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I social media a supporto dei processi di internazionalizzazione di una PMI: Il caso Luciano Barachini per la Cina

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA E MANAGEMENT

Corso di laurea in Marketing e Ricerche di Mercato

TESI DI LAUREA:

I social media a supporto dei processi di

internazionalizzazione di una PMI:

Il caso Luciano Barachini per la Cina

Relatore:

Prof. AnnaMaria Tuan

Candidato:

Michela Orlandi

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Sommario

Introduzione ... 4

Capitolo 1. Le caratteristiche, peculiarità e potenzialità del Web 2.0 ... 6

1.1 Cos’è il web 2.0 ... 6

1.2 La online customer experience ... 7

1.2.1 Excursus storico ... 8

1.2.2 L’esperienza oggi ... 12

1.3 Il comportamento del consumatore online ... 13

1.4 La strategia multichannel ... 17

1.4.1 Gestione dell’ambiente e dei clienti multichannel ... 22

1.5 La customer channel migration... 25

1.5.1 Ricerche empiriche ... 26

1.6. Il comportamento del consumatore nei social media ... 32

1.7 I social network occidentali ... 34

1.7.1 Facebook ... 34

1.7.2 Instagram ... 36

1.8 Nuove opportunità di crescita ... 37

Capitolo 2. Il contesto cinese ... 39

2.1 Un mercato in crescita ... 39

2.2 Controllo e censura ... 42

2.3 Aspetti giuridici ... 44

2.4 L’utilizzo di Internet in Cina ... 45

2.5 Il consumatore cinese online ... 47

2.5.1 Il consumatore cinese dei beni di lusso ... 56

2.6 I social network in Cina ... 59

2.6.1 QZone ... 60

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2.6.3 Wechat ... 63

2.7 L’e-commerce in Cina ... 64

Capitolo 3. La metodologia di ricerca ... 65

Capitolo 4. Il caso Luciano Barachini per la Cina ... 68

4.1 L’azienda ... 68

4.2 I cambiamenti in atto ... 70

4.3 Le potenzialità del settore calzaturiero in Cina... 72

4.3 Il mercato del lusso in Cina ... 75

4.4 L’obbiettivo aziendale e le tre possibili strategie ... 76

4.5 La strategia di e-commerce indiretto ... 79

4.5.1 Alibaba: Tmall e Taobao ... 81

4.5.2 JD.com ... 85

4.5.3 Vip.com ... 87

4.6 La strategia social ... 89

4.6.1 Wechat ... 90

4.7 La strategia di e-commerce diretto ... 98

4.7.1 La promozione del sito: SEO e SEM... 104

4.8 La strategia consigliata ... 106

Conclusioni ... 114

Bibliografia ... 116

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Introduzione

La centralità dei social media e dell’e-commerce è ormai un fenomeno evidente ed inevitabile. Oggi giorno i consumatori sono sempre più attivi sul Web, continuamente connessi grazie alle nuove tecnologie e le aziende devono essere in grado di farvi fronte. I consumatori infatti confrontano prezzi, leggono

opinioni e recensioni, postano feedback, guardano tutorial ed acquistano sempre più online.

Le strategie di digital e social media marketing sono dunque un elemento imprescindibile per qualsiasi azienda, indipendentemente dalla dimensione, dal prodotto o servizio offerto e dalla tipologia di cliente.

Ciò è vero in America ed in Europa ma lo è ancora di più in Asia, dove paesi come la Cina hanno raggiunto elevati livelli di crescita e di diffusione delle tecnologie e di Internet. Il consumatore cinese è sicuramente il consumatore digital per eccellenza, data la sua elevata propensione alla condivisione su social media, blog, forum e la sua sempre maggiore predisposizione a migrare tra un canale online all’altro e a recuperare informazioni online anche quando effettua acquisti all’interno di un negozio fisico.

Per tali ragioni il seguente elaborato si pone come obbiettivo l’analisi delle principali caratteristiche del Web 2.0 e delle potenzialità da esso derivanti, a cui le aziende possono e devono necessariamente ricorrere per riuscire oggigiorno a raggiungere un vantaggio competitivo o anche solo sopravvivere nel contesto attuale, caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati, dall’ipercompetizione e da un cliente sempre più informato ed esigente. Tutti gli aspetti connessi alla digitalizzazione qui trattati risultano essere fondamentali per le aziende per comprendere appieno il quadro di riferimento.

Nello specifico tale elaborato si sofferma su un’analisi del contesto cinese, sia in termini di attrattività dello stesso sia con particolare focus sui principali trend,

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con particolare enfasi sulle tipicità del consumatore cinese online. Tutto ciò a sostegno della definizione ed attuazione di un processo di internazionalizzazione digitale di una piccola media impresa (PMI) italiana presente nel settore

calzaturiero, il cui obbiettivo ha riguardato l’ingresso nel mercato cinese attraverso lo sfruttamento delle nuove opportunità offerte dal Web 2.0.

La seguente tesi è dunque il risultato del lavoro svolto durante un periodo di tirocinio presso l’azienda Luciano Barachini. Si tratta quindi di uno studio di fattibilità focalizzato sul market target di riferimento e sulle caratteristiche dell’azienda in questione, ma che può presentarsi anche come una guida per quanto concerne una migliore comprensione di una paese complesso quale è la Cina e delle sue diversità in termini economici, sociali, culturali,

comportamentali e di disponibilità degli strumenti.

Oltre agli aspetti di natura più teorica e all’analisi del mercato di riferimento, sono stati esaminati infatti i principali strumenti a cui si può ricorrere per implementare tale strategia di penetrazione del mercato e le loro funzionalità e modalità di utilizzo in termini più pratici.

La struttura dell’elaborato è dunque la seguente: nel primo capitolo saranno trattati nello specifico i fenomeni strettamente connessi all’evoluzione del Web, dunque le strategie a cui le aziende possono ricorrere per far fronte ai

cambiamenti riguardanti il comportamento del consumatore online, oltre che le diverse funzionalità dei social network occidentali; nel secondo capitolo invece sarà analizzato il mercato cinese, partendo da un’analisi più di carattere

economico e sociale per arrivare poi ad evidenziare le peculiarità del

consumatore cinese, soprattutto online, e dei principali social media disponibili; nel terzo capitolo invece sarà descritta quella che è stata la metodologia di ricerca applicata; infine nel quarto capitolo sarà presentato il caso studio, durante il quale saranno definite le tre principali strategie di penetrazione del mercato

individuate, per concludere con la scelta di una tra queste, sulla base degli obbiettivi aziendali, del mercato di riferimento e dell’analisi svolta.

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Capitolo 1. Le caratteristiche, peculiarità e potenzialità del Web

2.0

1.1 Cos’è il web 2.0

Tim O’Reilly scrisse nel 2005: “Il Web 2.0 fa riferimento agli sviluppi della tecnologia online che consentono l’uso di funzionalità interattive in un ambiente caratterizzato da controllo dell’utente, libertà e dialogo” (Tim, 2005). È qui dunque che si manifesta la differenza rispetto alla precedente versione, il Web 1.0: si tratta di un mezzo di comunicazione interattivo e sociale, sempre

disponibile. Non ci sono più flussi che scorrono dalle grandi aziende o governi verso le persone, ma oggi ciascuno di noi comunica continuamente grazie ad un semplice click, con un numero sempre maggiore di persone e sempre più con le aziende stesse. Si parla di rivoluzione orizzontale proprio per questa tipologia di comunicazione tra individui (Tuten Tracy L., 2014). Grazie al Web 2.0 i singoli utenti diventano inoltre co-creatori e partecipi delle fasi di progettazione e realizzazione del prodotto.

Sicuramente l’e-commerce sta giocando un ruolo fondamentale, per le aziende in primis ma allo stesso tempo per i consumatori, il cui potere sta aumentando e che stanno diventando sempre più informati; ma l’elemento centrale del Web 2.0 è dato dalla socialità che si manifesta principalmente nei social media: strumenti di comunicazione, trasmissione, collaborazione e crescita online tra reti

interconnesse e interdipendenti di persone, comunità e organizzazioni.

Per comprendere al meglio tale fenomeno e le sue peculiarità è fondamentale analizzarne le sfaccettature ed i fenomeni ad esso associati, sempre più oggetto di attenzione da parte degli studiosi: partendo dall’esperienza e dal comportamento del consumatore, entrambi elementi fondanti del marketing, considerandone però anche le peculiarità relative al contesto online, per arrivare alla strategia

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condivisione e spostamento tipica del Web 2.0, per passare necessariamente alla channel migration, un fenomeno strettamente legato al precedente; per infine discutere gli aspetti specifici dei social media, elemento portante del Web 2.0, ricollegandosi anche qui alle peculiarità del consumatore e alle opportunità per le aziende.

