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TRATTAMENTO CHIRURGICO ROBOT-ASSISTITO DELL’ENDOMETRIOSI URETERALE: CASE REPORT E REVISIONE DELLA LETTERATURA

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell'Area Critica Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Corso di Laurea Magistrale in Medicina e Chirurgia

Tesi di Laurea

TRATTAMENTO CHIRURGICO ROBOT-ASSISTITO DELL’ENDOMETRIOSI URETERALE:

case report e revisione della letteratura

Candidato Relatore

Andrea Morandi Dott. Pietro Bottone

Correlatore

Dott.ssa Alessandra Perutelli

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INDICE DEGLI ARGOMENTI

SINTESI ... 3 ENDOMETRIOSI URETERALE ... 5 Definizioni ... 5 Endometriosi ... 5 Endometriosi ureterale ... 6 Epidemiologia ... 6 Fattori di rischio ... 7 Impatto sociale ... 8 Eziopatogenesi... 8 Manifestazioni cliniche ... 10

Diagnosi endometriosi ureterale ... 13

Terapia endometriosi ureterale ... 15

Terapia medica ... 16 Terapia chirurgica ... 17 CASE REPORT ... 21 Storia clinica ... 21 Descrizione intervento ... 26 Tempo ginecologico ... 26 Tempo urologico ... 28

Esame istologico post-operatorio ... 29

Decorso Post-Operatorio ... 29

Periodo di convalescenza ... 29

Follow-up ... 31

DISCUSSIONE ... 33

Revisione della letteratura ... 33

Considerazioni sul case report ... 36

Approccio mininvasivo ... 38

CONCLUSIONI ... 42

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SINTESI

Introduzione: L’endometriosi è una patologia ginecologica benigna che può interessare il 6-10% della popolazione femminile. Il coinvolgimento degli ureteri in questa patologia è riportato in percentuali che variano dallo 0,1 all’1% dei casi. La frequente asintomaticità o la presenza di sintomi aspecifici rendono difficoltosa la diagnosi precoce di questa condizione, con conseguente rischio di stenosi ureterale, idroureteronefrosi e in ultimo perdita silente della funzione renale. Per evitare danni irreversibili all’apparato urinario è necessaria un’accurata valutazione delle vie urinarie in presenza di un quadro di endometriosi, in particolar modo nella sua forma clinica di endometriosi infiltrante profonda con cui l’endometriosi delle vie urinarie trova una frequente associazione.

Caso clinico: Si illustra in questa sede il caso di una donna di 43 anni con storia di endometriosi, che lamentava un dolore continuo al fianco sinistro fino alla comparsa di una colica renale. Gli esami di imaging evidenziavano idroureteronefrosi con inginocchiamento ureterale a sinistra associati ad endometriosi uterina (adenomiosi) ed a noduli pelvici profondi suggestivi per ripresa di patologia endometriosica. La donna, dopo adeguato counseling, è stata sottoposta ad un intervento in laparoscopia robot-assistita di isterectomia totale, salpingectomia sinistra, annessiectomia destra ed eradicazione endometriosi pelvica profonda con reimpianto ureterale sinistro in vescica con tecnica “psoas hitch”.

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Discussione: Oltre a evidenziare il successo di questa tipologia di intervento sfruttando la tecnologia robotica, la presente tesi coniuga un’analisi della letteratura in materia, con la ricerca dei pochi casi di reimpianto ureterale per il trattamento della patologia endometriosica eseguiti con un approccio mininvasivo laparoscopico convenzionale e laparoscopico robot-assistito. L’avvento della chirurgia robotica rappresenta l’ultima acquisizione nel ventaglio terapeutico a disposizione per la gestione dell’endometriosi profonda, garantendo i vantaggi della chirurgia mininvasiva, ma ottimizzando sia la visione del campo operatorio sia la tecnica di sutura di strutture delicate in spazi ristretti (come nel caso dell’uretere nel suo tratto pelvico), rispetto alla laparoscopia. Se attualmente il trattamento mininvasivo di questa patologia è un’esclusiva di centri di riferimento altamente specializzati, la diffusione della chirurgia robotica sarà in grado di ampliare l’accessibilità a questo tipo di intervento ad un numero sempre maggiore di chirurghi grazie alla più rapida curva di apprendimento rispetto a quella della laparoscopia.

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ENDOMETRIOSI URETERALE

Definizioni

Endometriosi

L’endometriosi è una patologia infiammatoria cronica estrogeno-dipendente, che si caratterizza per la presenza di isole di tessuto istologicamente simili all’endometrio uterino in sedi diverse da quella naturale [1]. Queste eterotopie, costituite da stroma e ghiandole, sono in grado di rispondere funzionalmente agli stessi stimoli ormonali che agiscono sulla normale mucosa uterina ad ogni ciclo mestruale in termini di proliferazione, differenziazione e sanguinamento [2].

In base alla localizzazione del tessuto ectopico si distingue tra una forma esterna, caratterizzata dalla presenza di tessuto endometriale al di fuori dell’utero, e una forma interna, anche detta adenomiosi, più rara, in cui si ha presenza di tessuto endometriale nello spessore del miometrio uterino [3]. L’endometriosi esterna più comunemente coinvolge i tessuti limitrofi all’utero, in particolare ovaie, setto retto-vaginale, ligamenti utero-sacrali e cavo del Douglas, configurando il quadro dell’endometriosi pelvica. Questa viene ulteriormente definita endometriosi pelvica profonda se la lesione endometriale infiltra il peritoneo in profondità per più di 5 mm [4]. In alcuni casi possono essere interessati organi come l’intestino e il tratto urinario, o più raramente siti distanti come il diaframma, il pericardio, la pleura o l’encefalo, configurando il quadro dell’endometriosi extra-genitale [5].

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Endometriosi ureterale

L’endometriosi del tratto urinario, di cui l’endometriosi ureterale fa parte, è una delle forme più comuni di endometriosi extra-genitale ed è quasi sempre associata all’endometriosi infiltrante profonda [4].

L’endometriosi ureterale si classifica, in base al grado di infiltrazione della parete dell’uretere, in due forme: la forma estrinseca, che rappresenta l’80% dei casi ed è caratterizzata dall’invasione dell’avventizia e dei tessuti peri-ureterali, e la forma intrinseca, che rappresenta il restante 20% e coinvolge l’uroepitelio o la tonaca muscolare dell’uretere [6]. Più frequentemente l’endometriosi ureterale interessa il tratto pelvico dell’uretere [7].

Epidemiologia

La reale prevalenza dell’endometriosi resta ancora oggi sconosciuta, principalmente a causa della difficoltà nel diagnosticare questa patologia. Tale difficoltà deriva in primo luogo dall’assenza di una sintomatologia specifica e dalla sua frequente asintomaticità: si stima infatti una latenza media di 6,7 anni dall’insorgenza dei sintomi alla diagnosi[8]. In secondo luogo la diagnosi è resa difficile dall’assenza di metodi non invasivi per evidenziarla, e conseguentemente ad oggi occorre ricorrere inevitabilmente alla caratterizzazione delle lesioni mediante biopsia. Si ipotizza una prevalenza del 6-10% nelle donne in età fertile e fino al 35-50% nelle donne che riferiscono dolore, infertilità o entrambe [1].

