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Thomas Hobbes: Antropologia, potere e la fondazione della tecnica moderna

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea in Filosofia e Forme del Sapere

TESI DI LAUREA

T

HOMAS

H

OBBES

:

A

NTROPOLOGIA

,

P

OTERE E LA

FONDAZIONE DELLA TECNICA MODERNA

Relatori: Candidato:

Prof. Alfonso Maurizio Iacono Michele Lelli

Prof. Giovanni Paoletti

(2)

INTRODUZIONE ... P.3

PRIMO CAPITOLO

1.0.FILOSOFIA È SCIENZA DELLE CAUSE E STUDIO DI UN CORPO ... P.10

1.1.POTENZA E ATTO,CAUSA ED EFFETTO ... P.18

1.2.Il CORPO MECCANICO ... P.29

SECONDO CAPITOLO

2.0.IL RUOLO DELL’IMMAGINAZIONE ... P.36

2.1.RAGIONE È CALCOLO ... P.49

TERZO CAPITOLO

3.0.TEOLOGIA NEGATIVA E POTERE:NEUTRALIZZAZIONE DELLA POTENZA DIVINA…P.55

QUARTO CAPITOLO

4.0.POTERE COME RICONOSCIMENTO ... P.87

4.1.COSCIENZA COME RELAZIONE ... P.100

QUINTO CAPITOLO

5.0. IL POTERE NELLO STATO DI NATURA E NELLA SOCIETÀ CIVILE ... P.116

5.1.RELAZIONI DI POTERE E STATI DI DOMINIO ... P.127

5.2.ARTIFICIO E IL CONCETTO DI PERSONA SOVRANO-RAPPRESENTATIVA ... P.140

5.3.LA PERSONA SOVRANO-RAPPRESENTATIVA:IL VOLTO DEL POTERE ... P.147

CONCLUSIONI ... P.162

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INTRODUZIONE

Il lavoro è rivolto allo studio del concetto di potere in Hobbes, in particolare l’approfondimento di carattere antropologico del concetto, ma è stato chiaro fin dalle prime letture la complessità del tema, soprattutto alla luce della quantità di studi su Hobbes e sulla genesi della filosofia politica moderna. Il focus analitico sarà puntato sul concetto di potere, procedendo gradualmente per mettere in luce l’evoluzione concettuale all’interno delle opere.

Come si evince dal titolo si cerca di affrontare l’argomento dal punto

di vista “antropologico” incentrandoquindi la discussione sull’uomo

in tutte le sue componenti. Punto di partenza e di ispirazione per il lavoro è il capitolo XX del Levitano; dove, tuttavia, si trova il punto di arrivo di un lungo processo di caratterizzazione delle note dei concetti satelliti del potere, senza i quali è assai arduo capire di cosa stia parlando Hobbes. Leggendo tale descrizione nel Leviatano sembra di guardare un edificio solo dall’alto, senza poter sapere cosa c’è sotto che lo sorregge e di cosa siano fatte le sue fondamenta. È necessario quindi risalire alle origini della sua creazione passando dalla posa di ogni singolo mattone. Le prime definizioni negli Elements, le descrizioni di: potenza, immaginazione, artificio, stato, natura, desiderio, libertà ecc, presenti in forme più o meno complete nelle opere di Hobbes. E non solo, non è possibile comprendere il concetto di potere senza un confronto attivo con la tradizione. Vi saranno inoltre approfondimenti in campo teologico-politico, perché è

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impossibile capire la centralità del concetto senza lo studio di una teologia di un Dio, spogliato di potere, impotente e rilegato a garante del diritto naturale.

Nel momento della stesura si è quindi resa evidente la necessità di non tralasciare nessun aspetto dell’antropologia e, di conseguenza, non si può che trattare di un argomento molto vasto, complesso e che va a toccare quasi la totalità delle discipline espresse in Hobbes.

In prima battuta quindi, si deve far notare come la scelta dell’argomento abbia portato ad una necessaria ampiezza argomentativa e ad un inevitabilmente confronto con la quasi totalità

dell’opera di Hobbes, con il possibilerischio di risultare vaghi e sterili

nell’incedere dell’analisi.

Per questo motivo sono stati necessari, sempre con l’affiancamento

delle opere originali, la lettura e il confronto continuo con la letteratura critica. Non è nello spirito del lavoro, però, affrontare le posizioni dei vari interpreti di Hobbes oppure fare una sintesi dei risultati dei lettori del filosofo, quanto piuttosto portare un’analisi produttiva del concetto di potere realizzando un contributo che deve tener conto degli strumenti forniti dalla letteratura critica, ma anche poter realizzare un percorso originale.

L’obiettivo è stato quello, prima di partire con una stesura spedita, di cercare e di farsi bene un quadro di buona parte degli interpreti maggiori di Hobbes: Schmitt, Strauss, Bobbio, Pacchi per citarne solo

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alcuni tra i maggiori di riferimento. Altini riporta nel suo: “La storia

della filosofia come filosofia politica. Carl Schmitt e Leo Strauss lettori di

Thomas Hobbes”1, le linee guida degli interpreti principali e

un’articolata l’analisi delle interpretazioni delle opere di Hobbes. Ma il lavoro qui presentato non è propriamente di storia della filosofia politica, perlomeno non in senso strettamente storico-filologico, non si rivolge alla ricerca delle varie interpretazioni “storiche” delle opere hobbesiane e di un confronto attivo tra di esse. Si tratta di un lavoro diretto con una mente ben consapevole degli interpreti maggiori (e non solo), ma cerca di focalizzarsi sul concetto del potere in quanto tale. Per studio del concetto di potere vorrei intendere uno studio delle relazioni di potere tra gli uomini e di che tipo di trasformazione avviene, a queste relazioni, con il passaggio alla forma artificiale di stato. Si tratta quindi di un concetto di potere, almeno nelle sue parti iniziali, “antropologico”.

Nel primo capitolo verrà trattata la fisica hobbesiana e in generale la sua filosofia naturale, l’uomo in quanto essere all’interno del mondo. Il principio di causa, centrale per la discussione e quindi trattato nei dettagli. Obiettivo polemico di Hobbes è la metafisica finalistica aristotelica, ci sarà una disamina dei vari punti di contatto e di

1 Carlo Altini, La storia della filosofia come filosofia politica. Carl Schmitt e Leo Strauss lettori di Thomas Hobbes, Pisa, Edizioni ETS, 2004.

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confronto, soprattutto per quanto riguarda i concetti di movimento, potenza e atto e causa ed effetto.

Altro punto centrale della visione naturalistica e meccanicistica hobbesiana è il “conatus” una sorta di “Primum metafisico che l’uomo

condivide con tutti gli esseri viventi... <<Lo sforzo> > grazie a cui l’individuo cerca di mantenersi in vita conservando il proprio movimento vitale e aumentando progressivamente il proprio potere”2. Anche questo risulta

essere un punto cruciale per la discussione in oggetto, si tratta infatti del nucleo della filosofia hobbesiana senza il quale viene a mancare il punto di partenza della linea argomentativa antropologica, il principio di autoconservazione e di autopotenziamento ha la sua origine e spiegazione nel concetto di conatus.

Nel secondo capitolo verrà trattata la gnoseologia e il ruolo centrale dell’immaginazione nel sistema del potere descritto da Hobbes, la funzione immaginativa infatti non solo rappresenta il primo passo di realizzazione del desiderio di potere ma è anche la fonte di una delle caratteristiche fondanti della tecnica moderna: la virtualità.

La dimensione immaginativa si pone al limite, portando il virtuale a sovrapporsi con il reale o in ultima analisi, a porsi come alternativa ad esso.

2 B. Carnevali, Potere e riconoscimento: il modello hobbesiano, in: «Iride», il mulino, fascicolo 3/2005, dicembre p.522.

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La ragione avrà definito il suo ruolo come calcolo, come disciplina dell’immaginazione, come strumento della deliberazione, come efficienza ed esattezza tecnica della decisione.

