sua attività è ricchissima di esperienze artistiche. L’amore appassionato per l’antica grandezza romana - che si esprime

29 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 29 30 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 30

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15 nelle decorazioni, negli stucchi, nelle grottesche, nelle Sacre Famiglie e nei quadri d’altare - include una vena di malinconia per le passate glorie della città antica, per ciò che resta delle grandiose vestigia. Dal fondo delle sue opere si vedono monumenti semisepolti, macerie abbandonate, ruderi deserti e vestigia solitarie. Il manierismo di Giulio Romano è molto diverso da quello spiritato di Firenze e Siena, ma è stato fondamentale per gli anni successivi.31

Come per Giulio Romano e Polidoro da Caravaggio, anche la cultura di Perin del Vaga si differenzia dal primo manierismo fiorentino, appassionata di archeologia e stimolata dalle scoperte della città antica. Già nelle prime opere del periodo romano appare profondamente manierista. Ben presto si differenzia dai colleghi della cerchia raffaellesca per una fantasia più immediata, per una pratica più estrosa alla ricerca di un’esasperata eleganza.

Nel 1524 giunge a Roma il Parmigianino, mentre Giulio Romano si prepara a partire per Mantova e Polidoro per Napoli. Arriva da Parma con le nozioni tardo rinascimentali del Correggio. Attratto più dalla grazia raffaellesca che dal titanismo michelangiolesco, con la sua precoce maturità stupisce i contemporanei proponendo una personale interpretazione del nascente manierismo.32

31 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 31

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16 La critica, fin dal Friedländer, ha avuto il merito di riconoscere l’importanza dell’incontro romano tra il Parmigianino e il Rosso, negli anni intorno al 1524. Il Freedberg rileva che già prima di venire a Roma, il Parmigianino aveva acquisito, dal Correggio, una grazia di sapore arcadico, squisitamente intellettualistico e il Longhi vi sospetta influssi del senese Beccafumi. Il suo incontro col Rosso, che è avvenuto – si ricordi – nella cerchia dei seguaci di Raffaello, non è quindi decisivo per il suo stile, ma anzi determina un complesso gioco di influssi reciproci.33

Le esperienze del soggiorno romano sono evidenti nella pala con la Vergine, San

Giovanni Battista e San Girolamo conclusa nel ’27. Vi appaiono i moduli tipici

della maniera, nell’andamento serpentinato del San Giovanni, richiami a Michelangelo nella figura della Vergine e un senso di grazia che riporta direttamente a Raffaello.

Le creazioni del Parmigianino, con la loro luminosa grazia, rappresentano il lato più dolce e più femminile del manierismo.

Il Sacco nel 1527 interrompe bruscamente lo sviluppo della complessa trama culturale; l’esodo da Roma è completo: Il Parmigianino fugge a Bologna e poi a Parma, dove tocca il punto più alto della sua pittura e da dove si diffonde la

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17 maniera parmigianinesca; il Rosso a Perugia, Polidoro a Napoli e da lì a Messina, il Peruzzi a Siena, Perin del Vaga a Genova.

La <<bella maniera>> si diffonde per l’Italia iniziando un nuovo capitolo delle tendenze figurative cinquecentesche.

Mantova è la città che le accoglie attraverso l’opera di Giulio Romano, che è giunto in città ancora prima del ‘27. Raffellismo e michelangiolismo si intrecciano in un linguaggio classicheggiante talvolta eccessivo e retorico.

Tra i suoi allievi chi riesce a cogliere l’aspetto più morbido del suo linguaggio è il Primaticcio (1504 – 1570)34 che collabora con il maestro fino al 1531.

Attraverso questa personalità, la sensibilità manierista si diffonde dall’Italia all’Europa.

Nel quarto decennio del Cinquecento la situazione italiana è profondamente cambiata.

Nel percorso artistico e culturale, interrotto dal Sacco e più tardi dall’assedio di Firenze, si impone una nuova generazione di manieristi diversa da quella che l’aveva preceduta.

34 Francesco Primaticcio, Bologna, 1504 – Parigi, 1570. Pittore, scultore e architetto è un vero maestro di

stile e di gusto per i cantieri del manierismo internazionale. Coinvolto nella bottega di Giulio Romano a Mantova lavora a Palazzo Te. Nel 1532 si trasferisce a Fontainebleau dove, insieme al Rosso progetta e decora la Galleria del Castello. Primaticcio traduce l’eleganza flessuosa di Parmigianino, combinata con la robusta espressività di Giulio Romano e la forza di Michelangelo.

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18 In questo contesto si colloca Angelo Bronzino (1503 – 1572)35, allievo e collaboratore di Pontormo, che si rivela, ben presto, animato da uno spirito diverso che lo porta in tempi più maturi a divergere dallo stile del maestro.

