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Insegnanti impegnati in progetti di Ricerca-Azione: uno strumento analitico per interpretarne il processo di ingresso

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Academic year: 2021

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Corso di Laurea Magistrale in Matematica

Tesi di Laurea

INSEGNANTI IMPEGNATI IN PROGETTI DI RICERCA-AZIONE:

UNO STRUMENTO ANALITICO PER INTERPRETARNE

IL PROCESSO DI INGRESSO

Relatrici: Laureando:

Prof.ssa Anna Baccaglini-Frank Giulio Benigni

Prof.ssa Annalisa Cusi Prof.ssa Francesca Morselli Controrelatore

Prof. Pietro Di Martino

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Alla mia famiglia, che con amore mi ha sognato e fatto crescere

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Indice

Introduzione 1

1 Inquadramento teorico 3

1.1 “Teachers Working and Learning Through Collaboration” . . . . 3

1.1.1 Le principali caratteristiche del lavoro collaborativo . . . . 4

1.2 La Ricerca-Azione . . . . 5

1.2.1 La Ricerca-Azione in campo educativo . . . . 7

1.3 Sull’importanza di teoria e collaborazione tra insegnanti e ricercatori . . . . 7

1.3.1 Il ruolo della consapevolezza nell’insegnamento . . . . 8

1.4 Beliefs . . . 10

1.4.1 Il problema della definizione di belief . . . 10

1.4.2 Sulle categorizzazioni dei beliefs . . . 11

1.4.3 Beliefs e pratica didattica: la questione della coerenza . . . 12

1.5 Teacher change . . . 13

1.6 L’atteggiamento verso la matematica . . . 14

1.6.1 L’atteggiamento verso la matematica secondo Rosetta Zan e Pietro Di Martino . 15 2 Metodologia 18 2.1 ​Focus dello studio e domanda di ric​e​rca . . . 18

2.2 ​Raccolta dati . . . 18

2.2.1 Intervista semi-strutturata . . . 19

2.2.1.1 Elenco delle domande con note di supporto per l’intervistatore. . . 19

2.2.2 Le interviste . . . 21

2.2.2.1 I progetti di RA . . . 22

2.2.2.1.1 Progetto PerContare . . . 22

2.2.2.1.2 Progetto Didattica Matematica Inclusiva . . . 23

2.3 Grounded Theory . . . 24

2.4 Analisi dei dati . . . 26

2.5 Teorie di riferimento . . . 27

3 Risultati delle analisi 29 3.1 Categorie, fattori e loro relazioni . . . 29

3.1.1 Fattori esterni . . . 29

3.1.1.1 Contesto personale . . . 30

3.1.1.2 Contesto della Ricerca-Azione . . . 30

3.1.1.3 Contesto scolastico. . . 31

3.1.2 Fattori interni . . . 33

3.1.2.1 Qualità personali . . . 34

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3.1.2.3 Disposizione emozionale verso l’insegnamento . . . 36

3.1.2.4 Visione della matematica . . . 38

3.1.2.5 Visione dell’insegnamento efficace . . . 38

3.1.2.6 Visione della formazione efficace . . . 40

3.1.2.7 Obiettivi . . . 41

3.1.2.7.1 Obiettivi dell’insegnamento . . . 42

3.1.2.7.2 Obiettivi della formazione. . . 42

3.1.2.8 Senso di auto-efficacia nell’insegnamento . . . 43

3.1.2.9 Valori . . . 44

3.2 Discussione dei risultati dell’analisi . . . 45

3.2.1 Alcuni chiarimenti sullo strumento analitico . . . 45

3.2.2 Sull’importanza delle categorie “Conoscenze degli insegnanti”, “Obiettivi”, “Visione dell’insegnamento efficace” e “Visione della formazione efficace” . . . 47

4 Conclusioni 52 4.1 Le mie ipotesi . . . 52

4.2 Criticità e prospettive future . . . 53

Appendice 55

Bibliografia 56

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Introduzione

La Ricerca-Azione (RA) costituisce un elemento cardine della pedagogia istituzionale, sia per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, sia per quanto riguarda l'analisi della pratica educativa e il suo miglioramento. Essa si basa sulla collaborazione tra insegnanti e ricercatori, con l’intento di risolvere i problemi che si presentano nell'ambito del contesto didattico.

In linea con la natura della RA, alcuni studiosi (Bishop, 1998; Lester & Wiliam, 2002; Boaler, 2008) sostengono che andrebbe incrementata la diffusione dei risultati della ricerca in didattica della matematica tra gli insegnanti, mettendo in luce i benefici che i docenti possono trarre se stimolati a servirsi delle lenti fornite dalla teoria per analizzare la propria pratica didattica (Niss, 2007; Cusi & Malara, 2016). Secondo Piaget, “nella ricerca e con la ricerca, il lavoro dell’insegnante smette di essere mestiere e diventa professione”.

Tuttavia Silver e Herbst (2007) evidenziano come sia diffuso un certo pregiudizio riguardo il ruolo svolto dalla teoria tra gli insegnanti, che la ritengono spesso irrilevante per la pratica. Forse anche per questo, un aspetto critico della RA è la realizzazione di una reale ed efficiente collaborazione tra docenti e ricercatori.

L’obiettivo di questo studio è indagare il processo che caratterizza l’iniziale coinvolgimento degli insegnanti in progetti di RA, con focus sui fattori che lo possono favorire od ostacolare. Le domande a cui ho cercato di rispondere sono:

● Quali fattori sostengono o contrastano la scelta iniziale di aderire ad un progetto di RA? ● Quali fattori promuovono o ostacolano la reale partecipazione?

Per questa ricerca ho intervistato quattro insegnanti: due della scuola primaria impegnate nel progetto “PerContare” e due docenti della scuola secondaria di primo grado coinvolti nel progetto “Didattica Matematica Inclusiva”.

Il progetto “PerContare” si rivolge alle scuole primarie ed è nato per ridurre le difficoltà in matematica dei giovani studenti. Mentre il progetto “Didattica Matematica Inclusiva” intende ideare e sperimentare percorsi didattici inclusivi in matematica per le classi prime e seconde della scuola secondaria di primo grado.

La metodologia adottata per l’indagine è quella dell’intervista semi-strutturata e l’adesione alle interviste era su base volontaria. Per l’analisi dei dati raccolti mi sono ispirato alla Grounded Theory seguendo un approccio costruzionista sociale (Charmaz, 2008).

Dall’analisi delle interviste sono emersi diversi fattori in grado di favorire o ostacolare la reale partecipazione degli insegnanti alla RA. Il processo a spirale previsto dalla Grounded Theory mi ha permesso di organizzare i fattori emersi in categorie e di evidenziare un sistema di influenze tra i fattori e il processo d’ingresso.

Il risultato principale di questo studio è la caratterizzazione delle categorie emerse, che può rappresentare uno strumento analitico utilizzabile anche in altri contesti per lo studio del processo che caratterizza l'avvio alla RA con l'obiettivo di identificare strategie di intervento adatte a favorire una reale ed efficiente collaborazione con gli insegnanti. Tale strumento analitico può inoltre fornire indicazioni per il design di contesti collaborativi per la RA, che tengano conto delle esigenze dei docenti e dell'incidenza dei fattori emersi.

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Il lettore potrà trovare nel primo capitolo un resoconto di gran parte della letteratura che ha permesso lo sviluppo di questa tesi. Alcuni degli argomenti qui trattati sono strettamente collegati al tema centrale dello studio e verranno utilizzati durante l’analisi dei dati raccolti, altri invece chiariscono, inquadrano e giustificano questo lavoro.

Nel secondo capitolo è descritta nel dettaglio la metodologia adottata per la raccolta dei dati e la loro successiva analisi. Inoltre sono illustrate le teorie alla base dei miei strumenti d’analisi. Il terzo capitolo è dedicato ai risultati dell’analisi. Attraverso diversi stralci delle interviste, sono descritti i fattori individuati, le categorie in cui questi sono stati organizzati e le relazioni emerse che intercorrono tra tutti questi. Alcuni approfondimenti poi chiariranno gli aspetti principali dello strumento analitico.

Infine, nelle Conclusioni (Cap. 4), sono esposte due ipotesi nate dall’analisi delle interviste, le criticità di questo studio e alcune proposte future di ricerca.

