Corso di Laurea Specialistica in Ingegneria Elettrica
Tesi di Laurea Specialistica
Analisi Teorico/Sperimentale di un
Levitatore a Magneti Permanenti
Candidato: Andrea Panico
Relatori:
Prof. Antonino Musolino Prof. Efr`en Diez J`ımenez Ing. Rocco Rizzo
Introduzione ii
1 Descrizione dei Codici di calcolo utilizzati 1
1.1 Descrizione generale . . . 1
2 Spin-Device e modellizzazione numerica 12
2.1 Introduzione . . . 12 2.2 Costruzione del modello numerico del dispositivo con i tre codici di
calcolo. . . 17 2.3 Risultati delle simulazioni . . . 34
3 Il banco prova 41
4 Prove sperimentali, risultati e confronti 59
5 Conclusioni 65
A Appendice 67
A.1 Base teorica del CAD-DESTEC . . . 67
La conoscenza della distribuzione dei campi elettromagnetici presenti in un determinato ambiente o dispositivo è di fondamentale importanza negli ambiti dell’ingegneria dediti allo sviluppo di sistemi sia di potenza che di segnale.
Nei dispositivi elettromeccanici, ad esempio, le informazioni sull’andamento del campo magnetico all’interno della struttura è indispensabile nella fase progettuale, per poter ottenere un dispositivo con prestazioni più elevate e al contempo più leggero e meno ingombrante.
La distribuzione dei campi elettromagnetici nello spazio ed il loro andamento temporale è governata dalle equazioni di Maxwell che possono essere risolte analiti-camente solo in casi semplici [1], [2].
Nelle applicazioni pratiche dove non è possibile trovare una soluzione analitica è necessario adottare le tecniche numeriche. La maggior parte di queste tecniche suddividono la regione in cui si vuole calcolare il campo in piccoli elementi di semplice geometria approssimando le grandezze attraverso delle funzioni polinomiali di ordine basso.
Le equazioni di Maxwell, che possono essere formulate sia in termini differenziali, sia integrali, ciascuna delle quali da luogo a tecniche numeriche diverse.
Le tecniche differenziali (per esempio quelle basate sul metodo FEM-Finite Element Method) riescono a trattare in modo efficiente strutture elettromagnetiche con geometrie complesse dando luogo a sistemi di equazioni con matrici sparse e a bande, più semplici da risolvere utilizzando opportuni algoritmi di tipo iterativo. Per loro natura, i metodi differenziali necessitano della conoscenza delle condizioni
al contorno, le quali, specialmente nei problemi a frontiera aperta in cui si richiede il calcolo di campi in zone anche molto distanti dalla sorgente, possono non essere di facile determinazione. Per questo motivo i metodi differenziali sono più efficienti nella soluzione di problemi a frontiera limitata o con piani di simmetria.
Inoltre, l’applicazione delle formulazioni FEM a sistemi con parti in movimento presenta delle difficoltà dovute al fatto che la procedura di discretizzazione deve essere rinnovata ad ogni passo temporale della soluzione, richiedendo risorse di calcolo molto elevate. Nonostante la disponibilità di codici numerici ottimizzati per la risoluzione di questi tipi di problemi, la ricerca di metodi robusti ed efficienti è ancora un problema aperto [3], [4], [5].
Le tecniche integrali (per esempio il MOM-Metodo dei Momenti o il BEM-Boundary Element Method), invece, riescono a trattare in maniera efficiente pro-blemi a frontiera illimitata ma presentano alcune difficoltà legate alla presenza di matrici piene e in molti casi non simmetriche; pertanto, soprattutto nell’analisi elettromagnetica di strutture complesse caratterizzata dalla presenza di materiali non-lineari, le formulazioni integrali possono comportare notevoli complicazioni di natura computazionale. Il loro principale vantaggio è l’automatica verifica delle condizioni al contorno e la non necessità di discretizzare lo spazio vuoto intorno al dispositivo da analizzare [6], [7], [8]. Quest’ultima caratteristica li rende vantaggiosi per sistemi con parti in movimento.
Esistono poi, anche se meno diffuse, alcune formulazioni di tipo “ibrido differen-ziale/integrale” in grado di sfruttare al meglio i vantaggi delle due tecniche separate, riducendo al minimo gli svantaggi principali. Tali tecniche, necessitano nella fase di utilizzo da parte dell’utente di conoscenze approfondite di elettromagnetismo [13]. Scopo di questa tesi è lo sviluppo di un setup sperimentale per la validazione di un codice numerico di tipo integrale, basato su una rete equivalente, sviluppato negli anni passati presso il DESTEC e recentemente esteso all’analisi di dispositivi con parti in movimento con più gradi di libertà [10], [11], [12].
La parte iniziale del lavoro, svolta presso il Laboratorio di Elettromagnetismo Applicato del Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni dell’Università di Pisa, è stata quella di progettare e simulare, con due diversi codici numerici di tipo FEM, un dispositivo elettromagnetico sul quale effettuare le misure sperimentali. Il sistema sviluppato consiste in un levita-tore magnetico essenzialmente costituito da una ruota lungo la cui circonferenza sono fissati alcuni magneti permanenti posti in rotazione su un piano di materiale conduttore fisso nello spazio. La variazione di flusso magnetico su questo piano, dovuta alla velocità relativa tra le due parti, induce un sistema di Eddy Currents, le quali, interagendo con il campo dei magneti, produce un sistema di forze e di coppie elettromagnetiche.
Il prototipo di levitatore magnetico è stato costruito presso i laboratori di Ingegneria Meccanica dell’Università Carlos III di Madrid, in collaborazione con un gruppo di ricerca spagnolo, nei mesi di Aprile e Maggio 2014, sfruttando una borsa per tesi di laurea all’estero messa a disposizione dall’Università di Pisa. Presso gli stessi laboratori sono stati condotti una serie di test sperimentali in diverse condizioni di funzionamento. I risultati sono stati confrontati con quelli delle simu-lazioni numeriche ottenute nella fase preliminare, ed è stata effettuta una prima validazione del codice CAD sviluppato presso il DESTEC.
I contenuti della tesi sono organizzati come segue: nel Capitolo1sono richiamate brevemente le caratteristiche dei 3 codici numerici (ANSYS Maxwell, EFFE ed il CAD-DESTEC) utilizzati nella fase di simulazione del dispositivo analizzato. Nel Capitolo 2 è descritta la procedura per la costruzione del modello di levitatore con i tre codici e sono riportati i risultati delle simulazioni numeriche. Nel Capitolo3 è descritto il set-up utilizzato per le prove sperimentali. Infine, nel Capitolo4 sono riportati i dati sperimentali ottenuti ed il confronto con i metodi numerici.
Descrizione dei Codici di calcolo
utilizzati
In questo capitolo sono descritte le caratteristiche principali dei software di calcolo utilizzati in questo lavoro. Nella descrizione dei due codici FEM usati sono messi in evidenza i loro vantaggi e svantaggi; essi, infatti, pur avendo a comune la formulazione generale di risoluzione, sono completamente diversi dal punto di vista della costruzione del modello del dispositivo da analizzare.
Per quanto riguarda il codice CAD sviluppato negli anni passati presso il DESTEC e basato su una formulazione integrale a rete equivalente, si riporta la struttura principale del codice, senza entrare nel dettaglio della implementazione numerica.
1.1
Descrizione generale
Il criterio generale per la realizzazione del modello numerico di un problema reale é quello di effettuare opportune approssimazioni delle grandezze in gioco ovvero degli operatori matematici presenti nelle equazioni descrittive del fenomeno fisico. Pertanto il processo tipico é quello di rendere discreto un modello matematico (nello specifico il sistema di equazioni di Maxwell) che é tipicamente rappresentato da quantità ed equazioni continue la cui formulazione può essere di tipo differenziale o integrale:
Formulazione Integrale I c E· dℓ = −d dt Z S B· ds I c H· dℓ = Z S J· ds+d dt Z S D· ds I S D· ds = Z V ρ · dv I S B· ds = 0 Formulazione Differenziale ∇× E = −∂B ∂t ∇ × H = J + ∂D ∂t ∇ · D = ρ ∇ · B = 0
La successione delle fasi di costruzione del modello può essere schematizzata secondo un semplice diagramma a blocchi riportato in figura 1.1:
Figura 1.1: Successione delle fasi per la costruzione di un modello numerico.
