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Introduzione
Da almeno vent’anni il tema della corporate governance è oggetto di dibattito da parte dell’ampio pubblico che partecipa con vari ruoli alla vita dell’azienda. In particolare le questioni che sono oggetto di discussione riguardano chi debba governare le imprese e con quali modalità e come si debbano ripartire i risultati dell’attività di impresa.
Attorno al 1985 l’espressione corporate governance era usata quasi esclusivamente nel mondo anglosassone e richiamava una problematica piuttosto circoscritta, ossia la configurazione e il funzionamento dei Consigli di Amministrazione (Board of Directors) delle grandi imprese quotate in borsa e, in particolare, delle imprese nelle quali si era in larga misura o totalmente affermata la cosiddetta “separazione tra
proprietà e management”.1 L’archetipo di impresa in questione è la public company.
Da tale separazione nasce la teoria dell’agenzia uno dei principali filoni della letteratura che guarda le aziende in una prospettiva contrattuale. Tale teoria si focalizza sulla struttura proprietaria, con particolare riferimento ai due principali soggetti dell’impresa: gli azionisti e i manager. Il rapporto fra le due parti è stato assimilato a quello
intercorrente tra principale e agente sulla base di un contratto di agenzia.
Una delle questioni più spinose derivanti dalla separazione fra proprietà e controllo è che si crei un disallineamento fra gli interessi dei proprietari e dei manager. Questi ultimi potrebbero non solo non perseguire gli interessi dell’impresa, ma anche danneggiarla se questo significasse massimizzare gli interessi personali.
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Tutto ciò implica l’insorgenza dei cosiddetti “costi di agenzia” che altro non sono che una serie di strumenti di sorveglianza (monitoring) e sistemi di incentivazione volti a
limitare il comportamento opportunistico dell’agente.2
Solo negli ultimi anni, l’espressione corporate governance è andata a coprire una problematica molto più ampia includendo anche i temi degli assetti proprietari ed estendendosi a tutti i tipi di imprese quotate o meno, con o senza azionisti di controllo, grandi o piccole andando quindi a includere anche le imprese familiari di qualsivoglia dimensione.
Se da una parte è vero che nelle piccole e medie imprese a conduzione familiare i costi di agenzia sono ridotti al minimo, dal momento che i ruoli di proprietario e gestore spesso si sovrappongo, è anche vero che con la crescita dimensionale dell’impresa e con il passaggio generazionale tali costi tendono a presentarsi. Di solito con l’aumentare della dimensione vengono assunti manager esterni e con l’aumentare dei passaggi generazionali solo qualche membro della famiglia ricoprirà anche funzioni manageriali. Allo stesso tempo nelle imprese familiari di piccole dimensioni la corporate governance esiste da sempre seppur in veste informale, basti pensare ai Consigli di Famiglia dove spesso ha luogo la pianificazione del passaggio generazionale che è indispensabile per garantire la sopravvivenza dell’impresa.
In Italia abbiamo più del doppio delle PMI rispetto ai paesi europei più progrediti e tali imprese sono in prevalenza a conduzione familiare. La diffusione di tale fenomeno può essere spiegata alla luce di motivazioni oggettive e soggettive:
Il desiderio di autonomia e indipendenza economica che ha spinto molti individui ad impiegare i propri capitali e il proprio bagaglio esperienziale in
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F. DI DONATO, Gli amministratori indipendenti. Corporte governante, earnings management, Luiss University Press, Roma 2012, p. 41
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attività imprenditoriali, senza coinvolgere, in qualità di socio, altri individui o tutt’al più coinvolgendo solo componenti della famiglia;
L’inclinazione a considerare meno importante la costituzione di un team manageriale sufficientemente indipendente rispetto alle esigenze e alle pretese della famiglia, da premiare o penalizzare in relazione ai risultati conseguiti. Tra le motivazioni di tipo oggettivo, rientrano le caratteristiche del settore in cui tali imprese hanno con preferenza operato. Quindi settori che si caratterizzano per lo scarso ruolo delle economie di scala e per la particolare efficacia del vantaggio competitivo volto alla “focalizzazione” su specifici segmenti di mercato. Ci riferiamo ai settori del tessile, meccanico, dell’abbigliamento, ecc. Per tutti questi
motivi spesso tali imprese familiari rimangono di piccola dimensione.3
Un aspetto che hanno in comune tutte le imprese familiari che siano PMI o di grande dimensione è la gestione del rapporto fra famiglia e impresa con tutto ciò che ne consegue.
Dalla necessità di far collimare questi due aspetti così diversi è evidente che l’azienda familiare necessita di un sistema di regole e procedure atte a garantirne il buon
funzionamento e soprattutto la sopravvivenza ai ricambi generazionali.
Il contenuto di tale lavoro verrà introdotto da una prima parte descrittiva sulla situazione macroeconomica caratterizzante lo scenario internazionale e il nostro Paese, con un focus sul ruolo rivestito dalle imprese familiari. Per poi mettere alla luce il modello capitalistico in Italia e in particolare le PMI e i Distretti Industriali. E’ importante
sottolineare fin da ora come la presenza dei Distretti Industriali nel nostro paese rendano
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meno pesante l’impatto che le limitate dimensioni delle imprese possono avere sulla
competitività del nostro paese.4
Il secondo capitolo tratterà le varie definizioni di Impresa Familiare e i contributi dei principali autori in materia, con un excursus sulle varie peculiarità – punti di forza e debolezza, percorsi evolutivi - e sui potenziali conflitti/rischi che la caratterizzano. Il terzo capitolo verterà sulla Corporate Governance iniziando con le definizioni che sono state date in dottrina, per poi soffermarsi sulle diverse configurazioni che essa assume a seconda che si tratti di una grande impresa o di una PMI.
Soprattutto si metterà a fuoco il ruolo giocato dalla corporate governance per gestire un Family Business: il rapporto fra l’assemblea dei soci e il CdA, il consiglio e i patti di famiglia, il manager esterno e l’Amministratore Indipendente e il ricorso alla struttura piramidale – e in particolare alla leva azionaria – per garantire alla famiglia le risorse finanziarie necessarie per gestire il proprio business.
Obiettivo di tale lavoro è dimostrare che la corporate governante svolge un ruolo chiave in qualsiasi azienda familiare, alla luce del fatto che ogni impresa familiare presenta
proprie specificità che originano distinti fabbisogni di goverance.5
Il quarto capitolo si soffermerà sulle peculiarità della Regione Toscana e su come queste influenzino le PMI localizzate in tale Regione.
Il quarto capitolo inoltre è frutto di mie personali considerazioni su quelle che, a mio avviso, dovrebbero essere le prerogative di una buona corporate governance
implementata da una PMI a conduzione familiare.
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A. ZATTONI, Assetti proprietari e corporate governace,Egea, Milano 2007, p. 196
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L. DEL BENE, G. LIBERATORE, N. LATTANZI, Aziende famigliari e longevità economica. Modalità di analisi e