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Capitolo 1

Inquadramento teorico

Come anticipato nell’introduzione, questo studio vuole indagare il processo che caratterizza l’iniziale coinvolgimento degli insegnanti in progetti di Ricerca-Azione (RA), con riflessione sui fattori che lo possono favorire o ostacolare.

In questo capitolo il lettore potrà trovare un resoconto di gran parte della letteratura che ha permesso lo sviluppo di questa tesi. Alcuni degli argomenti qui trattati sono strettamente collegati al tema centrale dello studio e verranno utilizzati durante l’analisi dei dati raccolti, altri invece chiariscono, inquadrano e giustificano questo lavoro.

Più precisamente, innanzitutto sarà introdotto il tema delle collaborazioni in cui sono coinvolti insegnanti (Sez. 1.1), dato che la RA ne è un caso particolare. Poi sarà caratterizzato il concetto di RA (Sez. 1.2). Nella terza sezione si illustreranno ricerche che hanno messo in luce gli effetti positivi della collaborazione tra insegnanti e ricercatori e i vantaggi che i docenti possono trarre se stimolati a servirsi delle lenti fornite dalla teoria per analizzare la propria pratica didattica (Sez. 1.3). Poi sarà illustrato il concetto di “Beliefs” (Sez. 1.4), evidenziando l'incidenza dei beliefs nella pratica didattica. Dato che la RA comporta inevitabilmente un cambiamento per l’insegnante, almeno nelle sue attività, nella quinta sezione sarà introdotto il concetto di “Teacher change” (Sez. 1.5). Infine verrà illustrato il costrutto di ”Atteggiamento verso la matematica” (Sez. 1.6), che sarà successivamente ripreso e adattato per essere utilizzato nell'analisi dei dati raccolti.

1.1 “Teachers Working and Learning Through Collaboration”

Per situare al meglio lo studio, e prima di definire esattamente cos’è la Ricerca-Azione, riportiamo alcuni risultati dell’indagine commissionata per l’ICME 13 (Robutti et al, 2016) incentrata sul tema “Teachers Working and Learning Through Collaboration”.

La parola​collaborazione significa “lavorare insieme ad altri”. Secondo Morris e Miller-Stevens il termine collaborazione potrebbe essere inteso come un processo caratterizzato da imprevedibilità che implica negoziazioni e decisioni (Morris e Miller-Stevens, 2016). Pertanto, la collaborazione implica “lavorare insieme” e può anche implicare l’ “imparare insieme”. Con il termine "lavoro", gli autori includono tutte le dimensioni dell'insegnamento che vanno ben oltre la sola attività faccia a faccia con gli studenti in classe.

Per Ponte, Segurado e Oliveira (2003) il successo del lavoro collaborativo dipende molto dalla definizione di obiettivi comuni e dalla risposta alle diverse esigenze di tutti i partecipanti.

Dallo studio dei diversi sistemi educativi di tutto il mondo si evince che esistono pratiche molto differenti in cui gli insegnanti di matematica lavorano e apprendono attraverso varie forme di collaborazione. Nell’articolo si è cercato di analizzare queste forme, di evidenziare gli aspetti in comune e le rispettive caratteristiche, delineando le principali dimensioni che caratterizzano il lavoro collaborativo. Di seguito sono riportati i risultati più importanti.

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1.1.1 Le principali caratteristiche del lavoro collaborativo

Robutti et al (2016) identificano quattro principali dimensioni che consentono di caratterizzare i contesti nei quali si sviluppa il lavoro collaborativo tra i docenti e con i docenti: (1) focus della collaborazione ed obiettivi ad essa connessi, (2) numero di individui coinvolti nel lavoro collaborativo e durata della collaborazione, (3) coinvolgimento dei vari protagonisti nell’ambito del lavoro collaborativo, (4) modalità di interazione e collaborazione.

Riguardo agli obiettivi delle collaborazioni (dimensione 1) lo studio mostra che questi appartengono a due grandi categorie. La prima contempla aspetti di “innovazione”, come lo sviluppo di nuovi curricula o di diversi approcci pedagogici, l'integrazione di nuovi strumenti e risorse. La seconda categoria invece è associata alla crescita professionale degli insegnanti. Tale categoria, appoggiandosi alla classificazione di Simon (2008, p. 17), può essere divisa in due sotto-categorie: quelle collaborazioni che si concentrano su processi e contenuti, per cui i formatori degli insegnanti mirano a promuovere particolari concetti, abilità e disposizioni matematiche e pedagogiche; e quelle che si concentrano sull’analisi del processo, come saper valutare l'implementazione e l’efficacia di processi e strumenti specifici.

Da osservare poi che a volte le collaborazioni prevedono, o comunque sono caratterizzate da, obiettivi multipli e sovrapposti per i diversi partecipanti.

Altre caratteristiche delle varie collaborazioni nel mondo sono il numero di insegnanti coinvolti e le tempistiche del lavoro collaborativo (dimensione 2). Si trovano collaborazioni che coinvolgono pochi insegnanti (meno di una decina) e collaborazioni portate avanti da centinaia di docenti. E tutte queste possono essere caratterizzate da durate differenti: collaborazioni che si risolvono nel giro di poche settimane o mesi e alcune che invece durano anni.

Le modalità in cui le collaborazioni generalmente vengono avviate sono ampie e varie (dimensione 3): iniziative supportate o proprio commissionate dai ministeri e dalle istituzioni nazionali/regionali; Collaborazioni di ricerca avviate da ricercatori; Progetti di sviluppo professionale sempre avviati da ricercatori; Collaborazioni all'interno della scuola fatte partire e sostenute dagli insegnanti senza il coinvolgimento diretto di "altri".

Riguardo a “come” e “per quali ragioni” i docenti entrano a far parte delle diverse comunità, Goos (2014), analizzando quattordici diversi progetti, ha individuato le seguenti tre casistiche: il ricercatore cerca insegnanti che partecipino alla collaborazione; l'ente finanziatore seleziona e/o invita le scuole a partecipare; un collega avvia la collaborazione, dopodiché gli insegnanti possono cercare di coinvolgere dei ricercatori.

Chiaramente, oltre alle suddette ragioni, ce ne sono molte altre: spesso i docenti hanno già rapporti professionali con ricercatori a capo di tali progetti, oppure hanno interessi o motivazioni particolari a partecipare ad iniziative nazionali/locali. A volte, la volontà di far parte del progetto rappresenta un criterio stabilito dagli stessi ricercatori. E ci sono anche esempi di lavoro collaborativo volontario caratterizzato da incontri per gruppi di insegnanti di diverse scuole che si riuniscono per sostenersi a vicenda (de Geest, Back, Hirst e Joubert 2009, p. 23).

Riguardo alle modalità di interazione e collaborazione (dimensione 4), innanzitutto si osserva che il lavoro collaborativo può svilupparsi tra pari, come tra insegnanti che lavorano allo stesso progetto, oppure avvenire tra persone con ruoli e status diversi, ad esempio, tra insegnanti e ricercatori, tra insegnanti e studenti, tra insegnanti e genitori, o anche all'interno di team che integrano insegnanti che insegnano materie diverse.

Lo studio riferisce che la maggior parte degli approcci metodologici che mirano alla creazione di contesti collaborativi hanno caratteristiche comuni. Di seguito sono elencate le più importanti:

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● La presenza di attività cicliche, come: lo studio di materiali specifici (inclusa la letteratura di ricerca), la progettazione delle attività, l'implementazione di queste attività, la loro analisi e una conseguente riprogettazione e reimplementazione;

● L'attivazione di processi di riflessione;

● Il ruolo svolto da figure esperte come modelli di riferimento per i docenti;

● Il favorire l'impegno degli insegnanti all'interno delle collaborazioni, caratterizzato da sfide, solidarietà e responsabilità, ma anche da fiducia e rispetto;

● Il riferimento alla teoria per introdurre argomenti specifici o per supportare l'analisi dei docenti delle loro pratiche e la condivisione delle loro riflessioni.

Il modo in cui i partecipanti interagiscono è strettamente legato ai ruoli che svolgono. A volte gli insegnanti ricoprono persino più ruoli durante le varie fasi della collaborazione. Ad esempio, un ruolo che può essere assunto dai docenti, che evidenzia un profondo livello di coinvolgimento, è quello dei docenti-ricercatori, nel quale sono pienamente coinvolti in tutte le fasi del processo di ricerca, dalla progettazione all'implementazione, dall'analisi dei dati alla divulgazione.