Dal punto di vista di utilizzo pratico dei codici numerici, la soluzione di un problema consiste dei seguenti tre passi:
1. Definizione del problema in termini di geometrie e parametri fisici;
2. Implementazione del modello descrittivo del problema da analizzare;
3. Simulazione numerica e post-processing dei risultati.
Il primo passo è quello di definire una idealizzazione del problema da risolvere in termini di geometrie e quantità fisiche da investigare. In questa fase è necessario effettuare un’analisi preliminare per capire il livello di dettaglio descrittivo da inserire nel modello. Esso, infatti, non sempre deve rispecchiare esattamente la realtà fisica da simulare, considerato che una maggiore accuratezza nella descrizione
iniziale del sistema potrebbe non dare un altrettanto contributo significativo nella precisione dei risultati finali o addirittura potrebbe compromettere la convergenza numerica della soluzione.
Questo primo passo, pertanto, è di fondamentale importanza per la soluzione del problema e consiste principalmente nel definire quali siano gli aspetti principali da considerare per la modellazione e quali quelli da poter trascurare perchè ininfluenti ai fini della risoluzione del problema.
La seconda fase del processo è quello di implementare il modello descrittivo del problema da risolvere seguendo le procedure previste dai diversi codici numerici. In questa fase è necessario introdurre le ipotesi semplificative svolte nel passo prece-dente in modo da ridurre la complessità del modello e renderlo risolvibile. Inoltre, per ottenere una soluzione valida è indispensabile l’applicazione di appropriate condizioni al contorno e/o condizioni iniziali.
Al termine dell’implementazione del modello, con il terzo passo si provvederà alla risoluzione numerica del problema ed alla successiva analisi dei risultati.
Tra i metodi numerici disponibili per la trattazione di problemi elettromagnetici in bassa frequenza, i metodi FEM (Finite Element Method) sono sicuramente quelli più utilizzati [3], [4], [5]. Essi trattano il problema da studiare suddividendolo in un certo numero, anche molto grande, di elementi di forma definita e dimensioni contenute (“discretizzazione“ del problema). Nel continuum, ogni singolo “elemento finito” viene considerato un dominio con caratteristiche omogenee. La discretizza-zione del problema avviene tramite la creadiscretizza-zione di una griglia (mesh) composta da elementi primitivi di forma codificata (triangoli e quadrilateri per domini 2D, esaedri e tetraedri per domini 3D). Il comportamento dell’intera struttura è poi ricostruito assemblando i singoli elementi di cui essa è composta.
Gli elementi di base si immaginano connessi tra di loro solo in determinati punti, detti nodi; ogni sottodominio viene poi rappresentato da un set di equazioni aventi come incognite le grandezze nei nodi della mesh. Le equazioni definite per ogni
elemento sono semplici equazioni che approssimano localmente le grandezze da studiare in termini di equazioni differenziali alle derivate parziali. Con il metodo usato la soluzione che si ottiene è quella che minimizza l’errore in termini globali (sull’intero dominio) e non necessariamente in termini puntuali (su ciascun nodo).
Altri metodi numerici di risoluzione consistono nel formulare le equazioni di Maxwell in forma integrale. Si parla in questo caso di metodi Intergrali (per esempio il MOM-Metodo dei Momenti, il BEM-Boundary Element Mothod, etc.) [6], [7], [8]. Questi metodi sono emersi come alternativa ai FEM soprattutto per domini che si estendono all’infinito. In questi casi, infatti i FEM diventano poco efficienti e richiedono notevoli risorse di calcolo. Con i metodi di tipo integrale, invece, è necessario discretizzare solo le parti attive di un sistema; inoltre le condizioni al contorno del problema sono automaticamente soddisfatte. I vantaggi offerti dai codici a formulazione integrale sono ancor più evidenti nel caso di strutture in movimento, in quanto non è necessario effettuare una discretizzazione dinamica per tenere conto del movimento relativo tra i diversi sottosistemi. Di contro, questo tipo di metodi, avendo matrici dei coefficienti solitamente piene, richiedono algoritmi di soluzione più complessi e tempi di calcolo mediamente più lunghi.
A questa categoria di metodi appartiene il codice CAD a rete equivalente sviluppato negli anni passati presso il DESTEC e recentemente esteso all’analisi di dispositivi in movimento con più gradi di libertà [10], [11], [12].
Molto spesso è necessario trattare problemi complessi la cui soluzione potrebbe essere semplificata dall’uso combinato delle formulazioni differenziali ed integrali. In questo caso è possibile fare ricorso ai cosiddetti Metodi Ibridi (differenziali/integrali), i quali sono in grado di sfruttare al meglio i principali vantaggi delle due tecniche separate, riducendo al minimo gli svantaggi. Tali tecniche, però, sono ancora poco diffuse perché necessitano di conoscenze approfondite di elettromagnetismo soprattutto nella fase di accoppiamento dei modelli matematici descritti con le due diverse formulazioni [13].
trat-tata con formulazione differenziale (per esempio FEM), ed una esterna, descritta con formulazione integrale. Le due parti sono poi accoppiate facendo corrispondere le correnti, o i campi, in determinati punti al confine per garantire una soluzione unica.
Di seguito una breve descrizione dei tre codici utilizzati per le simulazioni del dispositivo analizzato.
1.1.1
Ansys Maxwell
Maxwell è un pacchetto software, sviluppato dalla ANSYS Inc. (USA), per la simulazione di problemi elettromagnetici 2D e 3D, come motori, attuatori, ed altri dispositivi elettrici ed elettromeccanici [14].
Esso risolve le equazioni di Maxwell in termini differenziali:
∇× E = −∂B ∂t ∇ × H = J + ∂D ∂t ∇ · D = ρ ∇ · B = 0
Il software è in grado di risolvere un’ampia gamma di problemi, tra cui:
• Magnetostatic: campi magnetici statici, forze, coppie e induttanze provocate da correnti continue e/o magneti permanenti. materiali lineari e non;
• Eddy Currents: campi magnetici variabili, forze, coppie, e impedenze provoca-te da correnti alprovoca-ternaprovoca-te e campi magnetici variabili dovuti a sorgenti esprovoca-terne. Solo materiali lineari;
• Transient Magnetic: campi magnetici transitori dovuti a sorgenti tempo-varianti o in movimento. Materiali lineari e non;
• Elettrostatic: campi elettrici statici, forze, coppie, e capacità provocate da una tensioni e cariche distribuite. Materiali solo lineari.
• DC Conduction: Tensione, campo elettrico, e densità di corrente calcolate a partire dalla funzione potenziale. La matrice di resistenze può essere una quantità derivata.
• Transient Electric: campi elettrici transitori causati da tensioni tempo-varianti, distribuzioni di cariche, o correnti di eccitazione in materiali non omogenei. Il sistema è risolto in termini di potenziale elettrico.
In bassa frequenza il termine di corrente di spostamento ∂D/∂t è trascurato.
La procedura seguita per la simulazione di un sistema è la seguente:
Step 1 ♯: Creazione del modello ottenuta attraverso la composizione di primitive geo-metriche, anche importate da altri software (AUTOCAD, etc.). In questo modo è possibile costruire, con relativa facilità, i modelli di dispositivi aventi geometrie complesse.
Step 2 ♯: Assegnazione della proprietà dei materiali (permeabilità magnetica, conduci-bilità elettrica, etc.).
Step 3 ♯: Definizione delle sorgenti.
Step 4 ♯: Assegnazione delle condizioni al contorno.
Step 5 ♯: Creazione (semi-automatica) della mesh dell’intero dominio facendo in modo che essa sia fitta nelle regioni in cui i campi o i gradienti sono più alti.
Step 6 ♯: Soluzione numerica del modello.
1.1.2
EFFE V2.00
Il codice EFFE, sviluppato dalla Bathwick Electrical Design Ltd (UK), è composto da due programmi [15]:
• EFFEVIEW con doppia funzione di ambiente per la creazione del modello di un sistema e programma per la visualizzazione dei risultati;
• EFFESOLVE per la soluzione numerica del modello.
EFFE possiede diverse versioni implementate che differiscono nel numero massi-mo di nodi utilizzabili nella costruzione di un massi-modello. In particolare l’estensione del programma EFFEVIEW.xx indica tale numero:
estensione.xx Numero max di nodi
20K 20.000 50K 50.000 100K 100.000 200K 200.000 500K 500.000 1M 1.000.000 5M 5.000.000
Nella soluzione delle equazioni di Maxwell, EFFE trascura il termine ∂D/∂t, consentendo la modellazione di sistemi 2D e 3D in bassa frequenza. Viene quindi risolto il sistema di equazioni di Maxwell in formulazione differenziale:
∇× E = −∂B ∂t ∇ × H = J + ✓✓ ✓ ∂D ∂t ∇ · D = ρ ∇ · B = 0
Il software è in grado di trattare un’ampia gamma di problemi (anche con accoppiamento termico), tra le quali:
• problemi 2D con incognita principale il potenziale vettore A o il campo H, per problemi a geometria cartesiana o assialsimentrica.