Per quanto riguarda il terzo capitolo, sarà affrontata la teologia. Vi sono passaggi problematici nella teologia hobbesiana rispetto alle numerose interpretazioni. Ad esempio riguardo il grado di importanza della teologia per l’interpretazione della filosofia politica, oppure se si tratta di una filosofia, nella sua totalità, centrata sulla

teologia o meno3. È da notare come anche in questo caso non sarà

affrontato il problema in maniera estesa poiché porterebbe l’argomento della tesi fuori strada.

Le ricadute della filosofia naturale hobbesiana in teologia sono pesanti e portano ad uno svuotamento progressivo dell’onnipotenza divina, il concetto di Dio si ritrova, in ultima analisi, ad essere quasi solo l’immortale garante del diritto naturale. Questo è in sintesi il risultato della teologia hobbesiana ed è un passo importante per l’antropologia del potere che si cerca di delineare.

Nel quarto e quinto capitolo saranno trattati rispettivamente il potere come riconoscimento e l’evoluzione del concetto di potere dallo stato di natura alla società civile.

3 Cfr ”prospettive critiche e modelli interpretativi del problema teologico-politico in Hobbes” pp. 41 sgg in C.Altini, Potenza come potere: la Fondazione della cultura moderna nella filosofia di Hobbes, ETS,2012.

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Una particolare attenzione sarà data al ruolo delle passioni in funzione del concetto potere. Anche con collegamenti al concetto di desiderio, bisogno, appetito. Infine ampio spazio al sistema delle passioni. Cos’è una passione e il perché della sua importanza nell’antropologia politica hobbesiana. Si procederà con l’analisi del concetto di gloria, onore e valore, i motori del principio di autopotenziamento.

Infine nelle ultime parti sarà analizzato ciò che avviene con il “patto” che va a formare lo Stato. Un salto di qualità della tipologia di potere, ed il mezzo per il potenziamento stavolta non è l’altro essere umano o i mezzi materiali, ma l’artificio. L’artificio in Hobbes è sia lo Stato come meccanismo sia il concetto di Persona. Ciò che hanno in comune è il fatto di essere creati dalla tecnica umana, come imitazione della tecnica divina.

Usare la parola tecnica può sembrare una forzatura, poiché richiama elementi posteriori, non si tratta della tecnica contemporanea ma di una sua antenata (si vedrà in quale modo) che ha con la scienza “hobbesiana” il suo impulso iniziale.Lo stato regge la sua intera legittimità sul sovrano come concetto di persona-rappresentativa, dove il termine rappresentativa non ha nulla a che vedere con la rappresentanza, quanto molto di più con la rappresentazione; di cosa? La rappresentazione del potere. La massima espressione artificiale di potere. Il potere si esplica attraverso il sovrano e segue la modalità del comando che ci porta ad una forte analogia con l’unidirezionalità della

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causa efficiente. Il comando non ammette quasi nessuna eccezione tranne nei riguardi del principio di autoconservazione.

La fondazione della tecnica moderna può essere riconosciuta in Hobbes, solamente ripercorrendo i passi decisivi della sua filosofia, partendo dalla fisica, passando per la teologia, fino alla definizione dello Stato. Il percorso deve quindi procedere per gradi andando a confrontarsi con gli snodi fondamentali della filosofia di Hobbes e trovando in questo tragitto il filo rosso che connette tutta l’antropologia con il concetto di potere e di tecnica moderna.

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PRIMO CAPITOLO

FILOSOFIA È SCIENZA DELLE CAUSE E STUDIO DI UN CORPO

Secondo lo spirito di questo lavoro, affrontare lo studio dell’antropologia hobbesiana e del concetto di potere in Hobbes non può essere fatto in maniera costruttiva e completa se non si esamina la filosofia naturale proposta dal filosofo inglese.

Descrivere la fisica di Hobbes è un passaggio fondamentale, si tratta del sottofondo, delle fondamenta, in cui tutte le note del concetto di potere prendono forma e senza le quali non si può comprendere la natura autentica di tale concetto.

L’attenzione che Hobbes dedica a questa ricerca ha un carattere particolare: la stessa pubblicazione delle parti dei suoi Elementa

philosophiae: il De corpore e il De homine, avviene rispettivamente nel

1655 e nel 1658 ovvero ben tredici e sedici anni dopo il De cive, che nella sua versione in latino appare nel 1642.

L’Hobbes della vita carmine expressa sostiene che le tre parti sono programmaticamente contemporanee nella mente del filosofo fin dal 1637. Anzi, inizialmente la pubblicazione era progettata in ordine cronologico, prima il De corpore poi il De homine e solo per ultimo il De cive.

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Qual è il motivo di questo ritardo?

È probabile che il progetto sia stato rallentato da difficoltà metodologiche, in particolare il problema sembra risiedere nel voler estendere il metodo geometrico euclideo alla fisica in generale e all’ottica.

Ma si tratta soprattutto di un voler adattare dal punto di vista formale e metodologico le parti del De homine: quelle sull’etica con quelle sull’ottica, le quali risultano, per stessa ammissione del filosofo, completamente eterogenee proprio dal punto di vista metodologico: la prima si fonda sulle dimostrazioni, l’altra sull’esperienza.

Nell’introduzione di A. Negri, egli ci suggerisce:”è come se Hobbes

dicesse: l’una è dimostrabile a priori, l’altra è dimostrabile a posteriori”4.

Il ritardo nella pubblicazione del De homine, è forse dovuta alla difficoltà incontrata nel voler estendere la dimostrabilità a priori a tutte le scienze? I fenomeni fisici sono studiati inizialmente con un metodo induttivo cioè attraverso una dimostrazione a posteriori, una volta matematizzati invece, lo studio diventa di carattere deduttivo e possono essere dimostrati a priori. Ciò che si chiede Hobbes è se questo processo possa valere anche per i fenomeni ottici. Dalla lettera

dedicatoria al De homine, si evince che questo non è avvenuto e non

4 Thomas Hobbes, Elementi di filosofia –il corpo-l’uomo a cura di Antimo negri,UTET,1972. p. 28.

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avviene e ciò spiega la posizione dell’ottica nello studio della filosofia naturale hobbesiana e anche il ritardo nella elaborazione della terza sezione degli Elementa.

L’ottica quindi ha un posto privilegiato all’interno della filosofia naturale hobbesiana, importante almeno quanto il ruolo della geometria.

Infatti mentre il metodo geometrico viene utilizzato da Hobbes come esplicativo nel calcolo e nella descrizione delle risultanti nel sistema fisico, il ruolo dell’ottica è quello, invece, di mostrare come il metodo induttivo-deduttivo sia applicabile ai fenomeni ottici così legati all’esperimento fenomenico. Due aspetti centrali nello studio della filosofia naturale: per quanto riguarda l’approccio geometrico, vi è un allineamento alla corrente scientifica contemporanea ad Hobbes, un progressivo appropriarsi della geometria di ambiti disciplinari più disparati.

Mentre per quanto riguarda l’ottica, per ammissione dello stesso Hobbes, l’intento vuole essere rivoluzionario, gli otto capitoli dedicati all’ottica nel De homine, dal II al IX del testo, testimoniano la grande attenzione al tema.

Il ruolo dell’esperienza, sia per quanto riguarda la gnoseologia, sia per quanto riguarda il metodo induttivo, che è proprio dell’esperienza stessa quando viene utilizzata nelle scienze, sembra essere in Hobbes molto ridimensionato. Mentre il filosofo è intento a voler applicare il

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nuovo metodo galileiano alle scienze, si può notare anche un utilizzo sempre più massiccio della deduzione a scapito della rilevanza dei dati fenomenici. Una volta istaurato un sistema deduttivo che ci permetta la previsione dei fenomeni fisici, l’esperienza risulta essere relegata al ruolo di conferma delle ipotesi.