1.2 La online customer experience

L’esperienza del consumatore in generale è un fenomeno sul quale il marketing si è focalizzato ormai da diversi anni. Creare una forte esperienza per il

consumatore è ormai considerato un importante obbiettivo aziendale per ciascuna impresa (Katherine N. Lemon, 2016), come dimostra il fatto che le più grandi aziende come KPMG, Amazon e Google abbiano delle figure manageriali

appositamente dedicate alla creazione e gestione di tale esperienza. Tuttavia essa si è oggi ampliata anche al contesto virtuale.

Prima di analizzare le peculiarità del contesto online è importante però capire che cosa si intenda nello specifico con esperienza del consumatore, le varie

definizioni che sono state date dagli studiosi, su quali aspetti i teorici si sono soffermati nel corso degli anni, le sue origini e la prospettiva storica nell’ambito del marketing.

Con esperienza del consumatore si intende “il tempo speso in una serie di eventi memorabili che un’azienda offre al consumatore per coinvolgerlo in un modo personale” (Pine, 1998), concettualizzandola così come qualcosa di distinto dai prodotti e servizi offerti. Col tempo si è poi enfatizzata la natura olistica di tale concetto andando ad incorporare nella definizione gli aspetti cognitivi, emotivi, sensoriali, sociali e spirituali delle risposte dei consumatori a tutte le possibili interazioni con l’azienda. Più recentemente la pratica manageriale ha esteso tale termine ad ogni aspetto dell’offerta aziendale, comprendendo la customer care ma anche la pubblicità, il packaging, le caratteristiche di prodotti e servizi e

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l’affidabilità. L’esperienza altro non è che la risposta soggettiva ed interna del consumatore ad ogni contatto diretto o indiretto con l’azienda (Meyer, 2007). Schmidt nello specifico esalta la visione multidimensionale identificando cinque tipologie di esperienze: quella sensoriale legata ai sensi, quella affettiva legata al sentimento, quella cognitiva legata al pensiero, quella fisica legata all’azione e quella sociale-identitaria legata alle relazioni.

Allo stesso tempo la definizione, offerta e gestione dell’esperienza del consumatore può essere osservata da diverse prospettive: dal punto di vista dell’azienda, la quale la disegna e crea per i clienti che la riceveranno, dei consumatori e di co-creazione, in cui si enfatizza l’interazione del consumatore con più attori in un ecosistema più ampio, riconoscendogli però allo stesso tempo un ruolo fondamentale nella definizione dell’esperienza stessa.

1.2.1 Excursus storico

Il focus sull’esperienza altro non è che il risultato dell’evoluzione di altri ambiti di ricerca del marketing come la customer satisfaction, la qualità del servizio, il customer relationship management, la centralità del consumatore e il customer engagement. Per capire questo fenomeno è dunque importante analizzarne le radici che risalgono agli anni ’60, quando si svilupparono e diffusero le prime teorie del marketing e del comportamento del consumatore, soprattutto grazie al lavoro di Philip Kotler (1967) e John Howard e Jagdish Sheth (1969).

Le prime teorie degli anni ’60 si focalizzano sui processi decisionali dei consumatori e sull’intero processo di acquisto che va dalla definizione del bisogno, alla valutazione dei vari prodotti, per arrivare all’acquisto vero e proprio, a cui seguono poi tutte le attività post-acquisto. Si capisce come le aziende debbano considerare l’intero processo che il consumatore esperisce per poter definire la propria offerta nel modo più adatto. Ovviamente tutto ciò è valido anche nell’ambito B2B, in cui il team di acquisti assume una centralità fondamentale. È dunque cruciale tracciare l’esperienza del consumatore in ogni

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punto di contatto per sviluppare e capire come l’esperienza possa essere arricchita per il consumatore all’interno del processo di decisione dello stesso. Proprio perché oggigiorno i clienti interagiscono con le aziende attraverso moltissimi punti di contatto in molteplici canali e media e l’esperienza diventa sempre più social in natura, è necessario che le aziende comprendano appieno la cosiddetta customer journey per così definire la customer experience. Con il primo termine si intende nello specifico il processo che porta il consumatore ad acquistare un prodotto, passando per differenti punti di contatto con l’azienda che vanno così a creare l’esperienza del cliente, che è appunto un costrutto

multidimensionale. Ciò che i clienti davvero desiderano infatti non sono più semplicemente i prodotti, ma le esperienze, per vivere momenti memorabili che lo coinvolgano da un punto di vista personale (Lemon Katherine N, 2016, p. 69-96).

Negli anni ’70 invece si è cominciato a porre enfasi sul concetto di soddisfazione e lealtà del cliente, che oggi sono elementi imprescindibili per capire appieno il concetto di esperienza del consumatore e fornire le basi per la sua misurazione. Si è così sviluppato un modello di comparazione tra le aspettative del

consumatore e le performance dell’azienda per valutare l’insoddisfazione o soddisfazione del cliente, la quale deve essere continuamente misurata e monitorata, ad esempio tramite la valutazione delle attitudini e percezioni dei clienti. Molti studi hanno confermato gli effetti positivi della soddisfazione del consumatore sul suo comportamento e di conseguenza sulle performance aziendali (Anderson, 2004) (Bolton, 1991) (Gupta Z. , 2006). Solo più

recentemente invece si è sviluppato il concetto di customer delight, secondo il quale non è sufficiente oggigiorno per le aziende soddisfare i clienti ma è necessario deliziarli ed offrire loro prodotti e servizi in grado di stupirli e che vadano sempre più al di là delle loro aspettative.

Negli anni ’80 nasce invece una nuova disciplina, il marketing dei servizi, quando si cominciano ad evidenziare le differenze connesse ai servizi rispetto ai prodotti tangibili, ovvero intangibilità, interazioni personali, problematiche legate

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alla valutazione della qualità etc. Il principale apporto dato da questa nuova disciplina allo sviluppo del concetto di esperienza del consumatore consiste nella service quality, nel focus sul contesto in cui l’esperienza avviene e sulla

mappatura e misurazione del costumer journey attraverso l’utilizzo del blueprint, una mappa descrittiva del processo di erogazione del servizio. Si capisce come in tale ambito l’esperienza complessiva del consumatore diventi centrale.

Negli anni ’90 invece si pone particolare enfasi sul concetto di relazione con il cliente e sul mantenimento e rafforzamento della stessa: nasce il cosiddetto marketing relazionale, inizialmente solo nell’ambito B2B, poi esteso anche al consumatore finale. I più importanti concetti che sono stati sviluppati in tale ambito sono la fiducia, il coinvolgimento (in tutte le sue dimensioni), gli switching costs e la qualità della relazione. Ma ciò che ha particolarmente arricchito il concetto di esperienza del consumatore è l’idea di passione ed intimità (Verhoef, 2015) che ha portato dunque ad associare emozioni e percezioni al concetto di esperienza.

Negli anni 2000 si sviluppa il Customer Relationship Management (CRM), ovvero la funzione di gestione della relazione con il cliente. Se il marketing relazionale aveva enfatizzato l’importanza delle relazioni e il mantenimento delle stesse, il CRM si focalizza principalmente sull’ottimizzazione della profittabilità dei clienti e del Customer Lifetime Value (CLV). Questo perché si dimostra che non necessariamente le relazioni durature sono più profittevoli e che i clienti differiscono gli uni dagli altri in termini di costi e profitti. Per tali ragioni l’obbiettivo diventa quello di ottimizzare il portafoglio clienti e focalizzarsi su quelli più profittevoli. La letteratura del CRM ha contribuito così a sviluppare il concetto di esperienza del consumatore focalizzandosi sugli elementi che la compongono, su come risultano tra loro correlati e sull’importanza dei risultati aziendali.

A cavallo tra gli anni 2000 e 2010 si è sviluppata invece la nozione di centralità del consumatore come approccio strategico che si focalizza sul comprendere appieno il consumatore ed offrire ad esso valore come ad un singolo e non ad un

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mercato di massa. L’obbiettivo diventa dunque quello di capire le specifiche esigenze dei clienti, definendo le caratteristiche dell’offerta in modo appropriato e personalizzato, così da soddisfarle pienamente. E tutto ciò è diventato possibile a partire da quegli anni proprio grazie all’elevata disponibilità di dati ed

informazioni derivanti dalle nuove tecnologie. Focalizzandosi su tutti questi aspetti è stato così possibile definire in un modo nuovo l’esperienza del consumatore, nel modo in cui la si intende oggi giorno.