• Magnetostatici 2D e 3D.
• Elettrostatici 2D e 3D.
• Correnti Stazionarie 2D e 3D.
• Eddy Currents usando la rappresentazione complessa.
• Transitori con Eddy Currents prodotte da correnti o tensioni forzanti, tramite funzioni predefinite.
• Permeabilità non lineari, transitori, correnti continue o quasi stazionarie.
• Conduttori massicci con tensioni o correnti forzanti. Possono essere anche connessi a circuiti esterni.
• Conduttori in movimento tramite la trasformata di Minkowski.
• Modellazione di circuiti esterni, dipendenti dalla tensione, dal tempo e resistori dipendenti dalla posizione.
• Magneti permanenti.
• Combinazioni di mesh, utilizzando i moltiplicatori di Lagrange (per es. sta-tore e rosta-tore di una macchina elettrica, modellati su due file distinti e successivamente combinati).
I problemi con Eddy Currents in 2D possono essere sviluppati con notazione cartesiana:
• Usando il potenziale vettore A se la corrente I è solo lungo una direzione. In tal caso, la soluzione darà le due componenti di B.
• Usando il campo H se la corrente I è lungo due direzioni. In tal caso la soluzione darà una sola componente di B.
• Usando la notazione assialsimmetrica, se la corrente fluisce lungo la direzione circunferenziale.
Sebbene la modellazione di molti dispositivi possa essere ridotta ad un problema bidimensionale (variazione nulla delle grandezze lungo una direzione), EFFE rende agevole l’estensione al caso tridimensionale tramite semplici operazioni di estrusione.
La procedura seguita per la costruzione di un modello e la sua soluzione è la seguente:
Step 1 ♯: Creazione della base in 2D, discretizzando il problema reale tramite elementi triangolari o quadrilateri.
Step 2 ♯: Assegnazione della proprietà dei materiali (permeabilità magnetica, conduci-bilità elettrica, etc.).
Step 3 ♯: Definizione delle sorgenti di campo.
Step 4 ♯: Assegnazione delle condizioni al contorno.
Step 5 ♯: Definizione del tipo di problema da risolvere: 2D o 3D, cartesiano o assialsim-metrico, AC, DC o transitorio, lineare o non lineare, etc..
Step 6 ♯: Salvataggio del modello previo ”check“ per la verifica della consistenza del modello.
Step 7 ♯: Soluzione del modello mediante EFFESOLVE.
1.1.3
Differenze principali Maxwell e EFFE
Sebbene i due software FEM abbiano a comune la formulazione generale di risoluzione, essi sono completamente diversi dal punto di vista della costruzione del modello.
In particolare in EFFE la creazione della mesh è una procedura manuale che deve essere effettuata nella fase iniziale di definizione della geometria del problema da studiare. La scelta da parte degli sviluppatori del codice di non avere un ”me-shatore” automatico si basa sulla necessità di un pieno controllo del processo di discretizzazione del problema. Sebbene ciò richieda un tempo più lungo per la costruzione del modello ed una maggiore “sensibilità” e conoscenza teorica dei fenomeni elettromagnetici, la fase di soluzione è più semplice e solitamente più veloce.
Al contrario, il “meshatore“ semi-automatico di Maxwell non permette un controllo puntuale della discretizzazione, consentendo all’operatore di intervenire solo sulla dimensione massima degli elementi della mesh e sulla loro forma. In questo modo, non potendo conoscere a-priori il numero di elementi della mesh, nei problemi com-plessi 3D la fase di soluzione risulta mediamente più lunga e spesso non convergente in quanto richiede enormi risorse di memoria ram non sempre disponibili.
1.1.4
CAD-DESTEC
Il terzo software usato in questo lavoro è quello per il quale è richiesta una verifica sperimentale. Esso si basa su una formulazione integrale delle equazioni di Maxwell, riportate ad una rete equivalente. Il codice, sviluppato a partire dai primi anni ’90 dai ricercatori del gruppo di Elettrotecnica dell’Università di Pisa, è scritto in linguaggio C ed è in grado di trattare problemi elettromagnetici anche molto complessi (contatti striscianti, lanciatori elettromagnetici, etc.). Recentemente il codice è stato potenziato per l’analisi di dispositivi in movimento con più gradi di libertà [10], [11], [12].
Dal punto di vista di costruzione del modello di un sistema, anche in questo caso il procedimento è di tipo manuale. Il software riceve in ingresso la descrizione geometrica del dispositivo e ne effettua la suddivisione in volumi elementari che possono essere solo a forma di parallelepipedi e/o settori circolari. I centri geometrici di tali elementi danno luogo ai nodi di una rete elettrica costituita da bipoli connessi fra nodi adiacenti. La soluzione di tale rete avviene tramite il metodo delle correnti di maglia. Una volta ottenute le correnti nei vari rami, è possibile ottenere la descrizione dei campi magnetici e delle forze agenti sugli oggetti e quindi, integrando le equazioni del moto, ottenere il comportamento dinamico dei sistemi in esame.
Figura 1.2: Esempio di reticolo formato da parallelepipedi con i relativi centri geometrici.
Spin-Device e modellizzazione
numerica
2.1
Introduzione
Per poter testare il codice CAD-DESTEC e verificare l’effettivo funzionamento del modulo elettromeccanico con più gradi di libertà, è stato progettato un semplice sistema a levitazione magnetica. La necessità di realizzare un dispositivo in proprio è dovuta al fatto che in letteratura è molto difficile trovare dati sperimentali riguar-danti sistemi magneto-meccanici con più gradi di libertà.
Il sistema proposto, chiamato levitatore magnetico o “Spin-Device” , permette di ottenere una forza di levitazione ed una coppia resistente al moto e può essere facilmente costruito con componenti a basso costo.
2.1.1
Il Dispositivo sviluppato
Il sistema, mostrato schematicamente in figura 2.1, è costituito da un rotore magnetico posto in rotazione, con una determinata velocità angolare, sopra una piastra conduttrice.
Il moto relativo tra il rotore e la piastra determina l’insorgere di un sistema di correnti indotte (“Eddy Currents”) nel materiale conduttore; l’interazione tra le Eddy Currents ed il campo dei magneti permanenti produce una forza di repulsione
(“lift force”) tra i due sottosistemi ed una coppia frenante (“magnetic drag torque“). Queste due grandezze possono essre usate per la validazione sperimentale del modulo elettromeccanico del CAD-DESTEC.
Figura 2.1: Levitatore magnetico o “Spin-Device” .
Il rotore è formato da un array di Halbach [16] con 4 coppie di poli. Un array di Halbach è una particolare disposizione di magneti permanenti che determina un rafforzamento del campo nella parte superiore del rotore ed un forte indebolimento (valori di campo vicino allo zero) nella parte inferiore. La disposizione dei magneti in questa configurazione può essere replicata indefinitamente mantenendo invariato l’effetto.
Questa configurazione costruttiva fu scoperta da John C. Mallinson nel 1973, il quale la descrisse inizialmente come una semplice ”curiosità“, ipotizzandone comunque la sua potenziale utilità nelle tecnologie a nastro magnetico.
Nel 1980, il fisico Klaus Halbach, nel laboratorio Lawrence Berkeley National Lab, sviluppò l’array che porta il suo nome, per concentrare i fasci di particelle all’interno di un acceleratore.
Un esempio di array di Halbach è mostrato nella figura 2.2.
In figura 2.3 è riportato uno schema concettuale per la formazione di un array di Halbach a partire da una serie di magneti classici.
Figura 2.2: Esempio di Array di Halbach.
Figura 2.3: Distribuzione del campo attorno all’array.
Nelle figure 2.4a) e 2.4b) sono mostrate le mappe di campo rispettivamente per una configurazione classica di 5 magneti (magnetizzazione lungo la stessa direzione verticale) e per una configurazione ad array di Halbach.
(a) Configurazione classica (b) Array di Halbach
Figura 2.4: Mappe di campo per configurazioni di magneti permanenti.
Nel caso di disposizione su direzione circolare vi sono diverse scelte. In figura 2.5 sono mostrate tre possibili configurazioni per indirizzare il campo in diverse parti dell’array:
1. la prima prevede l’annullamento del campo al centro;
2. la seconda prevede un campo magnetico unidirezionale e rafforzato nel centro dell’array;
3. la terza, prevede la presenza di tre poli nel centro.