Ciò che deve essere chiaro fin da subito per il lettore di Hobbes per quanto riguarda tutto il suo pensiero, è che il per il filosofo inglese la filosofia è sempre rivolta allo studio di un corpo: “ l’oggetto della

filosofia, o la materia di cui essa si occupa, è qualunque corpo di cui si può concepire una generazione…cioè, ogni corpo di cui si può intendere che è generato e che ha qualche proprietà”5 e ancora “ dove, dunque non c’è alcuna generazione o non c’è alcuna proprietà, non c’è, si intende, alcuna filosofia.”6

E la filosofia inoltreӏ la conoscenza acquisita attraverso il retto

ragionamento degli effetti o fenomeni sulla base della concezione delle loro cause o generazioni, e ancora delle generazioni che possono esserci, sulla base della conoscenza degli effetti”7

Si trattano dei lineamenti fondamentali per una filosofia materialistica, lo studio filosofico è sempre studio di un corpo, di un corpo che è generato o che genera e quindi risulta centrale la causa efficiente, ciò che produce, in sintesi si sta ponendo al centro la poiesis.

5 Ivi, p.76.

6 Ivi, p.77. 7 Ivi, p.70.

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Subito dopo esclude che la teologia sia nella stessa famiglia della filosofia poiché Dio, l’oggetto di studio della teologia, non ha generazione né composizione o divisione. Il rapporto con la teologia però, è ben più complesso di quello che si ricorda qui nel De corpore e verrà affrontato successivamente.

Nei passi seguenti si escludono anche dalla filosofia tutti quei “saperi” che non portano con sé l’uso della ragione come “retto ragionamento” e calcolo.

La filosofia quindi si divide in base al tipo di corpo studiato: quella naturale studia i corpi naturali ed il loro movimento, mentre quella civile studia il corpo chiamato comunità.La divisione è presente in tutte le opere di Hobbes e rappresenta i due aspetti fondamentali con i quali leggere ciò che ci viene presentato. La scienza che studia i corpi naturali si suddivide, seguendo la distinzione del De corpore, in quattro parti: la logica, la filosofia prima, la geometria e la fisica. Le prime tre parti sono dimostrabili a priori, mentre l’ultima fino a che non viene matematizzata, è suscettibile solo di dimostrazione a posteriori ovvero utilizzando il metodo induttivo che parte dall’esperienza dei fenomeni fino alle cause di essi. Sono chiari riferimenti alla nuova filosofia di matrice galileiana.

La logica ha lo scopo di fissare il paradigma del ”retto ragionamento” cioè il calcolo, e di elaborare, tramite un’operazione mentale, le

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dimostrazioni a priori. Essa ha l’obiettivo di accendere la luce della ragione.

La filosofia prima studia gli attributi principali e comuni a tutti i corpi naturali, tali attributi sono isolati grazie al paradigma del ficta universi

sublatio e quindi all’esperimento conoscitivo dovuto alla rerum adnihilatio conseguente. La situazione fittizia creata porta l’uomo a

dover considerare le immagini mentali o fantasmi delle cose esterne, arrivando ai concetti di spazio, definito come il “fantasma di una cosa

che esiste in quanto esiste”8 e del tempo come “fantasma del moto”9.

Per lo studio della fisica, va ricordato prima il metodo del filosofare:”la

ricerca più breve possibile degli effetti attraverso la conoscenza delle cause o delle cause conoscendo gli effetti…perciò la filosofia è scienza delle cause.“10

Questa citazione insieme a quella ricordata poco sopra ci porta ad una necessaria analisi del concetto di causa e della sua importanza. La fisica hobbesiana è prima di tutto studio delle cause e degli effetti, ed il sistema che risulta essere prodotto è quello di un meccanicismo dettato dall’azione e reazione di agenti uno sull’altro e di una concatenazione di movimenti causati e subiti. Il procedimento comincia dalle cause delle parti con le loro componenti di movimento, per riuscire a risalire alla causa dell’intero.

8 Ivi, p. 147.

9 Ivi, p. 148. 10 Ivi, p. 125.

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La causa universale è il movimento: “non si può intendere che il

movimento abbia altra causa che un altro movimento né la varietà delle cose percepite con i sensi come i colori, i suoni, i sapori ecc., hanno altra causa che non sia un altro movimento, il quale si trova in parte negli oggetti che agiscono su di noi in parte negli stessi oggetti senzienti“11.

Il movimento quindi si configura come privazione di un luogo ed acquisizione di un altro e quindi il luogo di un corpo è dove avviene tale movimento. Con metodo compositivo e geometrico si ricerca: il movimento che genera una cosa vista o odorata, quale movimento attragga quale respinga, la risultate di più movimenti sommati o sottratti insieme, l’urto di un corpo in quiete che acquista movimento e con che velocità. Si tratta anche di sapere che un movimento può generare un effetto nelle singoli parti di un intero, ma non generare movimento nell’interezza di un corpo e quindi non essere visibile, e che esiste un movimento ambivalente che contemporaneamente cerca di muovere il corpo con fonte esterna ed interna in direzioni opposte,

dando vita a risultanti incontrollabili. La ricerca del movimento come

causa ed effetto universale deve avere un principio guida, quindi,

cos’è la causa?“La causa è la somma o l’aggregato di tutti gli accidenti,

tanto di quelli che si trovano negli agenti tanto di quelli che si trovano nel paziente, che concorrono a determinare l’effetto proposto”12 .

11 Ivi, p.129.

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Per effetto Hobbes intende sempre un movimento, che sia percettibile visivamente o meno che sia fisico o che riguardi l’ambito dei moti dell’animo. L’aggregato è poi separato e studiato nelle sue componenti accidentali e se ciò non è possibile l’aggregato viene considerato come la causa integrale dell’effetto. Un esempio esplicativo di questo processo è lo studio della causa della luce: si riconosce che, è fuori di noi, vi è una fonte esterna che la genera, se il mezzo con cui è propagata non è trasparente l’effetto scompare, e quindi il mezzo necessita della qualità di trasparenza. Il corpo di chi vede, se non ha la giusta disposizione di occhi, nervi e cervello non vede e quindi non si produrrà nessun effetto.La causa della luce quindi avrà un movimento continuo dalla sua origine fino agli organi della sensazione, ed il suo studio, secondo Hobbes, necessita di metodo analitico per scomporre, una per una le circostanze dell’effetto, e del metodo sintetico per comporre in unità ciò che esse producono in sé e per sé.

È un processo suddiviso quindi in due momenti fondamentali di scomposizione e ricomposizione con consapevolezza delle parti. L’indagine che la filosofia prima porta avanti riprende i temi di potenza e atto, identico e diverso, sillogismo, causa ed effetto, in un confronto continuo con la tradizione aristotelica. L’ultimo di questi temi in particolare sarà fondamentale per l’oggetto di discussione poiché risulta essere il nucleo più profondo del materialismo e del tipo di fenomenismo hobbesiano.

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POTENZA E ATTO, CAUSA ED EFFETTO

Le radici di questo meccanicismo sono evidenti e sembrano ricalcare la fisica aristotelica: l’intero capitolo del De corpore su potenza ed atto sembra infatti seguire le orme dello stagira tanto denigrato da Hobbes. In realtà dei punti di contatto ci sono, per esempio entrambi i filosofi riconoscono la centralità del movimento come la forma di mutamento nell’ordine naturale. Ma in realtà come ricorda G.Fiaschi l’operazione hobbesiana è si quella di recuperare le nozioni classiche, talvolta scolastiche, e di basare le sue argomentazioni su di esse, ma “se ben si

considerano i diversi contesti di pensiero nei quali si radicano le idee di movimento e di tempo di questi due autori, si può intendere come Hobbes…usi le forme della vecchia lezione per darle un senso del tutto nuovo e perfino opposto”13

L’operazione è presente in quasi tutti i concetti ripresi da Hobbes e non si limita alla fisica ma ha un ampio respiro in tutte le sue opere: si passa dalla discussione sul tempo e sulla temporalità, a quella sulla natura umana, sul desiderio e sulle passioni, sulla ragione, sul ribaltamento della recta ratio, sul primato della praxis , della poiesis sulla theoria aristotelica.

13 Giovanni Fiaschi, il Desiderio del Leviatano: immaginazione e potere in Thomas hobbes,Rubbetino,2014, p. 131.

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In Aristotele potenza (dynamis) ed atto (energeia, ergon, entelechia) sono i cardini della metafisica e della fisica: l’essere, la sostanza, la materia, la causa, la facoltà, la forma sono definite in relazione al rapporto della coppia potenza/atto. Lo stesso mutamento non può essere concepito senza la dialettica continua tra potenza e atto, esso è il passaggio da privazione (steresis) a forma. Tre principi ruotano nel divenire: la privazione di una forma, la forma stessa, il sostrato (ousia) che permane, pur acquisendo una forma, al mutamento.