Attraversa la storia del manierismo ripercorrendone gli sviluppi, dalla ribellione iniziale agli schemi tradizionali, fino a lambire il rigorismo controriformista. Bronzino diventa il punto di riferimento per gli sviluppi del manierismo europeo.36

Diversa è la natura dei maggiori esponenti della “seconda generazione” della maniera, disorientati e sgomenti dall’incombente Giudizio di Michelangelo:<<

messaggio del più alto spirito figurativo alle coscienze di una generazione inquieta >>. 37

Tra essi, Francesco Salviati (1509 – 1563) 38 che rientra a Roma nel 1541. Nelle sue opere rivive l’antico spirito della maniera, nelle complesse pose dei personaggi, nei dettagli descrittivi e nello svariare dei colori. 39

35 Agnolo di Cosimo detto il Bronzino. Firenze, 1503 – 1572. Attraversa e caratterizza la storia del

manierismo, accompagnandone gli sviluppi dall’iniziale ribellione rispetto agli schemi della pittura quattrocentesca fino alla sua affermazione come movimento pittorico. Allievo e collaboratore del Pontormo, partecipa insieme al maestro ad importanti imprese fiorentine. Attraverso il ritratto elabora uno stile personale distinto da quello del Pontormo.

36 AA.VV. La Storia dell’arte in La Biblioteca di Repubblica, cit., vol. 21, pp. 496-498. 37 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 46

38 Francesco de’ Rossi detto Salviati, Firenze, 1509 circa – Roma 1563. Formatosi a Firenze ma quasi

sempre attivo a Roma, è uno dei protagonisti della “ seconda generazione” del manierismo, quando lo stile, persa la forza dei primi interpreti ( Pontormo, Rosso e Parmigianino) diventa la corrente “ufficiale” della pittura in Itali centrale. Salviati porta la grande decorazione manierista a livelli di suprema eleganza.

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19 Negli artisti di quella generazione, si rileva l’accentuarsi della tendenza michelangiolesca in modo particolare nella figura di Daniele da Volterra (1509 circa – 1566.) 40. Nel fregio di Palazzo Massimo a Roma emergono un plasticismo delle forme e una solidità architettonica quasi esasperati. La sua opera più celebre è La Deposizione della Trinità dei Monti del 1541, l’opera più rappresentativa della “seconda maniera “ italiana. Dal confronto con la

Deposizione del Rosso, una delle più alte rappresentazioni della precedente

maniera italiana, si evince la profonda differenza che li separa, una tensione dinamica caratterizza la prima, una pacata meditazione la seconda. Nonostante questa diversità entrambe le opere sono partecipi dei pregnanti linguaggi del manierismo.

Gli ultimi rappresentanti di questo ricchissimo momento pittorico sono Marco Pino da Siena e Pellegrino Tibaldi (1527 – 1596) 41. La loro formazione inizia a Roma, nella sala Paolina di Castel Sant’Angelo a contatto con Perin del Vaga e in un ambiente squisitamente manierista.

Con questi due artisti si giunge al momento in cui il manierismo – soprattutto a Roma – esaurisce la vena inventiva e ripiega su se stesso. Si ripetono fino

40 Daniele Ricciarelli detto da Volterra. Volterra, 1509 circa – Roma, 1566. La sua prima formazione

avviene probabilmente a Siena nella bottega del Sodoma. A Roma, tra il 1538 e il 1539 realizza, accanto a Perin del Vaga, alcuni dipinti a Trinità dei Monti.

41 Pellegrino Tibaldi, Puria in Valsolda, 1527 – Milano 1596. Compie a Bologna il proprio percorso

culturale, sia come pittore che come architetto, in un ambiente che risente delle novità portate da Giulio Romano. Il soggiorno romano, dal 1547 al 1549 sarà fondamentale per i contatti con l’opera di Michelangelo e di alcuni manieristi i cui frutti so no evidenti nella decorazione dell’appartamento di Paolo III a Castel Sant’Angelo.

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20 all’esasperazione i motivi michelangioleschi e raffaelleschi, mentre si giunge al culmine della Controriforma che dirigerà l’arte verso nuove forme e nuove immagini sacre. E’ con Federico Zuccari (1542 – 1609)42, fratello di Taddeo (1529 – 1566)43, che si avverte la prima reazione al manierismo che porterà con i Carracci a un rinnovamento della pittura.

Nel contesto pittorico e artistico italiano di cui si è delineata una sintesi si riserva una particolare attenzione a quelle figure del manierismo italiano che hanno diffuso il nuovo linguaggio pittorico in diverse parti della penisola.