Spostando il focus sui ricercatori l’articolo mostra che anche quest’ultimi spesso ricoprono ruoli diversi. Spesso hanno ruoli di istruttori/educatori all'interno dei progetti e contemporaneamente studiano i processi in cui sono coinvolti.

Concludiamo questa panoramica sulle collaborazioni degli insegnanti osservando che a volte la caratteristica chiave della collaborazione tra insegnanti e ricercatori è la parità di status di tutti i membri del team in tutte le aree di lavoro, cioè durante la preparazione, lo svolgimento e l'analisi di esperimenti didattici (Hospesovà, Machàckovà e Tichà 2006, p. 100).

Questa idea di “pari status di tutti i membri” si può trovare ad esempio in progetti volti a creare communities of inquiry, dove gli insegnanti sono coinvolti nel processo di sviluppo in modo che diventino “co-learners” insieme ai ricercatori (Goodchild, 2013). Da osservare che comunque queste fonti rivelano che ci sono una serie di tensioni che devono essere risolte per raggiungere l'uguaglianza di status dei partecipanti.

Passiamo ora ad illustrare il particolare tipo di collaborazione che è oggetto di questo studio.

1.2 La Ricerca-Azione

La ​Ricerca-Azione (RA) nasce negli anni quaranta con lo psicologo tedesco, naturalizzato statunitense, Kurt Lewin (1946). Pioniere della psicologia sociale, fu tra i sostenitori della psicologia della Gestalt.

Il processo di RA pensato da Lewin aveva lo scopo di comprendere le problematiche esistenti in specifici contesti attraverso la condivisione di saperi tra i ricercatori e chi, in quei contesti, era coinvolto nella pratica (chiamati in seguito “attori”).

Se Lewin inizialmente aveva posto molta enfasi sul processo di ricerca e di comprensione dei risultati, nelle successive interpretazioni del modello di RA, l’azione assume sempre maggiore importanza, come momento in cui si costruisce una conoscenza sul problema stesso. Le successive teorizzazioni della RA, pur differenziandosi in relazione all'orientamento filosofico di riferimento e alla collocazione geografica, sono caratterizzate dai seguenti elementi:

● un rapporto di collaborazione e di confronto fra ricercatori e attori;

● l'idea che la ricerca non debba essere “neutrale”, ma debba diventare agente di cambiamento e di emancipazione sociale;

● l'idea che lo scopo della RA non sia tanto quello di ampliare le conoscenze, ma soprattutto di risolvere problemi che si presentano nell'ambito di un contesto lavorativo o sociale;

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● l'attenzione al contesto ambientale e alle dinamiche sociali, intese sia come possibili elementi del “problema” che come risorse per il cambiamento;

● l'attenzione alla dimensione formativa della ricerca;

● la circolarità (alcuni studiosi parlano di "ricorsività") fra “teoria” e “pratica”.

Lewin ha identificato le seguenti fasi che caratterizzano la creazione del gruppo coinvolto nel processo di RA:

1. la costituzione del gruppo;

2. la formazione dei componenti per la realizzazione della ricerca. È questo lo spazio-tempo anche per la definizione del problema, la scelta della metodologia di raccolta dei dati e di analisi degli stessi e, infine, la formulazione delle ipotesi di intervento.

3. la fase dell’azione, nella quale si definiscono i tempi, i compiti, le responsabilità e si procede alla realizzazione del piano.

Sempre secondo Lewin, la RA presuppone che il gruppo passi attraverso tre fasi cicliche di cambiamento:

1. la decristalizzazione che sblocca le abitudini e ne evidenzia la non efficacia in rapporto al problema;

2. il cambiamento come processo di sperimentazione di nuove soluzioni; 3. la definizione del cambiamento e la sua nuova cristallizzazione.

Tutto questo dovrebbe indurre il gruppo, attraverso diverse situazioni di confronto e di discussione, a creare un metodo decisionale consapevole, capace di consentire ai singoli e al gruppo di operare in modo responsabile nella pratica.

Per René Barbier (1996), la RA, prevedendo l'“implicazione” degli attori nella ricerca, in quanto soggetti e non oggetti, presuppone una conversione epistemologica rispetto alla ricerca classica. Quindi le parole chiave della RA diventano: “complessità” (attenzione a tutti gli aspetti di un fenomeno e a tutte le dimensioni dell'essere umano), "ascolto sensibile" (basato sull'empatia), “ricercatore collettivo” (il soggetto della ricerca è costituito dal ricercatore e da tutti gli attori implicati), “cambiamento” (scopo della ricerca non è la conoscenza, ma l'introduzione di cambiamenti migliorativi in una pratica), “negoziazione” del conflitto, “processo”, “autorizzazione” (intesa come diventare autore di se stesso per appropriarsi della propria esistenza). Per quanto riguarda la metodologia, per Barbier, la RA si sviluppa in un processo a spirale (riflessione permanente) che tocca quattro tematiche centrali: l'individuazione del problema e la contrattazione; la pianificazione e la realizzazione; l'utilizzo di tecniche congruenti con l'approccio di RA; la teorizzazione, la valutazione e la pubblicazione dei risultati.

Una parte fondamentale del processo di RA è la documentazione. Le tecniche per la raccolta dei dati sono molteplici e vanno selezionate in rapporto al problema, ai soggetti implicati e alla sostenibilità. Ad esempio si possono usare:

● diari: per registrare fatti, aneddoti, impressioni, frammenti di realtà da riprendere in fase di analisi del percorso;

● profili (di lezioni, dello sviluppo di un soggetto): che permettono di guardare all’evoluzione di una situazione o di un soggetto nel tempo;

● documenti prodotti durante l’azione: la cui analisi può fornire informazioni preziose per comprendere il problema e le potenzialità di intervento;

● documentazione fotografica o filmica: per attivare il confronto e la ricerca tra attori e ricercatori.

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1.2.1 La Ricerca-Azione in campo educativo

La RA costituisce un elemento cardine della pedagogia istituzionale, sia per quanto riguarda la formazione degli insegnanti, sia per quanto riguarda l'analisi della pratica educativa e il suo miglioramento.

John Elliott, negli anni sessanta in Inghilterra, fu il primo a introdurre la RA in ambito scolastico. Per Elliott (Elliott, Giordan e Scurati, 1993), la RA è uno strumento adatto per affrontare quegli aspetti dell'azione formativa e della didattica che sono percepiti come problematici dagli insegnanti, al fine di trovare soluzioni percorribili. Determinante è, per Elliott, la possibilità di dar vita ad un gruppo di ricerca che riunisca docenti e ricercatori in condizioni di pari dignità.

Per Cesare Scurati (Elliott, Giordan e Scurati, 1993), la RA si pone come agente di cambiamento e intende la conoscenza come conoscenza orientata all'emancipazione sia dei ricercatori che degli insegnanti. In particolare, Scurati chiarisce che la RA implica, come caratteristica fondamentale, una “circolarità” fra ricerca e azione, per cui la ricerca si genera attraverso l'azione e l'azione è di cambiamento attraverso la ricerca.

Secondo Elliott, Giordan e Scurati (1993) il processo di RA “inizia con la percezione del problema, prosegue con una rapida diagnosi intuitiva della natura del problema stesso e la verifica della diagnosi mediante la raccolta di dati; sulla base dei dati si rivede la diagnosi, si generano delle ipotesi di azione realizzandole come strategie d’azione e si raccolgono i dati sugli effetti che tali strategie hanno sull’insegnamento” (1993, p. 22). Tale ciclo di osservazione, descrizione, ipotesi, azione, validazione viene continuamente alimentato dalla riflessione di tutti i partecipanti e si ripete costantemente nell’arco della vita professionale dell’insegnante, portandolo verso il continuo miglioramento della sua pratica didattica.

Aspetti critici della RA sono il tempo necessario per effettuare in modo rigoroso i diversi passaggi, le competenze metodologiche richieste agli insegnanti e la realizzazione di una reale collaborazione tra ricercatori e attori. Su quest’ultimo aspetto si basa questo studio.

1.3 Sull’importanza di teoria e collaborazione tra insegnanti e

ricercatori

Ora che è stato introdotto il concetto di RA, per giustificare al meglio questo lavoro, approfondiamo perché il processo di collaborazione nell’ambito della RA è fondamentale sia per gli insegnanti che per i ricercatori.