La privazione è quindi sia non-essere sia un possibile essere; l’insieme delle privazioni inerenti ad un soggetto ci dice ciò che un sostrato è in potenza e che potrebbe essere in atto. Questo passaggio prende il nome di mutamento: da potenza ad atto. Il mutamento però non è passaggio da non-essere ad essere poiché la potenza ha in sé entrambi, sia potenza sia privazione.

La potenza è, la possibilità di produrre, come potenza attiva e causa efficiente, o di subire come potenza passiva un mutamento. L’atto viene assimilato alla forma che con l’attività ha un fine in sé (esempio nel vedere) o fuori di sé (nel produrre). L’essere in potenza e l’essere in atto sono dei modi di dire l’essere (entelechia) rispettivamente la possibilità reale di essere e l’essere che esiste con piena attualità. È quindi chiaro che nella nozione ontologica di essere in Aristotele coesiste sia la potenza che l’atto, un ente è compiuto e incompiuto.

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La materia è associata alla potenza e la forma all’atto compiuto.

“La materia, in quanto sostrato potenziale ricevitore di forme diverse e contrarie, coincide con la potenza ed è ciò che, di per sé, non è né alcunché di determinato in atto, benché potenzialmente possieda determinazioni”14

Ancora più chiaro è quindi l’ambivalenza della potenza-materia come coesistenza di essere, in maniera del tutto indipendente dal fatto che sia privazione o meno, e non essere.

Infatti essendo in potenza qualcosa, esso non è ancora quel qualcosa. Nel IX libro della Metafisica Aristotele sottolinea lo spessore del principio di potenza e del suo dualismo anche dal punto di vista metafisico-logico, in quanto il mutamento non avrebbe luogo se non in questo continuo movimento dialettico tra potenza ed atto e nella compresenza nell’essere (in potenza) di essere e non essere.

Il divenire stesso non potrebbe realizzarsi se prima dell’atto non fosse affermata l’esistenza della potenza; mentre Aristotele ricorda come essendo modi dell’essere, l’atto preceda la potenza dal punto di vista ontologico proprio perché la potenza è definita in relazione all’atto, in relazione alla causa finale. Si tratta di due concetti basilari per la filosofia aristotelica e che non possono fare a meno uno dell’altro.

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Ciò che risulta essere importante ai fini della discussione è però la dimensione della possibilità della potenza come capacità di divenire atto, come pura potenzialità realizzativa.

Nella continua dialettica con l’aristotelismo Hobbes definisce il principio della causalità universale nel capitolo sulla potenza e atto, presentando una nozione di causa che non include l’importantissima causa finale aristotelica. Il passo è quello del capitolo x del De corpore dove vi è una sostanziale identificazione tra potenza e atto, e causa e effetto; infatti per Hobbes, essi hanno solo nomi diversi: quando in un agente si trovano tutti gli accidenti necessari per produrre un effetto, si dice che l’agente può produrre quell’effetto. Dove il “può” non è inteso da Hobbes nei termini di potenzialità, possibilità o potentia di diventare, ma nei termini ben differenti del necessario divenire, esso può divenire e diverrà, non vi è nessuno spazio rivolto ad uno stadio intermedio non realizzativo, quel “può” entra nell’ambito della

potestas.

Infatti l’insieme degli accidenti sono stati definiti da Hobbes come l’insieme delle possibilità della realizzazione dell’effetto su un corpo. La distinzione tra potenza ed atto e causa ed effetto è quindi, come suggerisce C.Altini nel suo “Potenza come potere”, solo di natura linguistica, significativa solo sul piano umano.

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Infatti dal punto di vista ontologico, la distinzione è del tutto irrilevante visto che, nella visione deterministica hobbesiana, i fatti futuri sono contingenti solo per l’uomo, a causa di un difetto di conoscenza, di una mancanza di conoscenza delle cause efficienti in azione. In realtà ciò che deve accadere è necessario proprio perché ha cause necessarie come i fatti passati. La nozione di potenza viene derubricata di tutta la semantica della possibilità, della facoltà potenziale, della potenzialità, essa non è più “condizionatamente”, non ha condizioni che la regolano, essa non può non essere.

“L’atto che è impossibile che non ci sia è un atto necessario” “qualunque atto

ci sarà, ci sarà necessariamente” “è impossibile che non ci sarà, poiché,…ogni atto possibile qualche volta sarà prodotto”15.

Il futuro è quindi chiamato contingente solo in relazione agli eventi di cui non abbiamo o non abbiamo ancora conoscenza. Il blocco di marmo diventerà (necessariamente ) statua. Il possibile è quindi, solo la sede di una miriade di formule linguistiche usate per riempire ciò che ignoriamo.

Semanticamente risulta impossibile distinguere tra causa efficiente e potenza attiva dell’agente, tra potenza passiva del paziente e la causa materiale, secondo il passo di Altini ci troviamo di fronte ad uno

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slittamento semantico del campo della potenza in quello dell’idea di potere:

“potenza non indica ciò che ha la possibilità di diventare , ma è ciò che ha il potere di diventare”16.

Un potere che, di fatto, indica la necessità di diventare, si tratta di unidirezionalità realizzativa. Al concetto di potere quindi Hobbes fa assorbire la connotazione semantica di possibilità, potestas e potentia sono intercambiabili nel linguaggio della filosofia hobbesiana poiché tutto ciò che è potenza diventa attributo del potere (potestas). Il potere inteso come capacità come potenzialità non è contemplato nella discussione hobbesiana, ma è sempre l’elenco dei mezzi che abbisogna per raggiungere un utile. Ed è qui che si chiude quell’ambiguità linguistica tra potere e potenza come possibilità e capacità, in Hobbes a differenza di quanto accade nel linguaggio comune, i due concetti si sovrappongono e tutto ciò che semanticamente richiama l’ambito del possibile, del poter raggiungere, della capacità, è assimilato ad una nozione di potere unidirezionale e necessario. Quello che vedremo, è che questo genere di potere è stabile solo nella sua necessaria direzione di autopotenziamento, mentre varia di qualità tra lo stato di natura e quello civile.

16Carlo Altini, Potenza come Potere: la Fondazione della cultura moderna nella filosofia di Hobbes, ETS,2012, p.21.

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Lo slittamento risulta ancora più chiaro se si approfondisce lo studio della causa: la causa efficiente è il fulcro del movimento nella fisica hobbesiana, è talmente centrale che la nozione di causa finale, propria del finalismo aristotelico, è riconsiderata e identificata con la causa efficiente.

“oltre alla causa efficiente e alla causa materiale , i metafisici enumerano due cause, cioè l’essenza (che alcuni chiamano causa formale) ed il fine o causa finale. Sono, tuttavia, entrambe, cause efficienti.”17

Non esistono cause finali, solo efficienti. E la mancanza di finalismo è evidente se valutiamo ciò che è stato analizzato poco sopra. La filosofia si risolve in calcolo, retto ragionamento e mezzi con cui viene fatto, quindi non può non mutare a seconda delle situazioni e delle condizioni degli eventi. Le conseguenze di questa identificazione e quindi l’eliminazione della causa finale vanno rilette dopo aver delineato più punti della discussione.

Questo movimento universale tra corpi non può basarsi solo sulla azione e reazione tra essi ma deve avere un inizio, un punto in cui poter riconoscere l’avviamento del sistema di cause esterne che genera il movimento. Hobbes non è chiaro su questo punto, infatti non è riconciliabile un finalismo nel sistema della fisica hobbesiana, non è riscontrabile un inizio del movimento, perlomeno quello generato

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dalle cause esterne. Questo genere di meccanicismo porta conseguenze non solo rispetto alla metafisica ma anche rispetto alla politica e al generale rapporto tra uomini e cose. Nell’atomismo hobbesiano non c’è spazio per un pensare teleologico, poiché la relazione è sempre relazione ad altro da sé, è sempre relazione esterna, spinta verso il fuori e dal fuori. Non vi è nessun primo motore, la sola causa che porta movimento è quella interna del conatus e si basa su un principio che può essere definito, ma spiega solo la tendenza dall’interno verso l’esterno dell’uomo e non ci dà nessun elemento per poter risalire all’origine della causa efficiente pervasiva del mondo fisico. Vi è forse in Hobbes una rinuncia o una presa di posizione gnoseologica sulla impossibilità di conoscere l’origine della catena causale degli eventi, così come vale in teologia per Dio? forse non è importante per Hobbes sapere da dove il movimento arrivi.