Tra i richiami, diretti e indiretti, a fonti figurative dell’Italia centrale e meridionale della fine del Quattrocento e della prima metà del Cinquecento, leggibili nelle opere del Maestro di Ozieri è posta in risalto la vicinanza all’opera di Polidoro da Caravaggio.

Il pittore lombardo è stato un po’ trascurato dalla critica, sebbene Giorgio Vasari nelle Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani, dedichi a Polidoro ampio spazio considerandolo tra i più grandi del momento.

42 Federico Zuccari, Sant’Angelo in Vado, 1542 – Ancona, 1609.

43 Taddeo Zuccari, Sant’Angelo in Vado, 1529 – Roma, 1566. I fratelli Zuccari sono attivi nella seconda

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21 “ E’ veramente l’inclinazione della natura in tale arte per lui avuta fu si propria

e divina che sicuramente si può dire che è nascesse così pittore come Virgilio nacque poeta e come veggiamo alle volte nascere certi ingegni maravigliosi”.44

Nel 1527 Polidoro lascia Roma per altre destinazioni.

Va prima a Napoli e più tardi a Messina e sarà uno dei divulgatori del linguaggio raffaellesco in Campania e nel meridione d’Italia.

Nell’equipe raffaellesca, che lavora a Roma agli affreschi delle Logge Vaticane, Polidoro è lo specialista del paesaggio. Con lui comincia il “genere” del paesaggio classico e delle vedute con piccole figure che s’inseriscono nella sequenza dell’ornato.

I suoi sfondi paesaggisticicostituiscono una tappa fondamentale nella storia della pittura di paesaggio. (affreschi in San Silvestro al Quirinale).45

Polidoro deriva dal linguaggio raffaellesco l’uso delle decorazioni a stucco e a grottesche con cui decora a fresco molti palazzi romani.

Del periodo messinese, compreso tra il 1529 fino alla morte, tra le opere più celebri è L’andata al Calvario, oggi a Capodimonte, eseguita entro il 1534 per la chiesa della SS. Annunziata dei Catalani che presenta analogie tematiche e compositive con lo Spasimo di Sicilia, di Raffaello, giunta a Palermo dopo pericolose vicissitudini.

44 G. Vasari in “ Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani da Cimabue insino ai giorni

nostri”

Polidoro da Caravaggio e Maturino Fiorentino. Firenze 1550

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22 Nella Deposizione, del 1527-28 (oggi a Napoli a Capodimonte), nella stesura del colore libera e veloce e nelle tonalità fredde e intense, si riconosce grande familiarità con la pittura. Il corpo di Cristo al centro della tavola è un tributo al Cristo della Pietà vaticana di Michelangelo.46

Le potenzialità artistiche leggibili nelle sue opere si legano indubbiamente all’influenza classicista di Raffaello e alla sua interpretazione, ma anche al pathos espressivo più aderente alla pittura di Giulio Romano col quale Polidoro lavora nella Sala di Costantino in Vaticano.

Del tessuto culturale che direttamente e indirettamente arricchisce il linguaggio figurativo del Maestro di Ozieri fa parte anche Cesare da Sesto (1477 -1523)47, un pittore lombardo di formazione leonardesca.

Noto a Roma nella decorazione delle Sale di Giulio II in Vaticano, segue un percorso simile a quello di Polidoro da Caravaggio.

Nel 1513 è a Messina e nel 1515 a Napoli. Negli anni seguenti farà la spola tra le due città fino al suo ritorno definitivo a Milano.

È grazie a Cesare da Sesto che le più aggiornate novità romane, Raffaello e Leonardo soprattutto, arrivano al Sud influenzando numerosi artisti tra cui

46 AA.VV., La storia dell’arte, cit., vol. 27, pagg. 138-139

47 Cesare da Sesto, Sesto Calende, 1477 – Milano, 1523. La fedeltà allo stile leonardesco fanno di Cesare

uno dei potenziali allievi di Leonardo durante l’ultimo decennio del Quattrocento. La prima notizia certa ci viene da Roma dove, nel 1508, l’artista è presente in Vaticano e lavora a decorazioni negli appartamenti di Giulio II. L’esperienza romana e l’imitazione di Raffaello e Michelangelo, e lo studio appassionato dell’antico sono ingredienti fondamentali del suo sviluppo stilistico. La sua attività si esprime ampiamente nel Meridione d’Italia dove realizza pale di grande importanza ma anche in Lombardia dove rientra dopo il 1515.

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23 Andrea da Salerno, con cui Cesare dipinge un importante polittico per l’Abbazia di Cava dei Tirreni.