L’endometriosi coinvolge gli organi dell’apparato urinario nello 0,3-12% dei casi, ma il coinvolgimento di questo apparato risulta ancora più frequente se si prendono in considerazione solo i casi di

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endometriosi profonda. La vescica è l’organo più colpito (85%), seguita dagli ureteri (9%), dal rene (4%) e dall’uretra (2%) [9]. L’endometriosi ureterale è quindi da considerarsi un’entità rara, che si ritrova solo nello 0,1-1% di tutti i casi di endometriosi. Dalla prima descrizione di uropatia ostruttiva causata da impianto ureterale endometriosico nel 1917, sono stati descritti in letteratura più di 200 casi. Tuttavia, data la difficoltà nel diagnosticare la patologia subclinica, anche durante l’ispezione chirurgica, è probabile che la reale prevalenza sia sottostimata. Peraltro, il crescente numero di casi riportati rende sempre più dubbio il concetto che l’endometriosi ureterale sia realmente un’entità rara [10]. Infatti, Antonelli et al. hanno evidenziato una prevalenza del coinvolgimento ureterale dell’1,5% in una serie di 1242 donne con diagnosi istologica di endometriosi [11]. Per quanto riguarda l’incidenza, è stato rilevato un incremento probabilmente legato alla maggior attenzione rivolta a questa condizione e al miglioramento nelle capacità diagnostiche cliniche e strumentali [12].

Fattori di rischio

Nelle donne in età fertile, il rischio di sviluppare l’endometriosi aumenta progressivamente con l’età, sebbene tale patologia sia molto rara prima del menarca e tenda a regredire con la menopausa. Gli studi epidemiologici confermano l’estrogeno-dipendenza di questa patologia: è infatti presente un maggior rischio nelle donne esposte ad un maggior numero di cicli mestruali (nulliparità, brevi cicli mestruali, flussi intensi e duraturi, menarca precoce e menopausa tardiva), mentre il rischio si riduce con la diminuzione dei livelli di estrogeni (fumo, alcol, multiparità, contraccettivi orali e menopausa). Fattori di rischio

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ancora da confermare sono la familiarità, fattori ambientali come le diossine, e malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, il lupus e le patologie tiroidee [13].

Impatto sociale

In quanto patologia cronica, l’endometriosi influenza negativamente e gravemente la qualità della vita, la sessualità e la salute psicologica della donna [2], rappresentando così una frequente causa di morbidità nelle donne in età fertile [6]. Anche il suo impatto economico non è trascurabile: i dati di uno studio del 2012 su 909 donne stimano un costo medio annuale per donna di €9579, di cui due terzi in termini di perdita di produttività (€6298) e un terzo per spese sanitarie (€3113), queste ultime suddivise principalmente in chirurgia (29%), esami di monitoraggio (19%), ospedalizzazione (18%) e visite mediche (16%). Emerge inoltre che i sintomi legati all’endometriosi sono responsabili della perdita di 0,809 QALY (quality-adjusted life years) per donna [14].

Eziopatogenesi

Ad oggi l’eziologia e la patogenesi dell’endometriosi rimangono incerte e non esiste un’unica teoria in grado di spiegare tutte le localizzazioni possibili di questa patologia. Perciò si sono sviluppate diverse teorie: alcune ritengono che gli impianti derivino dall’endometrio uterino e altre invece riconoscono la loro origine in altri tessuti esterni all’utero. La teoria della mestruazione retrograda è la più accreditata, in quanto in grado di spiegare quasi tutti i fenomeni che si osservano nell’endometriosi. Secondo questa teoria, durante il flusso mestruale,

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porzioni di mucosa sfaldata raggiungono tramite le salpingi la cavità peritoneale dove possono impiantarsi [3]. Tale teoria è supportata dal più frequente interessamento del lato sinistro da parte dell’endometriosi ureterale: si ipotizza infatti che la presenza del colon sigmoideo promuova la stasi del residuo mestruale rigurgitato, impedendo la diffusione delle cellule endometriali e favorendone l’impianto. La teoria della mestruazione retrograda, tuttavia, non è in grado di giustificare quei casi in cui sono presenti lesioni ureterali in assenza di altri focolai peritoneali pelvici [4].

Secondo la teoria della metaplasia celomatica, il tessuto endometriosico si svilupperebbe in seguito a metaplasia della sierosa peritoneale per trasformazione in situ; invece secondo la teoria dei residui mülleriani, cellule presenti a livello di residui dei dotti di Müller manterrebbero la capacità di differenziarsi in tessuto endometriosico a seguito di stimoli ormonali.

Seppur in antitesi tra loro, tutte queste ipotesi sono considerate complementari, perché le trasformazioni che le stesse teorizzano possono insorgere a carico dei detriti mestruali retrogradi, i quali raggiungono il peritoneo pelvico determinando uno stimolo infiammatorio e irritante[3].

Meno rilevante è la teoria delle metastasi benigne, secondo cui cellule endometriali, attraverso la circolazione linfatica ed ematica, si disseminerebbero in siti a distanza. La più grande evidenza a sostegno di tale teoria deriva da reperti istologici attestanti lesioni endometriosiche in siti distanti dall’utero come ossa, polmoni ed encefalo [15]. Infine la teoria iatrogena prevede che l’endometriosi possa riscontrarsi su cicatrici chirurgiche, come nel caso di tagli cesarei o incisioni del pavimento pelvico [4].

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Per quanto concerne la patogenesi sappiamo che l’endometriosi costituisce una patologia complessa e multifattoriale, in cui anomalie del sistema immunitario e angiogenetico, cause genetiche, fattori ambientali giocano ruoli rilevanti in specifiche vie biologiche che promuovono l’impianto e la crescita delle lesioni endometriali [16]. A livello del tessuto endometriale, è ormai ben definita la presenza di un’alterata espressione del recettore degli estrogeni e del progesterone, con un aumento dell’attività del primo e una resistenza all’attivazione del secondo, oltre ad un incremento della produzione locale di ormoni steroidei sessuali. Questi elementi costituiscono il razionale dell’attuale terapia ormonale dell’endometriosi [17].

Manifestazioni cliniche

I sintomi principali dell’endometriosi sono: dismenorrea, sanguinamenti uterini irregolari, dispareunia, dolore pelvico cronico, infertilità, disturbi urinari e gastrointestinali ciclici come dischezia, disuria e tenesmo. Tuttavia la storia naturale della patologia non è mai stata ben definita a causa della sua frequente asintomaticità [18].

La presenza del dolore pelvico associato all’endometriosi solitamente non correla bene con lo stadio della malattia (secondo la classificazione revisionata dell’ American Society for Reproductive Medicine (ASRM) [19]), mentre vi è sicuramente un legame con la profondità di infiltrazione delle lesioni endometriosiche [20].

Sono state descritte tre principali presentazioni cliniche in base alla localizzazione delle lesioni:

1) endometriosi peritoneale;

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3) endometriosi infiltrante profonda.

Quest’ultima rappresenta la forma più aggressiva, penetrando in tessuti come la vagina, l’intestino, la vescica o gli ureteri per più di 5 mm sotto il peritoneo e rappresentando circa il 20% di tutti i casi di endometriosi [18].