Egli ricerca quanto e come si propaghi questo movimento ed i suoi effetti sui corpi compreso l’uomo. Il punto che il filosofo ribadisce più spesso è l’apoditticità del procedere causale, il possibile non abita nel mondo fisico hobbesiano, il potere del movimento causale tra corpi ci sfugge dal punto di vista conoscitivo, ma ci raggiunge necessariamente.

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Infatti, come ricordato poco sopra, “ogni atto possibile sarà prodotto” significa che ogni effetto possibile sarà necessariamente realizzato nel momento in cui l’aggregato degli accidenti, necessari all’esecuzione dell’effetto, saranno presenti. Su come questo necessario svolgimento parta, Hobbes tace, ma le conseguenze nella sua filosofia portano la nostra discussione ad affrontare il fatto che l’uomo, come corpo fisico, si ritrova a subire cause di cui non conosce l’origine. Inoltre la libertà di movimento è definita come la risultante delle componenti dei movimenti particolari che, sommandosi o sottraendosi tra loro, creano un movimento risultante, visibile o meno.

La libertà sarebbe, come abbiamo sopra ricordato per quanto riguarda la potenza, solo un nome che diamo a una possibilità che in realtà non abbiamo? La relazione di potere, prettamente aderente alla discussione nel mondo fisico, risulta essere fuori dal controllo umano? Hobbes ci porta a ribadire che le nozioni di accidente e contingente sono solo di natura linguistica, e sono chiamate così solo perché l’uomo è in mancanza di elementi conoscitivi per sapere se un evento futuro, secondo la catena causale, avverrà.

La previsione meteorologica ad esempio è chiamata previsione proprio perché vi è una mancanza di conoscenza della catena causale che porterà un determinato tempo che, in realtà, è già “deciso” e avverrà necessariamente.

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27

Il corpo dell’uomo come tutti quelli del mondo fisico è mosso e la differenza con gli corpi e che egli si crede libero. La libertà può essere solo definita come:

”L’assenza di impedimenti esterni al movimento…l’acqua in un vaso non è libera di muoversi; diventa libera solo quando si rompe il vaso ”18

La definizione di libertà di movimento equivale al potere di muoversi, alla possibilità di muoversi, ad un potere che è effettivo solo senza impedimenti esterni. Stato di cose che non muta nella società civile, la libertà civile infatti “è il potersi muovere in ambiti non prescritti dalla

legge”19 è il semplice fatto che la legge non può regolare tutta la

condotta umana e rende i margini relativamente ampi.

La legge in questo caso sta al posto del necessario susseguirsi di eventi futuri in fisica: in entrambi i casi il potere è il muoversi senza impedimenti, con uno qualsiasi di questi infatti l’azione umana risulta condizionata.

La nozione di possibilità di movimento tra i corpi, come capacità di muoversi, è reale? Abbiamo visto poco sopra come anche semanticamente, in Hobbes, tutto ciò che riguarda la potenza come potenzialità o capacità ripieghi nell’idea di potere. Si tratta quindi di

18 Alfredo Ferrarin, Artificio, Desiderio, Considerazione di sé, ETS,2001 ed 2015.p.172.

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una potenza illusoria, l’uomo è mosso, esternamente da cause di origine lontana e imperscrutabili, internamente dal principio del

conatus.

Si vedrà come in realtà in Hobbes l’uomo sia libero di fare ma non libero di volere, e come Il ragionamento fatto per la libertà vale anche per il concetto di volontà, ma la discussione sarà ripresa nel terzo capitolo.

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29

IL CORPO MECCANICO

L’oggetto su cui la catena causale agisce è il corpo. Il movimento riguarda sempre un agente o un paziente che è sempre l’unità semplice del corpo:”il corpo è ciò che è, non dipendendo dal nostro pensiero,

coincide o si coestende con una parte dello spazio.”20

Il corpo è estensione indipendente da noi di un oggetto fuori di noi (ek-stasis) in quanto occupa uno spazio. Questo spazio è il luogo del corpo dove esso ha la sua grandezza che coincide con la sua estensione. Ma di che genere di corpo dispone l’uomo? Su cosa realmente ha effetto il movimento? Il potere causale su cosa applica la sua spinta necessaria?

Il corpo, per i contemporanei del filosofo e non solo per Hobbes, è un’entità organica organizzata meccanicamente in cui le sue parti concorrono come le parti di una macchina all’andamento del macchinario intero. Uno dei testi che più ha influenzato una concezione del corpo come insieme di ingranaggi organici è il De motu

cordis di William Harvey dove con metodo sperimentale si scrive sul

sistema sanguigno e del suo stretto rapporto con la struttura anatomica, del funzionamento del cuore, di un confronto continuo con la tradizione di studi di Galeno e di una sua revisione. Tutti passi in

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avanti che portano a reinterpretare ancora di più il corpo umano come una “macchina organica” di un automatismo che non abbisogna di volontà. Ma le posizioni non sono sempre allineate.

In Cartesio ad esempio, nel corpo umano meccanicamente sono mossi non solo le membra e gli organi, ma anche sulle facoltà sensitive e immaginative, la memoria e desideri e passioni. Il fulcro della macchina rimane sempre il corpo, che segue le leggi matematico-fisiche del movimento: “io mi consideravo dapprima come avente un viso,

delle mani, delle braccia, e tutta questa macchina composta d’ossa e di carne così come essa appare in un cadavere: macchina che io designavo con il nome di corpo”21.

Invece il pensiero, seppur anch’esso movimento e processo, si autonomizza, non segue il movimento e le funzioni corporee e si trova ad isolarsi da esso. Così Cartesio riporta il dualismo tra anima e corpo come entità del tutto separate. Il meccanicismo cartesiano produce quindi un uomo dimezzato, il meccanismo vale solo per il corpo in quanto macchina organica e non per l’anima in quanto res cogitans. La differenza non è, invece presente negli animali privi di ragione che essendo solo corporeità possono essere paragonati a qualsiasi meccanismo artificiale, sono automi. Il corpo dell’uomo, nella sua totalità, è macchina organica con l’esclusione della res cogitans che, non

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essendo corporea, ha altri attributi, si isola e si automatizza nel suo funzionamento dal corpo.

“La congiunzione che avviene nell’uomo tra corpo meccanico e “anima ragionevole” dipende dal fatto che l’uomo è creatura di Dio che ha unito nell’essere umano l’animalitas della bestia all’anima razionale, creando quell’unicum che è l’uomo”22.

Vi è la coesistenza di due istanze eterogenee difficilmente conciliabili tra loro, che il filosofo cerca nelle sue opere di armonizzare. L’analogia della macchina è fatta partire, dal filosofo francese, dai meccanismi artificiali al corpo e non il contrario,” sono ai tubi delle macchine delle

fontane che i nervi della macchina-corpo possono essere paragonati; i muscoli ed i tendini alle molle che li muove e il cuore è la sorgente e le cavità cerebrali sono i serbatoi”23

Per quanto riguarda la natura del corpo come meccanismo animale le posizioni di Cartesio e Hobbes convergono e il passaggio nello studio del corpo è trasversale in tutta la cultura scientifica contemporanea ai due filosofi. Si tratta di una interpretazione meccanicistica e una trasformazione del corpo in macchina che ha del rivoluzionario infatti:

22 Francesco Mora, Thomas Hobbes e la fondazione della tecnica moderna: Realtà e virtualità dell’uomo e del potere, Mimesis, 2015. p.109.