Il dispositivo sviluppato all’interno di questa tesi usa un array di Halbach con configurazione a 4 poli sulla circonferenza esterna.
Figura 2.5: Configurazioni di magneti in direzione circolare.
Per quanto riguarda la piastra conduttrice, essa è costituita da un classico piano di alluminio, fisso nello spazio.
Parametri Spin-Device Outer radius 5.4 cm Inner radius 3.9 cm Track thickness 4 mm Track conductivity 37 × 106 S Air Gap [1 ÷ 10] mm Pole pairs 4 Magnet width 1.5 cm
Magnet Residual Flux Density 1.17 T Magnet Relative Permeability 1.083
Le simulazioni con il CAD-DESTEC sono state effettuate in due diversi modi:
1. posizionando il rotore sopra la piastra ad una distanza (gap) tra la superficie inferiore dei magneti e la superficie superiore dell’alluminio pari a 10 mm. Il sistema di magneti è poi messo in rotazione ad una velocità angolare di 314 rad/s e lasciato libero di ruotare fino al suo completo arresto. Durante il moto, infatti, a causa della ”magnetic drag torque“, la velocità angolare del rotore diminuisce riducendo le correnti indotte e quindi la forza di levitazione, fino a quando il sistema di magneti entra in contatto con la piastra.
2. posizionando il rotore sopra la piastra con un gap compreso tra 1 mm e 10 mm e mettendo in rotazione il sistema di magneti a diverse velocità (costanti).
I due codici FEM, invece, avendo un solo grado di libertà per le parti in movi-mento, sono stati utilizzati per il dimensionamento di massima del sistema e per una verifica preliminare dei risultati ottenuti con il codice da testare. Le simulazioni FEM quindi sono state effettuate mantenendo il rotore a velocità costante con diversi valori di gap nel range indicato ed i risultati sono stati confrontati sia con i dati sperimentali, sia con le simulazioni del CAD-DESTEC nelle stesse condizioni.
Nei paragrafi che seguono sono descritte le fasi di modellizzazione del dispositivo tramite i 3 codici numerici.
2.2
Costruzione del modello numerico del
disposi-tivo con i tre codici di calcolo.
2.2.1
Modello EFFE
Il codice EFFE può creare strutture 3D tramite estrusione di una sezione piana (”base“) ottenuta dalla composizione di elementi di forma triangolare o quadrilatera.
La base è definita dall’utente tramite l’indicazione della posizione dei nodi della mesh con riferimento alla geometria del problema da analizzare. L’estrusione per ottenere un oggetto 3D può essere effettuata lungo una retta od una circonferenza. Nel caso di estrusione lungo una retta l’oggetto tridimensionale si sviluppa nello spazio attraverso una successione di piani paralleli alla base (”livelli“) e distanziati in modo opportuno. Nel caso in cui il solido abbia simmetria rotazionale, invece, la geometria completa si ottiene facendo ruotare la base attorno all’asse di rotazione. In entrambi i casi, la distanza tra i diversi piani dell’estrusione coincide con le dimensioni della mesh lungo la terza direzione.
La distribuzione dei nodi della mesh di base, nonchè la distanza tra i vari livelli della mesh 3D è un operazione manuale svolta dall’utente e deve tenere conto dell’andamento presunto dei campi nel sistema.
A differenza di altri codici FEM (come Maxwell o Magnet Infolytica) l’operato-re che usa EFFE deve avel’operato-re un bagaglio culturale l’operato-relativo all’analisi dei campi elettromagnetici più ampio in modo da individuare preliminarmente le zone in cui è richiesta una discretizzazione più accurata. Per ottenere risultati accettabili la mesh deve essere più fitta nelle regioni in cui la variazione delle grandezze in gioco è più elevata.
In EFFE, i sottosistemi di problemi con movimento relativo devono essere model-lati separatamente e combinati attraverso un apposito comando che permette di collegare le variabili sulla superficie usata per unire i due sottomodelli. In questo modo è possibile impostare la rotazione o traslazione di uno dei due sottosistemi rispetto all’altro (nel dispositivo studiato, il sistema di magneti ruota rispetto alla piastra di alluminio ferma nello spazio).
Seguendo il procedimento indicato, è stata costruita la mesh di base dell’array di Halbach e quella della piastra di alluminio, così come mostrato nelle figure 2.6, 2.7, 2.8 e 2.9.
Per il sistema di magneti permanenti la mesh è uniforme lungo la direzione circum-ferenziale mentre, lungo la direzione radiale, essa è più fitta nella regione occupata dai magneti e più rada nelle zone distanti dal centro.
Figura 2.6: Mesh di base del sistema di magneti permanenti.
Per quanto riguarda invece la piastra di materiale conduttore, particolare attenzione è stata rivolta alla costruzione della mesh nella regione corrispondente alla posizione dei magneti. In queste zone, infatti, sia ha la maggiore variazione della distribuzione delle correnti indotte nell’alluminio.
Figura 2.8: Mesh di base della piastra di allumino.
Come si può notare dalle figure precedenti, la discretizzazione dello spazio circostante i due sottosistemi è stata estesa ben oltre le dimensioni radiali di questi ultimi. La ragione, già descritta nel capitolo precedente, risiede nel fatto che i campi magnetici si estendono all’infinito e, pertanto, il modello FEM descrittivo deve essere ampliato fino a grande distanza dai componenti attivi del sistema. Nella pratica dell’uso dei codici FEM è necessario includere nel modello un volume di aria pari a circa 4 o 5 volte il volume dei dispositivi da analizzare. I bordi esterni del volume complessivo sono detti ”muro magnetico“ e contengono i nodi cui imporre le condizioni al contorno (di solito campo magnetico nullo).
Una volta creati i piani di base dei due sottosistemi, si può realizzare il modello 3D tramite l’estrusione lungo la direzione verticale (asse z). L’estrusione dei due piani base per ottenere i due sottomodelli è riportata nelle figure 2.10 e 2.11.
Il numero di livelli nonchè la distanza tra di essi è definita dall’utente sulla base di considerazioni riguardanti la posizione del muro magnetico e le regioni di maggiore variazione delle grandezze in gioco.
In figura 2.12 è messa in evidenza la distribuzione della mesh nella direzione z; come si può notare, essa è più fitta nel gap e nella parte di piastra conduttrice più vicina ai magneti permanenti, dove le grandezze assumono valori più elevati.
Infine, nella figura 2.13 è mostrato il modello FEM completo del dispositivo costruito con il codice EFFE, e nella figura2.14 è riportato un ingrandimento della regione centrale del levitatore magnetico con in evidenza la distribuzione della mesh nel sistema di magneti permanenti e nella piastra di alluminio (per ragioni di leggibilità in tutte le figura non è mostrata la mesh delle parti in aria).
Il modello completo è stato ottenuto combinando i due sottosistemi di figura 2.10 e2.11. La superficie di Lagrange usata per unire le due parti è quella passante per la mezzeria del gap ed è ortogonale alla direzione ”z“.
Figura 2.10: Vista 3D del sottosistema magneti permanenti.
Figura 2.11: Vista 3D del sottosistema piastra di alluminio.
Figura 2.13: Vista 3D completa del modello in EFFE.
Al termine di questo processo si ottiene un reticolo tridimensionale, costituito essenzialmente da elementi aventi la forma di parallelepipedi e/o settori circolari. Il modello deve essere completato con le informazioni relative alle caratteristiche fisiche dei materiali del sistema reale. Allo scopo alcuni insiemi di elementi dovranno essere opportunamente etichettati in modo che il risolutore individui univocamente le regioni con le diverse caratteristiche (magneti permanenti, aria, alluminio). Il procedimento consiste nell’assegnare un numero identificativo agli elementi che rappresentano lo stesso materiale e nell’inserire all’interno di una tabella i parametri fisici quali per esempio la permeabilità magnetica relativa, la conducibilità elettrica, il vettore di magnetizzazione, etc..
In figura 2.15 è mostrato uno ”snapshot“ del comando usato; in figura 2.16 è riportata la direzione di magnetizzazione per i vari magneti nella configurazione array di Halbach.
Figura 2.15: Comando EFFE per l’attribuzione delle caratteristiche dei materiali.
Una volta attribuite alle varie regioni le caratteristiche dei materiali è necessario assegnare le condizioni ai bordi che, nel caso in esame si riducono alla imposizione che il campo magnetico sia nullo nei nodi posizionati sul ”muro magnetico”. Infine è necessario specificare le grandezze relative al movimento. In particolare si impone che il sistema dei magneti permanenti ruoti a velocità costante intorno all’asse verticale del sistema e che la piastra di alluminio rimanga ferma nello spazio. Inoltre è necessario definire l’intervallo di tempo per la simulazione ed il “time step” per la discretizzazione temporale. Dal punto di vista del calcolo delle forze e delle coppie, queste vengono integrate automaticamente da EFFE sulla superficie di Lagrange usata per accoppiare le mesh dei due sottosistemi.