Un rapporto equilibrato tra le figure e l’architettura antica contraddistingue le sue opere (l’Adorazione dei Magi 1516-19) e rivela un’approfondita conoscenza delle opere di Raffaello. Notevole è l’aspetto paesaggistico sullo sfondo con la montagna boscosa e rupe aspra.48

Cesare da Sesto arricchisce gli elementi della sua formazione milanese con due viaggi a Roma, durante i quali si avvicina all’Urbinate, diffondendo poi in Italia meridionale il “leonardismo” e il “raffaellismo” aspetti più volte rilevati nelle tavole del Maestro di Ozieri.

Tornato a Messina nel 1517 realizza la sua opera più celebre: l’Adorazione dei

Magi che diventa un modello da imitare per molti artisti del meridione.

Nel 1523 è documentato a Milano, è, infatti, riportata dalle fonti la data del contratto stipulato dalla Confraternita di S. Rocco per l’esecuzione di un polittico per l’omonima chiesa milanese: 28 gennaio 1523.

Nei pannelli che compongono il polittico sono ben leggibili i modelli pittorici cui Cesare s’ispirò. Il leonardismo è inequivocabile nei paesaggi sullo sfondo del pannello di S. Rocco e di San Cristoforo e nelle variazioni chiaroscurali.

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24 La lezione romana di Raffaello è evidente nella dolcissima figura della Vergine

col bambino, un richiamo diretto alla Madonna di Foligno nella posa della figura

adagiata sulle nuvole e nell’inclinazione della testa della Vergine.

La tavola con S. Giovanni Evangelista rievoca il profeta Daniele affrescato da Michelangelo nella volta della Sistina, identica è la posa della mano sinistra mollemente adagiata oltre il libro.

Trasferitosi in Italia meridionale, contribuisce alla diffusione della sua elaborazione pittorica tra forme moderne e scenografiche e prime avvisaglie manieristiche.

I cosiddetti “leonardeschi” si lasciano affascinare dagli aspetti più facilmente deducibili del suo linguaggio: il ricorso allo sfumato e i proverbiali accennati sorrisi.

Solo pochissimi tra i seguaci riescono a trasportare il proprio bagaglio ad un ambito che va oltre quello lombardo, tra essi c’è proprio Cesare da Sesto che lo diffonde nel meridione italiano.49

Oltre Leonardo che ama imitare attentamente, e Raffaello, conosce i fiorentini del primo decennio del Cinquecento e la pittura romana del Peruzzi (1481 – 1563) 50e di Sodoma (1477 – 1549)51.

49 F. Debolini, Leonardo in Art Book, cit., vol 7, pp. 110-111

50 Baldassarre Peruzzi, Siena, 1481 – Roma, 1563. È una delle personalità più importanti della scena

artistica romana di inizio Cinquecento. Formatosi a Siena, fin da giovanissimo alterna progetti architettonici con opere di pittura. A roma coinvolge numerosi colleghi che lavorano con lui per la

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25 Per rimanere nell’ambito meridionale – nello specifico campano – mi pare doveroso riportare alcune notizie relative ad un altro pittore del Cinquecento italiano che ha influenzato la pittura del Maestro di Ozieri: Andrea Sabatini conosciuto col nome di Andrea da Salerno (1480 – 1530), che dopo Antonello da Messina è il più notevole pittore rinascimentale del meridione italiano.

La sua attività si svolge quasi esclusivamente a Napoli e a Salerno. A Napoli realizzò tele di argomento religioso I sette dottori della chiesa e l’Offerta dei

Magi conservati al museo di Capodimonte.

Secondo lo storico dell’arte Bernardo de Dominici, il Sabatini si formò nella bottega del pittore Andrea Solario (1465 circa – 1524)52, un ambiente artistico di chiara influenza umbra legato a personalità come il Perugino (1450 circa-1524)53 e il Pinturicchio (1454 circa – 1513)54.

Indubbia è per i più l’influenza raffaellesca e sarebbe confermata da un viaggio che il salernitano avrebbe intrapreso a Roma intorno al 1511 proprio con l’intenzione di incontrare il maestro urbinate e studiarne le opere.

decorazione della Farnesina, l’incantevole villa in riva al Tevere costruita per il banchiere senese Agostino Chigi.

51 Giovanni Antonio Bazzi detto Sodoma. Vercelli, 1477 – Siena, 1549. 52 Andrea Solario, pittore italiano. Milano, 1465 circa-1524

53 Pietro Vannucci detto il Perugino. Città della Pieve, 1450 – Perugia 1524. È stato per lunghi anni il più

noto e influente pittore italiano. Il suo stile elegante e un po’ svagato, poco incline alla ricerca espressiva, con pose trasognate impone una vera e propria moda dell’arte, da Milano a Napoli. Compagno di studi di Botticelli presso la bottega del Verrocchio, è ben presto conteso da signori e d ecclesiastici d’Italia. Nel 1481 va a Roma, chiamato da Sisto IV per dirigere la decorazione delle pareti della Sistina.