La presentazione e l’evoluzione della patologia sono variabili: in alcuni casi persiste in forma minima o lieve o addirittura può regredire; in altri casi si presenta con una grave sintomatologia, solitamente causata da infiltrazione dei tessuti, sviluppo di endometriomi, formazione di tenaci aderenze pelviche fino anche al “congelamento” della pelvi. Sebbene tenda a scomparire con la menopausa per il calo dei livelli di estrogeni, l’endometriosi può comunque riattivarsi in presenza di stimoli ormonali iatrogeni o endogeni.

Sebbene sia considerata una patologia benigna, può presentare tratti tipici di malignità quali progressione e infiltrazione locale, disseminazione a distanza e recidive [3]. Nelle donne affette si evidenzia un maggior rischio - superiore di almeno il 46% rispetto a donne senza endometriosi - di sviluppare un carcinoma ovarico di tipo endometrioide e a cellule chiare [21]. Si stima che la trasformazione maligna si verifichi in circa l’1% dei casi di endometriosi, nell’80% dei casi a livello delle lesioni ovariche [22].

Anche la sintomatologia dell’endometriosi ureterale non è specifica. Più frequentemente i sintomi che si riscontrano sono quelli tipici dell’endometriosi (dismenorrea, dispareunia o dolore pelvico cronico), mentre è più rara una sintomatologia genito-urinaria maggiormente indicativa come colica renale, lombalgia, ematuria, infezioni urinarie, disuria e pollachiuria[7]: la sintomatologia urinaria è assente in più del 50% dei pazienti con endometriosi ureterale [4]. Anche i casi più gravi

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di stenosi ureterale, comportanti una progressiva idroureteronefrosi con conseguente perdita della funzione renale, possono non dare sintomi urologici: la gravità dei sintomi infatti non dipende dal grado di ostruzione e questi pazienti hanno un rischio di perdita renale silente fino al 25-50%. Spesso purtroppo la diagnosi viene posta quando la patologia ha già causato un danno irreversibile [7]. L’endometriosi ureterale solitamente è monolaterale, interessando più frequentemente l’uretere sinistro; solo nel 10-20% dei casi è bilaterale. Tipicamente, è confinata al terzo distale dell’uretere a circa 3-4 cm dalla giunzione vescico-ureterale: localizzazioni prossimali sono più rare [12].

Sebbene il coinvolgimento degli ureteri si verifichi nella maggior parte dei casi in presenza di una coesistente patologia pelvica, può riscontrarsi anche in assenza di evidenti lesioni in questa sede. [10] Il processo flogistico può infiltrare il peritoneo, i legamenti utero-sacrali, l’avventizia ureterale, nonché il tessuto connettivo circostante, comportando una compressione estrinseca della parete ureterale a causa dell’edema infiammatorio e della conseguente fibrosi. Quando viene invasa la tonaca muscolare della parete ureterale, si parla di endometriosi ureterale intrinseca, ma questa è una condizione più rara [23].

Una forte associazione è stata riportata tra endometriosi ureterale e la presenza di grandi noduli endometriosici coinvolgenti il setto retto-vaginale da parte di Donnez et al. in una coorte di 405 donne trattate chirurgicamente. A seguito di una valutazione preoperatoria con pielografia intravenosa, si è riscontrato un coinvolgimento ureterale nel 4,4% dei casi, con una più significante prevalenza dell’11,2% in donne con noduli endometriosici di dimensioni maggiori ai 3 cm. Per tale motivo, alcuni autori suggeriscono una valutazione delle vie urinarie in

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presenza di una forma di endometriosi infiltrante profonda, in particolare se sono presenti noduli del setto rettovaginale di diametro superiore ai 3cm [24].

Diagnosi endometriosi ureterale

Una precisa conoscenza preoperatoria del coinvolgimento ureterale risulta fondamentale per una corretta pianificazione del trattamento. Tuttavia, le tecniche di imaging attualmente utilizzate presentano numerosi limiti nel definire l’estensione delle lesioni e l’esatta profondità di infiltrazione della parete ureterale. Ne deriva che a volte la distinzione tra forma intrinseca ed estrinseca può risultare arbitraria, sia per la difficoltà di delinearla con certezza tanto nel periodo preoperatorio quanto in quello intraoperatorio, sia per la scarsa frequenza con cui è richiesta una conferma istologica della sussistenza della patologia [10].

La diagnosi è considerata come una procedura step-by-step, di cui si evidenziano di seguito le fasi principali.

• L’esame fisico non si rivela utile ai fini della diagnosi. Sebbene non esistano reperti patognomonici che evidenzino l’interessamento ureterale [10], come sopra rilevato, un indice in tal senso è rappresentato dalla presenza di noduli nel setto retto-vaginale, in particolar modo se essi superano i 3 cm e se posizionati lateralmente. Tale reperto impone quindi una valutazione più approfondita delle vie urinarie [24]. Altro reperto suggestivo di interessamento ureterale è la palpazione di noduli profondi del parametrio laterale.

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• Dal punto di vista laboratoristico si valutano con gli esami del sangue la presenza di anemia e i valori di creatinina sierica, mentre con gli esami delle urine si eseguono un esame citologico e colturale per escludere rispettivamente neoplasie e infezioni [12]. Sempre nelle urine la rilevazione di una ciclica ematuria è considerata un segno caratteristico dell’ostruzione ureterale intrinseca, sebbene la stessa sia presente solo nel 13-18% dei casi [10].

• Gli esami di imaging risultano i più idonei per valutare l’integrità delle vie urinarie. L’ecografia addominale rappresenta uno dei primi esami eseguiti, data la sua elevata sensibilità nell’individuare l’idroureteronefrosi. A causa della considerevole diffusione di tale strumento diagnostico, esso è utilizzato come esame di screening per escludere un’uropatia ostruttiva nelle pazienti con grave endometriosi.

• La pielografia endovenosa o in alternativa la pielografia retrograda rappresentano esami tradizionali particolarmente adeguati per definire con maggior precisione la localizzazione, l’estensione e il grado di stenosi ureterale, nonché per confermare la funzione renale.

• La risonanza magnetica rappresenta attualmente un esame di secondo livello per la valutazione dei casi più complessi, in quanto, rispetto agli esami radiologici a cui tradizionalmente si ricorre in prima battuta, presenta costi maggiori, richiede tempistiche più lunghe, ed esclude pazienti claustrofobiche e portatrici di impianti metallici [10]. Recentemente, è stata riconosciuta la sua utilità nell’endometriosi infiltrante profonda,

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in relazione alla quale si è riusciti non solo a individuare i pazienti in cui era presente anche l’interessamento ureterale, ma anche a distinguere con una certa accuratezza la forma intrinseca da quella estrinseca - sebbene a tal fine ulteriori studi si rendano necessari - [25]. La risonanza magnetica ha altresì dimostrato una sensibilità del 91% nel diagnosticare l’endometriosi urinaria intrinseca, evidenziando che, qualora un endometrioma interessi circonferenzialmente l’uretere per meno di 180°, la forma intrinseca è presente in meno del 10% dei casi [26].

• Il ruolo dell’ecografia intraluminale rimane ad oggi incerto. Gli specifici vantaggi che essa comporta consistono nella possibilità di valutare l’interessamento sottomucosale e periureterale e di guidare procedure endoscopiche. I suoi limiti intrinseci, invece, attengono all’invasività dell’esame e all’inabilità di valutare ostruzione complete o quasi-complete [10].

• La scintigrafia renale può essere utile per valutare separatamente la funzione renale residua: se la funzione renale residua è inferiore al 10%, vi è indicazione alla nefrectomia [4].