In quest’ultimo decennio si è invece sviluppato il concetto di customer engagement, con il quale si intende uno stato motivazionale che porta il consumatore a partecipare con l’azienda. Più specificatamente è stato definito come “l’intensità della partecipazione e connessione individuale con le offerte e le attività di un’organizzazione, che possono essere attivate dal cliente o

dall’organizzazione stessa” (Vivek, 2012). Dunque questa definizione prescinde dall’effettivo acquisto ed è il risultato di una spinta motivazionale. Questo approccio trova poi ulteriore conferma a seguito della rivoluzione digitale e dei social media, dato che l’utente diventa co-produttore di valore o distruttore dello stesso. Dunque questa dimensione, al di là del semplice acquisto, include

manifestazioni come la co-creazione, l’influenza sociale attraverso il passaparola e le raccomandazioni dei consumatori (Hoyer, 2010).

Dunque analizzando le principali teorie che si sono susseguite nel corso degli anni possiamo capire come il concetto di esperienza del consumatore e gestione della stessa si siano evoluti nel tempo e risultino essere complessi e definiti da più sfaccettature. Da un lato rimane la connessione con il processo di acquisto e con il percorso intrapreso dal consumatore che si manifesta tramite i diversi punti di contatto con l’azienda; dall’altro rimangono fondamentali anche i risultati di tale esperienza come la lealtà, la soddisfazione, la profittabilità; e ancora rimane centrale la gestione e gli strumenti utilizzati dal management per un continuo miglioramento della stessa.

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1.2.2 L’esperienza oggi

Nonostante lo sviluppo visto nel corso degli anni è solo più recentemente che le aziende hanno capito le opportunità derivanti dalla creazione, mantenimento e rafforzamento delle esperienze del consumatore: in passato l’attenzione del management era rivolta esclusivamente alla creazione di valore da parte del cliente per l’azienda, usando metriche come il Customer Lifetime Value, invece di tener di conto del valore offerto al cliente dall’azienda (Bugel, 2010). È ormai infatti comunemente accettato il fatto che ciò che determina il successo di

un’organizzazione sono i suoi clienti e non i prodotti o servizi offerti (Gupta L. S., 2004).

Allo stesso tempo però le imprese ne stanno perdendo il controllo, soprattutto se si fa riferimento all’esperienza del consumatore nell’ambito online: basti pensare solo al fenomeno dello showrooming, che si verifica quando un consumatore effettua la ricerca in negozio mentre l’acquisto online, e proprio per questa ragione le aziende devono essere in grado di coordinare differenti funzioni aziendali, come l’information technology (IT), la logistica, il marketing, le risorse umane etc. per consegnare un’esperienza unica al consumatore, che tenga conto delle nuove esigenze degli utenti e sfrutti le nuove opportunità

tecnologiche e digitali. È diventato dunque sempre più complesso per le aziende creare, gestire e controllare le esperienze dei singoli consumatori (Lemon

Katherine N, 2016, p. 69-96). Ogni singolo punto di contatto tra azienda e consumatore conta: si capisce come le aziende debbano sfruttare al meglio l’integrazione dati per offrire messaggi unificati e personalizzati tramite ogni tipologia di canale nel momento in cui si decida di ricorrere ad una strategia multichannel. Questa infatti consente di migliorare ed arricchire l’esperienza del consumatore ma allo stesso tempo ne rende più complessa la gestione stessa.

L’obbiettivo è quello di creare soddisfazione e di coinvolgere il cliente: la customer satisfaction e la brand loyalty dipendono dall’esperienza del

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monitoraggio delle reazioni del consumatore alle offerte dell’azienda, in particolare delle percezioni e delle attitudini per poter perseguire un continuo miglioramento dell’offerta aziendale, e ciò risulta sempre più possibile grazie agli sviluppi tecnologici e alla possibilità di un continuo monitoraggio

dell’ambiente online, soprattutto social. Ma altrettanto importante risulta essere la customer engagement che consiste nell’intensità della partecipazione

dell’individuo nei riguardi dell’offerta e delle attività proposte dall’azienda, a maggior ragione nel nuovo conteso del Web 2.0 dove la co-creazione e le influenze sociali tramite il passaparola diventano centrali. Tutti questi elementi dunque influenzano e indirizzano l’esperienza online.

Come visto l’esperienza non è però legata solo ad aspetti specifici dell’offerta, come un brand o una tecnologia ma è comunque un concetto olistico e

multidimensionale che coinvolge aspetti cognitivi, affettivi, comportamentali, sensoriali, sociali ed interni al consumatore. Di qui si capisce il necessario collegamento con lo studio del comportamento del consumatore.

1.3 Il comportamento del consumatore online

Gli studi sul comportamento del consumatore iniziano negli anni ’60 ma è solo nell’ultimo decennio che si sono estesi anche al contesto virtuale per ovvia necessità. Ciò che in primis è stato notato rispetto al comportamento passato è l’evoluzione del consumatore che oggigiorno risulta essere sempre più informato, in grado di comparare facilmente prodotti e prezzi, di dare e ricevere feedback da altri utenti etc.

La letteratura specializzata ha introdotto il concetto di “second life” con

riferimento all’atteggiamento ed al comportamento degli individui nei confronti e all’interno dell’ambiente online, andando così ad esprimere appieno quello che è il loro bisogno di interazione sociale e allo stesso tempo di comfort e velocità nell’identificare possibili alternative (Oana, 2016).

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I cambiamenti della società contemporanea degli ultimi decenni in termini di riduzione di tempi per la soddisfazione dei propri bisogni e aumento del comfort ricercato, hanno portato le aziende a dover affrontare nuove problematiche per soddisfare i bisogni dei consumatori. Questi infatti utilizzano Internet sempre più per informarsi, confrontare prodotti e servizi ed effettuare acquisti, diventando così ciò che la letteratura ha definito come e-consumer. Al contrario dei

consumatori tradizionali che sono più conservativi e più costanti nelle loro scelte, questi risultano essere molto più aperti ai cambiamenti e disponibili a nuove opportunità (Belingher, 2011), oltre che maggiormente interessati alle

caratteristiche funzionali dei prodotti (Brown, 2008). In generale l’e-consumer può essere descritto come una persona innovativa, con un livello educativo superiore alla media e con un status socio-economico relativamente alto (Dennis, 2009).

Ma non c’è più solo il cliente che ricerca benefici utilitaristici, come prima detto, che cerca di soddisfare uno specifico bisogno nel modo più conveniente

possibile; il consumatore oggi persegue anche benefici edonistici, che derivano per l’appunto dall’esperienza online (Bridges Eileen, 2007, p. 309-314).

Attraverso un’interfaccia appropriata l’azienda può essere in grado di offrire un’esperienza unica e rendere lo shopping più piacevole aumentando così la soddisfazione del consumatore; così come un sito ben strutturato può aumentare le probabilità di acquisto.

Ma in questo nuovo contesto in cui agisce il cosiddetto “smarter shopper” (Audren-Pontevia, 2014), il quale investe in modo considerevole tempo e sforzi per cercare ed utilizzare informazioni e promozioni al fine di poter risparmiare, è difficile mantenere i propri clienti e renderli fedeli. Ma si deve comunque far distinzione tra il consumatore che effettua un acquisto pianificato e che utilizzerà le proprie conoscenze e competenze per acquistare il prodotto al miglior prezzo; e il consumatore a cui piace navigare ed esplorare le varie offerte senza

considerare un acquisto nell’immediato. Questo non è indirizzato da un

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Si capisce come lo stesso e-consumer di fatto presenti caratteristiche e

motivazioni molto differenti, per cui le stesse generalizzazioni possono diventare riduttive. Uno studio di GfK Future Buy pubblicato nel Giugno 2016 confronta le diverse ragioni che possono spingere il consumatore ad acquistare online

piuttosto che offline, notando così che le ragioni di cui è necessario tenere in considerazione sono svariate: risparmio di prezzo, shopping più semplice, varietà di prodotti, velocità del servizio, accesso a migliori informazioni e routine.

In questi anni più recenti è stato anche individuato un nuovo segmento di consumatori, definito come Xtreme Shopper, ovvero un acquirente che utilizza qualsiasi media e tecnologia disponibile per ottenere l’alternativa ottimale offerta dal mercato. Sempre uno studio pubblicato da GfK rivela che il 67% di questi consumatori usano Internet per informarsi, mentre solo il 38% effettivamente va a vedere il prodotto in un negozio dopo averlo acquistato online (www.gfk.com, s.d.).