In didattica della matematica la teoria ha assunto negli ultimi decenni un'importanza sempre maggiore. Riferendosi ai benefici che la teoria offre, Niss (2007) sottolinea che aiuta a spiegare e prevedere certi fenomeni, guida le azioni e i comportamenti in modo da raggiungere gli obiettivi voluti e, cosa più importante, essa offre un insieme di lenti attraverso le quali è possibile osservare e interpretare fenomeni e processi, così da poter rispondere a determinate domande di ricerca. Ciononostante Silver e Herbst (2007) evidenziano come sia diffuso un certo pregiudizio riguardo il ruolo svolto dalla teoria tra gli insegnanti, che la ritengono spesso irrilevante per la pratica. Tale pregiudizio sembra derivare anche da un'aspettativa non soddisfatta, secondo cui la ricerca dovrebbe fornire delle regole di azione efficaci, regole che possono essere immediatamente messe in pratica (Kennedy, 1997, p. 10). Sowder (2007, p. 214) osserva che la ragione per cui molti insegnanti non credono alle teorie sull’apprendimento degli studenti è che spesso i ricercatori non lavorano con i docenti sulla ricerca che si basa e verifica le teorie sull'apprendimento degli alunni .

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Nel campo della ricerca, in alcuni casi la didattica della matematica tende ad essere vista come una pura speculazione scientifica, senza alcuna connessione con i bisogni più pressanti degli insegnanti e senza alcuna considerazione della realtà scolastica e dei vincoli imposti dal contesto. Sin dagli anni ‘80, molti ricercatori come Kilpatrick (1981) e Freudenthal (1983) hanno iniziato a parlare di divario tra teoria e pratica. Wittmann (2001), citando anche altri studiosi, ha sottolineato l’importanza di riorientare la teoria verso la pratica. Altri ricercatori (Bishop, 1998; Lester e Wiliam, 2002; Boaler, 2008) poi sostengono che andrebbe incrementata la diffusione dei risultati della ricerca tra gli insegnanti. In particolare Boaler (2008) osserva che l’impatto della ricerca sulla pratica sarebbe maggiore se i ricercatori, nell’organizzare i propri studi, considerassero le argomentazioni dei docenti e i loro problemi.

Cusi e Malara (2016) sostengono che la condivisione, con gli insegnanti, di lenti teoriche attraverso le quali riflettere sulla pratica didattica possa rappresentare un elemento importante per favorire il superamento del gap tra ricerca a pratica:

we are convinced that theory could play the role of a fundamental mediator in reducing the gap between research and practice, and that a fruitful interrelation between these two poles could be fostered if suitable research projects and teacher education programs were conceived with the aim of both actively involving teachers in the field of practice and, at the same time, motivating them to approach theory to elicit indications and tools to analyze their own practice. (2016, p. 505)

All’interno di questi progetti insegnanti e ricercatori giocano un ruolo fondamentale nella mediazione tra teoria e pratica. Da un lato, il contatto con la teoria influenza i processi decisionali dei docenti, e quindi la loro pratica, dall’altro lato, il contatto con la pratica influenza i processi decisionali dei ricercatori, e quindi lo sviluppo della teoria.

Inoltre, sempre secondo Cusi e Malara, questo tipo di studi possono generare quelle che Goos (2013) chiama tensioni produttive tra il pensiero, le azioni e gli ambienti professionali dei docenti e che possono diventare opportunità per un “teacher change”. Dove con l’espressione ​teacher change si intende la consapevole evoluzione professionale del docente che si verifica nel tempo e che può implicare un cambiamento dei suoi paradigmi.

Ruhama Even, nell’articolo “What can teachers learn from research in mathematics education?” (2003), richiamando Lampert (1990) che considera il coraggio e la modestia essenziali per fare matematica, afferma che il coraggio e la modestia sono essenziali anche per insegnare matematica. E sostiene che alcuni risultati offerti dalla teoria possano potenziare gli insegnanti in modo che siano più informati su cosa significa conoscere, imparare e insegnare matematica e possano essere coraggiosi e modesti.

1.3.1 Il ruolo della consapevolezza nell’insegnamento

Sin dagli anni ‘90, la ricerca in didattica della matematica insiste sul bisogno di una riflessione da parte degli insegnanti sulla propria pratica (Mason, 1998, 2002; Jaworski, 1998). Jaworski introduce l’espressione ​reflective practice per definire il tipo di pratica che scaturisce da questa riflessione:

The essence of reflective practice in teaching might be seen as the making explicit of teaching approaches and processes so that they can become the objects of critical scrutiny. (1998, p. 7)

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Attraverso una pratica riflessiva i docenti divengono consapevoli di cosa stanno facendo e del perché: per cui la consapevolezza diventa il prodotto del processo di riflessione.

Mason (1990, 1998, 2002) enfatizza il ruolo della consapevolezza nell’insegnamento e distingue tra (1)​awareness-in-action, definita come “the powers of construal and of acting in the material world”; (2) ​awareness-in-discipline, “the awareness of awareness-in-action”; e (3) awareness-in-counsel, “the awareness of the whole educative project”.

Secondo Mason (1998, 2008), spingere gli studenti a sviluppare un’esplicita consapevolezza della loro​awareness-in-action richiede all’insegnante non solo di diventare consapevole del fatto che ci siano diverse modalità di intervento, ma anche di acquisire una particolare sensibilità in grado di guidarlo nelle scelte tra tipologie e tempistiche degli interventi.

Jaworski (2004) ha sottolineato il valore non solo della riflessione critica degli insegnanti sulla propria pratica, ma anche del condividere queste riflessioni tra insegnanti e tra insegnanti e ricercatori all’interno di ​community of inquiry . Sostiene che tutto questo è di grande importanza per la crescita professionale dei docenti poiché li spinge a condurre vere e proprie ricerche sulla propria pratica e, conseguentemente, a sviluppare un'intelligenza critica e una sempre maggiore consapevolezza degli aspetti a cui si deve far fronte durante il processo di insegnamento.

Boaler (2008) afferma che è necessario costruire una cultura in cui gli insegnanti vedono se stessi come bisognosi di imparare dalla ricerca, così che i docenti siano incoraggiati a pensare che i risultati della ricerca siano utili per il loro insegnamento. Sottolinea quindi la necessità di un cambiamento radicale nella professione dei docenti, che li porti a condurre personalmente le proprie ricerche. Anche Lerman (2013) sottolinea la necessità di coinvolgere gli insegnanti nell'analisi della loro pratica, rendendoli parte attiva dei progetti di ricerca.

Come è già stato accennato all’inizio di questo capitolo, nell'ultimo decennio sono stati pianificati diversi percorsi di formazione per docenti con l'obiettivo di favorire un reale coinvolgimento degli insegnanti e la loro collaborazione con i ricercatori. In questi casi il processo di formazione degli insegnanti acquisisce le caratteristiche tipiche di un percorso di introduzione alla ricerca (Jaworski, 2006; Cusi & Malara, 2011, 2012; Mellone, 2011; Potari, 2013). Nella maggior parte di questi progetti gli insegnanti ricoprono il ruolo di ​teacher-researchers. Un carattere distintivo del docente-ricercatore è la sua conquista di un rapporto autonomo con la teoria, come risultato di un efficace dialogo a lungo termine con i ricercatori (Cusi e Malara, 2016).

Jaworski (2012) usa il termine ​teacher-as-inquirer per indicare il ruolo svolto dagli insegnanti che fanno parte di progetti di ricerca e sono motivati a portare avanti una pratica basata sull'indagine, a spendere tempo nella collaborazione con i ricercatori e ad impegnarsi seriamente con la ​reflective practice. Goodchild (2008) afferma che la ricerca fatta nelle communities of inquiry è “buona ricerca” da un punto di vista etico, poiché consente a insegnanti, studenti e ricercatori di iniziare a prendere il controllo della propria pratica e consente loro di essere autosufficienti nello sviluppo professionale.

In un loro progetto di formazione per insegnanti, Cusi e Malara (2016) hanno scelto di lavorare sulla teoria in modo da far acquisire agli insegnanti nuovi strumenti utili che possano aiutarli a diventare più sensibili nel percepire e interpretare i processi di classe.

La loro ricerca si basa sull'ipotesi che l'osservazione e lo studio critico e riflessivo dei processi socio-costruttivi che avvengono in classe siano condizioni necessarie per favorire lo sviluppo della consapevolezza degli insegnanti sui ruoli che devono svolgere in aula, sulle dinamiche che caratterizzano la costruzione matematica collettiva e sulle variabili che intervengono.