• Ad oggi il gold standard per la diagnosi è rappresentato dalla visualizzazione delle lesioni tramite chirurgia laparotomica o laparoscopica e dalla loro caratterizzazione mediante biopsia[1].

Terapia endometriosi ureterale

Gli obiettivi nel trattamento dell’endometriosi ureterale sono: ➢ risolvere la sintomatologia;

➢ rimuovere l’ostruzione;

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➢ prevenire future recidive [12].

A causa della rarità di questa patologia e della mancanza di studi prospettici randomizzati, non vi sono, nel panorama scientifico, linee guida chiare nella scelta del trattamento. Inoltre, considerata la complessità della patologia endometriosica e dei diversi organi che può interessare, il trattamento chirurgico dovrebbe essere gestito da un team multidisciplinare composto da ginecologi, urologi e chirurghi generali [27].

Il trattamento dell’endometriosi urinaria si articola in un trattamento medico basato sulla soppressione ormonale e in un trattamento chirurgico. I dati a disposizione, relativi perlopiù al trattamento chirurgico, riguardano però piccole serie di pazienti o studi di coorte e questo pone grandi problemi nella valutazione dell’efficacia dei vari trattamenti [28].

Terapia medica

Il trattamento medico si basa sulla soppressione ormonale mediante l’utilizzo di farmaci come il danazolo, i progestinici e gli analoghi del GnRH [28]. Questo approccio si è però dimostrato di scarso beneficio nelle forme infiltranti profonde, in quanto determina solo una temporanea regressione della patologia e non una sua eliminazione. Uno dei motivi di questa scarsa risposta è la presenza di una marcata fibrosi in quasi tutti i casi di endometriosi ureterale, cosicchè il tasso di recidiva può essere notevole. Anche i tentativi di trattamento medico preoperatorio per ridurre il volume delle lesioni e il ricorso a terapia ormonale postoperatoria per prevenire le recidive hanno portato a risultati inconsistenti [10].

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- donne in età fertile che desiderano una futura gravidanza, sottoposte ad un follow-up ultrasonografico ogni sei mesi al fine di escludere la presenza di una ostruzione ureterale;

- donne senza una fibrosi significativa in combinazione con la chirurgia;

- donne in menopausa sotto stretto follow-up.

La terapia medica può portare ad una riduzione dimensionale del nodulo endometriosico, ma non previene la formazione di tessuto fibroso e di aderenze; pertanto, un’ostruzione ureterale e un’idroureteronefrosi possono comunque insorgere. In questo quadro clinico il ricorso alla sola terapia medica diventa chiaramente controindicato, anche in ragione dell’alta incidenza di recidiva nel momento in cui la terapia è interrotta, con il rischio per il paziente di subire gravi perdite della funzione renale [27].

Terapia chirurgica

Data la scarsa efficacia del trattamento medico, l’unico approccio terapeutico all’endometriosi ureterale realmente efficace non può che essere quello chirurgico. Gli interventi che possono essere eseguiti sono: l’ureterolisi, la resezione ureterale con ricostruzione e la nefrectomia. Attualmente, la scelta della tecnica più adatta si basa sulla profondità di interessamento dell’uretere (endometriosi ureterale intrinseca o estrinseca), sulla localizzazione e sull’estensione della patologia.

L’ureterolisi si rivela particolarmente indicata nei casi di endometriosi estrinseca con lesioni che interessano un breve tratto, di misura inferiore a 3 cm, non associate a idroureteronefrosi. In caso di endometriosi intrinseca l’ureterolisi è invece controindicata in quanto associata ad un

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alto rischio di recidiva (16%) e di stenosi ureterale. I pazienti devono essere avvertiti circa la possibilità di un reintervento e/o di un progressivo deterioramento della funzione renale, nonché della necessità di uno stretto follow-up.

La resezione ureterale seguita da ricostruzione è utilizzata in presenza di endometriosi intrinseca, lesioni di diametro superiore a 3 cm localizzate al di sotto dei vasi iliaci e idroureteronefrosi. Le due tecniche principali sono la ureteroureterostomia e l’ureteroneocistostomia (UNC): la prima è eseguita quando la stenosi ureterale è confinata nella fossetta ovarica e l’uretere distale può essere preservato; si ricorre invece alla seconda in presenza di stenosi ureterale in prossimità della giunzione vescico-ureterale [27]. L’ureteroneocistostomia rappresenta l’intervento più frequentemente realizzato, essendo la stenosi ureterale solitamente localizzata nel terzo distale [28]. Inoltre, con questo tipo di intervento si può posizionare l’uretere lontano dalla pelvi, la quale costituisce un sito a maggior rischio di recidiva di endometriosi [7]. Nell’UNC quando la lunghezza dell’uretere è insufficiente per un reimpianto diretto, la distanza può essere compensata grazie alle metodiche di psoas-hitch (ancoraggio della parete vescicale posteriore al muscolo psoas) o di Boari Flap (tubulizzazione di un lembo vescicale da estendere dalla vescica stessa all’orifizio ureterale) [29].

Se invece il rene fosse compromesso e le prospettive di recupero della sua funzione in seguito alla chirurgia conservativa paiono scarse, la nefrectomia si rivela certamente la miglior opzione terapeutica [10]. L’efficacia della chirurgia in un contesto di endometriosi infiltrante profonda è correlata alla radicalità della procedura, dato che l’asportazione delle lesioni deve essere completa. Se, ad esempio, in

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presenza di una forma di endometriosi ureterale intrinseca venisse eseguita una semplice ureterolisi senza la rimozione del segmento ureterale affetto, la probabilità di recidiva sarebbe troppo elevata [10]. Inoltre è necessario tenere a mente il concetto che l’endometriosi infiltrante profonda è una patologia multifocale. Nella serie di pazienti studiati da Chapron et al. è stato evidenziato come l’endometriosi ureterale severa non sia mai isolata, ma risulti sempre associata ad altre lesioni infiltranti profonde a carico di legamenti utero-sacrali, vagina, vescica o intestino, con un numero medio di lesioni istologicamente confermate di 4.8 ± 1.9 (range = 2-9). In un contesto in cui le lesioni sono così ampiamente distribuite, risulta nuovamente evidente come sia necessario un approccio chirurgico multidisciplinare (ginecologo, urologo, chirurgo generale) per poter rimuovere tutte le lesioni e la componente fibrotica reattiva associata in un singolo intervento ed ottenere così ottimi risultati nel lungo periodo [30].

Essendo la forma estrinseca più comune di quella intrinseca (rapporto 4:1), molti autori ritengono ragionevole e sufficiente un iniziale approccio con ureterolisi senza interrompere l’integrità dell’uretere. Tuttavia, sono stati recentemente intrapresi nuovi studi che dimostrano come la prevalenza della forma intrinseca sia sottostimata. Infatti, questo sistema classificativo si basa su una diagnosi istologica postoperatoria, mentre un campione preoperatorio non è quasi mai ottenuto e, quand’anche fosse disponibile, potrebbe risultare falsamente negativo. Per questa ragione, per poter scegliere, in sede di pianificazione preoperatoria, tra un intervento conservativo e uno radicale si renderebbe necessario basarsi anche su altri fattori predittivi quali: presenza di sintomatologia urinaria, stenosi con idroureteronefrosi e dolore al fianco [31].