Ma allo stesso tempo le nuove tecnologie, in particolare i social media, offrono nuove opportunità alle aziende per conoscere meglio questi nuovi consumatori e studiare nello specifico il loro comportamento. Da sempre la ricerca sul mercato, sulla concorrenza e sui consumatori è fondamentale per poter prendere decisioni nell’ambito del marketing e per ottenere così un vantaggio competitivo; ma oggi i social media hanno aumentato le modalità e possibilità di espressione da parte dei consumatori, dando sempre maggiore enfasi ai contenuti generati da questi (user generated content). I contenuti vengono condivisi continuamene in diverse comunità online sotto forma di esperienze, opinioni e fatti espressi sotto forma di audio, testo o video. E attorno a questi contenuti si avviano ulteriori

conversazioni. Dunque cambiano e aumentano le fonti e tali conversazioni diventano sempre più cruciali per le aziende, le quali devono dunque monitorare continuamente tali ambienti: social network, forum, post e commenti ai blog, recensioni di prodotti, video su You Tube, foto su Instagram etc. E le

informazioni che gli operatori possono così ottenere sono moltissime, spaziando dall’individuazione dei bisogni dei clienti, alla segmentazione e profilazione

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degli stessi per arrivare ad analizzare la notorietà del brand, l’atteggiamento rispetto alla marca attraverso le menzioni della stessa e il vantaggio competitivo aziendale.

Ma per comprendere ancora meglio le peculiarità del comportamento del

consumatore online è interessante introdurre il modello di Paul Henry relativo al processo di decisione degli acquisti online:

Figura 1. Constraining factors in consumer decision making, (Henry, 2005)

Sono stati identificati tre fattori di impatto su tale processo: in primis il tempo, visto come una risorsa scarsa di cui il consumatore necessita per informarsi grazie ai differenti canali disponibili, per poter prendere così la migliore scelta tra ciò che il mercato offre; un altro aspetto fondamentale consiste poi nelle capacità del consumatore di analizzare, interpretare ed integrare le informazioni ottenute e trasformarle in conoscenza utile e di valore; infine tutti quei fattori in grado di influenzare gli acquisti online come i servizi associati a questi (sicurezza delle transazioni, garanzia etc. ), la facilità dell’acquisto, la personalizzazione dell’esperienza e la possibilità di comparare le offerte.

Ultimo aspetto di cui tenere conto poiché in grado di influenzare il

comportamento del consumatore online è invece il fattore rischio che può manifestarsi in termini di sicurezza della transazione, mancanza di fiducia nel venditore e nelle tempistiche di consegna (Anon, 2002). Da una prospettiva

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differente Forsythe e Shi hanno classificato i rischi percepiti dai consumatori online in sei specifiche categorie: rischio finanziario, rischio relativo alle performance del prodotto, rischio sociale, rischio psicologico, rischio fisico e rischio tempo/convenienza (Forsythe, 2003)

In generale l’intensità di tali rischi dipende dallo step del processo di decisione, dall’esperienza del consumatore, dall’importanza e utilità del prodotto acquistato e dal rischio percepito dall’acquirente.

Ma ciò nonostante il 53% dei consumatori europei acquistano generalmente online (www.europa.eu/eurostat, s.d.) poiché questi apprezzano il range di prodotti disponibili e la possibilità di effettuare facilmente confronti con il minimo sforzo in termini di tempo e costi, per ottenere più facilmente

l’alternativa ottimale. Nonostante ciò però l’aspetto tangibile rimane ancora oggi un elemento importante per cui l’esperienza personale rimane un elemento decisivo nel processo decisionale. Proprio per tale ragione le aziende devono creare un mix di offerte online e offline e creare un’esperienza di shopping multichannel, ricorrendo dunque ad una nuova strategia la quale si è

particolarmente diffusa in questi ultimi anni per far fronte al fenomeno della channel migration.

1.4 La strategia multichannel

Con le nuove potenzialità del Web 2.0 le aziende possono dunque creare una nuova esperienza di consumo per i propri clienti, in particolar modo attraverso l’implementazione di una strategia multichannel. Tale strategia consiste

nell’utilizzo di diversi punti di contatto per raggiungere il singolo consumatore in modi sempre più interattivi e personalizzati. L’ambiente multichannel è diventato ormai dominante negli ultimi anni. Le aziende e i propri clienti possono

interagire tramite negozi brick-and-mortar, cataloghi, negozi online, e mail, piattaforme mobile etc. Il marketing multichannel è ormai diventato un elemento

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imprescindibile per aumentare le interazioni con il cliente e costruire con questo una relazione duratura (Hansotia, 2002) (Rangaswamy A. a., 2005). Si è ormai parlato di una vera e propria proliferazione di canali attraverso i quali i clienti possono interagire con le aziende (Neslin SA, 2006). Nell’ambito del retail tale strategia è stata definita come un insieme di attività riguardanti la vendita di prodotti tangibili o servizi al consumatore tramite uno o più canali (Levy M, 2009).

Ma nonostante tale esplosione nella pratica, la letteratura accademica non ha ancora sviluppato un’estesa teoria su come tali canali funzionino insieme (Avery J, 2012). Questa si è principalmente soffermata nel corso degli anni su tematiche come la selezione dei canali, le motivazioni, la channel migration ed il confronto tra clienti multi-channel e single-channel. In particolare l’enfasi è stata posta su aspetti funzionali e razionali come il livello di prezzo, la convenienza, la

disponibilità, le promozioni, l’utilità delle informazioni e l’ambiente di acquisto, basandosi su dati oggettivi come gli acquisti dei consumatori nel tempo. Di fatto le vendite sono un importante punto di partenza per tali analisi, ma l’interesse sembra oggi essersi maggiormente spostato sul come tale strategia possa consentire alle aziende di stabilire e sviluppare le relazioni con i propri clienti (Estela Ferna´ndez-Sabiote, 2015).

Ovviamente tutto ciò era possibile già in passato, ma oggi il fenomeno risulta essere ancora più in crescita dato che le possibilità si arricchiscono sempre di più. Si possono dunque utilizzare sia canali offline che online non solo per la vendita ma anche e soprattutto per creare un legame più profondo con il cliente ed ottenere la sua fedeltà al marchio e mantenerla nel tempo. In un contesto come quello attuale della globalizzazione, dove la competizione è sempre più forte e il cliente è sempre più esigente, è infatti complesso legare il consumatore ad un singolo marchio. Questa strategia è dunque considerata dagli studiosi come un elemento essenziale per poter sostenere la crescita in un mercato sempre più competitivo. (R. Venkatesan, 2007).

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Dunque come poter sviluppare tali relazioni? Nello studio empirico in questione (Estela Ferna´ndez-Sabiote, 2015) gli autori hanno evidenziato nell’ambito dei servizi, gli aspetti positivi dei canali tradizionali offline, ovvero in primis il comportamento e la professionalità degli impiegati, la loro disponibilità e capacità di far fronte alle esigenze del cliente, e dei nuovi canali online, che consistono principalmente in benefici e-psicologici, legati ai sentimenti positivi e al comfort del cliente che lo porta ad essere rilassato nel momento in cui ne fa utilizzo; che hanno una diretta conseguenza sulla soddisfazione e fiducia dei clienti nei confronti di un’azienda con una presenza multichannel. Dall’analisi risulta nello specifico come i primi aspetti abbiano maggiore influenza rispetto ai secondi sulla soddisfazione del cliente, mente entrambi abbiano all’incirca la stessa influenza sulla fiducia. Da ciò ne deriva il fatto che le aziende dovrebbero considerare con cautela la possibilità di sostituire interamente il lavoro umano con la tecnologia nel momento in cui desiderano definire ed implementare una strategia multichannel nell’ambito dei servizi.

Rimane comunque fondamentale l’elemento della profittabilità di tale strategia: secondo più autori i clienti che utilizzano molteplici canali hanno un volume di acquisti annuali maggiori rispetto ai consumatori che invece fanno utilizzo di un unico (R. Venkatesan, 2007). Altri studi invece si sono focalizzati sul fenomeno del cannibalismo, secondo cui la disponibilità di più canali porti necessariamente il cliente ad una selezione degli stessi (Asim Ansari, 2008). A riguardo sono stati svolti numerosi studi empirici con differenti risultati. È dunque ancora dibattuta tra gli esperti la questione se la strategia multichannel porti a risultati maggiori o inferiori, sebbene prevalga la prima tesi.

Secondo Myers (Myers, 2004) i clienti multichannel spendono in media il 20/30% in più rispetto a quelli single-channel, così come Kushwaha e Shankar (Kushwaha, 2005) riportano che i clienti multichannel acquistano più spesso, più oggetti e una cifra maggiore rispetto agli altri. Tuttavia non tutte le combinazioni multichannel sono associate ad acquisti superiori rispetto ai singoli canali. In generale le ragioni di tale fenomeno sono da ricollegarsi a maggiori tassi di

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fedeltà, all’autoselezione da parte dei consumatori o alla maggiore quantità di marketing a cui questi consumatori sono sottoposti (Neslin SA, 2006).