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1.4 Beliefs

In questa sezione verrà approfondito il costrutto dei ​Beliefs, letteralmente le “convinzioni” di una persona, nel nostro caso l’insegnante. Dopo aver spiegato brevemente perché riteniamo importante tenere in considerazione i beliefs degli insegnanti, parleremo del problema della definizione di “belief”, di alcune categorizzazioni proposte dai ricercatori e del rapporto che c’è tra beliefs e pratica degli insegnanti.

Questo studio affronta il problema della partecipazione ad una RA dal punto di vista degli insegnanti. Per essere realmente in grado di individuare i fattori che possono favorire o ostacolare il processo di ingresso riteniamo che sia importante tenere a mente il concetto di ​practical knowledge. Elbaz lo descrive come segue:

[It] encompasses firsthand experience of students’ learning styles, interests, needs, strengths and difficulties, and a repertoire of instructional techniques and classroom management skills. The teacher knows the social structure of the school and what it requires, of teachers and students, for survival and for success; she knows the community of which the school is a part, and has a sense of what it will and will not accept. This experiential knowledge is informed by the teachers’ theoretical knowledge of subject matter, and of areas such as child development, learning and social theory. All of these kinds of knowledge, as integrated by the individual teacher in terms of personal value and beliefs and as oriented to her practical situation, will be referred to here as ‘practical knowledge’ (1983, p. 5).

È chiaro che la conoscenza pratica degli insegnanti incide, più o meno direttamente, sulle loro azioni e le loro decisioni, sugli obiettivi e i pensieri, e sull’interpretazione dei processi in cui sono coinvolti. Per Elbaz, la conoscenza pratica è "personale", "sociale" ed "esperienziale" e cresce con l'aumentare dell'esperienza degli insegnanti. Furinghetti e Morselli (2011), come altri autori, ritengono che i beliefs siano una delle componenti centrali della conoscenza pratica. Secondo Ernest (1989), tre elementi principali influenzano l'insegnamento della matematica: il sistema dei beliefs e la conoscenza, il contesto sociale in cui si svolge l'insegnamento e la riflessione sul processo di insegnamento/apprendimento. Speer afferma che:

Beliefs appear to be, in essence, factors shaping teachers’ decisions about what knowledge is relevant, what teaching routines are appropriate, what goals should be accomplished, and what the important features are of the social context of the classroom (2005, p. 365).

Tutto questo supporta la scelta di tenere in considerazione i beliefs dei docenti come elemento fondamentale per comprendere i loro comportamenti durante l'ingresso in un progetto di RA.

1.4.1 Il problema della definizione di belief

Come molti ricercatori hanno sottolineato, non esiste una definizione accettata a livello internazionale del concetto di ​belief. Thompson (1992) ha osservato che in generale i ricercatori danno per scontato che i lettori sappiano cosa siano i beliefs. Furinghetti e Pehkonen (2002) hanno sottolineato le caratteristiche soggettive e nascoste dei beliefs. Philipp (2007) sostiene che i beliefs possano essere pensati come lenti che influenzano la visione di alcuni aspetti del mondo o la propria disposizione all'azione.

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Altre definizioni descrivono i beliefs in termini della loro stabilità (Skott, 2001, p. 6), mentre altre evidenziano il loro carattere consapevole o inconsapevole, essendo questi spesso difficili o addirittura impossibili da esplicare. Skott, d'altra parte, sostiene che queste differenze non possono spiegare completamente i diversi risultati della ricerca in relazione ai beliefs e alle pratiche in classe. Parafrasando, afferma che non si possono trarre conclusioni generali dalla ricerca sui beliefs (Skott, 2001, p. 25).

1.4.2 Sulle categorizzazioni dei beliefs

Molti ricercatori hanno cercato di dare diverse categorizzazioni di beliefs. Speer (2005) ha osservato che al di là delle categorie principali, ci sono tante categorie quanti sono i ricercatori. L’oggetto dei beliefs degli insegnanti di matematica può essere interno (essi stessi come persone, come discenti, come insegnanti) o esterno (la natura della matematica, la natura dell'insegnamento e dell'apprendimento della matematica).

Riguardo i beliefs sulla matematica, Dionne (1984) ha proposto tre visioni della matematica (non necessariamente separate o indipendenti): ​traditional view, ​formalist view e ​constructivist view. Toerner (1998) si riferisce a queste tre visioni come la ​toolbox view, la ​system view e la process view. La toolbox view si basa sulla convinzione che la matematica sia un insieme di regole e procedure e, di conseguenza, l'attività matematica consista nel calcolare e nell'usare regole, procedure e formule. Nella system view si ritiene che la matematica si basi su dimostrazioni, definizioni, assiomi e un linguaggio matematico rigoroso, e quindi fare matematica consista nel saper produrre accurate dimostrazioni e saper usare un linguaggio preciso e rigoroso. La process view invece enfatizza il ruolo delle relazioni tra le diverse nozioni e affermazioni.

Di grande rilievo è la dicotomia matematica strumentale/relazionale introdotta da Skemp (1986), dove la matematica strumentale è caratterizzata da “rules without reasons”, mentre la visione relazionale si può sintetizzare con “knowing both what to do and why”.

Rispetto ad una visione relazionale, la visione strumentale si distingue in quanto privilegia le formule ai ragionamenti, il ricordare al ricostruire, gli esercizi ai problemi e i prodotti ai processi. Ci sbilanciamo affermando che probabilmente la visione strumentale è quella più aderente alla matematica proposta a scuola (per molti motivi non ultimo quella di non essere troppo difficile) ma quella relazionale è in un certo senso epistemologicamente corretta e comunque maggiormente formativa perché adattabile a nuove conoscenze. (Di Martino, 2007, 660).

Per quanto riguarda l'insegnamento e l'apprendimento della matematica, Ernest (1989) ha definito i seguenti ruoli dell'insegnante: ​facilitator (il cui scopo è favorire, facilitare, il problem posing e il problem solving), ​explainer (il cui obiettivo è favorire la comprensione concettuale) e instructor (il cui interesse è aiutare gli studenti ad avere padronanza delle proprie abilità e ad ottenere buoni risultati).

Maass (2009) parla di due tipi di insegnanti in relazione ai loro beliefs sull'insegnamento efficace. Per il ​transmission teacher il pensiero logico e la conoscenza della matematica rappresentano gli obiettivi più importanti dell'insegnamento. Per raggiungere questi obiettivi, sia la spiegazione dell'insegnante che gli esercizi standard sono considerati altamente efficaci. Il learning process teacher, d'altra parte, ritiene che l'insegnamento della matematica sia efficace quando vengono avviati i processi di pensiero degli studenti. Definisce come obiettivi dell'educazione matematica la capacità di risolvere problemi e di applicare la matematica alla vita

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reale. Per raggiungere questi obiettivi, le attività aperte e le attività di risoluzione dei problemi sono considerate importanti e vengono scelte metodologie che favoriscono l’indipendenza dello studente.

Il ruolo dell’insegnante è poi strettamente legato alla visione del processo di apprendimento, che, secondo Ernest (1989), ruota attorno a queste dicotomie: (1) costruzione attiva vs ricezione passiva della conoscenza e (2) interesse in matematica vs condiscendenza e sottomissione. Il quadro teorico di Ernest (1989) ha diverse caratteristiche in comune con il lavoro di Kuhs e Ball (1986), che individuano quattro diverse visioni dell'insegnamento e dell'apprendimento della matematica. La ​learner-focused view sottolinea la costruzione attiva della conoscenza da parte dello studente. Nella ​content focused with an emphasis on conceptual understanding view, l'insegnamento della matematica è guidato dai contenuti, ma l'accento è posto sulla comprensione dei concetti. Anche nella​content-focused with an emphasis on performance view l’insegnamento è guidato dai contenuti, ma l'enfasi è sulle regole, le procedure e le formule. La ​classroom-focused view enfatizza l'organizzazione efficiente delle attività in classe.