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INTRODUZIONE

Il report che segue riporta il caso di una donna di 43 anni affetta da endometriosi infiltrante profonda a livello pelvico con interessamento uterino, del setto rettovaginale, del fornice vaginale posteriore, del parametrio laterale sinistro e dell’uretere pelvico sinistro, che è stata sottoposta ad eradicazione completa di malattia grazie ad un approccio multidisciplinare mininvasivo in laparoscopia robot-assistita. L’approccio multidisciplinare ha previsto la stretta collaborazione tra chirurghi ginecologi ed urologi, al fine di assicurare alla paziente il miglior trattamento possibile.

L’eccezionalità di questo intervento è sottolineata dalla revisione che abbiamo condotto della letteratura medica in materia, alla ricerca dei casi in cui l’ureteroneocistostomia per patologia endometriosica veniva eseguita per via laparoscopica convenzionale o robot-assistita. Tale revisione della letteratura fa seguito al case report.

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CASE REPORT

Storia clinica

La paziente oggetto di studio è una donna di 43 anni, parità 1011, con pregressa diagnosi di endometriosi e sterilità. La signora infatti era già stata sottoposta nel 2006 ad un primo intervento chirurgico laparoscopico di enucleazione di cisti ovarica destra, dopo il quale rimaneva gravida spontaneamente. Rilevante nella storia clinica era la comparsa di una tromboflebite durante assunzione di contraccettivo orale: evento che controindicava il ricorso a qualunque tipo di terapia ormonale per la cura dell’endometriosi.

La paziente lamentava dal 2015 dolore persistente in sede lombare sinistra. Per l’acuirsi della sintomatologia a maggio 2016 la paziente si recava presso il Pronto Soccorso dove, in considerazione della storia clinica e dell’evidenza ecografica di una calicopielectasia sinistra di grado 2-3 (14mm) con dilatazione ureterale nel tratto prossimale e in minor misura del tratto medio, senza visibili immagini di calcoli (Fig. 1-2), veniva eseguita in urgenza una TC addome con mezzo di contrasto (mdc). Questo esame evidenziava: utero disomogeneo, con dispositivo intrauterino (IUD) in sede; annesso destro con piccole formazioni liquide a pareti lievemente ispessite; annesso sinistro con sfumata ipodensità sovra liquida, piccola apparente focalità con captazione di mdc periferica non univoca e sfumata captazione di mdc in adiacenza del polo vascolare annessiale; presenza di falda liquida nel cavo di Douglas. Veniva inoltre descritta idroureteronefrosi sinistra in assenza di litiasi, con inspessimento delle pareti ureterali, e la presenza di una masserella lobulata in regione parametriale sinistra captante mdc,

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responsabile di stop del mdc, sospetta per ripresa di malattia endometriosica (figure 3-5).

In presenza di questi significativi reperti ureterali, la paziente veniva immediatamente indirizzata in Urologia per il posizionamento di uno stent ureterale sinistro a doppio J sotto guida cistoscopica.

Figure 1-2. Scansioni ecografiche del rene sinistro: si evidenzia calicopielectasia

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23

Figure 3-5. Scansioni TC addome con mdc: è presente ritardo di filtrazione del

mezzo di contrasto nella pelvi renale sinistra, fino allo stop del mezzo di contrasto a livello della porzione pelvica dell’uretere.

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A luglio 2016 veniva eseguita una risonanza magnetica dell’addome inferiore e dello scavo pelvico di approfondimento (figura 6). Questo esame evidenziava la presenza di una grossolana nodulazione endometriosica in sede cervicale paramediana sinistra di circa 30x18x24mm (diametri LL-AP-CC): tale formazione inglobava il tratto distale dell’uretere omolaterale causandone una netta riduzione di calibro e consensuale dilatazione a monte. Venivano ulteriormente descritti: un piccolo nodulo endometriosicodella parete colica a livello della giunzione retto-sigma di 16x6mm; un verosimile nodulo di adenomiosi in corrispondenza della parete anteriore dell’utero, associato a minimo ispessimento del setto utero-vescicale e della parete della vescica stessa sospetti per infiltrazione endometriosica; un piccolo endometrioma di 16mm in esiti di pregressa cistectomia ovarica destra.

Figura 6. Scansione RM: presenza di nodularità di 3 cm in sede cervicale paramediana sinistra.

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Per una migliore valutazione del coinvolgimento colico, nell’agosto 2016 veniva eseguito un clisma del colon con doppio mdc, che evidenziava a livello della giunzione retto-sigma una lieve irregolarità del profilo parietale, in assenza di significativa compressione ab-estrinseco o segni di infiltrazione. Tale reperto, anche per le sue dimensioni, può essere messo in relazione con il nodulo endometriosico descritto a tale livello dalla risonanza magnetica.

A settembre 2016, per approfondire il coinvolgimento della vescica, veniva eseguita una cistoscopia, che rilevava una minima idroureteronefrosi sinistra con stent ureterale sinistro calcificato in sede.

Nell’ottobre 2016, al fine di escludere una patologia rettocolica, si eseguiva una rettocolonscopia che non evidenziava lesioni endometriosiche affioranti alla mucosa.

La paziente giungeva alla nostra osservazione nel mese di novembre 2016, in occasione della visita di preospedalizzazione. Persisteva il dolore in sede lombare sinistra. Lo score sintomatologico era il seguente: dismenorrea 0, dispareunia 5, dischezia 0, algie pelviche 1, disuria 0. Allo speculum vi era evidenza di nodulo endometriosico di circa 2,5x2cm a livello del fornice vaginale posteriore. Alla visita ginecologica l’utero risulta di regolari dimensioni in presenza di un nodulo dolente del setto rettovaginale, che si estende nel parametrio laterale sinistro, di circa 4cm. In tale occasione veniva eseguita inoltre una valutazione ecografica della pelvi, da cui risultava: utero antiverso ad ecostruttura disomogenea per adenomiosi fundica, ma con dimensioni nei limiti; endometrio ecogeno con spessore massimo di 8mm; assenza di localizzazioni endometriosiche a carico della parete vescicale; presenza di stent ureterale sinistro con apice in vescica; ovaio

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destro di 22x15mm con formazione ipoecogena di 10mm; ovaio sinistro di 23x16mm ipomobile e ad ecostruttura disomogenea; ispessimento del peritoneo nel cavo di Douglas e del setto retto-vaginale nella porzione distale sinistra per nodulazione endometriosica, estesa sino al ligamento utero-sacrale sinistro; calicopielectasia renale sinistra con diametro antero-posteriore di 18 mm.

Valutate le controindicazioni assolute all’uso di terapia ormonale che sarebbe stata utile a ridurre il rischio di recidiva di malattia dopo chirurgia e, considerata la giovane età che controindicava l’annessiectomia bilaterale, dopo un accurato counseling con la paziente, l’intervento proposto è stato: “completa eradicazione dell’endometriosi pelvica profonda, reimpianto ureterale in vescica, isterectomia totale, salpingectomia sinistra e annessiectomia destra in laparoscopia robot-assistita. In data 22 novembre 2016, la paziente veniva ricoverata per essere sottoposta ad intervento chirurgico.

Descrizione intervento

L’intervento è stato eseguito presso il centro multidisciplinare di chirurgia robotica dell’ospedale di Cisanello, e ha avuto una durata complessiva di 5 ore e 25 minuti. L’operazione si è svolta in due tempi operatori, il primo ginecologico e il secondo urologico.