Il modello completo, con le diverse configurazioni in termini di gap, viene risolto numericamente tramite il programma EFFESOLVE ed i risultati sono analizzati e visualizzati successivamente con il programma EFFEVIEW.
2.2.2
Modello Maxwell
L’approccio utilizzato da Maxwell per la costruzione del modello è molto diverso rispetto a quanto fatto con EFFE. In particolare la fase di discretizzazione, che in EFFE è contestuale alla definizione geometrica del problema, in Maxwell avviene automaticamente nella fase di soluzione sfruttando le primitive geometriche del dispositivo, disegnate direttamente tramite l’interfaccia grafica del codice o tramite l’importazione da programmi specifici di disegno (AUTOCAD, CREO, etc.). L’unica accortezza da avere, dopo la creazione/importazione delle primitive del dispositivo, è quella di suddividere il volume esterno al sistema in “box” di dimensioni crescenti in modo da poter controllare le dimensioni massime della mesh come sarà descritto successivamente. In ogni caso, la fase di costruzione della mesh è un’operazione molto semplice ed è effettuata in maniera automatica e direttamente sul solido 3D da un tool specifico di Maxwell.
In figura 2.17 è mostrata la suddivisione in diversi “box” del sistema da analizzare.
Figura 2.17: Primitive del solido e suddivisione del volume in diversi “box”.
Nelle figure 2.18, 2.19, 2.20 e 2.21 sono mostrate le mesh 3D (iniziali) delle varie parti del sistema (magneti permanenti, piastra di alluminio, box di aria, etc.). La mesh costruita al primo passo dal tool di Maxwell può essere resa più fitta in maniera automatica e ricorsiva dal risolutore se l’errore sulle grandezze è maggiore di una soglia che può essere scelta dall’utente (di solito si prende la soglia di default
del solutore). La creazione della mesh e l’eventuale operazione di modifica in funzione dell’errore avviene durante la fase di soluzione del modello.
Figura 2.18: Mesh 3D iniziale del sistema di magneti permanenti.
Figura 2.19: Mesh 3D iniziale della piastra di alluminio.
Definita la geometria complessiva del problema, è necessario introdurre le caratteristiche del materiale di cui è composto .
Al contrario del codice EFFE, Maxwell mette a disposizione una serie di librerie, continuamente aggiornate, contenenti le principali caratteristiche dei materiali più diffusi (materiali conduttori, ferromagnetici, magneti permanenti, etc.).
Figura 2.20: Mesh 3D iniziale del sistema comprensivo del primo “box”.
Figura 2.21: Mesh 3D iniziale del sistema completo.
Per specificare le componenti del moto, nel codice Maxwell è necessario separa-re fisicamente gli oggetti stazionari da quelli in movimento, racchiudendo questi ultimi all’interno di una superficie chiusa, chiamata “Band”, alla quale applicare le condizione definite dalla tipologia di moto (traslatorio, rotatorio, etc.).
Sul “box” più esterno (muro magnetico) vengono, infine, assegnate le apposite condizioni al contorno.
Un maggior dettaglio di descrizione è opportuno per la parte di realizzazione della mesh. Come anticipato, in Maxwell questa operazione è pressochè automatica. Infatti, una volta fissate alcune condizioni riguardanti l’entità dell’errore voluto, le dimensioni massime che un elemento può assumere all’interno di una certa regione,e la forma dell’elemento (tetraedo, esaedro, etc.), il software gestisce automaticamente la posizione dei nodi della mesh e provvede a raffinare la discretizzazione secondo una propria logica interna volta a raggiungere il livello di precisione globale richiesto (cfr. figure 2.22 e 2.23).
Questo processo di miglioramento della mesh può essere efficacemente utilizzato per migliorare la soluzione di problemi statici.
Nelle soluzioni di tipo transitorio invece, questo processo di convergenza non può essere utilizzato; è possibile però importare la mesh usata nella soluzione statica.
Ovviamente la definizione dei parametri relativi alla mesh influenza notevolmente il risultato finale. In questo senso, i parametri che si possono modificare sono:
1. Maximum Number of Passes: è possibile modificare il numero di passi entro i quali il codice di calcolo imposta la mesh e la rende più fitta. In pratica, il processo di risoluzione è iterativo, ed ogni passo viene effettuato un controllo sull’errore nelle sotto-regioni e, nel caso esso superi la soglia stabilita, la mesh viene infittita per ottenere una maggiore accuratezza nella soluzione.
2. Percent Error: è la soglia di errore (percentuale) in termini di energia globale che il software deve raggiungere entro il numero di passaggi consentiti. Quando l’errore scende sotto la soglia il processo di soluzione termina.
Altri parametri riguardanti il processo di soluzione sono:
• Refinement Per Pass: è possibile impostare il numero di elementi che il software può immettere in corrispondenza di ogni passo.
• Minimum Number of Passes: definisce il numero minimo di passi nei quali il sistema viene risolto, indipendentemente dalla accuratezza della soluzione calcolata dopo la soluzione iniziale.
• Minimum Converged Passes: definisce il numero minimo di passi per la convergenza prima che la soluzione sia fermata.
Infine, a titolo di esempio, nelle figure 2.22 e 2.23 si riportano le mesh del modello completo create rispettivamente al primo passo ed al passo finale della soluzione statica del problema.
Figura 2.22: Mesh 3D del sistema completo al primo passo della soluzione.
Oltre alle differenze relative alla costruzione del modello, già menzionate nel paragrafo 1.1.3ed ulteriormente dettagliate nei paragrafi 2.2.1e 2.2.2, i due codici FEM usati si comportano in maniera diversa anche nella fase di soluzione. In particolare, la piena controllabilità nella costruzione della mesh in EFFE permette di ridurre in maniera consistente i tempi di calcolo del solutore. Al contrario, con Maxwell il numero dei nodi della mesh può crescere notevolmente nella fase di ridefinizione automatica della mesh, comportando tempi di calcolo molto lunghi e, in alcuni casi (gap piccoli) l’impossibilità di ottenere ad una soluzione per l’eccessiva richiesta di risorse di memoria.
2.2.3
Modello CAD-DESTEC
Per l’implementazione del modello all’interno di questo codice di calcolo, si usa una procedura molto simile a quella di EFFE. Infatti, la prima operazione da fare, per definire la geometria del modello è quella di inserire manualmente le coordinate dei vertici delle figure che si vuole rappresentare. Tali punti sono poi raccordati da una serie di nodi (con numero e distanza variabile a seconda di quanto stabilito dall’utente) e successivamente collegati in maniera automatica dal software, al fine di suddividere l’oggetto in questione in un numero finito di parallelepipedi e/o settori circolari.
Il passo successivo, processo svolto automaticamente dal codice, è quello di determinare i baricentri dei singoli elementi e di collegarli tra di loro a partire dagli elementi confinanti con lo scopo di creare l’albero della rete equivalente.
Questo processo scompone l’oggetto da analizzare in una serie di maglie composte da rami la cui forma è descritta in AppendiceA. La soluzione della rete elettrica equivalente permette di ottenere le grandezze elettromagnetiche di interesse.
Nelle figure da 2.24 a 2.28 è riportato il modello del levitatore magnetico co-struito con il codice CAD-DESTEC.
Come si può notare, la discretizzazione è limitata alle sole parti attive (magneti permanenti e piastra conduttrice) e non interessa i volumi di aria compresi tra le stesse. Inoltre, non è necessario posizionare un “muro magnetico” esterno al dispositivo in quanto le condizioni al contorno sono automaticamente soddisfatte dalla formulazione integrale usata dal codice.
Figura 2.24: Modello CAD-DESTEC del sistema di magneti permanenti.
Figura 2.25: Modello CAD-DESTEC della piastra conduttrice.
Figura 2.27: Modello completo con mesh più rada.
2.3
Risultati delle simulazioni
2.3.1
Codice Maxwell
Nelle figure 2.29,2.30, 2.31,2.32 e 2.33, sono riportate le mappe dell’induzione magnetica, i vettori di campo e la mappa della densità di corrente, ottenuti con il codice Maxwell.
Figura 2.29: Mappa dell’induzione magnetica B nel sistema (N = 3000 rpm e gap = 3 mm).