Altre ragioni che sono state identificate secondo le quali il cliente potrebbe effettivamente spendere di più nel momento in cui utilizza differenti canali sono legate al fatto che l’azienda possa offrire in tal modo differenti servizi aggiuntivi come ordini online, pickup offline, personalizzazione del prodotto etc. ma anche al fatto che i clienti, essendo maggiormente esposti a tali servizi offerti

dall’azienda, siano più propensi ad instaurare una relazione più profonda con essa (R. Venkatesan, 2007).

All’interno dello studio in questione inoltre sono stati individuati gli elementi maggiormente in grado di influenzare il tempo necessario per l’adozione di un secondo canale ovvero principalmente la frequenza di acquisto e dell’attuazione delle comunicazioni di marketing. A ciò si può aggiungere il fatto che gli heavy users, ovvero coloro che spendono maggiormente e con più frequenza, mostrino una forte preferenza per lo shopping multichannel (Gensler, 2007). Per quanto concerne invece il tempo necessario per adottare un terzo canale, i fattori influenzanti sono il tasso di rendimento seguito dagli attributi correlati alla frequenza.

Allo stesso tempo però le aziende devono essere scrupolose nello scegliere quali canali utilizzare, data la numerosità degli stessi. Sembra dunque appropriato condurre un’indagine campionaria sui consumatori per valutare il possibile ritorno sull’investimento e la coerenza con la strategia attuata. In generale la scelta dei canali dipende anche dal target di riferimento, dunque dalle

caratteristiche demografiche e psicografiche del segmento scelto. È evidente infatti come i consumatori prediligano alcuni canali piuttosto che altri tenendo conto di caratteristiche come età, genere, reddito, istruzione, stile di vita etc.

Con il solo riferimento alla popolazione italiana vediamo infatti significative differenze nell’utilizzo della piattaforma social più popolare, Facebook, per età e genere, come mostrato di seguito:

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Figura 2: Top active social platforms, Italy, 2016, (Digital 2016, 2016)

Figura 3: Facebook user profile, Italy, 2016, (Digital 2016, 2016)

In generale dunque l’intenzione del consumatore di utilizzare una moltitudine di canali è una diretta conseguenza della crescente importanza delle relazioni, relazioni sempre più peer-to-peer tra aziende e consumatori. Il Web 2.0 ha infatti portato al cosiddetto fenomeno della democratizzazione. I clienti possono sempre più spesso comunicare non solo tra loro ma anche con i brand stessi: la

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i clienti possono esprimere le loro opinioni, condividere le loro esperienze con altri utenti aumentando così il loro potere.

Tutto ciò crea ovviamente una serie di nuove sfide per le aziende ma allo stesso tempo nuove opportunità. Da un lato diventa fondamentale il continuo

monitoraggio dell’ambiente online, in particolar modo di quello social, ma allo stesso tempo i manager possono perseguire un aumento dei profitti

incoraggiando il consumatore ad effettuare acquisti attraverso diversi canali ed offrire loro un’esperienza che possa aumentare due elementi critici del customer relationship management: customer retention e customer growth. Dunque

aumentare la base clienti ed il valore nel tempo degli stessi.

1.4.1 Gestione dell’ambiente e dei clienti multichannel

La continua proliferazione di canali attraverso i quali i consumatori possono interagire con le aziende le ha condotte a nuove sfide, il cui risultato è stato dunque lo sviluppo del multichannel customer management, ovvero la gestione dei clienti multichannel. Tale nuovo campo è stato definito come: la definizione, la distribuzione, il coordinamento e la valutazione dei canali per accrescere il valore dei consumatori attraverso l’acquisizione, il mantenimento e lo sviluppo degli stessi (Neslin SA, 2006). Consiste dunque in una funzione del marketing centrata sui consumatori, con l’obbiettivo di creare maggiore valore per questi, al contrario della ricerca sui tradizionali canali di vendita focalizzata invece

esclusivamente sull’azienda e sui distributori (Rangaswamy A. a., 2005). Lo studio di Neslin identifica nello specifico cinque principali sfide a cui i manager devono far fronte in un ambiente multichannel: l’integrazione dati, la comprensione del comportamento del consumatore, la valutazione dei canali, l’allocazione delle risorse tra questi e la coordinazione delle strategie relative ad ogni singolo canale.

1. L’integrazione dei dati è un prerequisito fondamentale sebbene difficile da raggiungere soprattutto quando la presenza dell’azienda si limita

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esclusivamente al contesto offline. Queste dovrebbero sviluppare un database contenente informazioni relative ad ogni accesso da parte dei singoli clienti a ciascun canale, compresi quelli dei concorrenti, così da ottenere una visione completa, integrata e singola del consumatore attraverso ogni canale. Diventa fondamentale però capire il livello di conoscenza necessario per l’azienda, dato che è stato dimostrato che anche la conoscenza al 100% del singolo consumatore può non essere ottimale; 2. I manager devono comprendere il modo in cui i consumatori scelgono i

canali e l’impatto di tali scelte. La letteratura si è fortemente focalizzata sull’individuare le determinanti di tale scelta, andando ad individuarne sei principali: gli sforzi di marketing, gli attributi dei canali, l’integrazione dei canali, le influenze sociali, le variabili situazionali e le differenze

individuali. Ma risulta fondamentale anche capirne gli effetti in particolare sulla lealtà del consumatore e sulle vendite aziendali. Walla, Giese e Johnson (Wallace D. W., 2004) hanno dimostrato che l’utilizzo di più canali è associato ad una più alta percezione dell’offerta aziendale e dunque ad una maggiore soddisfazione e di conseguenza lealtà verso il brand. Allo stesso tempo più studi hanno confermato il fatto che, come già detto, i clienti multi-channel risultano essere più profittevoli, con quindi effetti positivi sulle vendite aziendali. Attraverso la comprensione del consumatore è inoltre possibile per i manager individuare dei segmenti per canale tenendo conto delle variabili rilevanti con riferimento ai propri prodotti;

3. Una volta ottenute le informazioni precedenti, è possibile valutare le performance associate ai canali, tenendo conto di quello che è il contributo di ciascun canale esistente o aggiuntivo e soprattutto individuare sinergie tra gli stessi. Le ricerche si sono particolarmente focalizzate sul fatto che i canali online possano o meno cannibalizzare i canali già esistenti andando a dimostrare che questi possono addirittura incrementare le vendite se presentano contenuti differenti. Ovviamente il fenomeno della cannibalizzazione può invece presentarsi se Internet

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venisse semplicemente utilizzato per duplicare i contenuti già presenti nei canali attuali;

4. A questo punto diventa dunque centrale definire un appropriato mix di canali, tenendo conto dell’importanza o meno della presenza sul Web e quali risorse destinare ad essi, anche in termini promozionali. È necessario dunque un confronto tra il costo di acquisizione di un cliente per ciascun canale ed i profitti da esso derivanti per poter allocare in modo ottimale le risorse disponibili;

5. L’ultimo aspetto di cui tener di conto e forse il più complesso, consiste nel coordinare gli obbiettivi, la definizione e lo sviluppo dei singoli canali per creare sinergie. Il coordinamento nello specifico può essere tra diversi canali ad uno specifico step del processo di decisione del consumatore oppure tra diversi canali e step di tale processo Si può andare dunque da una completa separazione ad un pieno coordinamento. In generale sono molti però i benefici legati a quest’ultimo come le economie di scala, margini maggiori, migliori informazioni sui consumatori, un

miglioramento della comunicazione intra organizzativa, un miglioramento delle relazioni con i clienti, un innalzamento delle barriere all’entrata, un miglior servizio, la possibilità di compensare le debolezze di un canale con i punti di forza di un altro etc. Tuttavia se ne devono considerare anche i costi legati alla perdita di flessibilità strategica, agli elevati investimenti di capitale, all’aumento dei costi fissi, all’aumento delle competenze necessarie per la gestione etc.

Una volta dunque analizzato il fenomeno dal punto di vista aziendale, è possibile adesso evidenziarne le peculiarità dal punto di vista del consumatore,

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25 1.5 La customer channel migration

Strettamente legato alla strategia prima vista è dunque il fenomeno della customer channel migration. Dato l’elevato numero di canali messi a

disposizione dei clienti, questi si spostano sempre più da un mezzo all’altro, arrivando anche all’abbandono degli stessi. Le aziende devono tenere in

considerazione tale aspetto nel momento in cui vogliono applicare una strategia multichannel, per poter ottimizzare i propri risultati. Tale strategia può essere dunque vista sia come causa di tale comportamento dei consumatori online sia come conseguenza, come risposta da parte delle aziende a questo comportamento del consumatore in crescita.