1.4.3 Beliefs e pratica didattica: la questione della coerenza

Importanti studi suggeriscono che esista una relazione dialettica tra i beliefs e l’agire degli insegnanti. Tuttavia, questa relazione dialettica è oggetto di discussione nel mondo accademico, dove alcuni studi hanno documentato scostamenti e supposte mancanze di coerenza tra beliefs e pratica, suggerendo anche possibili interpretazioni per il fenomeno. A tal proposito, Ernest (1989) si concentra principalmente sul contesto sociale, mentre Wilson e Cooney (2002) si focalizzano sulla situazione scolastica. Altri autori invece mettono in dubbio il fatto stesso che si possa parlare di mancata coerenza. Hoyles (1992), esaminando i beliefs dei docenti da una prospettiva più contestualizzata e situata, ha trovato che le apparenti incongruenze potrebbero essere spiegate considerando le circostanze e i vincoli all'interno dei contesti.

Speer (2005) sottolinea che la causa delle incongruenze siano i metodi di ricerca e la loro potenziale influenza sui risultati e sostiene che l'apparente dicotomia tra le convinzioni professate dagli insegnanti e quelle attribuitegli dai ricercatori a partire dalla pratica osservata può essere il risultato di una mancata condivisione di significati tra insegnanti e ricercatori riguardo i termini usati per descrivere i beliefs e la pratica.

Schoenfeld (2011) sostiene che ciò che gli insegnanti fanno in classe è una funzione delle loro risorse (come le loro conoscenze), dei loro obiettivi e degli orientamenti (i loro beliefs, i valori, ecc.). Inoltre ritiene che - se conosciuti - possono aiutare a spiegare le azioni degli insegnanti. D'altra parte, Ruthven (1987) e Cobb, Wood e Yackel (1990) sostengono che piuttosto che avere un'influenza sulla pratica, i beliefs sono più il risultato della pratica.

Per Leatham gli insegnanti sono persone complesse e sensibili e che per le molte decisioni che prendono ci sono delle ragioni. E ancora:

When a teacher acts in a way that seems inconsistent with the beliefs we have inferred, we look deeper, for we must have either misunderstood the implications of that belief, or some other belief took precedence in that particular situation (Leatham, 2006, p. 95).

Sulla stessa linea di pensiero sono Furinghetti e Morselli, che per spiegare il problema dell’incoerenza hanno introdotto (in Furinghetti & Morselli, 2009) il costrutto dei ​leading beliefs,

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cioè quei beliefs (la cui natura può variare da insegnante a insegnante) che sembrano guidare le decisioni dell’insegnante.

1.5 Teacher change

Com’è già stato accennato all’inizio di questo capitolo, la RA con le sue attività comporta inevitabilmente un cambiamento per l’insegnante. La ricerca sul tema del ​Teacher change ha prodotto notevoli risultati, i quali possono essere utilizzati dai ricercatori per migliorare le convinzioni, le conoscenze e la pratica degli insegnanti (Krainer e Llinares, 2010). Ma come osserva Lerman (2000), la nozione di "miglioramento" non è priva di problemi, poiché ad esempio la direzione di sviluppo desiderata da ricercatori, distretti scolastici, governi nazionali o dagli insegnanti stessi, può non combaciare.

Sono diversi i progetti che si sono spesi per la creazione di opportunità per il cambiamento degli insegnanti di matematica, alla ricerca di quella “tensione produttiva” già citata precedentemente. In alcuni casi le tensioni nascono dalla partecipazione ad attività di sviluppo professionale che sfidano le ipotesi degli insegnanti su un'efficace pedagogia, curriculum o valutazione matematica. Altre volte le tensioni si manifestavano come insoddisfazioni preesistenti che portavano gli insegnanti a cercare una soluzione attraverso uno sviluppo professionale formale o informale.

Chapman e Heater (2010) sostengono che il passaggio dall'insegnamento della matematica tradizionale a quello basato sull'indagine richiede un cambiamento fondamentale, cioè una trasformazione dell’insegnante stesso e della pratica. Tuttavia, una tale trasformazione può essere difficile da “progettare” in un intervento pianificato se gli insegnanti non stanno già sperimentando un'autentica tensione nel proprio pensiero e nelle proprie azioni.

Il problema connesso ad un effettivo teacher change è stato affrontato anche da Simon (2013), che attraverso il costrutto di “major assimilatory structures of teachers” spiega perché spesso sia tanto difficile influenzare la struttura complessa su cui si basa la pratica degli insegnanti e influire su quello che fanno e il modo in cui loro interpretano ogni cosa che accade (“teachers’ resistance to change”).

I fattori che poi entrano in gioco quando un’iniziativa di sviluppo professionale spinge gli insegnanti ad attuare un cambiamento nella propria pratica, come è facile immaginare, sono molteplici. Uno di questi fattori è sicuramente il contesto in cui l'insegnante agisce. Con il termine “contesto” ci si riferisce ad esempio al programma scolastico, alle valutazioni esterne, alla misura in cui il dirigente scolastico sostiene il suo personale, alle reazioni di studenti e genitori all'innovazione, al modo in cui la scuola è organizzata, ecc. (Joubert e Sutherland, 2008; Manouchehri e Goodman, 2000).

Tuttavia, se un'iniziativa di sviluppo professionale porta o meno al cambiamento dipende non solo dal contesto, ma anche dagli insegnanti stessi: influiscono le conoscenze e le competenze professionali degli insegnanti (Shulman, 1986), la loro pratica didattica e, chiaramente, i loro beliefs (Schoenfeld, 2011).

Blum (1996), ad esempio, ha ipotizzato che i seguenti fattori potrebbero impedire agli insegnanti di fare modellizzazione in classe: impedimenti organizzativi (ad esempio troppo poco tempo in classe, non nel curriculum, valutazione); impedimenti da parte degli studenti (le lezioni sono più impegnative); impedimenti da parte dell'insegnante (più tempo necessario per preparare le lezioni, l'insegnamento è più impegnativo, la valutazione non sembra possibile) e impedimenti in relazione ai materiali (non facilmente reperibili).

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Maass (2011) analizzando la questione di come i beliefs degli insegnanti possano influenzare la loro intenzione di attuare un cambiamento, afferma:

beliefs about effective teaching seem to have a major impact on whether or not they intend to change their classroom practice, as suggested by the professional development initiative, and on whether or not teachers perceive the context in which they are teaching (school head, parents, students, etc.) as supportive (2011, p. 573)

1.6 L’atteggiamento verso la matematica

Infine introduciamo il costrutto di ​Atteggiamento verso la matematica . Nel corso dell’analisi dei dati raccolti ci serviremo di tale costrutto, opportunamente adattato, per mettere in evidenza delle categorie di fattori che riteniamo influiscano sul processo che caratterizza l’iniziale coinvolgimento degli insegnanti in progetti di RA.

Gli studi sull'atteggiamento verso la matematica trovano la loro origine nel campo della psicologia sociale (Allport, 1935), in connessione con il problema di prevedere le scelte degli individui in contesti come il voto, l'acquisto di beni, ecc. La ricerca in passato si è concentrata soprattutto sulla creazione di strumenti che potessero “misurare” l’atteggiamento piuttosto che verso la definizione di tale costrutto all’interno di una teoria (vedi Thurstone e Likert).

Nel campo dell'educazione matematica, la ricerca sull'atteggiamento è stata motivata dalla convinzione che qualcosa chiamato atteggiamento giochi un ruolo cruciale nell’apprendimento della matematica (Neale, 1969). L’uso di tale costrutto è molto frequente nella pratica didattica, solitamente legato a diagnosi di difficoltà di un allievo: “ha un atteggiamento negativo”. Ma cosa intendono gli insegnanti quando usano l’espressione “atteggiamento verso la matematica” e quando un atteggiamento è percepito come “negativo”?

La varietà di risposte ottenute a tale domanda contrasta con la quasi assoluta condivisione, da parte dei docenti, del fatto che la diagnosi “quel ragazzo ha un atteggiamento negativo nei confronti della matematica” è la conclusione di un intervento didattico non riuscito e non la base di partenza per un intervento mirato. Anzi in genere è la vera e propria dichiarazione di resa di fronte alle difficoltà di uno studente che appaiono in quel momento incontrollabili perché dipendenti da fattori considerati non modificabili. Quindi in generale l’atteggiamento dell’insegnante di fronte ad una diagnosi di atteggiamento negativo è quindi fatalista: non c’è più niente da fare.