54 Bernardino di Betto detto Pinturicchio. Perugia, 1454 – Siena, 1513. Maestro della grande decorazione

è l’autore di alcune delle più felici soluzioni ornamentali del Rinascimento umbro e romano. A Perugia entra nella bottega del Perugino del quale diventa il principale collaboratore. Lavora intorno al 1480 agli affreschi della Cappella Sistina.

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26 Del periodo napoletano è una Deposizione che mostra dei rapporti fortissimi con Raffaello, soprattutto con la Madonna del pesce.

Le sue opere attestano l’evoluzione dello stile verso la cultura lombarda e raffaellesca di Cesare da Sesto col quale Andrea entrò forse in contatto durante il suo viaggio a Roma nel 1511.

La documentata presenza a Napoli di Cesare da Sesto nel 1515 e l’arrivo in città della Madonna del Pesce di Raffaello accentuano il classicismo e la pittura dolce del Sabatini ma presto i suoi modi evolvono verso una maniera più estrosa ed espressiva aperta ai contatti con lo spagnolo Machuca (1485 – 1550)55 presente nel Meridione nel secondo decennio del secolo.

Nelle opere successive, il pittore ripropone soluzioni più classicheggianti e raffaellesche già sperimentate nella sua prima attività, che utilizza nelle opere tarde dove compare massiccio l’aiuto della bottega.

Sul Sabatini, come per altre influenti personalità del primo Cinquecento è gravato il disinteresse degli storici dell’arte del passato e contemporanei.

Il Summonte lo cita frettolosamente e il Vasari, nonostante un soggiorno a Napoli, lo ignora, come fa del resto con quasi tutti gli artisti meridionali.

55 Pedro Machuca, Toledo, 1485 – 1550. Architetto e pittore spagnolo, la sua fama è legata alla

realizzazione del Palazzo di Carlo V a Granada che trae ispirazione dall’architettura rinascimentale e manierista italiana, in particolare dallo stile di Raffaello, Bramante e Giulio Romano.

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27 CAPITOLO II

Il Manierismo europeo.

Il Sacco di Roma del 1527, l’episodio più drammatico della storia italiana del XVI secolo, provoca la diaspora degli artisti che fuggono dalla città devastata e si rifugiano in diverse parti d’Italia e d’Europa. Con la loro “dispersione” si diffonde lo spirito del manierismo, romano e fiorentino, che darà i suoi frutti in altre città della penisola.

In campo internazionale, la diffusione del manierismo italiano raggiunge amplissime proporzioni. In Francia, nelle Fiandre, in Germania e in Spagna, dove il Rinascimento non ha posto radici solide e il gotico ancora persiste nelle sue differenti espressioni, il movimento assume una portata universale. 56

Conquista l’Europa e si diffonde ovunque nelle corti d’occidente. La corte di Francesco I a Fontainebleau è la prima corte europea che adotta il nuovo stile italiano. A Fontainebleau - come a Roma e a Firenze - si recano a studiare i fiamminghi e gli olandesi che lavorano poi alle corti di Filippo II a Madrid, di Rodolfo II a Praga, di Alberto V a Monaco. La circolazione del manierismo

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28 raggiunge la sua massima espansione verso la fine del secolo e, da quel momento si può ben dire, che l’Europa parla lo stesso linguaggio figurativo.57

Dal 1530, lavora a Fontainebleau Rosso Fiorentino che si circonda subito di numerosi artisti che costituiscono per decenni una vera tendenza: la scuola di Fontainebleau. Nel 1532 arriva anche il Primaticcio, felice interprete della raffinata maniera parmigianinesca, e il centro si avvia a divenire la nuova capitale della maniera.

Il cammino dei due artisti segue una direzione parallela fino alla morte del Rosso nel 1540. Con il Primaticcio lavora alla corte di Fontainebleau anche Nicolò dell’Abate che da Bologna giunge in Francia tra il 1551 e il 1552;58 portando con sé gli accesi cromatismi di eredità ferrarese.

Più tardi vi giungono il Cellini, il Serlio e il Vignola.