Tempo ginecologico

Il tempo ginecologico è stato realizzato dalla Dr.ssa Alessandra Perutelli. Dopo la disinfezione del campo operatorio, il posizionamento del manipolatore uterino di Hohl e l’induzione dello pneumoperitoneo, sono stati allestiti un accesso ombelicale da 10mm per l’ottica, altri due

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in fossa iliaca destra e sinistra per i trocar dei bracci robotici da 5mm ed uno paraombelicale sinistro da 12 mm. All’esplorazione della cavità addominopelvica l’utero appariva di volume regolare, con la vescica stirata in alto da aderenze sviluppatesi probabilmente in seguito al pregresso taglio cesareo. L’annesso sinistro e la tuba destra apparivano regolari, mentre l’ovaio destro si presentava di volume ridotto rispetto al sinistro e pertanto, in considerazione dei reperti ecografici e RMN preoperatori che evidenziavano un endometrioma di 10mm, e della controindicazione ad eseguire una terapia ormonale, se ne effettuava la rimozione in linea con il consenso informato acquisito dalla paziente. Si apriva dunque il retroperitoneo sviluppando le fosse pararettali di Latzko per visualizzare gli ureteri e isolare l’arteria uterina. A sinistra, si evidenziava un esteso quadro aderenziale tra l’origine dell’arteria uterina e l’uretere, il quale si presentava dilatato lungo tutto il suo decorso pelvico. Si procedeva quindi all’isolamento dell’uretere fino a raggiungere un voluminoso nodulo che interessava il parametrio laterale sinistro, ma che risultava indissociabile dalle pareti ureterali. Si provvedeva dunque a coagulazione e sezione del ligamento utero-sacrale destro e all’apertura dello spazio retto vaginale con approccio latero-mediale sino a raggiungere il nodulo precedentemente descritto del parametrio laterale sinistro che stirava in alto il mesoretto. Successivamente, sotto guida di plug rettale, si procedeva a recentazione del nodulo con sua liberazione dal retto. Durante queste manovre è stato necessario sezionare la parte terminale dell’uretere sinistro, rimuovere lo stent ureterale precedentemente posizionato e suturare il moncone ureterale distale con PDS 2/0. Previa apertura della pagina anteriore del ligamento largo e scollamento in basso della vescica, sono state coagulate e sezionate le arterie uterine a corpo con

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l’utero ed effettuata l’incisione circolare della vagina con taglio monopolare, consentendo così di asportare per via vaginale in un unico blocco l’utero, l’annesso destro e il nodulo vaginale sopradescritto. La vagina è stata poi suturata in continua per via robotica con Stratafix 2/0.

Tempo urologico

Il tempo urologico è stato eseguito dal Dr. Andrea Mogorovich. L’uretere sinistro si presentava ectasico ed avvolto da manicotto fibrotico nel tratto pelvico in prossimità dell’incrocio con l’arteria uterina. Al fine di ottenere un’anastomosi tension-free, l’uretere veniva isolato cranialmente sino al di sopra dell’incrocio con i vasi iliaci sinistri. Successivamente è stato inciso il peritoneo parietale, le due arterie ombelicali obliterate e l’uraco per accedere allo spazio di Retzius e mobilizzare così la vescica. Questo ha consentito lo spostamento della vescica in direzione del muscolo psoas sinistro a cui è stata fissata lateralmente all’arteria iliaca esterna mediante due punti in Polysorb 2-0 (psoas-hitch). È stato necessario resecare un tratto di circa 1cm della porzione distale dell’uretere sinistro e l’uretere residuo è stato liberato da un manicotto fibroso lungo circa 15mm. Fatto questo è stato posizionato un nuovo stent ureterale a doppio J, ed è stato eseguito il reimpianto ureterovescicale secondo Lich-Gregoire in punti di Monocryl 3-0, verificando successivamente la tenuta dell’anastomosi riempiendo la vescica tramite il catetere vescicale. L’intervento si è concluso con il posizionamento di un drenaggio perianastomotico 18 Ch a caduta. Le perdite ematiche sono state stimate intorno a 150cc.

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Esame istologico post-operatorio

Di seguito il risultato dell’analisi microscopica dei pezzi operatori: 1. Nodulo periureterale sinistro

2. Porzione di uretere sinistro 3. Ovaio destro

4. Utero + salpingi + nodulo vaginale 5. Nodulo parametrio laterale sinistro. La diagnosi è stata la seguente:

1. Tessuto fibro-adiposo con reperti di flogosi cronica

2. Tessuto fibro-adiposo parzialmente emorragico con reperti di endometriosi

3. Parenchima ovarico con focale deposito di emosiderina

4. Eso-endocervicite cronica con focolai endometriosici. Nodulo vaginale endometriosico. Endometrio di tipo proliferativo. Tube esenti da alterazioni istologiche di rilievo. Presenti cisti paratubariche (paramesonefriche)

5. Tessuto fibro-adiposo parzialmente coartato con reperti di flogosi cronica, sospetto per localizzazione endometriosica. Si confermava così la natura endometriosica delle lesioni.

Decorso Post-Operatorio

Periodo di convalescenza

Il decorso post-operatorio è stato regolare. La paziente non ha mai presentato febbre e non è stato necessario il ricorso ad emotrasfusioni. La canalizzazione ai gas è avvenuta in seconda giornata post-operatoria.

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Dosaggi di creatinina dal liquido di drenaggio peritoneale sono stati eseguiti in seconda e in quinta giornata post-operatoria. I risultati sono stati rispettivamente 0,62 e 0,59 mg/dl: a conferma dell’integrità dell’anastomosi tra uretere e vescica.

In settima giornata post-operatoria la paziente è stata sottoposta a visita urologica e cistografia. Questi esami non mostravano stravaso extravescicale del mdc e il residuo post-minzionale era assente (figura 7-8), per cui venivano rimossi il catetere vescicale e il drenaggio addominale, consigliando di mantenere lo stent ureterale ancora per 2 settimane e di proseguire la copertura antibiotica per altri 4 giorni. Alla visita ginecologica di dimissione si rilevavano minime secrezioni sieroematiche vaginali non maleodoranti, la cupola vaginale risultava non dolente. Ecograficamente vi era evidenza di una raccolta disomogenea ipoecogena di 76x48x44mm, riferibile a raccolta chirurgica, senza che fosse presente liquido libero nei restanti recessi addominali; le pareti vescicali risultavano apparentemente integre. La paziente veniva quindi dimessa il 30 novembre 2016, in settima giornata post-operatoria.

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Figura 7-8. Immagini cistografiche in cui viene evidenziato il profilo della vescica a seguito dell’intervento di ureteroneocistostomia con Psoas-Hitch in assenza di stravaso extravescicale.

Follow-up

A distanza di un mese l’ecografia dell’addome inferiore evidenziava le dimensioni del rene destro nei limiti e una minima idronefrosi del rene sinistro in netto miglioramento. Il residuo post-minzionale si manteneva assente.