La mancanza di un quadro teorico che caratterizzi la ricerca sull'atteggiamento verso la matematica è in parte dimostrata dal fatto che molto spesso gli studi sull'atteggiamento non forniscono una chiara definizione del costrutto stesso: l'atteggiamento tende piuttosto ad essere definito implicitamente e a posteriori attraverso gli strumenti utilizzati per misurarlo (Leder, 1985; Daskalogianni & Simpson, 2000).

Quando una definizione viene fornita esplicitamente, o può essere dedotta, questa si riferisce generalmente a uno dei seguenti tre tipi:

1. Una definizione "semplice" di atteggiamento, che lo descrive come il grado di affetto positivo o negativo associato a un determinato soggetto. Secondo questo punto di vista l'atteggiamento verso la matematica è solo una disposizione emozionale positiva o negativa nei confronti della matematica (McLeod, 1992; Haladyna, Shaughnessy J. e Shaughnessy M., 1983).

2. Una definizione multidimensionale, che riconosce nell'atteggiamento tre componenti: la disposizione emozionale, le convinzioni riguardo al soggetto, il comportamento relativo al soggetto. Da questo punto di vista, l'atteggiamento di un individuo verso la matematica è

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definito in modo più complesso dalle emozioni che associa alla matematica (che, tuttavia, hanno un valore positivo o negativo) e dalle convinzioni (beliefs) e dai comportamenti dell'individuo nei confronti della matematica (Hart, 1989).

3. Una definizione bidimensionale, in cui i comportamenti non appaiono esplicitamente (Daskalogianni & Simpson, 2000): l'atteggiamento verso la matematica è quindi visto come l’insieme di convinzioni ed emozioni associate alla matematica.

Kulm (1980) suggerisce che probabilmente non è possibile dare una definizione di atteggiamento verso la matematica che sia adatta a tutte le situazioni, e se anche lo fosse, probabilmente sarebbe troppo generica per essere utile. In questo modo, la definizione di atteggiamento assume il ruolo di una "working definition" (Daskalogianni & Simpson, 2000). Questa posizione vede il costrutto dell'atteggiamento come funzionale ai problemi posti dal ricercatore stesso. Zan e Di Martino (2007) considerano il costrutto utile nel contesto dell'insegnamento della matematica fintantoché non sia semplicemente mutuato dal contesto in cui è nato, cioè la psicologia sociale, ma piuttosto delineato come uno strumento in grado di tener conto di problemi peculiari dell'insegnamento della matematica. Ciò è in linea anche con la posizione di Ruffell, Mason e Allen (1998), che vedono l'atteggiamento come un costrutto dell'osservatore.

1.6.1 L’atteggiamento verso la matematica secondo Rosetta Zan e Pietro Di

Martino

Fatta questa breve introduzione al costrutto “atteggiamento verso la matematica”, illustriamo ora alcuni dei risultati contenuti negli articoli di Zan e Di Martino (2007) e Di Martino (2007). In questi articoli Zan e Di Martino evidenziano l'importanza di produrre una definizione di atteggiamento verso la matematica in grado di fare di questo costrutto uno strumento teorico per dirigere l'osservazione, l'interpretazione e le azioni correttive degli insegnanti. In modo che “la diagnosi di ‘atteggiamento negativo’ non sia più un punto d’arrivo, ma un punto di partenza per un intervento mirato, finalizzato cioè a modificare quella componente, o quelle componenti, individuate come ‘negative’” (Zan, 2006).

All’interno del progetto nazionale FIRB finanziato dal MIUR1​, Zan e Di Martino hanno voluto caratterizzare l’atteggiamento nei confronti della matematica con un’indagine dal “basso” che ha coinvolto quasi 1500 studenti. Hanno indagato il rapporto degli studenti con la matematica attraverso l’uso del tema autobiografico dal titolo: “Io e la matematica: il mio rapporto con la matematica (dalle elementari ad oggi)”.

Alcune delle domande a cui gli autori hanno cercato di dare risposta sono: quali sono le variabili che influenzano l’atteggiamento verso la matematica? Quali di queste sono modificabili? È possibile modificare l’atteggiamento verso la matematica di un allievo?

Leggendo i temi, Zan e Di Martino hanno individuato tre temi centrali:

1. la ​disposizione emozionale verso la matematica, concisamente espressa con "Mi piace / non mi piace la matematica".

Ovviamente non c’è solo questa specie di bilancio di gradimento, ma anche vere e proprie emozioni collegate alla matematica quali: odio, paura, ansia, gioia, felicità;

2. il ​senso di auto-efficacia​, sinteticamente espresso con "mi riesce / non mi riesce".

Il senso di auto-efficacia non rappresenta semplicemente il successo in sé, bensì “la 1 Progetto FIRB RBAU01S427.

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percezione di controllabilità del successo. Il senso di auto-efficacia è la conseguenza del bilancio tra le teorie del successo in matematica di una persona che individuano delle caratteristiche essenziali per fare bene in matematica (per esempio: intelligenza, rapporto con il docente, memoria, impegno, capacità di concentrazione, metodo di studio, basi solide,...), le convinzioni sulla modificabilità di tali caratteristiche e le convinzioni su di sé rispetto a queste caratteristiche” (Di Martino, 2007);

3. la ​visione della matematica​, sinteticamente espressa con "la matematica è...".

Questi tre temi risultano essere profondamente connessi. Partendo dal tema più ricorrente “mi piace / non mi piace”, è una motivazione (“mi piace / non mi piace perché…”) che porta a uno degli altri due temi: la visione della matematica o il senso di auto-efficacia. La visione della matematica viene introdotta anche quando il tema centrale è la percezione di poter / non poter avere successo, ancora una volta attraverso la parola “perché”: “Mi riesce / non mi riesce perché…”. Ma vediamo più nel dettaglio queste connessioni:

● Disposizione emozionale ➜ Visione della matematica

I temi evidenziano chiaramente il fatto che diverse reazioni emotive (mi piace / non mi piace) possono essere collegate a diverse visioni della matematica (relazionale/strumentale (Skemp, 1976), utile/inutile, facile/difficile). Per cui le due dimensioni (visione della matematica e mi piace / non mi piace) risultano essere reciprocamente indipendenti, cioè il loro rapporto non è di causa effetto.

● Disposizione emozionale ➜ Senso di auto-efficacia

La connessione tra la disposizione emozionale e il senso di auto-efficacia, emerge così forte dai saggi che a volte le espressioni "mi piace" ("non mi piace") e "mi riesce" ("non mi riesce") sono usate addirittura come sinonimi. Nella maggior parte dei saggi in cui le due dimensioni compaiono, questa connessione è "mi piace perché mi riesce" e "non mi piace perché non mi riesce”. Solo raramente si trovano le combinazioni "mi piace anche se non mi riesce" e "mi riesce ma non mi piace".

Tuttavia, ricordando quanto affermato da Di Martino, è importante tenere a mente che il "successo" in matematica può essere visto in modi profondamente diversi. In alcuni saggi il “successo” viene identificato con il successo scolastico, cioè con il conseguimento di buoni voti, e quindi spetta all'insegnante riconoscere il successo dello studente. Altre volte, "avere successo" è identificato con la "comprensione". In quest'ultimo caso le cose si complicano: a volte la "comprensione" è usata con un significato strumentale, e si identifica con la conoscenza delle regole e il saperle applicare correttamente; in altri casi compare una "comprensione" di tipo relazionale, che si riferisce alla consapevolezza del perché le regole funzionano e di come sono collegate tra loro.

● Senso di auto-efficacia ➜ Visione della matematica

Quando la percezione di poter / non poter avere successo è il tema centrale del saggio, spesso gli alunni parlano esplicitamente delle ragioni alla base del loro successo o fallimento: le cosiddette ​attribuzioni causali del successo e del fallimento (Weiner, 1974). Queste attribuzioni spesso ci consentono di riconoscere non solo le convinzioni degli allievi su se stessi, ma anche la loro visione della matematica e, ancora una volta, emerge un'ampia gamma di visioni: ad esempio, teorie del successo o attribuzioni incentrate sull'importante ruolo svolto dalla memoria, suggeriscono una visione strumentale della

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matematica, mentre le teorie del successo e attribuzioni incentrate sulla necessità di capire cosa si sta facendo, suggeriscono una visione relazionale della matematica.