Dopo una breve interruzione la scuola riprende la sua attività e agli artisti francesi si affiancano anche i fiamminghi che arrichiscono il movimento con una potenza cromatica che caratterizza l’ultima evoluzione del manierismo europeo sulla fine del secolo. 59

La critica riapre un’intensa discussione con l’Antal e il Kauffmann. Si discute anche su quale tendenza italiana è stata più incisiva per il manierismo europeo: se

57 G. Briganti, La Maniera Italiana, cit., p. 14 58 G. Briganti La Maniera Italiana, cit., p. 16 59 Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., VII p. 903

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29 Roma o Firenze. La difficoltà di una risposta sta nel fatto che vi confluiscono entrambe le tendenze e gli artisti non solo le adoperano ma le rielaborano in tutte le loro possibilità con un risultato che accomuna la conoscenza e l’invenzione, il purismo formale e il capriccio.

In questa cornice s’inserisce l’arte di un grande maestro, lo Spranger (1546 – 1611) 60che a Praga nel 1584, alla corte di Rodolfo II mantiene attivo il movimento fino al Seicento.61

In Spagna gli influssi stranieri e in particolar modo quelli italiani e fiamminghi, sono largamente determinanti di certi modi della pittura in cui sussistono taluni sistemi tardo-gotici, nonché talune forme fiamminghe e tardo-quattrocentesche, mentre vanno prendendo parallelamente sviluppo orientamenti derivati dall’esperienza italiana, specie da quella leonardesca e raffaellesca. Più duraturo è l’influsso fiammingo in Castiglia con Juan de Flandes, Juan de Borgogña, Antonio Comontes, Pedro de Cisneros e il Maestro de Astorga.

L’attività dei pittori fiamminghi come Pedro de Campagña e Ferdinand Storm esercita un grande influsso in Andalusia, dove è pure attivo Alejo Fernández.

60 Bartholomaeus Spranger, Anversa, 1546 – Praga, 1611. Pittore e incisore fiammingo. Dopo una prima

formazione ad Anversa, già fortemente permeata del gusto italianeggiante del pieno Rinascimento, nel 1565 si mette in viaggio verso l’Italia. Recepisce così gli stimoli della cultura artistica lombarda, del Correggio e del Parmigianino.

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30 Italianizzanti sono invece Fernando Yáñez e più tardi Vicente Masip e suo figlio Juan de Juanes.62

All’inizio del XVI secolo lo stile raffaellesco, che fino a quel momento si era manifestato in maniera episodica, s’impone pienamente nella maniera dei pittori spagnoli. La scuola in cui il raffaellismo si manifesta in modo più evidente è quella valenzana. Si distingue dalle altre - come quella di Siviglia – per la sua omogeneità. Parlare di pittura raffaellesca valenzana è parlare di Juan de Juanes (1523 circa -1579)63. E’ il membro più conosciuto di una famiglia che produce tre generazioni di artisti. La sua formazione si svolge a Valencia, alla scuola del padre Vicente Masip, seguace e ammiratore dell’arte di Raffaello. Le opere di Juanes sono fondamentalmente posteriori al 1550 e possono essere considerate come appartenenti alla seconda generazione di raffaellisti spagnoli. Suo padre Vicente Masip è il creatore dello stile che si evolverà assimilando novità rinascimentali posteriori. 64

I motivi che hanno reso popolare la sua arte sono dovuti soprattutto alla dolcezza espressiva dei personaggi. I volti esprimono un’emozione femminea, molto apprezzata dalla maggior parte dei suoi estimatori.

Tecnicamente, Juan de Juanes insiste meno del padre nella precisione delle forme, preferendo un certo sguardo di estrazione italiana – nello specifico quello

62 Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. XII, p. 712

63 Vicente Juan Maçip detto Juan de Juanes, è un pittore spagnolo. Fuente la Higuera, 1523 circa –

Bocairente 1579.

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31 leonardesco - cui si deve la sua tipica piacevolezza degli incarnati tanto differenti dal tono forte e scultorio di quelli del padre. Il colorito è più luminoso e rispondente al medesimo gusto per lo sfumato. I colori chiari si fondono nel tipico tornasole del manierismo. In generale reagisce contro gli effetti della prospettiva architettonica, propria dell’inizio del secolo, e vede nell’architettura soprattutto la massa e la monumentalità Cinquecentesca.

I suoi spazi sono popolati di rovine classiche entro le quali si levano frequentemente la piramide di Caio Sestio e sottili obelischi egizi, e nella sua interpretazione si avverte la medesima grazia delle forme riscontrata nelle figure umane. Il paesaggio è un altro elemento decorativo ma dipinto con naturalezza e senza la curiosità e lo spirito narrativo di stampo quattrocentesco che distingue le opere del padre. Se Masip può confrontarsi con Giulio Romano, Juan deve relazionarsi con il Salviati, con il quale ha in comune molti aspetti.

Durante il periodo raffaellesco di cui si è detto, il livello della pittura in Catalogna si abbassa notevolmente e diminuiscono i pittori di un certo rango. Il più rilevante è il portoghese Pedro Nuñes, che lavora a metà del secolo a Barcellona, insieme ad altri pittori della sua maniera.