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“per lunghissimo tempo il corpo fu rappresentato come un’entità chiusa…il cui interno era destinato a rimanere inaccessibile in quanto all’interno del corpo risiedeva il segreto della vita. Il principale mistero che ci assilla venne sviscerato dalla scienza che lo rappresentò come un labirinto insieme animato di dotti, tubazioni, conduttori elettrici, valvole, ampolle, ingranaggi e rotismi, per mezzo dei quali l’organismo congegna di estrarre energia dall’ambiente e di incalcarla ad alimentare una struttura di strabiliante complessità e in tal modo assicurarsi il proprio funzionamento”.24

Il tentativo hobbesiano, è quello, invece, di sfuggire da ogni metafisica affidandosi alla “ragione umana naturale” per lo studio delle cose create e del loro ordine delle loro cause ed effetti. L’anima razionale cartesiana, indipendente dagli sviluppi meccanicistici del corpo, in Hobbes, non è più tale. L’anima non ha più quell’unicum dato da Dio rispetto al corpo, la conoscenza e le facoltà conoscitive e mentali passano dal corpo e per il corpo, sono dipendenti dalla corporeità in quanto ragionano direttamente mediante i sensi. Inoltre vi è una progressiva meccanicizzazione dell’anima che si realizza nell’analogia dello stato-meccanismo, il dualismo non è più un dualismo di anima e corpo ma di ragione e passioni, dove la ragione non ha nulla a che vedere con l’essere una sostanza non corporea della res cogitans invece

24 Ivi, p. 146. Cfr. F: Gonzàles-Crussì, Organi vitali, tr. it. di G.Castellari, Adelphi, Milano,2014.

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ci si concentra sulla sua funzione: l’essere strumentale all’utile ricercato.

La distinzione che sembra contare in Hobbes, in quanto tutto è materia o corpo, è quella tra corpi artificiali e corpi naturali. Qui ritorna il primato della poiesis di cui abbiamo parlato prima, infatti è proprio un ordine di carattere produttivo che distingue i due tipi di corpo: mentre il primo è creato imitando la natura da parte dell’uomo, il secondo è frutto della poiesis divina, del dio artefice e causa efficiente della natura. Arte e natura stanno quindi in un rapporto di imitazione, e dove l’arte ha un carattere conoscitivo più ampio rispetto a quello della natura. Infatti l’uomo, essendo il creatore diretto del corpo artificiale, l’esempio principale è lo Stato, ha il controllo dei suoi meccanismi. Viene a rispondere a quel criterio di ordine che più volte è stato richiamato come pervasivo nella filosofia hobbesiana. Il corpo artificiale dello Stato come un qualsiasi meccanismo è direttamente in potere del suo artefice. Non esiste quindi un potere superiore a quello che abbiamo verso i prodotti della Politica, un elemento sconosciuto che ci possa sfuggire, poiché

“quello che abbiamo è quello che abbiamo fatto; la causa conserva potere sul

suo effetto, e se non un potere reale, almeno un potere teorico, di comprensione”25

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Va specificato che si tratta di un’arte o una tecnica che non ha molto a che vedere con quella contemporanea, ma è ancora “buona esecuzione di una imitazione della natura”. Pur essendo lontana da quel genere di tecnica che porta alla luce strumenti di una complessità e di effetti ben superiori, si trova però, a condividere il suo funzionamento interno basato su efficienza e controllo, ha quindi le stesse radici. Non solo, il prodotto, è in potere dell’uomo ma anche lo conosce in quanto lui stesso è l’artefice, lui lo ha prodotto, la natura infatti è prodotta da altro dell’uomo e quindi non può essere conosciuta, come Dio, nei suoi intimi meccanismi.

Nel De homine, infatti, Hobbes distingue tra verità di teoremi e verità di fatto, delle prime sappiamo tutto ciò che c’è da sapere poiché le abbiamo create noi, la generazione dell’oggetto dipende dall’arbitrio umano, le figure geometriche con le sue leggi non esistevano prima che l’uomo le creasse. Mentre le verità di fatto dipendono dalle cause naturali che, come abbiamo visto, non sono in nostro potere. Concettualmente il corpo come meccanismo è funzionale al sistema fisico di cause concatenate che lo muovono, di agenti e pazienti che meccanicamente generano movimento continuo.

Il meccanismo, infatti, ha la caratteristica fondamentale di trasmettere il movimento tra le parti portando, se la spinta è sufficiente, a muovere l’intero.

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Parti che devono essere “disposte” a ricevere il movimento e, di conseguenza, ad amplificarlo in efficienza secondo la risultante. Per quel che riguarda il movimento, si è più volte ricordato come sia il determinante del sistema fisico e il corpo meccanico calato in un mondo che sembra essere pre-determinato.

Se preso esclusivamente dal punto di vista fisico lo spazio del movimento libero risulta essere compromesso, anche se l’unica sicurezza che l’uomo ha è che non è possibile sapere quale sia la risultante determinata. Si vedrà come Hobbes, nelle relazioni di potere tra uomini e mezzi tradurrà questo spazio grigio di “ignoranza“in rapporto con l’autopotenziamento e il principio di autoconservazione.

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SECONDO CAPITOLO

IL RUOLO DELL’IMMAGINAZIONE

Con l’esperimento mentale della ficta universi sublatio citato nella sezione precedente, è evidente come nella nostra conoscenza il ruolo principale sia affidato all’immaginazione. I fantasmi dei corpi, delle grandezze e delle qualità presenti in natura sono ciò che ci permette di ricostruire il mondo anche nel caso in cui esso fosse distrutto. Si tratta di un sensismo che si basa sulle rappresentazioni della realtà esterna e che porta a considerare le idee e le immagini date dai sensi sullo stesso piano.

È da notare come per Cartesio, autore di riferimento e di confronto per Hobbes, le idee non siano garanti di un riscontro oggettivo della cosa rappresentata. Il cammino gnoseologico risulta essere ancora molto lungo: dall’autoevidenza del cogito fino alla garanzia divina sulla corrispondenza tra realtà e pensiero. Sostegni gnoseologici completamente non validi per il filosofo inglese.

I concetti di idea, fantasma e immagine sono identificati per quanto riguarda la loro condizione di esistenza nel ragionamento hobbesiano, ed inoltre il riferimento alla loro esistenza (existing) è relativo alla realtà esterna ma solo come appearing to exist.

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37

Ci appaiono cioè come esistenti, ma non abbiamo nessuna possibilità epistemologica di afferrarle per quello che sono. Existere qui ha più il significato di extra-stare cioè esistono ma riconosciamo che sono fuori di noi. Abbiamo quindi a che fare sempre e comunque con una immagine del mondo riflessa nella nostra mente.

Nella fisica di Hobbes si è visto che ciò che muove il corpo o le sue parti, è il movimento: esso è la causa universale che sorregge il sistema di azioni e reazioni. Di conseguenza si è visto come il principio di causa possa essere rilevato sia deduttivamente che induttivamente. Ma dove si applica il movimento? La causa agisce su un corpo ed il corpo è in un luogo, il luogo è lo spazio reale dove il corpo risiede. Per definire lo spazio dove tutto ciò avviene Hobbes ricorre ad un “finto

annichilimento del mondo”26 (ficta universi sublatio), si tratta di un

esperimento mentale dove si immagina che tutta l’esperienza appresa dall’uomo attraverso i sensi e tutti gli enti reali siano annichiliti (rerum

adnihilatio) lasciando l’uomo solo circondato da un vuoto fittizio.

Secondo Hobbes ciò che rimarrebbe nella mente dell’uomo sarebbero le idee, cioè l’immaginazione e la memoria di grandezze, di movimenti, di suoni e di colori.

26 De corpore, p.145.

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All’uomo apparirebbero come esterne e non prodotte dal potere della mente (power of mind ), ma sicuramente egli concluderà che saranno “cose” riferite al passato, ai ragionamenti passati, sono quindi i fantasmi delle cose, dimensione prettamente dell’immaginazione. Il fatto stesso che ricordiamo o che abbiamo il fantasma degli oggetti prima che fossero annichiliti e li consideriamo fuori di noi ci porta ad isolare il concetto di spazio, isolare il fatto che abbiamo questo concetto. Infatti le idee sugli oggetti che permangono nella mente presuppongono che esse occupino, esistendo, dello spazio fuori di noi. Si tratta di uno spazio immaginario poiché è un fantasma di ciò che era, ma non viene chiamato così perché è già spazio occupato ma perché può essere occupato.