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A distanza di un anno dalla chirurgia la paziente si riteneva soddisfatta dell’intervento chirurgico. La visita ginecologica non evidenziava segni di localizzazione vaginale e/o pelvica di malattia. Score sintomatologico: dismenorrea 0, dispareunia 0, dischezia 0, algie pelviche 1, disuria 0

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33

DISCUSSIONE

Revisione della letteratura

L’eccezionalità di questo intervento chirurgico è stata confermata dalla ricerca in letteratura degli interventi di reimpianto ureterale in vescica eseguiti con approccio mininvasivo, sia mediante laparoscopia convenzionale, sia mediante laparoscopia robot-assistita come nel caso ivi trattato. Le parole chiave utilizzate, attraverso il motore di ricerca PUBMED, per ricercare articoli inerenti sono state “endometriosis”, “ureteral endometriosis”, “deep infiltrating endometriosis” “ureteroneocystostomy “, “robotic”, “robotic-assisted”, “non invasive approach”, “minimal invasive approach” “laparoscopic”.

Le due tabelle che seguono riportano i casi descritti in letteratura di ureteroneocistostomia (UNC) eseguiti rispettivamente con approccio robot-assistito (tabella 1) e con approccio laparoscopico tradizionale (tabella 2).

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Tabella 1. Interventi di UNC in laparoscopia robot-assistita

Autore Anno Numero

pazienti

Note intervento

Patil [29] 2008 1  UNC monolaterale

con psoas-hitch tunnel

sottomucosale anti-reflusso

Williams [32] 2009 1  UNC bilaterale

senza psoas-hitch

Nezhat [5] 2011 1  UNC monolaterale

destra con psoas-Hitch + isterectomia senza anastomosi anti-reflusso Frick [33] 2011 2  1x UNC monolaterale con Boari flap + Escissione laparoscopica dell’endometriosi  1x UNC monolaterale Abo [34] 2016 2 Totale 7

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Tabella 2. Interventi di UNC in laparoscopia convenzionale

Autore Anno Numero

pazienti Note intervento Nezhat [35] 1996 1 Nezhat [36] 1998 1 Frego [37] 2002 8 Dominici [38] 2004 1

Nezhat [39] 2004 6 6x UNC con psoas-hitch

Camanni [40] 2009 4

Kondo [41] 2009 1 UNC con boari flap

Nezhat [42] 2009 1 UNC bilaterale con psoas

hitch

Perez [43] 2009 5 1x UNC bilaterale

Bosev [44] 2009 2 2x UNC con psoas hitch

Rong [45] 2010 4

Mereu [46] 2010 2

Azioni [47] 2010 6 6x UNC con psoas hitch

Stepniewska [7] 2011 20 1x bilaterale

Han [48] 2012 1

Ahn [49] 2013 2 1x con psoas-hitch

Schonman [50] 2013 7 7x UNC con psoas hitch

Mu [51] 2014 6

Bourdel [52] 2015 3

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36

Dal primo reimpianto ureterale per patologia endometriosica descritto nel 1996 da Nezhat et al. sino al 2016, anno in cui è stata operata la paziente a cui si riferisce il presente case report, sono stati riportati un totale di 81 casi UNC condotti in laparoscopia e 7 eseguiti in laparoscopia robot-assistita. Il nostro caso si discosta da 6 su 7 di questi ultimi lavori, in quanto questi interventi riguardavano solo la gestione dell’uretere, mentre non veniva conseguita una contestuale eradicazione dell’endometriosi, ne veniva eseguita un’isterectomia. Il lavoro di Nezhat del 2011 può essere considerato il più simile a quello in esame poiché ha comportato la rimozione dell’utero, sebbene non degli annessi, e l’UNC è stata eseguita a destra.

Considerazioni sul case report

La paziente giungeva all’attenzione dei medici per la comparsa di un dolore lombare sinistro persistente da circa un anno fino a quando il sovrapporsi di una colica renale non aveva portato all’esecuzione di ulteriori accertamenti. Certamente la precedente storia di endometriosi per la quale la paziente era stata già operata nel 2006 suggeriva l’ipotesi diagnostica di una ripresa della patologia endometriosica. Ciononostante in relazione al caso in esame, in accordo con i dati riportati in letteratura, è agevole constatare come la presenza di una sintomatologia non particolarmente caratteristica si renda sovente responsabile di un ritardo diagnostico, sottoponendo i pazienti a potenziali gravi conseguenze per la funzionalità renale.

La paziente infatti, come è emerso dall’ecografia e dalla TC con mdc, presentava già un quadro di idroureteronefrosi sinistra e di nodularità pelviche che ha richiesto l’apposizione immediata di uno stent ureterale

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a doppio J come trattamento conservativo per evitare una perdita irreversibile della funzionalità renale.

La nodularità presente nel setto-rettovaginale, a causa delle sue considerevoli dimensioni (circa 30x18x24mm), consentiva già di supporre che il coinvolgimento ureterale fosse determinato dalla patologia endometriosica, in accordo con lo studio di Donnez et al., secondo cui nodularità endometriosiche superiori a 3cm nel setto retto-vaginale si correlano più frequentemente ad endometriosi ureterale. Una volta scongiurata nel breve termine la perdita di funzione renale, le evidenze patologiche alla TC a livello pelvico hanno richiesto un approfondimento ulteriore delle lesioni attraverso la RM che, sebbene costituisca un esame di secondo livello, rappresenta la metodica non invasiva più accurata per l’identificazione e mappatura delle lesioni endometriosiche.

Nel caso in esame la potenziale infiltrazione del retto era stata esclusa con le metodiche di colonscopia e di RX clisma del colon con doppio mdc, così come il coinvolgimento della vescica mediante la cistoscopia. L’estensione della patologia ha richiesto il reclutamento in fase pre-operatoria di un chirurgo ginecologo che si occupasse di utero e annessi e di un chirurgo urologo che si occupasse della ricostruzione ureterale. Si sottolinea inoltre che, avendo l’imaging pre-operatorio evidenziato l’assenza di una infiltrazione del colon-retto, non sono stati richiesti ulteriori trattamenti invasivi su quest’organo, escludendo dunque la necessità di un intervento da parte di un chirurgo generale.

Nel caso in esame, l’evidenza pre-operatoria di idroureteronefrosi e della nodularità stenosante nel tratto distale dell’uretere ha indotto all’esecuzione di una resezione e reimpianto ureterale in vescica come trattamento ottimale. Inoltre si rendeva necessaria la rimozione del

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manicotto fibroso periureterale formatosi in presenza di endometriosi, di lunghezza pari a circa 15 mm, per evitare una possibile recidiva di stenosi nel periodo post-operatorio.

L’assenza di sintomatologia e di complicanze al follow-up della paziente dimostrano come la chirurgia robotica sia una tecnica particolarmente precisa e sicura nella gestione di strutture delicate come l’uretere.

Approccio mininvasivo

Con riguardo all’endometriosi urinaria, la complessità dell’intervento chirurgico è legata al fatto che tale patologia si presenta tipicamente in associazione ad una grave e diffusa endometriosi pelvica che può richiedere contestualmente diversi approcci chirurgici (urologici, ginecologici e intestinali). Per questo motivo, storicamente la laparotomia è stata ritenuta l’opzione preferibile nel trattamento di questa condizione e tale risulta tutt’oggi al di fuori dei centri di riferimento per la chirurgia mininvasiva [53], sebbene attualmente siano presenti numerose prove scientifiche che dimostrano la superiorità dell’approccio laparoscopico per molte procedure [54]. La tecnica laparoscopica di ureteroneocistostomia per patologia endometriosica è stata descritta per la prima volta da Nezhat et al nel 1992 [32] e da allora più autori hanno iniziato a riportare la propria esperienza in merito: si menzionano, a titolo di esempio, gli studi di Stepniewska et al. [7], Bosev et al. [44] e di Nezhat et al.[55], i quali dimostrano buoni risultati clinici e chirurgici nel follow-up a breve e medio termine.