Da un lato infatti i consumatori tendono, come precisato nell’ambito del paragrafo dedicato al comportamento del consumatore online, a ricercare

informazioni in differenti ambienti, a confrontarsi con altri utenti, a condividere opinioni, a ricercare il prezzo più conveniente; allo stesso tempo le aziende offrono sempre più scelte al consumatore, non solo legate alla possibilità di acquisto ma anche alle esperienze uniche e personalizzate che ne possono derivare per il singolo consumatore.

Secondo alcuni studi i clienti utilizzano differenti media e canali non solo in base alle proprie esigenze ma anche in diversi momenti del loro processo di decisione e di acquisto (Utpal M. Dholakia, 2010). Per esempio molti consumatori

ricercano su Internet, vanno nei negozi per effettuare acquisti urgenti, entrano sui blog per leggere recensioni etc.

In particolare tale migrazione si verifica tra canali online e offline. In generale si è verificato negli ultimi 20 anni un sostanziale spostamento degli utenti verso i primi, come dimostrano studi effettuati già nel 2001 (Asim Ansari, 2008).

Si parla nello specifico di due nuovi fenomeni: showrooming e webrooming (Katherine N. Lemon, 2016). In entrambi i casi si fa riferimento al research shopper, un soggetto che ricerca informazioni in un canale ed effettua acquisti in

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un altro. Nel primo caso la ricerca avviene nel negozio mentre l’acquisto online, nel secondo caso avviene invece il contrario. Ciò è ovviamente legato ai

differenti benefici e costi per il consumatore legati a ciascun canale, che dunque può risultare conveniente in alcuni step del processo di acquisto piuttosto che in altri. La scelta è inoltre strettamente legata alle diverse preferenze da parte dei consumatori stessi e agli sviluppi tecnologici: il canale mobile ne è un chiaro esempio. In questi ultimi pochi anni è diventato uno strumento sempre più utilizzato dai clienti, non solo per la ricerca di informazioni e prezzi ma anche come strumento di pagamento grazie alla maggiore sicurezza oggi legata ai pagamenti online. Tuttavia secondo gli autori queste tematiche necessitano di ulteriori ricerche.

1.5.1 Ricerche empiriche

Diversi teorici hanno condotto nel corso degli anni analisi e ricerche empiriche a riguardo per poter dare evidenza del fenomeno in questione. In primis è

obbligatorio citare il lavoro di Neslin il quale per primo ha analizzato le peculiarità della customer channel migration, per poi ispirare così il lavoro di altri studiosi. Pur citando altri studi relativi alla diverse preferenze tra canali da parte dei clienti, lo studio di Ansari, Mela e Neslin si focalizza su come i clienti si muovano tra i vari canali disponibili all’interno di un ambiente multichannel e sul ruolo dei manager nel dar forma a tale migrazione attraverso le proprie strategie di comunicazione (Asim Ansari, 2008). Il modello sviluppato si basa sull’assunzione che il cliente decida ogni mese se acquistare dall’azienda in questione ed in tal caso quanto acquistare e tramite quale canale. Le variabili considerate in grado di influenzare tali scelte sono: le caratteristiche del consumatore, gli effetti dell’esperienza, della comunicazione e del tempo. Le prime includono età, reddito e presenza o meno di figli; le seconde includono l’attualità degli acquisti, la frequenza ed il loro valore monetario, che dunque concernono le caratteristiche dell’esperienza passata di acquisto; le terze

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piuttosto che di un’e mail) e il tempo trascorso dall’invio di tale comunicazione; le ultime includono i trend e la stagionalità. Per ulteriori precisazioni si rimanda allo studio. I risultati comunque danno evidenza di una sostanziale migrazione tra canali e del fatto che gli acquirenti online e multichannel acquistino in media maggiormente: questo perché l’esperienza positiva sul Web in genere tende ad incoraggiare acquisti più elevati e perché la migrazione è spesso il risultato di influenze del marketing. Tuttavia è stato inoltre evidenziato il fatto che agli acquisti effettuati online sia associata una limitata lealtà al brand, dati i bassi switching costs e dunque la facilità nel comparare prodotti e prezzi tra aziende. Inoltre per quanto concerne le risposte agli stimoli di marketing si deve

comunque tener di conto del fatto che le reazioni possono variare da un soggetto ad un altro e per tale ragione le aziende dovrebbero comprendere a quali clienti indirizzare tali specifici stimoli.

Interessante risulta essere anche lo studio svolto da Weggeman, Li, Konus e Langerak i quali hanno invece evidenziato gli effetti che i molti e diversi canali offerti dai competitors possono avere sul passaggio da parte del consumatore da uno all’altro, nello specifico su come l’offerta di canali da parte delle altre aziende possa influenzare l’utilizzo di un nuovo canale online introdotto da un nuovo entrante (Li, 2017). L’esperienza dunque che i consumatori possono aver avuto con le aziende concorrenti, sia in ambito online che offline, può

influenzare le preferenze di canale degli stessi e in tal modo la migrazione verso il canale online offerto dall’ultima entrante. Spesso in economia si parla di vantaggi del primo arrivato, ma in questa analisi sono stati evidenziati vantaggi anche per l’ultimo entrante nel mercato online.

Prima di darne evidenza è fondamentale precisare come le ricerche mostrino che i multichannel shoppers rappresentano ben l’80% dei consumatori

(Understanding how US online shoppers are reshaping the retail experience, 2011) e che spendono approssimativamente 3 o 4 volte di più rispetto ai consumatori single-channel (Multichannel marketing: What it is and why it matters., 2013). Ciò fa dunque capire chiaramente l’interesse dei manager nel

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comprendere in modo chiaro il modo in cui questi consumatori si comportano: come scelgono e migrano tra più canali, soprattutto in un contesto altamente competitivo.

Dunque per capire gli effetti dell’utilizzo passato da parte dei consumatori dei canali dei competitors sulla customer channel migration, gli autori hanno svolto un’indagine empirica prendendo in considerazione solo canali online, non offline, analizzando 6 aziende in aggiunta alla nuova entrante. Mentre gli studi passati hanno evidenziati diversi fattori in grado di influenzare la scelta del canale come le differenze individuali, di canale, sociali, di marketing, situazionali e relative al grado di integrazione tra i canali stessi; lo studio in questione (Li, 2017) si è focalizzato sugli effetti di un precedente utilizzo di canali di altre aziende, nello specifico tenendo di conto della conoscenza così maturata dal consumatore e degli switching cost. La conoscenza che ovviamente varia nel tempo in base alle esperienze maturate con gli altri canali esistenti e gli switching costs che consistono in quei costi che il consumatore deve sostenere per passare da un fornitore di servizio ad un altro. Per ulteriori dettagli relativi all’indagine si rimanda comunque all’articolo.

Le conclusioni a cui tale analisi ha portato evidenziano in primis il fatto che:

 I consumatori che acquistano maggiormente online, avendo maggiore conoscenza ed esperienza in tal senso, sono più propensi ad adottare ed acquistare da un nuovo canale online;

 Coloro che erano già clienti dell’azienda in questione sono più propensi ad acquistare dai canali già esistenti piuttosto che dal nuovo canale online, rispetto invece ai nuovi clienti;

 L’introduzione del nuovo canale ha portato ad un aumento della probabilità di acquisto dei nuovi clienti e ridotto tale probabilità con riferimento ai competitors;

Dunque è stato dimostrato che non sempre i canali online già presenti dei competitors sono dannosi per i nuovi entranti, dato lo spirito innovativo ed

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intraprendente dei nuovi consumatori online; al contrario gli acquisti dai canali online già esistenti possono promuoverne l’adozione. Non è stata infatti

riscontrata una generale tendenza a rimanere ancorati ai canali disponibili, quanto piuttosto a rivalutare benefici e costi tra canali online e offline. Per quanto

concerne invece i clienti più fedeli ad un’azienda competitor, questi tendono ad utilizzare i vecchi canali, al contrario dei nuovi clienti che non avendo ancora definito le loro preferenze sono più propensi a provarne di nuovi. Ciò fa capire come le aziende debbano considerare strategie di marketing differenti per i due segmenti di clienti per poter sfruttare appieno le potenzialità derivanti da una strategia multichannel.

Quando si parla del fenomeno suddetto si fa anche riferimento al concetto O2O, ovvero offlinetoonline o viceversa. L’obbiettivo delle aziende è infatti sempre più quello di incentivare spostamenti da un ambiente fisico ad uno virtuale e viceversa. Sarà proprio su questi aspetti che il caso studio più avanti esaminato andrà a focalizzarsi: come riuscire a raggiungere questo spostamento

aggiungendo valore per il cliente e l’azienda stessa, in particolare in un contesto come quello cinese sempre più orientato all’online.