Figura 2.31: Vettore dell’induzione magnetica B (come in fig. 2.29)
Figura 2.32: Vettore dell’induzione magnetica B e relativa mappa (come in fig. 2.29).
2.3.2
Codice EFFE
Nelle figure 2.34, 2.35, 2.36, 2.37, 2.38e 2.39 sono riportate le mappe dell’indu-zione magnetica, i vettori di campo e la mappa della densità di corrente, ottenuti con il codice EFFE.
Figura 2.34: Mappa dell’induzione magnetica B nel sistema (N = 3000 rpm e gap = 4 mm).
Figura 2.36: Mappa della densità di corrente indotta sulla piastra di alluminio.
Figura 2.37: Particolare della mappa della densità di corrente indotta sulla piastra di alluminio.
Figura 2.38: Mappa della densità di corrente indotta sulla piastra di alluminio (piano xz).
2.3.3
Codice CAD-DESTEC
Il codice CAD-DESTEC non ha a disposizione un’interfaccia grafica in grado di visualizzare in maniera semplice i risultati in termini di mappe di campo. I valori delle forze e delle coppie, simulati nelle stesse condizioni dei due codici FEM (velocità costanti per diversi valori del gap) saranno riportati direttamente nel
capitolo 5, insieme al confronto con i dati sperimentali.
Di seguito, invece, si riportano i risultati delle simulazioni ottenute posizionando il rotore sopra la piastra ad una distanza (gap) tra la superficie inferiore dei magneti e la superficie superiore dell’alluminio pari a 10 mm. Il sistema di magneti è poi messo in rotazione ad una velocità angolare di 314 rad/s e lasciato libero di ruotare fino al suo completo arresto. Queste simulazioni non sono state verificate sperimentalmente in quanto richiedono un setup sperimentale molto più complesso di quello a disposizione.
Durante il moto, a causa della ”magnetic drag torque“, la velocità angolare del rotore diminuisce riducendo le correnti indotte e quindi la forza di levitazione, fino a quando il sistema di magneti entra in contatto con la piastra.
Per i primi 10 ms della simulazione, il dispositivo è bloccato in direzione Z ma può ruotare con velocità angolare costante, in modo da consentire alla corrente di completare il transitorio elettrico. La forza ottenuta è mostrata in figura 2.40.
Dopo questo transitorio, il dispositivo è stato lasciato libero di muoversi nello spazio senza vincoli (6 gradi di libertà). La figura 2.41 mostra la velocità angolare attorno all’asse z.
Figura 2.41: Forza iniziale di sollevamento con il rotore bloccato sull’asse z
L’andamento completo della forza verticale è mostrato in figura 2.42.
Figura 2.42: Induzione magnetica nel dispositivo....
I valori delle forza nelle ultime fasi della simulazione perdono di significato in quanto il rotore entra in contatto con il piano conduttore.
Il banco prova
In questo capitolo sono descritte le fasi relative alla costruzione del prototipo di levitatore magnetico e del banco prova per le prove sperimentali. Questa parte di attività è stata svolta presso i laboratori di Ingegneria Meccanica dell’Università Carlos III di Madrid, in collaborazione con un gruppo di ricerca spagnolo.
Presso gli stessi laboratori sono stati effettuati una serie di test sperimentali in diverse condizioni di funzionamento.
3.0.4
Descrizione del Setup Sperimentale
Il sistema di magneti permanenti
Il rotore è composto da 16 magneti permanenti al Neodimio-Ferro-Boro (NdFeB) a forma di cubo con dimensioni 15 × 15 × 15 mm.
I magneti, le cui caratteristiche sono riportate in tabella 3.0.4, sono disposti su un anello di raggio (interno) pari a 39 mm e raggio esterno 54 mm.
Caratteristiche dei magneti permanenti
Dimensioni 15 × 15 × 15 mm
Induzione residua Br 1.17 T
Campo coercitivo Hc 860 kA/m
Per fissare i magneti è stato costruito un supporto polimerico tramite stampa 3D; sul pezzo cilindrico (raggio esterno pari a 65 mm ed altezza di 100 mm), sono state create delle cave di forma cubica entro cui alloggiare i magneti. Particolare attenzione è stata posta alla identificazione della direzione di magnetizzazione dei magneti e la successiva disposizione in array di Halbach. Allo scopo, i magneti sono stati marcati con un pennarello, individuando la direzione di magnetizzazione primaria tramite un gaussimetro. Successivamente sono stati “incastonati“ ed incollati nelle cave del supporto seguendo il senso ciclico dell’array di Halbach. In figura 3.1 è riportata una immagine del supporto completo dei magneti.
Figura 3.1: Rotore con supporto polimerico.
Piastra di materiale conduttore
La piastra di alluminio usata nel banco prova ha dimensioni 40 × 30 cm ed è spessa 4 mm. Essa è disposta ortogonalmente all’asse di rotazione dei magneti ed è fissata su un supporto mobile per la regolazione della distanza rispetto al rotore.
Figura 3.2: Immagini del sistema rotore/piastra.
Motore Elettrico
Per la rotazione dei magneti permanenti è stato usato un Motore Asincrono Trifase ”Techtop“ da 3 kW , servizio S3.
Esso presenta le seguenti caratteristiche costruttive:
• rotore a gabbia di scoiattolo;
• carcassa di tipo chiuso;
• autoventilazione, con ventola in nylon e calotta copri ventola in lamiera;
• carcassa, scatola morsettiera, flange e scudi sono realizzati in fusione di alluminio;
• possibilità di montaggio in verticale;
In figura 3.3è riportata un’immagine del motore con la relativa targa identifica-tiva. In figura 3.4, invece, sono riportati i principali dati del motore.
Figura 3.3: Motore Asincrono Trifase ”Techtop“.
Figura 3.4: Principali dati del motore.
Tensione di Alimentazione. I motori ”Techtop“ della serie M S sono co-struiti per essere alimentati con tensioni nominali di fase a partire da 220 V a 50 Hz (in realtà è anche possibile il funzionamento con frequenza di 60 Hz). Per la connessione degli avvolgimenti si fa uso della morsettiera, collegando oppor-tunamente le fasi (a triangolo o a stella) in maniera tale da ottenere le prestazioni richieste.
Il collegamento a triangolo si effettua quando la tensione della linea di alimen-tazione corrisponde al valore della tensione minore fra quelli indicati dai dati di targa. Il collegamento a stella, invece si effettua quando la tensione della linea di alimentazione è pari al valore di tensione maggiore fra i due indicati nei dati di targa del motore.
Nel caso in esame, l’assenza di una fonte di alimentazione trifase nonchè la necessità di controllo della velocità del motore, ha richiesto l’uso di un inverter con gli avvolgimenti statorici collegati a triangolo, così come mostrato in figura 3.5.
Figura 3.5: Collegamento delle fasi statoriche del motore.
Inverter. Il convertitore utilizzato per il controllo di velocità del motore è un inverter di tipo PWM Commander SK della Control Techniques [[?]??].
Esso usa una strategia di controllo vettoriale ad anello aperto per mantenere il flusso quasi costante nel motore regolando dinamicamente la tensione di alimentazione in funzione del carico sul motore. La corrente alternata viene raddrizzata attraverso un ponte raddrizzatore con condensatori di condensatori di livellamento in modo da avere in uscita una tensione continua il più possibile costante. Un ponte trifase ad IGBT permette di ottenere in uscita una tensione alternata a frequenza variabile.
In figura3.6è riportata un’immagine dell’inverter, mentre in figura3.7è mostrato lo schema elettrico usato per la connessione del convertitore al motore.
Per facilitare le operazioni regolazione del motore è stato usato un piccolo apparecchio (cfr. figura 3.8), con il quale, oltre ad avviare ed arrestare il motore, si poteva cambiare il senso di rotazione e controllare la velocità.
Figura 3.6: Inverter PWM Commander SK.
Figura 3.7: schema elettrico dei collegamenti.
Dispositivi di misura. Per misurare le interazioni tra i due sottosistemi, sono stati inseriti due trasduttori per la rilevazione delle grandezze meccaniche (forze, coppie e velocità).
Tra il sistema di magneti e il motore asincrono è stato interposto un torsiometro DATAFLEX, mostrato in figura 3.9, con lo scopo di misurare la coppia che viene scambiata tra i magneti e la piastra. Il torsiometro è in grado di rilevare anche la velocità dell’asse del sistema.
Figura 3.9: Torsiometro DATAFLEX.