Zan e Di Martino concludono sostenendo che per descrivere in maniera compiuta l’atteggiamento verso la matematica si debbano prendere in considerazione le tre suddette componenti: disposizione emozionale, visione della matematica e senso di auto-efficacia. Inoltre, suggeriscono “che piuttosto che parlare di un generico atteggiamento positivo/negativo si debba parlare di profili di atteggiamento: l’intervento di recupero in caso di atteggiamento negativo dovrà essere differente a seconda della componente su cui si voglia intervenire” (Di Martino, 2007, p. 62).

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Capitolo 2

Metodologia

2.1 Focus dello studio e domanda di ricerca

Questo studio vuole indagare il ​processo che caratterizza l’iniziale coinvolgimento degli insegnanti in progetti di RA.

La domanda di ricerca che ha guidato fin dall’inizio il mio lavoro è:

● Quali fattori favoriscono o ostacolano il processo che caratterizza l’iniziale coinvolgimento degli insegnanti in progetti di Ricerca-Azione?

Quindi mi sono chiesto: quali fattori sostengono o contrastano la scelta iniziale di aderire ad un progetto di RA? Quali fattori promuovono o ostacolano la reale partecipazione?

Ritengo che ricerche di tipo qualitativo siano adatte per questo studio, perché come afferma Patton:

[They] are particularly oriented towards exploration, discovery, and inductive logic. An evaluation approach is inductive to the extent that the researcher attempts to make sense of the situation without pre-existing expectations on the phenomenon or setting under study (1990, p. 44).

Nelle prossime sezioni descriverò la metodologia adottata per la raccolta dei dati e la loro successiva analisi. Inoltre illustrerò le teorie alla base dei miei strumenti d’analisi.

2.2 Raccolta dati

Come spesso accade per ricerche qualitative, ho adottato la metodologia dell’intervista semi-strutturata. D’accordo con Cicognani (2002), ritengo l’intervista una sincera condivisione di opinioni tra l’intervistatore e l’intervistato, nella quale la dimensione umana è enfatizzata. Di Martino, riferendosi al tema autobiografico come strumento di ricerca, afferma:

Il nostro punto di vista è che attraverso il tema gli studenti raccontano gli eventi e le osservazioni che “qui e ora” ritengono più importanti, e tendono a “cucirli” introducendo nessi percepiti come causali, non in senso logico ma morale, sociale, psicologico (Bruner, 1990). Questo processo di cucitura è a nostro avviso più importante di un resoconto oggettivo perché appunto coinvolge decisioni di chi racconta su cosa raccontare e come farlo. Per questo nell’analisi dei temi non siamo interessati alla verità del racconto (in termini di pensiero logico-scientifico) ma neanche alla sua verosimiglianza o magari contraddittorietà. Quello a cui siamo interessati è a ciò che la persona pensa di avere fatto, i motivi per cui pensa di averlo fatto, in quali situazioni pensava di trovarsi, etc. (2007, p. 656)

Penso che tali affermazioni si possano adattare anche al contesto dell’intervista semi-strutturata e ne condivido il messaggio.

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2.2.1 Intervista semi-strutturata

La metodologia adottata per la raccolta dei dati è quella dell’intervista semi-strutturata. Ciò significa che l’intervistatore ha un elenco di domande che fungono più che altro da bussola, servono cioè ad orientare il conduttore affinché il colloquio rimanga centrato sul tema. Le domande sono aperte e lo scopo è quello di indagare il più possibile il pensiero dell’insegnante rispetto a determinate tematiche. Il loro ordine non è rigido, ma segue il flusso della discussione, adattandosi alla situazione.

Questa tipologia di intervista mostra quindi caratteristiche di alta flessibilità e adattabilità, permette all’intervistato di porre maggior enfasi sugli argomenti che ritiene più rilevanti e fa sì che si generi una maggiore condivisione di significati tra l’intervistatore e l’intervistato.

L’elenco delle domande che hanno “guidato” le diverse interviste è frutto di una profonda analisi delle tematiche che ritengo più importanti e che penso siano connesse alla domanda di ricerca. In particolare ho cercato di capire quali siano i loro pensieri sulle Indicazioni nazionali e sulla visione dell’insegnamento efficace. Quali siano le loro opinioni sulla RA, le eventuali criticità e i lati positivi, concentrando l’attenzione su diversi aspetti come le attività proposte, il rapporto con i ricercatori e le reazioni degli studenti. Ho cercato di indagare sulle ragioni che spingono gli insegnanti ad avvicinarsi alla RA, quali siano i loro bisogni e le perplessità. Infine ho esplorato i loro pensieri sul tema della formazione per docenti.

Di seguito è riportata la lista completa delle domande che ho preparato per le interviste. Le domande e le riflessioni contrassegnate dal pallino

sono le note che ho utilizzato come mio personale supporto. La lista, opportunamente “ripulita” da tali note, è stata condivisa con ogni insegnante prima del colloquio. Questo per dare ai docenti il tempo e la possibilità di ragionare più approfonditamente sulle tematiche che poi avremmo toccato. A tutti gli intervistati inoltre è stato detto che questa è una ricerca che punta ad indagare i progetti di RA in generale, senza quindi specificare il focus preciso dello studio, in modo da limitare il condizionamento delle loro risposte.

Durante le interviste ho posto grande attenzione alle parole e alle espressioni da me pronunciate. Ho sempre cercato di usare termini che influenzassero il meno possibile gli insegnanti nelle risposte, attenendomi il più possibile a quanto già menzionato nella lista delle domande.

2.2.1.1 Elenco delle domande con note di supporto per l’intervistatore

Informazioni di contesto:

− Qual è la sua età?

− Da quanti anni insegna nella scuola? − Qual è il suo titolo di studio?

− Ha partecipato in precedenza ad altri progetti di ricerca azione? Me ne può parlare brevemente?

● Capire se hanno mai sperimentato qualche attività in classe.

Domande:

1. Ritiene ci sia bisogno di rivisitare la programmazione dei corsi di matematica della scuola primaria? Crede che la didattica attuale rispecchi le linee guida contenute nelle indicazioni nazionali?

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2. Cosa pensa degli obiettivi fissati nelle linee guida? Crede che in generale vengano raggiunti dagli studenti? In caso di risposta negativa: quale pensa sia la causa? 3. Perché ha accettato di partecipare al progetto di ricerca-azione?

● Indagare su cosa davvero spinge i professori a partecipare al progetto e capire se sono ancora interessati.

4. Cosa pensa del progetto? Può indicare alcuni elementi di forza e di criticità? Che cosa la convince di più e cosa di meno?

● E cosa pensa delle attività che le sono state proposte? Nel caso non distinguano molto tra progetto e attività, si può cercare di entrare più nel dettaglio chiedendo di riferirsi a una delle attività proposte.

● Indagare sul versante studenti e sul versante insegnanti. Se è stata sperimentata qualche attività legata al progetto in classe:

5. Come sono state accolte le attività nella sua classe?

● Gli studenti hanno raggiunto gli obiettivi di apprendimento prefissati?

6. Vuole proporre qualche riflessione sulla sua implementazione e gestione delle attività in classe?

● Il focus non è su come l’insegnante trova le attività, ma su come le ha gestite, le difficoltà incontrate: com’è stato usarle? Ha trovato qualche difficoltà

nell’implementazione? C’è stato qualche momento non preventivato? Com’è stato superato? Quali i punti di forza?

Se non è stata sperimentata alcuna attività legata al progetto in classe: 5. Come pensa sarebbero accolte le attività proposte nella sua classe? 6. Per quali ragioni non ha sperimentato alcuna attività?

7. Quali ritiene siano i lati positivi di un’esperienza di questo tipo? Cioè della

sperimentazione in aula di nuove modalità di insegnamento, della collaborazione con altri insegnanti e con ricercatori.

● Un’esperienza del genere crede possa apportare qualche sorta di cambiamento nella formazione dei suoi studenti? Cosa secondo lei potrebbe migliorare e cosa peggiorare?

● Indagare su quanto l’insegnante ritiene utili le attività. 8. Cosa pensa dei materiali forniti?

● Li ritiene difficili? In tal caso cosa ci trova di difficile? Li ritiene poco adatti? 9. Quale pensa possa essere il suo contributo ai fini di un progetto di ricerca-azione? E quale

ai fini della ricerca in didattica della matematica?

10. Quale pensa dovrebbe essere il ruolo del ricercatore all’interno di un progetto di ricerca-azione? Cosa si aspetta dal ricercatore?

11. Nel corso di questo progetto, dal primo incontro ad ora, ha mai sentito il bisogno di qualcosa?

Riferimenti

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