Se finora gli studi qui analizzati hanno enfatizzato maggiormente lo spostamento dall’offline all’online, è necessario tenere in considerazione anche il fenomeno opposto. Esistono infatti aziende inizialmente presenti esclusivamente nel contesto online, le cosiddette aziende pure click, che invece decidono di intraprendere una strada opposta per offrire al consumatore un’esperienza completa, diventando così aziende brick and click, ovvero presenti in entrambi i contesti. Un classico esempio è dato dallo stesso colosso online Amazon, il quale ha aperto nel 2015 il primo negozio fisico a Seattle

(http://www.corriere.it/tecnologia/economia-digitale/15_novembre_03/amazon- apre-primo-negozio-fisico-settle-lancia-consegne-un-ora-milano-amazon-prime-744673f8-820b-11e5-aea2-6c39fc84b136.shtml, 2015).

Lo studio di Fornari, Grandi, Menegatti e Hofacker si propone per l’appunto l’obiettivo di determinare se e quanto l’apertura di un negozio fisico possa

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influenzare attraverso la migrazione o la sinergia tra canali, le performance aziendali. In generale gli studi precedenti si sono focalizzati sui vantaggi e

svantaggi legati all’ampliamento della propria presenza online e/o offline, data la necessità delle aziende cosiddette brick and mortar (non presenti online), di estendersi al contesto virtuale, più raramente il contrario. In generale i vantaggi consistono nella possibilità di aumentare le vendite, dato l’aumento dei punti di contatto con i consumatori, e di conseguenza la possibilità di estendere la propria base clienti e rafforzare la relazione con quelli attuali grazie ad un maggior numero di interazioni. Allo stesso tempo si può considerare poi l’aumento della familiarità col brand e di conseguenza la fiducia in esso. Infine differenti canali possono essere combinati per soddisfare al meglio i bisogni del consumatore, così che questo in cambio possa acquistare dallo stesso venditore sia online che offline (Avery, 2012) (Kim, 2005) (Kwon, 2009) (Wallace G. J., 2004).

Al contrario gli svantaggi riguardano il fatto che le preferenze dei consumatori in generale li portano a passare da un canale all’altro piuttosto che utilizzare lo stesso per acquisti complementari, questo soprattutto quando i canali risultano essere gestiti in modo separato e non in modo integrato. Lo svantaggio principale è dunque particolarmente legato al fenomeno del cannibalismo, per cui in genere se la soddisfazione di un cliente relativa ad uno specifico canale aumenta, la tendenza di questo ad acquistare tramite altri canali gestiti dallo stesso venditore tende a diminuire (Chiu, 2011) (Lee, 2003) (Van Baal, 2005).

Tuttavia alcuni studi più recenti hanno osservato possibili coesistenze di

vantaggi, derivanti da effetti sinergici, e svantaggi, derivanti da effetti migratori, a seconda dell’orizzonte temporale considerato. In particolare il secondo effetto è più significativo nella fase iniziale, subito dopo l’aggiunta di un ulteriore canale, il quale attrae ed assorbe consumatori insoddisfatti del servizio ricevuto dai canali esistenti (Ofek, 2011). Al contrario l’effetto sinergia emerge più avanti, quando i consumatori hanno avuto tempo e modo di verificare ed eventualmente apprezzare entrambe le tipologie di canali (Avery, 2012) (Kwon, 2009).

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Ritornando dunque allo studio in questione (Fornari, 2016), questo è riuscito a dimostrare il fatto che nel breve periodo la probabilità di effettuare acquisti online si riduca a seguito dell’apertura di uno store fisico, confermando così la presenza di migrazione dall’online nel breve periodo. Tuttavia nel lungo periodo l’apertura del negozio ha un effetto positivo sulla probabilità di effettuare

acquisti anche online; infatti se inizialmente prevale il fenomeno del

cannibalismo dal momento che i due stores vengono percepiti come sostituti, nel lungo periodo prevale l’effetto sinergia, ovvero diversi canali tendono ad

interagire e rafforzarsi tra loro, come diversi punti di contatto di uno stesso venditore, in un ambiente omni-channel, dati i diversi motivi che spingono i clienti a consumare in un canale piuttosto che in un altro. Se il Web infatti concerne lo shopping pianificato, il negozio è preferito nel caso dello shopping esperienziale o ricreativo. L’aumento delle vendite online dipende anche dalla mera presenza del negozio del brand, che ne aumenta così la brand awareness. In generale però la presenza di uno showroom fisico informativo è maggiormente in grado di aumentare le vendite online, piuttosto che un negozio in cui sia possibile avere la stessa esperienza di acquisto.

Dati questi risultati è evidente come la definizione di un’opportuna strategia integrata multichannel possa migliorare i risultati aziendali tenendo di conto delle caratteristiche qui analizzate della customer channel migration.

Tale fenomeno è poi sempre più evidente anche all’interno dei social media che sebbene risultino essere differenti tra di loro consentono in modo crescente un rapido passaggio dall’uno all’altro e la condivisione degli stessi contenuti su più piattaforme. Si pensi all’utilizzo che le aziende fanno di Instagram oggigiorno nell’ambito dell’e-commerce: sebbene sia nato come strumento di condivisione di foto consente di rinviare il consumatore direttamente al link per l’acquisto dell’articolo, grazie a funzioni come Like2buy, sviluppato dall’azienda Curalate, per rendere in questo modo più semplice la vendita. E questo è solo un esempio.

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Essendoci dunque ricollegati alla tematica dei social media risulta opportuno rianalizzare alcuni aspetti specifici del comportamento degli utenti all’interno degli stessi, data la loro sempre maggiore diffusione.

1.6. Il comportamento del consumatore nei social media

Altri studi (Wang, 2017) si sono maggiormente focalizzati sul comportamento degli utenti all’interno dei social media, dato il loro sempre maggior utilizzo. Si è infatti finora parlato più genericamente di comportamento online, ma

quest’ulteriore ambito presenta delle specifiche peculiarità.

La rapida proliferazione e crescente popolarità dei social media degli ultimi anni ha necessariamente comportato rapidi cambiamenti nel comportamento dei consumatori. Già nel 2012 le persone trascorrevano mediamente 6 ore e mezzo al giorno sui social media per socializzare, condividere e comunicare con i membri dei propri social network (Popkin, 2012). Oggi con gli attuali sviluppi tecnologici come smartphone, tablet, rete 4G etc. i teenagers hanno raggiunto addirittura le 9 ore giornaliere negli Stati Uniti (Wallace K. , s.d.). Tale fenomeno è infatti maggiormente pronunciato per i membri della Generazione Z, i soggetti nati dopo il 2000, sebbene anche i numeri per la Generazione Y, nati tra gli anni ’80 e fine ’90, rimangano molto alti. E ciò fa capire la sempre maggiore necessità delle aziende di essere presenti in tali spazi ed investire in pubblicità in tale ambito.

Ma ciò che porta gli utenti a trascorrere sempre maggior tempo sui social media e dunque a far parte di una comunità online è secondo alcuni autori la necessità di identificazione sociale. Sarebbe dunque l’identità sociale ad incoraggiare

l’utilizzo di questi strumenti e il comportamento online (Wang, 2017), la quale è stata definita in passato come “quella parte del concetto di sé di un individuo che

deriva dalla sua conoscenza della sua appartenenza ad un gruppo sociale o più gruppi, insieme al valore e al significato emotivo connesso a tale appartenenza”

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componenti necessarie per un individuo per sviluppare la propria identificazione in un gruppo: dimensione cognitiva, valutativa ed affettiva. La prima si riferisce alla consapevolezza dell’individuo dell’appartenenza ed include un processo di auto-categorizzazione: si pensi ad esempio ad una persona che si classifica in base al proprio lavoro, alla propria nazionalità e/o al proprio genere. La componente valutativa consiste invece nell’autostima di gruppo mentre la componente affettiva coinvolge gli aspetti emotivi dell’identificazione.

Sarebbe dunque l’identità sociale ad incoraggiare il comportamento online andando anche a creare una nuova forma di commercio, diversa dall’e-commerce, il social dall’e-commerce, che comporta interazione sociali online e transazioni attraverso le tecnologie del Web 2.0 (Huang, 2013); una combinazione di attività sociali e commerciali, sulla base di teorie che

evidenziano la connessione tra interazione sociale e comportamento di consumo all’interno dei social media. Alcuni studi hanno così evidenziato i contributi della teoria dell’identità sociale sul comportamento di acquisto in vari situazioni di consumo, come ad esempio Madrigal che ha analizzato gli effetti diretti e indiretti dell’identità sociale sulle intenzioni di acquisto in un contesto di sponsorizzazione aziendale (Madrigal, 2001). In generale, in un più ampio contesto commerciale, l’identificazione di un cliente in un’azienda è stato dimostrato avere maggiori effetti in termini di lealtà e intenzione di acquisto.