Tale torsiometro usa un metodo di misurazione di tipo fotometrico basato sul passaggio di un raggio di luce attraverso due dischi. La quantità di luce che passa attraverso le finestre di uno dei due dischi varia in modo direttamente proporzionale alla coppia applicata. Ogni disco presenta un certo numero di finestre poste lungo la periferia; nel momento in cui l’albero viene posto in rotazione, la coppia applicata produce uno spostamento relativo tra i due dischi.
I dischi sono illuminati da un lato con una matrice circolare di luci multiple e dall’al-tro sono posizionati appositi sensori per misurare la quantità di luce trasmessa. La sorgente luminosa è costituita da più diodi emettitori di luce (LED) a lunga durata. Al fine di fornire una misurazione della coppia sia negativa che positiva, i dischi sono allineati in modo che metà della luce attraversi le finestre nella condizione di coppia nulla.
In figura 3.10è mostrato uno schema di principio del sistema fotometrico usato dal torsiometro.
Figura 3.10: Schema di principio del sistema fotometrico usato dal torsiometro
Tutti i componenti elettrici, compresa la sorgente luminosa, sono fissati rigida-mente e non prendono parte alla rotazione; inoltre, la disposizione di una seconda serie di finestre sulla circonferenza esterna dei dischi di codice permette di fornire un segnale proporzionale alla velocità di rotazione dell’albero.
Questo sistema permette pertanto di avere una precisione nel rilevamento dei valori di misurazione con una larghezza di banda superiore ai 15 kHz ed è perciò in grado di fornire, in modo preciso e continuo, anche andamenti della coppia ad elevata dinamica, come per esempio all’avviamento di un motore.
I valori analogici in uscita sono disponibili contemporaneamente sotto forma di tensione o di corrente. Il segnale di uscita può essere facilmente letto con un semplice tester oppure con un oscilloscopio.
La casa costruttrice fornisce un sistema di acquisizione dati specifico (inter-faccia DATAFLEX Connection Kit, cfr. figura 3.11), il quale, combinato con il DATAFLEX Torque Measuring permette di avere un sistema semplice e flessibile per gestire la fase di rilevazione dati. Tale interfaccia è composta da 12 terminali, di cui due relativi all’alimentazione dell’apparecchio. Il segnale della coppia viene visualizzato in termini di tensione nel range [−10 ÷ +10] V .
Affinché il torsiometro funzioni correttamente è necessario alimentare l’interfaccia DATFLEX in tensione continua. A tale scopo, è stato utilizzato l’alimentatore Velleman PS613 (cfr. figura3.12), il quale presenta una uscita di tensione regolabile da 0 a 30 V DC con corrente che può variare tra 0 e 2 A.
Inoltre è dotato di ulteriori due uscite separate a tensione fissa 5 o 12 V in DC; display digitale per tensione e corrente e sistema di protezione contro il corto circuito e sovraccarico per tutte le uscite.
Figura 3.11: Interfaccia DATAFLEX Connection Kit per acquisizione dati.
Figura 3.12: Alimentatore Velleman PS613
Con riferimento ai terminali di figura 3.11 si ha:
Tensione di Alimentazione 24V (No 10 e 11). La tensione di
alimenta-zione è 24 V ±4 V in continua. La corrente massima assorbita è di 100 mA.
Segnale relativo alla Coppia M-U (No 4 e 5). La tensione in uscita da
questi due morsetti è proporzionale alla coppia, con valori di tensione compresi nel range [−10 ÷ +10] V con relazione lineare tra tensione e coppia:
Filtro passa-basso (No 15). Il segnale della coppia può essere filtrato
atti-vando un filtro passa-basso il cui valore di frequenza limite può essere cambiato variando il commutatore DIP.
Figura 3.13: Relazione tensione-coppia
Figura 3.14: Attivazione filtro passa-basso.
Segnale di Velocità N1, N2, N-U, R/L (No 1, 3, 7, 9). Il dispositivo
contiene 4 connessioni per avere in uscita il segnale di velocità:
• Due segnali onda quadra sfasati tra loro di 90 gradi (N1 e N2);
• Una tensione in uscita (N-U) con il segnale di direzione (R/L);
Figura 3.15: Impostazioni sul segnale di velocità.
Outputs N1 ed N2. Ogni output di velocità N1 ed N2 è composto da un segnale ad onda quadra con una risoluzione di 360 periodi per una rivoluzione.
Figura 3.16: Segnale ad onda quadra per output di velocità.
La velocità è quindi: N [rpm] = f [Hz]/6.
I canali relativi ai segnali di velocità N1 e N2 hanno uno sfasamento di 90 gradi. L’anticipo o il ritardo dipende dal verso di rotazione.
Figura 3.17: Sfasamento dei segnali e verso di rotazione.
Output circuit (connessione di N1 ed N2). I segnali di velocità N1 ed N2 forniscono un onda quadra di tensione con un ampiezza di 24V ed una corrente massima di 20mA.
Figura 3.18: Circuito di uscita per i segnali di velocità.
Output N-U ed R/L. Il DF02 contiene un convertitore integrato f/U. Se si convertono gli impulsi dell’encoder in un’uscita di tensione lineare (terminali N-U) si produce un segnale aggiuntivo per la direzione di rotazione (terminale R/L). Mediante la posizione degli interruttori disposti sul lato inferiore del DF02 può essere adattata la scala per il segnale in uscita.
Figura 3.19: Interruttori DF02.
La tabella riportata di seguito mostra la relazione tra la disposizione degli interruttori e la corrispondente scala.
La tensione di uscita, che varia da 0 a 10 V , è direttamente proporzionale al range di velocità tra 0 e la velocità massima.
Figura 3.20: Output N-U.
Nella figura sottostante invece viene riportato il segnale (R/L) di uscita che mostra la direzione di rotazione
Figura 3.21: Direzione di rotazione.
Pulsanti di controllo e LED (dal No 12 al 14 e figura 16). La scatola
di collegamento DF02 contiene pulsanti di controllo e LED per le operazioni di compensazione dell’offset e per i test sui sensori. Per ragioni di protezione del sensore i test possono essere eseguiti solo nei primi 15 s dopo l’accensione. L’azzeramento del dispositivo può avvenire dopo un periodo di almeno 15 s dall’accensione. Il termine del periodo di 15 s viene segnalato da un breve lampeggio dei LED.
Operazioni Automatiche di Aggiustamento. Se il pulsante T1 viene pre-muto per un tempo di 2 secondi, l’uscita del segnale della coppia è automaticamente settata a 0 V . Questa procedura viene attuata a prescindere del valore di coppia che il sistema presenta. La procedura di azzeramento è confermata da un veloce lampeggio del LED L1. Una volta effettuato l’azzeramento, il dispositivo di misura presenterà come punto iniziale il valore zero e, quindi, sarà pronto a effettuare nuove misure.
Figura 3.23: Procedura di azzeramento.
Sensor Test. Durante i primi 15 secondi dopo l’accensione del sensore di coppia può essere ispezionata l’operatività. Infatti, tenendo premuto il pulsante T2 per un tempo di 2 secondi il segnale di tensione, proporzionale al valore di coppia, verrà incrementato di una quantità approssimativamente di 4 V per un periodo di 4 secondi.
Dal punto di vista meccanico, il torsiometro DATAFLEX è connesso al sistema tramite due giunti RADEX-NC EK (cfr. figura 3.25), composti da un pacco di lamelle in acciaio, torsionalmente rigide e flessibili. Grazie ad una speciale struttura della lamelle, i disallineamenti producono forze di reazione modeste.
Figura 3.25: Giunti di collegamento tra il torsiometri e gli alberi del sistema.
Poichè il giunto RADEX-NC è completamente metallico – le lamine sono in acciaio inossidabile – esso può essere utilizzato per temperature di esercizio sino ai 200o C ed in ambienti caratterizzati da sostanze aggressive. Tali giunti sono in grado
di compensare disallineamenti assiali, angolari e, il tipo DK, anche disallineamenti radiali con forze di reazione di modesta entità. La durata delle parti di collegamento (per esempio cuscinetti) ne risulta di conseguenza incrementata.
Figura 3.26: Compensazione disallineamenti angolari e assiali.
I mozzi sono in esecuzione con bloccaggio a morsetto, prodotti in lega di al-luminio, e sono esenti da gioco, anche in caso di funzionamento con inversioni. I momenti d’inerzia sono ridotti con notevole giovamento sulle caratteristiche dinami-che dell’intero sistema.
3.0.5
Strain Gauge
Per misurare la forza di levitazione che agisce sulla piastra di alluminio, è stato utilizzato uno Strain Gauge ”SENEL SX-1“ (cfr. figura 3.27).
Figura 3.27: Strain Gauge per la misura della forza di levitazione.