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L’approccio laparoscopico si è dimostrato attuabile e sicuro con diversi vantaggi rispetto alla laparotomia: minori perdite ematiche, riduzione del dolore post-operatorio, ridotta degenza ospedaliera, miglior cosmesi, ridotta convalescenza domiciliare e minori complicanze post-operatorie. Nell’esecuzione di interventi complessi (e.g. suturare, riallineare e dissezionare) è però richiesto un alto grado di abilità laparoscopiche e ciò, associato ad una lenta curva di apprendimento, fa sì che la tecnica laparoscopica non sia ancora diffusamente accettata [32]. Inoltre la creazione di un tunnel sottomucosale nella vescica per poter eseguire un reimpianto ureterale anti-reflusso richiede la dissezione ad angoli non facilmente raggiungibili laparoscopicamente [29].

I sistemi robotici utilizzati in assistenza alla laparoscopia rappresentano l’ultima evoluzione nella chirurgia mini-invasiva e il loro impiego nella pratica chirurgica è stato continuamente rimesso in discussione sin dall’introduzione del sistema DaVinci nel 1998.

L’approccio laparoscopico convenzionale è stato progressivamente innovato e rivoluzionato, apportando al chirurgo vantaggi quali una miglior ergonomicità, visualizzazione 3D del campo operatorio, aumentata magnificazione, miglior precisione, una più raffinata strumentazione, sette gradi di libertà in virtù della tecnologia EndoWrist®. Tutti vantaggi che consentono, nel loro complesso, una maggior manovrabilità degli strumenti. Inoltre, lavorare con questi sistemi risulta particolarmente intuitivo e la curva di apprendimento è certamente più rapida per i chirurghi che già padroneggiano la laparoscopia convenzionale.

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Queste innovazioni tecnologiche hanno fatto sì che le complesse procedure laparoscopiche sovra-menzionate risultino molto più precise e semplici [32].

L’escissione dell’endometriosi e l’ureterolisi sono ad oggi procedure prevalentemente eseguite in laparoscopia convenzionale. Tuttavia, quando è necessaria una resezione e reimpianto (ureteroureterostomia o ureteroneocistostomia), sono richieste abilità di sutura laparoscopica più avanzata con fili dal calibro fine e ciò può non essere semplice per i chirurghi che hanno una limitata esperienza laparoscopica [33]. In queste procedure di ricostruzione, il robot garantisce distinti vantaggi rispetto alla laparoscopia convenzionale. Una maggior precisione è garantita dall’eliminazione del tremore fisiologico che è essenziale per una meticolosa dissezione dell’uretere. Questa precisione nei movimenti è importante ai fini di un’adeguata preservazione dell’esile supporto vascolare ureterale e delle circostanti strutturi vitali, specialmente quando l’uretere è immerso in un denso tessuto fibrotico. I sette gradi di libertà della strumentazione robotica rispetto ai quattro gradi della laparoscopia convenzionale consentono un’articolazione di carattere bidirezionale e una presa che mima i movimenti manuali del chirurgo e permette la realizzazione di suture intracorporee più precise in uno spazio confinato come quello della pelvi. Un’adeguata dissezione e sutura sono infatti necessarie per creare anastomosi prive di tensione e ben vascolarizzate [32]. Molteplici studi hanno evidenziato come gli apprendisti acquisiscano competenze nelle suture e nei nodi più velocemente con l’assistenza robotica che attraverso la laparoscopia convenzionale [56] [57].

Vi sono tuttavia alcuni evidenti svantaggi nel ricorso alla chirurgia robotica, rappresentati in primo luogo dal costo economico e dalla

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conseguente, scarsa disponibilità di questa tecnologia. In secondo luogo, la mancanza di un feedback tattile alla console comporta che il chirurgo debba fare affidamento esclusivamente sulla visione [32]. Il costo addizionale del robot, se comparato alla laparoscopia convenzionale, non è trascurabile. Esso include non soltanto il costo del sistema stesso, ma anche la manutenzione, la necessità di uno staff appositamente addestrato e un più lungo tempo di impiego della sala operatoria. Ciononostante, questo costo è compensato dai rilevanti benefici per la società conseguenti alla riduzione dei giorni di degenza ospedaliera, delle morbidità postoperatorie e dei giorni di assenza dal lavoro [5].

L’ureteroneocistostomia laparoscopica robot-assistita rappresenta un’opzione praticabile e sicura nel trattamento delle stenosi distali dell’uretere. Garantendo i vantaggi di una chirurgia mini-invasiva, questo approccio potrebbe diventare nel prossimo futuro il gold standard nella ricostruzione distale dell’uretere [32]. La laparoscopia convenzionale, sebbene sia stata introdotta in urologia molto tempo prima dei sistemi robotici, non ha mai rivestito analoga importanza. Alcuni autori suggeriscono che le difficoltà tecniche della laparoscopia convenzionale come nel caso delle suture intracorporee e la lunga curva di apprendimento che essa determina, unitamente alla carenza di chirurghi esperti nel settore, costituiscono la principale ragione dello sviluppo disomogeneo di queste due tecniche [58] [5]. Ciononostante, non può non rilevarsi che la maggior parte dei ginecologi e urologi non risultano ancora pienamente propensi a ricorrere alla chirurgia laparoscopica e tendono piuttosto ad optare,nella maggior parte degli interventi, per la chirurgia tradizionale a cielo aperto [59].

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CONCLUSIONI

Dalla presente analisi emerge che le metodiche mininvasive, in particolar modo quelle robotiche, si stanno progressivamente affermando in operazioni chirurgiche sino ad oggi considerate eseguibili solo con una chirurgia a cielo aperto. Nel caso in esame, essendo necessario operare una resezione e un reimpianto dell’uretere, l’impiego della tecnica robotica ha garantito una maggior accuratezza nella dissezione dell’uretere immerso nel tessuto fibrotico, per assicurare un’adeguata preservazione dell’esile supporto vascolare e la realizzazione di suture intracorporee più precise in uno spazio confinato come quello della pelvi, entrambe necessarie per creare anastomosi prive di tensione e ben vascolarizzate. Ciò ha garantito, ad un anno di distanza dall’intervento, una totale asintomaticità nella paziente.

Tuttavia, nonostante i chiari vantaggi della chirurgia mininvasiva rispetto alla laparotomia, quest’ultima viene ancora oggi preferita per l’assenza di chirurghi addestrati, nonché per la difficoltà di reperire concretamente la strumentazione necessaria e per le lunghe curve di apprendimento delle tecniche laparoscopiche. In quest’ottica, la chirurgia robotica, in virtù della sua rapida curva di apprendimento potrebbe facilitare l’approccio mininvasivo anche per patologie complesse come l’endometriosi profonda. Si prospetta dunque, nel prossimo futuro, un significativo incremento nel ricorso alla chirurgia robotica per il trattamento di patologie benigne e maligne, interventi che, auspicabilmente, non saranno più relegati a centri altamente specializzati bensì più capillarmente diffusi.

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