Data dunque l’importanza dei social media è opportuno dedicare un intero paragrafo a tale fenomeno, analizzandone il contesto storico, le caratteristiche e le peculiarità di quelli più diffusi.

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34 1.7 I social network occidentali

L’era dei social media inizia già più di vent’anni fa quando Bruce e Susan Abelson fondarono “Open Diary”, una prima rudimentale forma di social network; ma è solo a partire dal 2003 che questo termine assume una certa popolarità, grazie alla creazione di My Space prima e Facebook dopo (Peretti, 2011).

Per l’analisi qui effettuata saranno presi in considerazione i social media più utilizzati oggigiorno nel contesto occidentale e dunque più importanti per le aziende ovvero Facebook e Instagram. Non saranno discussi i casi Twitter e Snapchat perché più popolari negli Stati Uniti piuttosto che in Europa e perché nel settore moda, il settore del caso aziendale più avanti riportato, prevalgono i primi due citati. Per quanto riguarda invece i social media orientali, questi saranno trattati specificamente nel secondo capitolo.

1.7.1 Facebook

È stato lanciato da Mark Zuckerberg nel 2004 per consentire a studenti di Harvard di tenersi in contatto con i loro amici: oggi conta ben 2 miliardi di iscritti.

Questo strumento ha reso il business personale: nato come strumento per

ritrovare compagni di scuola e rimanere in contatto con loro, oggi è diventato un elemento fondamentale per le aziende per creare e mantenere contatti con i propri clienti. Il punto di partenza è la creazione di una pagina professionale all’interno di un piano integrato di marketing digitale in cui si definiscono obbiettivi e strategie. Le potenzialità offerte da Facebook sono molteplici, tutte con

l’obbiettivo di coinvolgere il cliente, farlo partecipare, ascoltare le sue idee per arrivare addirittura alla vendita stessa e/o alla gestione di un customer service. Un elemento fondamentale diventa nello specifico la creazione di un contenuto

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originale e personale: non è infatti sufficiente replicare le campagne pubblicitarie su mezzi di comunicazione differenti.

La piattaforma si è evoluta nel corso degli anni offrendo sempre più strumenti a disposizione degli utenti e delle aziende. Facebook basa il suo business proprio sui servizi offerti alle imprese affinché queste possano definire la propria presenza online, acquisire notorietà, generare contatti, fidelizzare i clienti e aumentare le vendite (https://www.facebook.com/business/overview, s.d.). I più importanti sono nello specifico:

 Le inserzioni: nuove forme pubblicitarie targetizzate, che consentono dunque di scegliere il pubblico in base a dati demografici, comportamenti online e informazioni di contatto così da poter essere altamente

customizzate, ottenendo allo stesso tempo report e dati statistici sui risultati conseguiti;

 Pagine Facebook: un servizio gratuito per entrare a far parte della comunità con già 60 milioni di pagine aziendali attive, per ottenere visibilità, connettersi con i potenziali clienti e fornire loro informazioni e ricevere report grazie ad Insights su come le persone rispondono alla Pagina, così da poterne migliorare l’efficacia. Nello specifico si possono ottenere dati sul numero di persone raggiunte dai post e il numero di coloro che hanno interagito con questi, il numero di Mi Piace,

visualizzazioni o condivisioni, il numero di persone che hanno chiamato l’azienda dalla Pagina, il tempo medio di risposta dell’azienda, il numero di persone che si sono registrate presso l’azienda nei loro post etc.

 Messenger: software di messaggistica istantanea con 1,2 miliardi di utilizzatori mensili che consente alle aziende di raggiungere singole persone su vasta scala ed intrattenere una conversazione privata con

ognuna di loro. Ogni mese persone ed azienda si scambiano tramite questa piattaforma 2 miliardi di messaggi, che siano automatizzati o generati dagli utenti. Consente di rispondere rapidamente, di fornire assistenza, di condividere informazioni su prodotti, servizi, orari di apertura e di inviare

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promemoria su eventi o altri annunci. Si è arrivati oggi anche alla possibilità di effettuare acquisti: sebbene ancora in versione di prova e solo negli Stati Uniti, sono stati aggiunti al software i pulsanti “Compra”, una funzione di pagamento integrato e un dialogo più intuitivo con i “bot”, le chat automatizzate con potenziali clienti

(http://www.ansa.it/sito/notizie/tecnologia/internet_social/2017/07/28/face

book-messenger-facilita-lo-shopping_22efb3bf-828b-49ed-9fe3-d6608d989376.html, s.d.);

 Audience Network: uno strumento che consente di ampliare la copertura delle proprie inserzioni in altri siti Web e app per raggiungere così un pubblico ancora più ampio;

 Atlas: diverse tipologie di misurazioni centrate sulle persone e basate su dati statistici per poter prendere decisioni appropriate sulle campagne. Consente di ottenere dati precisi e dettagliati e di collegare le prestazioni delle inserzioni ai propri obbiettivi aziendali effettuando le misurazioni su tutti i possibili canali.

1.7.2 Instagram

Social network lanciato nel 2010, caratterizzato dal fatto che consentisse di condividere esclusivamente foto, oggi conta 5 milioni di aziende all’interno della community e presenta un sempre maggior numero di funzioni come la

condivisione di video e di storie. Nel 2012 è stato acquistato per un miliardo di dollari da Facebook Inc.

Presenta di fatto molte caratteristiche simili al social network prima visto ma si caratterizza per la maggiore immediatezza e risulta per tale ragione sempre più utilizzato data la facile fruizione di immagini e video. Il 60% delle persone afferma infatti di scoprire nuovi prodotti su Instagram ed un terzo delle storie più visualizzate provengono da aziende (https://business.instagram.com/getting-started, s.d.). È dunque possibile anche qui creare gratuitamente un profilo aziendale all’interno del quale si possono condividere vari contenuti ed

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aumentare la visibilità con hashtag pertinenti. Inoltre è possibile visualizzare metriche in tempo reale sulle prestazioni delle storie e dei post promossi nel corso della giornata, visualizzare dati statistici sui followers e sul modo in cui interagiscono con i post, aggiungere informazioni relative all’azienda etc.

Sono inoltre presenti inserzioni in differenti formati: foto, video, carosello (un insieme di foto in un’unica inserzione) e storie.

La funzione Instagram Story è stata introdotta nel 2016 e consente di pubblicare foto e video visibili esclusivamente per 24 ore riprendendo il modello di

Snapchat, poi introdotto anche su Facebook e Whatsapp (https://it.wikipedia.org/wiki/Instagram, s.d.).

Gli obbiettivi che possono essere perseguiti tramite questo social network sono sempre relativi all’aumento della notorietà, in parte rappresentata anche

indirettamente dal numero di followers, alla possibilità di raggiungere il pubblico desiderato grazie alla targetizzazione, di offrire maggiori informazioni sui

prodotti e servizi ed ovviamente di aumentare le vendite. Grazie a Like2buy, servizio offerto dall’azienda Curalate, è infatti possibile creare un link per ogni immagine che rimandi direttamente al sito e-commerce dell’azienda dove poter effettuare l’acquisto. In generale ogni azienda inserisce il link generico al proprio sito Web nella descrizione ma tale funzione rende più facile la ricerca dei singoli prodotti, convertendo così più velocemente e facilmente i Like in acquisti

(https://www.curalate.com/product/like2buy/, s.d.).

1.8 Nuove opportunità di crescita

Fatte tutte le precedenti constatazioni si capisce come i social media in generale e più nello specifico i social network siano in continua evoluzione e tengano conto delle esigenze degli utenti e di conseguenza delle aziende. I due casi analizzati sono solo degli esempi ma il mondo del Web 2.0 è ancora più vasto ed ogni

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azienda dovrà capire quale spazio monitorare e presidiare per raggiungere i propri consumatori. In ogni caso sembra ormai impossibile prescindere da una presenza online, che non deve manifestarsi solo in termini di un semplice sito vetrina o anche e-commerce. La presenza dell’azienda deve essere sempre più estesa all’interno dell’intero mondo virtuale per poter scoprire nuove opportunità e nuovi consumatori, sia distanti da un punto di vista geografico che non. Oggi giorno i consumatori sono infatti anche utenti, sempre più presenti online.

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