“né che i corpi trasportino con sé i loro luoghi, ma che nello spazio è contenuto ora un corpo ora un altro”27

Lo spazio è quindi:”il fantasma di una cosa che esiste in quanto esiste, cioè

senza considerare alcun altro accidente di quella cosa, tranne il fatto che appare fuori di noi”28

La definizione di tempo segue le orme di quella dello spazio. Mentre lo spazio è il fantasma della grandezza di un corpo in quanto esistente, il tempo è il fantasma del suo movimento. Nella mente è chiara

27 Ivi, p.146

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l’immagine del corpo che passa ora per questo e poi per quello spazio in continua successione. Definizione che ricalca quella Aristotelica del

tempo come:“misura del movimento secondo il prima e il poi“29. I tempi

come gli anni, i giorni, le stagioni sono i nomi con cui chiamiamo i calcoli del movimento del corpo, il moto numerato. Infatti hanno sempre il loro riferimento in un movimento. Concetti che richiamano ad una realtà che è esclusiva dell’immaginazione e della memoria, uno spazio immaginario che è virtuale nella mente e lo rendiamo reale solo se è immaginato. La rappresentazione risulta essere la dimensione conoscitiva dell’uomo, ciò che è fuori di noi non è conosciuto per come è in se ma sempre in relazione al suo fantasma.

La ficta universi sublatio e la rerum annihilatio, sono motivi centrali nella riflessione hobbesiana, poiché l’autore fa cominciare la filosofia naturale con questa fondamentale privazione, si tratta di temi che ritorneranno spesso nella discussione.

Vengono poste numerose questioni dopo la formulazione di tale ipotesi: la virtualità di spazio e tempo, delle immagini e del corpo, il ruolo gnoseologico dell’immaginazione.

Soprattutto, però, è chiaro come Hobbes voglia dimostrare che con il metodo scientifico l’uomo sia in grado di ricostruire il mondo anche

29 phys. IV, 11-14 219 b e sgg

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dopo che esso sia stato annichilito, infatti il risultato è che“la scienza,

non ha a che fare con la realtà esterna, ma sempre e solo con le nostre idee”.30

L’opera di Hobbes mostra come il filosofo cerchi di delineare un criterio di ordine: la pluralità caotica ed infinita di immagini del reale possono essere ricostruite grazie all’immaginazione. Anche se il mondo sparisse avremmo sempre spazio e tempo e le immagini dei corpi nella memoria, come punti cardinali in cui poterci orientare. Infine che potere ha l’uomo di fronte a immagini, idee e memorie di corpi completamente esterne a noi e indipendenti? Corpi mossi e che muovono con una concezione di tempo e spazio sempre relativa al corpo, quindi l’uomo ha un reale controllo? Siamo di fronte ad un determinismo causale di cui non possiamo conoscere a fondo le intime connessioni, ma solo prendere atto del suo necessario svolgimento? L’Immaginazione, in Hobbes, ha un ruolo gnoseologico ed epistemologico fondamentale: non solo è la capacità garante della scienza ma risulta essere il motore del sistema conoscitivo basato sui sensi. Mentre la scienza è garantita anche in caso di annichilimento del mondo dall’immaginazione, essa avanza mediante l’uso della ragione.

30 A.Pacchi, Convenzione ed ipotesi nella formazione della filosofia naturale di Th. Hobbes, firenze 1965 pp. 54-55.

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La memoria inoltre fa ampio uso della funzione”immaginativa” per potersi riferire ai fantasmi dei corpi della realtà esterna ed è

equivalente all’immaginazione31:

“L’immaginazione, perciò, non è altro che una sensazione che si indebolisce ed esiste negli uomini e in molte altre creature viventi“32

Mentre la sensazione che si indebolisce è l’immaginazione, la memoria è l’indebolirsi della sensazione, è l’espressione di questo indebolimento. Indebolimento che non è del movimento che continua in eterno, come la luce delle stelle, attiva anche se non visibile di giorno. Il vedere il movimento ci lascia un’impressione nella mente che continua anche dopo che l’oggetto è rimosso e che si indebolisce come le onde provocate in uno stagno da un sasso.

Se consideriamo il terzo capitolo del Leviatano, vi sono descritte le serie di pensieri e si può vedere come esse siano ordinate da qualche

desiderio e come si possano dividere in due tipi: comprensione o

intendimento (understanding) e ragione.

L’immaginazione, causa di tutte le passioni, è una facoltà che abbiamo in comune con gli animali ma rispetto ad essi nell’uomo ha un duplice livello, infatti si dirige

31 “L’immaginazione e la memoria sono una cosa sola che assume nomi diversi se la si considera in modi differenti”. Leviatano p.15.

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42

“Oltre l’immediatezza delle “passioni sensuali” che si producono per una elementare connessione di causa ed effetto <<comune agli uomini e alle bestie>>, nell’intelletto umano, dove risiede una capacità proiettiva, che Hobbes chiama <<Faculty of Invention>>”33

Ricercando di un effetto una causa o un mezzo per il quale sia stato realizzato, Hobbes ci dice che non facciamo nulla di diverso dagli

animali34. Mentre se, immaginando una cosa, ricerchiamo i suoi

possibili effetti compiamo un’attività conoscitiva prettamente umana,

una ars inveniendi, ricerca di un futuro che non è dato immediatamente dai sensi e dalla mia percezione.

La differenza dagli animali non è quindi nella comprensione (understanding) che è un tratto comune poiché entrambi risalgono alle cause immediate utilizzando la serie di pensieri, ma nell’uso dell’immaginazione come facoltà disciplinante nella ricerca di un effetto o di una causa possibili, cioè slegati dalla datità immediata e connessi invece ad un nostro ruolo di cause efficienti nel mondo. Non è quindi, l’immaginazione, solo una facoltà passiva che subisce l’impressione dei corpi in movimento e li trattiene nella memoria per un periodo di tempo, è una facoltà attiva che costruisce l’orizzonte di cause ed effetti possibili.

33 Giovanni Fiaschi, il Desiderio del Leviatano: immaginazione e potere in Thomas Hobbes, Rubbetino,2014. p.86. Cfr Leviatano p. 19.

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43

È il motore più forte dell’autopotenziamento: immaginare, piacevolmente, effetti futuri basati sul desiderio di potere. L’immaginazione è quindi ambivalente, da una parte essa ci permette, partendo da una datità della natura, di cominciare l’imitatio creationae, dall’altra essa ha a che fare con il mondo del possibile, con un mondo dissociato dalla realtà, usato sia per influire sulla realtà sia per negarla e gonfiare la gloria in noi stessi.

È sempre diretta al futuro come produzione, invenzione e curiosità ed ha scopi prettamente pratici, senza contare la sua importanza dal punto di vista epistemologico.

Il desiderio trova la sua espressione nell’immaginazione che porta dentro di sé immagini possibili di appagamento, il principio di autopotenziamento si realizza nell’immaginazione perché è l’unica facoltà che realizza, mentalmente, virtualmente, il desiderio prima che sia effettivamente concretizzato.

Il mondo del possibile rientra a far parte del potere dell’uomo grazie proprio al ruolo dell’immaginazione, è un possibile che amplifica il desiderio di potere così connaturato nella natura umana ma che è reale solo nel desiderare.

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Si desidera che gli eventi vadano come sono immaginati, che gli effetti siano quelli voluti, ma è sempre un possibile del tutto accidentale rispetto alla realtà, del tutto interno all’uomo, esso è riconducibile più alla passione della vanagloria che a quella della gloria, poiché non effettivo non potestas. Questo mondo del possibile è usato dall’uomo in maniera strumentale ed il metodo con cui si viene a formare è dettato dalla Ragione, che risulta essere considerata da Hobbes come

disciplina dell’immaginazione. Un cambiamento di visione della facoltà

epocale: la mente organizza l’immaginazione. La ragione però ha la peculiarità di spingere il principio di rappresentazione aldilà dello stare per, del generare la presenza dei costrutti alla nostra mente, del rendere presente a se stessi nel pensiero ciò che non lo è nei sensi; esso comincia a generare in maniera autonoma rispetto alla datità, a generare un mondo del possibile sovrapposto a quello reale e che ha scopi autonomi. Sicché i piaceri immaginati saranno anch’essi autonomi dalla realtà e immaginativi prima che reali e possibilmente innaturali.