Il suo stile scopre tensioni spirituali di estrazione più fiamminga che italiana. Il suo raffaellismo è più somigliante con quello di Scorel (1495 – 1562)65, del quale

65 Jan van Scorel, pittore olandese. Schoorl, 1495 – Utrecht, 1562. È stato determinante per

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32 dovette essere coetaneo, piuttosto che con quello dei discepoli di Raffaello. Il

raffaellismo fiammingo e olandese è di moda in Spagna e in una scuola tanto

importante come quella di Siviglia. Lo svizzero Storm maestro e poi rivale di Heemskerck (1498 – 1574)66 è uno dei pittori più eminenti del suo tempo e per altra parte la stretta relazione commerciale e artistica tra Portogallo e fiandre è ben conosciuta67.

A Girona, la tappa rinascimentale e manierista è rappresentata nel retablo di Saneja la cui composizione è tuttavia gotica e prossima al 1530, nel retablo di Cornellà del 1563, in quello della cappella del cimitero di Cadaqués e quello del santuario “ dels arcs” in Santa Pau, dove si copiano stampe di Dürer. In quello dell’Ultima cena della cattedrale di Girona, del 1567, dove si utilizzano anche composizioni del pittore tedesco, la corpulenza michelangiolesca dei personaggi ci convince della piena adesione dell’autore al manierismo.

In Catalogna parallelamente all’assunzione isolata di italianismi e alla ibridazione di schemi compositivi e di formule figurative tradizionali che evolvono senza brusche rotture nei valori stabiliti, dobbiamo considerare l’irruzione di una pittura più ampiamente rinnovata, di forme rinascimentali più mature e più vigorose, nelle quali i legami con la tradizione gotica si vanno riducendo a puro substrato. La sua importanza è quantitativamente minore delle

66 Maarten van Heemskerrck, pittore olandese attivo durante il periodo del “ rinascimento “ transalpino.

Heemskerck, 1498 – Haarlem, 1574.

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33 opzioni moderate, come quelle di Pietro di Fontaines e di altri, però la sua alta qualità stimola molto incisivamente diversi gruppi di pittori e clienti locali verso posizioni innovatrici più decisive ed è significativo che questa opzione all’italianismo sia importante anche per pittori nord europei.

Un artista come Aine Bru68, che può essere considerato il maggiore di tutto il Cinquecento in Catalogna, mostra una sensibilità e una tecnica ugualmente prossima agli artisti fiamminghi e tedeschi. In questo senso diventa inevitabile pensare ad Aine Bru come ad un artista itinerante, ricettivo e di grande valore che ha vissuto nel nord Italia mosso da inquietudini simili a quelle che conosciamo da Dürer con il quale ebbe non poche analogie.69

Fra i pittori che primeggiano nella seconda metà del XV secolo spicca un artista di origine nordica, Joan di Borgogña attivo in Catalogna; è un artista meno concentrato e preciso del Bru però più esuberante e appassionato.

Le insistenze di Joan di Borgogña nel movimento, nella torsione, e nella sinuosità manieristica dei corpi, che non si accompagna ad uno studio anatomico attento, si risolvono sovente in alterazioni e malformazioni. Una volontà espressiva lo porta a caratterizzare i suoi personaggi al limite del grottesco e del caricaturale seguendo criteri molto in voga, da Leonardo a Dürer. Queste opere non possono essere concepite senza la conoscenza della grande pittura

68 Aine Bru , pittore del XVI secolo attivo in Catalogna. Nel 1502 stipulò un contratto per la

realizzazione di un retablo per l’altare maggiore della chiesa del monastero di Sant Cugat.

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34 fiamminga. Tuttavia, nelle sue ultime produzioni Juan de Borgoña mostra di subire fortemente lo stile italiano. Nasce così un certo eclettismo, risultato di influenze italiane e maniere fiamminghe.70

Nella cornice di una nuova pittura, caratterizzata da un italianismo prioritariamente veneziano, evidente in artisti nord europei, poco per volta emergono anche altri linguaggi come un certo leonardismo più o meno diluito in mezzo a influenze di origine diversa. Sappiamo ancora poco dell’influenza o la suggestione di Leonardo sui pittori dell’epoca in Catalogna. Un suo diretto discepolo, Fernando Yáñez71, che insieme a Fernando de Los Llanos condiziona profondamente la pittura spagnola, assimila l’opera di Leonardo, la prospettiva scientifica, il senso del volume e del movimento.72 Yáñez è documentato a Barcellona nel 1515 in occasione del contratto di Santa Maria del P, però il suo nome compare fino al 1531 a Girona, in un piccolo retablo dedicato a Sant Elena – ora al museo della cattedrale- che mostra l’influenza leonardesca.