Lo Strain Gauge è un trasduttore passivo che viene adoperato per la misura delle deformazioni di un qualsiasi organo meccanico. Il principio di funzionamento, ben noto, si basa sulla variazione di resistenza elettrica di un conduttore con il variare delle sue dimensioni, prodotte da una forza che agisce sul conduttore stesso. Le caratteristiche principali dello Strain Gauge ”SENEL SX-1“ sono riportate in figura 3.28.
Nel caso in esame, la cella di carico è stata montata e resa solidale con la base inferiore della piastra di alluminio così come mostrato in figura 3.29.
Figura 3.29: Connessione Strain Gauge/piastra di alluminio.
Per rendere visibili le grandezze in uscita dallo Strain Gauge, è stato utilizzato il visualizzatore ”VBASIC“ della SENEL Technologies S.A. (cfr. figura3.30). Il display oltre a visualizzare i valori della forza è in grado di effettuare anche operazioni di media tra diverse misure. Questa opzione permette di ottenere una misura più precisa della forza di levitazione rilevata dallo Strain Gauge.
3.0.6
Il banco prova completo
Gli elementi descritti nei paragrafi precedenti sono stati assemblati per formare il banco prova completo. Nelle figure3.31 e 3.32 sono riportate alcune immagini della fase di assemblaggio e del banco nella configurazione definitiva. Il sistema è stato montato utilizzando un insieme di profili strutturali di alluminio.
Prove sperimentali, risultati e
confronti
I test sperimentali sul banco prova descritto nel capitolo precedente, sono stati effettuati nel mese di Maggio 2014. In figura 4.1è mostrata una fotografia scattata durante una fase dei test.
Figura 4.1: Prove sperimentali.
Il banco prova è stato inizialmente sottoposto a diversi test per effettuare la taratura degli strumenti di misura. Al termine di tale fase, si è proceduto alle
prove sul dispositivo progettato e costruito. Tali prove sono state ripetute più volte per verificare la ripetibilità delle stesse e per ridurre al minimo gli errori nella predisposizione delle diverse configurazioni a varie velocità e gap.
Nelle figure che seguono sono riportati i principali risultati ed il confronto con i dati delle simulazioni con i diversi codici numerici.
20 0 40 0 60 0 80 0 10 00 12 00 14 00 16 00 18 00 20 00 22 00 24 00 26 00 28 00 30 00 0 20 40 60 80 velocità di rotazione [rpm] F orza d i lev itazion e [N ] gap=1 mm gap=2 mm gap=4 mm gap=6 mm gap=8 mm gap=10 mm
Figura 4.2: Forza di levitazione in funzione della velocità di rotazione al variare del gap.
20 0 40 0 60 0 80 0 10 00 12 00 14 00 16 00 18 00 20 00 22 00 24 00 26 00 28 00 30 00 −4 −3 −2 −1 0 velocità di rotazione [rpm] Cop p ia [N m] gap=1 mm gap=2 mm gap=4 mm gap=6 mm gap=8 mm gap=10 mm
20 0 40 0 60 0 80 0 10 00 12 00 14 00 16 00 18 00 20 00 22 00 24 00 26 00 28 00 30 00 0 20 40 60 velocità di rotazione [rpm] F orza d i lev itazion e [N ] Maxwell EFFE CAD-DESTEC misure±10% 2400 2600 2800 3000 40 45 50 55
Figura 4.4: Confronto della forza di levitazione, misurata e simulata, in funzione della velocità di rotazione con gap=2mm.
20 0 40 0 60 0 80 0 10 00 12 00 14 00 16 00 18 00 20 00 22 00 24 00 26 00 28 00 30 00 −4 −3 −2 −1 0 velocità di rotazione [rpm] Cop p ia [N m] Maxwell EFFE CAD-DESTEC misure±10% 2400 2600 2800 3000 −2,4 −2,2 −2 −1,8 −1,6
Figura 4.5: Confronto della coppia, misurata e simulata, in funzione della velocità di rotazione con gap=2mm.
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 0 20 40 60 80 gap [mm] F orza d i lev itazion e [N ] Maxwell EFFE CAD-DESTEC misure±10%
Figura 4.6: Confronto della forza di levitazione, misurata e simulata, in funzione del gap con velocità di rotazione pari a 3000 rpm.
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 −4 −3 −2 −1 0 gap [mm] Cop p ia [N m] Maxwell EFFE CAD-DESTEC misure±10%
Figura 4.7: Confronto della coppia, misurata e simulata, in funzione del gap con velocità di rotazione pari a 3000 rpm.
Dai confronti effettuati tra i valori di forza misurati ed i valori simulati si evince che l’errore percentuale si mantiene quasi sempre al di sotto del 10% (le linee verticali rappresentano il ±10% delle misure) per tutti i codici numerici usati.
Il maggiore scostamento si ha per il codice Maxwell soprattutto quando il gap inizia a scendere al di sotto dei 3 mm. Tale comportamento sembra essere dovuto al processo iterativo usato da Maxwell per costruzione della mesh e per la soluzione del modello (cfr. paragrafo 2.2.2). Infatti, ai bassi valori di gap è stato necessario aumentare il vincolo sull’errore accettabile nella soluzione, per evitare che il solu-tore incrementasse la mesh fino al blocco del processo per problemi di ram sul pc utilizzato.
Particolare interesse suscita il fatto che le simulazioni con il codice CAD-DESTEC sono state effettuate con una mesh abbastanza rada (cfr. figura 2.27). Con molta probabilità, l’uso di una discretizzazione più fitta può portare a risultati ancora più accurati.
Conclusioni
Questo lavoro di tesi ha fornito una prima validazione al codice numerico di tipo integrale a rete equivalente, sviluppato negli anni passati presso il DESTEC e recentemente esteso all’analisi di dispositivi in movimento con più gradi di libertà.
Per raggiungere questo obiettivo è stato analizzato e costruito un prototipo di levitatore magnetico sul quale effettuare le misure sperimentali. In letteratura, infatti, è molto difficile trovare dati reali riguardanti sistemi magneto-meccanici con più gradi di libertà.
Il prototipo di levitatore magnetico costruito, pur presentando una struttura relativamente semplice e non richiedendo tempi di realizzazione lunghi, è risultato un ottimo punto di partenza per raggiungere lo scopo prefissato. Esso consiste in un una ruota di magneti permanenti in configurazione array di Halbach posti in rotazione su un piano di materiale conduttore fisso nello spazio. La variazione di flusso magnetico su questo piano, dovuta alla velocità relativa tra le due parti, induce un sistema di Eddy Currents, le quali, interagendo con il campo dei magneti, produce un sistema di forze e di coppie elettromagnetiche.
La fase preliminare di progettazione è stata svolta presso il Laboratorio di Elet-tromagnetismo Applicato del Dipartimento di Ingegneria dell’Energia, dei Sistemi, del Territorio e delle Costruzioni dell’Università di Pisa, sotto la supervisione dei
ricercatori del gruppo di Elettrotecnica. La realizzazione del prototipo e le prove sperimentali, invece, sono state svolte presso i laboratori di Ingegneria Meccanica dell’Università Carlos III di Madrid in collaborazione con un gruppo di ricerca spagnolo, nei mesi di Aprile e Maggio 2014, sfruttando una borsa per tesi di laurea all’estero messa a disposizione dall’Università di Pisa.
I dati sperimentali sono stati confrontati con quelli delle simulazioni numeri-che effettuate sia nella fase preliminare numeri-che successivamente alla costruzione del prototipo. I risultati numerici si sono dimostrati in ottimo accordo con le prove, mettendo in evidenza la validità del codice CAD-DESTEC nel simulare sistemi magneto-meccanici.
Ulteriori approfondimenti sono necessari per una verifica completa del codice. In particolare, per ottenere dati sperimentali per movimenti con più gradi di libertà è necessario modificare il banco di prova dotandolo di un sistema di sensori laser e di una telecamera ad alta risoluzione e frame rate elevato. Inoltre è necessario progettare un sistema di sgancio del rotore per le prove del corpo libero (cfr. paragrafo2.1.1).
Appendice
A.1
Base teorica del CAD-DESTEC
Il procedimento usato dal codice CAD-DESTEC per l’analisi di strutture elettro-magnetiche si basa sulla suddivisione del sistema in volumi elementari che possono essere solo a forma di parallelepipedi e/o settori circolari. I centri geometrici di tali elementi danno luogo ai nodi di una rete elettrica costituita da bipoli connessi fra nodi adiacenti.
Figura A.1: Esempio di reticolo formato da parallelepipedi con i relativi centri geometrici.