Tornando alla differenza tra uomo ed animale portiamo un confronto con Aristotele per chiarire meglio il passaggio.

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In Aristotele non c’è differenza tra il movimento umano e quello animale, infatti per principio è esattamente lo stesso: in entrambi i casi i soggetti si rappresentano uno scopo senza il quale non vi è il desiderio di muoversi e quindi l’azione. La differenza per Aristotele risiede nella ragione che, nell’uomo, riesce ad educare e dirigere le passioni in un modo che invece è assente negli animali, poiché essi seguono solo desideri naturali.

In Hobbes invece, il discriminante non è la ragione ma l’infinitezza del desiderio e l’ingegno che l’uomo attua per soddisfarlo. L’uomo infatti ha un appetito naturale indefinito e illimitato che si realizza con il desiderio di potere, insaziabile e a tratti irrazionale. La natura del desiderio è concepita diversamente: è infinita nell’uomo e finita, con i desideri naturali, nell’animale.

L’immaginazione è quindi l’origine mentale del movimento umano:

“l’immaginazione è la prima origine interna di ogni movimento volontario”35

e i desideri che vi si generano sono strettamente collegati alla considerazione di sé, alla autocomprensione rispetto al fattore sociale, che in maniera prepotente adombra quasi totalmente i desideri naturali. Desideri artificiali che sono indotti, mediati socialmente tra gli uomini, che si ingegnano continuamente per soddisfarli muovendosi all’interno di una realtà del tutto virtuale.

35 Leviatano, p.41.

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Il principio che Hobbes utilizza per poter spiegare questa propensione del desiderio formato nell’immaginazione è il conatus, che risulta

essere ”il punto di frattura fra materialità corporea e vita della coscienza “36.

Mentre l’immaginazione genera il desiderio sotto forma di immagini e di realtà alternativa, ciò che rende il desiderio forza pulsante vitale è il conatus, il ponte tra la dimensione immaginativa del desiderio e la sua realizzazione.

Si tratta di ciò che sottende il movimento, vita sotto il riguardo meccanico, in quanto essenzialmente è il conato che muove i corpi. Non è però, solo energia, tensione, impulso e forza ma è anche un “tendere a” tendere in una direzione, movimento orientativo dei

“moventi che se sono più di uno sarà un concorso di quei moventi”37.

Hobbes è chiaro nello specificare che non si tratta di un orientare teleologico poiché il conatus è svincolato da ogni volontà e da ogni razionalità finalisticamente determinante: la forza o energia del desiderio muove e basta. Si applica su un punto che è indiviso cioè non una somma di parti ma una totalità, un corpo meccanico che è tale solo se composto di tutti i meccanismi e che non è frazionabile perché perderebbe lo status di macchina. Seguendo il ragionamento il conatus

36 Francesco Mora, Thomas Hobbes e la fondazione della tecnica moderna: Realtà e virtualità dell’uomo e del potere, Mimesis, 2015.p.119.

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risulta essere ciò che essenzialmente è il movimento, la sua unità di misura, dove viaggia il desiderio per poter divenire passione.

Da notare rispetto al capitolo precedente che vi è chiaramente una tensione in Hobbes rispetto alla vita mentale umana: da una parte la mente non può essere altro che il riflesso della datità fisica che inesorabilmente e meccanicamente sembra generare cause ed effetti di cui è impossibile sapere e prevedere, dall’altra l’uomo ha una facoltà, l’immaginazione, che lo libera, lo porta ad un livello che pare essere distaccato dalla natura e genera un’altra datità con desideri e fini alternativi ma socialmente determinati. Una realtà che si può rappresentare come un mondo chiuso, indipendente e forse prioritario rispetto alla realtà fisica.

Cosa rimane allora della datità del mondo, della realtà fisica, se l’immaginazione crea una dimensione alternativa che dirige l’agire dell’uomo? Come poco sopra è stato scritto la relazione verso la realtà

finisce per essere prettamente pratica, una relazione pratica a me38,

l’uomo, in Hobbes, vede la realtà come resistenza alla volontà e

all’impulso39.

Essa “è” solo in relazione all’autoaffermazione, ed è così poiché l’immaginazione impone desideri che sovrastano quelli naturali.

38 Alfredo Ferrarin, Artificio, Desiderio, Considerazione di sé, ETS,2001, p.195 39 Ibidem.

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Per Aristotele la realtà è ciò che si regge da sé, che rimane nonostante il cambiamento ed ha il ruolo di sostrato della predicazione. Una definizione metafisica teorica e assoluta, mentre in Hobbes, la realtà risulta avere una natura comparativa e di relazione. Lo spazio immaginativo crea passioni che portano necessariamente l’uomo a seguire i fini dei relativi desideri e il potere non è altro che il continuo perseguimento di questi fini, di questi desideri che uno dopo l’altro premono per essere soddisfatti. Anche nelle relazioni di potere che si vengono a creare c’è una disciplina che porta, dopo aver creato le passioni e i desideri, alla creazione dell’ingegno per perseguirli, la ragione come calcolo.

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LARAGIONE ÈCALCOLO

E lo spazio della ragione dove risiede? Se quasi tutto ciò che orienta l’uomo è il desiderio di potere, ed esso ha la sua dimora nell’immaginazione e nel possibile, cosa rimane della ragione?

In Hobbes, la ragione diviene calcolo e trova spazio come dottrina del metodo, disciplinante per raggiungere scopi e fini. Calcolo delle forze e dei mezzi a disposizione valutazione delle quantità e delle qualità e del come utilizzarle per placare la passione.

Dove per calcolo Hobbes intende: “il cogliere la somma di più cose l’una

aggiunta all’altra o conoscere il resto, sottratta una cosa all’altra. Ragionare, dunque, è la stessa cosa che addizionare e sottrarre; …si risolve quindi, ogni ragionamento, in queste due operazioni della mente: l’addizione e la sottrazione.”40

Le operazioni che egli compie sono fatte tra i nomi arbitrariamente affidati alle cose, tra i nostri pensieri, tra concetti, tra corpi, tra grandezze, tra moti, tra tempi e così via abbracciando quasi ogni ambito e gestendo “le operazioni” nel linguaggio con i discorsi.

“Aggiungo che…è dunque capace di ragionare (reason) o di calcolare (reckon) non solo sui numeri ma in tutti gli altri generi di cose che siano suscettibili

40 De Corpore, p.71

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50

di essere addizionate o sottratte una dall’altra. Questo privilegio è tuttavia bilanciato da un altro: quello dell’assurdità a cui non è soggetta alcuna creatura vivente a eccezione dell’uomo”41

Il meccanismo con cui la ragione calcola relazionandosi con le passioni, prende il nome di deliberazione, la volontà all’interno di questo meccanismo, non è nulla di diverso dal passo finale del calcolo, è

l’espressione finale della deliberazione.42

“Quando nella mente umana si produce un’alternanza di appetiti e avversioni, di speranze e di timori che hanno ad oggetto una stessa cosa e si presentano in successione nei nostri pensieri conseguenze diverse, buone e cattive…in modo che a volte proviamo appetito e altre volte avversione nei suoi confronti,… l’intera somma dei desideri, delle avversioni, delle speranze e dei timori , protratti fino al momento in cui l’azione venga compiuta, o ritenuta impossibile, è ciò che chiamiamo Deliberazione”43

Si tratta di un continuo dialogo tra desideri opposti modulati dalla ragione e resi immagine nell’immaginazione. Alla fine del calcolo, che è chiamato “intera somma dei desideri”, ci sarà la volontà che è il risultato dell’operazione. È possibile, lo ricorda lo stesso Hobbes, che la volontà sia non conforme a ragione e quindi non si può parlare della

41 Leviatano, p.37 parentesi di Altini.

42 Si vedrà nel terzo capitolo un’analisi più attenta della volontà in Hobbes. 43 Leviatano, p.48

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