Il retablo, di una qualità alta, è posto dietro l’altare maggiore della cattedrale. Sappiamo che per esso fu stipulato un contratto il 19 novembre del 1519, da Antonio Norri e Pedro Fernández.

La data del maggio 1521 relativa alla conclusione dell’opera si trova nei polvaroli laterali, dove sono raffigurati San Narciso e San Simone dipinti entro

70 Garriga J., L’Època del Renaixement, s.XVI. cit., pp. 68-70

71 Fernando Yáñez de la Almedina è un pittore spagnolo attivo tra la fine del XV e l’inizio del XVI

secolo. Lavora nella cattedrale di Valencia con Fernando Llanos al retablo dei Santi Cosma e Damiano.

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Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del XVI secolo: Il Maestro di Ozieri Tesi di dottorato in Storia delle Arti

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35 architetture romane sostenute da atlanti. Di Antonio Nurri si sa solo che risiedeva a Girona e nel 1517 lavora al restauro del sepolcro gotico di San Feliu. Pedro Fernández, anch’esso residente a Girona era originario della Mursia. La struttura del Retablo presenta un’abbondante decorazione dorata di elementi alla romana d’esecuzione non raffinata.

Tra le altre influenze che si sono avvertite, si sottolinea la disinvoltura nella composizione tridimensionale delle storie con la soluzione dei volumi in posizione variata e negli scorci delle figure sempre rispondenti a una concezione molto evoluta della pittura e una tecnica di disegno molto matura di radice lombarda.73

Per un gruppo di studiosi italiani il retablo di Sant’Elena riflette chiaramente la cultura artistica derivata da Leonardo, Bramante e Bartolomeo Suardi detto Bramantino. Per questa ragione l’opera è stata attribuita allo Pseudo-Bramantino senza altri elementi di giudizio che quelli stilistici.

Pseudo-Bramantino è il nome provvisorio che gli esperti hanno dato a un anonimo di supposta origine ispanica e formazione artistica intensamente lombarda. In quel momento però non si conosceva il documento contrattuale del 1519 che ha permesso di identificare l’esecutore del retablo di Sant’ Elena con Pedro Fernandez, pittore di Mursia residente a Girona almeno fino al 1519-21. Appare chiaro come la formazione di Fernandez è legata alla conoscenza di fatti

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Maria Giovanna Arras

Spagna, Italia ed Europa settentrionale nella pittura sarda del XVI secolo: Il Maestro di Ozieri Tesi di dottorato in Storia delle Arti

Università degli Studi di Sassari

36 lombardi, progressivamente aggiornati alla luce delle esperienze che andavano maturando nel Settentrione. 74

La pittura spagnola del XVI secolo conosce particolare splendore, anche grazie all’arrivo di due grandi artisti stranieri che in modo diverso s’inseriscono nella vita culturale del paese e sono destinati a lasciarvi una duratura traccia: El Greco (151 – 1614)75, che costituisce un’esperienza a sé, assolutamente originale e non ebbe che pochi seguaci, e Anthonis Mor, che contribuisce all’affermazione del realismo e dà vita a una vivace scuola.

L’esperienza rinascimentale va gradatamente trasformandosi, specie sotto l’influsso della Controriforma. Si cercarono allora soluzioni nuove studiando composizioni esuberanti, il movimento e le forme audaci che lasciavano all’artista la più ampia libertà di espressione. 76

Nel manierismo europeo un ruolo artistico a sé occupano Dürer e Grünewald (1480 circa – 1528) 77 che ebbero un ruolo fondamentale nella diffusione del Manierismo d’oltralpe, Dürer facendo conoscere i caratteri dell’arte italiana e Grünewald portando alle estreme conseguenze un’esasperata ricerca formale.

74 J. Camón Aznar, La Pintura Española del siglo XVI, Madrid 1999, vol, XXIV, pp. 71-74

75 Domenikos Theotokopoulos detto El Greco in relazione alle sue origini. Creta, 1541 – Toledo 1614.

Totalmente misconosciuto fino al XX secolo è ora considerato uno dei più grandi geni dell’arte occidentale. In Italia entra in contatto con i grandi artisti del pieno Rinascimento: Tiziano, Tintoretto e Jacopo Bassano sono determinanti per il formarsi del suo stile. Lasciata l’Italia si reca a Toledo e la città diventa la sua terra d’adozione.

76 Enciclopedia Universale dell’Arte, cit., vol. XII p. 709

77 Mathis Niethard Gothart detto Mathis Grünewald è stato un pittore Tedesco. (Würzburg, 1480 circa –

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