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Strategia multitarget per la terapia del cancro: inibitori ibridi delle proteine chinasi e dell?istone deacetilasi

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Academic year: 2021

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Indice

Definizione di tumore pag. 3

Classificazione dei tumori pag. 5

Cause di insorgenza del tumore pag. 6

Replicazione cellulare pag. 12

Farmaci antitumorali pag. 15

L’epigenetica pag. 21

Primi cinque inibitori HDAC approvati pag. 24

Inibitori ibridi chinasi/HDAC pag. 29

Conclusioni e prospettive pag. 53

Bibliografia pag. 56

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I tumori sono la seconda causa di morte nel mondo dopo le malattie cardiovascolari. Al primo posto si trovano i tumori del polmone, poi i tumori prostatici, della mammella e del colon retto e gli altri a seguire.

Il tumore è un disordine genetico delle cellule somatiche caratterizzato da una massa incontrollata di cellule in continua proliferazione che si sviluppa nell’organismo in modo rapido e scoordinato e persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il processo.

A livello fisiologico, i tessuti sani sono costituiti da cellule che si riproducono normalmente per soddisfare le varie necessità dell'organismo come la crescita, la sostituzione di cellule morte o danneggiate.1 Questo meccanismo però cessa una volta che la richiesta è stata completata. Si ha una situazione di equilibrio che invece nei tumori è compromessa. La cellula tumorale infatti continua a riprodursi senza freni e vengono meno anche i processi con cui le cellule danneggiate vanno in contro a morte programmata, detta apoptosi (Figura 1).

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All'origine di questi fenomeni ci sono alterazioni geniche, dette mutazioni, che, sommandosi l'una all'altra, fanno saltare i normali meccanismi di controllo con cui l’organismo risolve gli eventuali danni. Non basta, infatti, che sia difettoso un solo meccanismo, ma occorre che più errori si accumulino perché il tumore possa cominciare a svilupparsi. Alcune di queste mutazioni sono ereditarie, mentre altre sono sporadiche e provocate da fattori interni, esterni o dal caso.

Tra le caratteristiche principali delle cellule cancerose possiamo ricordare (Figura 2):

- Il nucleo predomina rispetto al citoplasma

- Si hanno alterazioni a livello della membrana cellulare

- Il volume e la forma della cellula variano in base al tipo di neoplasia - Ci sono un numero anomalo di cromosomi disposti in modo disorganizzato

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CLASSIFICAZIONE DEI TUMORI

Una prima classificazione dei tumori è quella che li distingue in: 1. Maligni

2. Benigni

in base al decorso clinico e all’aggressività.

I tumori benigni sono quelli in cui la proliferazione cellulare avviene più lentamente ed è circoscritta da una membrana detta capsula, che separa le cellule cancerose dai tessuti circostanti. Sono in genere localizzati, pertanto possono essere rimossi mediante asportazione chirurgica. Un tumore benigno può diventare dannoso nel momento in cui la capsula tende a comprimere la zona circostante.

I tumori maligni invece sono neoplasie in cui la massa di cellule cancerose può invadere i tessuti circostanti e periferici attraverso la formazione di metastasi. L’approccio terapeutico che viene scelto in questi casi è una terapia farmacologica specifica e ben studiata.

La diffusione metastatica può avvenire attraverso la via ematogena (quindi mediante il flusso ematico), attraverso la via linfatica (a partire dai linfonodi regionali), attraverso la via trans celomatica (per occupazione di cavità come pleura, pericardio).

Un'altra classificazione distingue i tumori in base al tipo di tessuto coinvolto: • Carcinomi (derivati da epiteli di rivestimento ad esempio epidermide) • Adenocarcinomi (derivati da epiteli ghiandolari)

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MARCATORI TUMORALI

Ogni neoplasia è caratterizzata dalla presenza di marcatori tumorali, ovvero sostanze misurabili quantitativamente nei tessuti e nei liquidi corporei, che possono individuare la presenza di un tumore; pertanto sono utili in caso di identificazione precoce e di monitoraggio della patologia.

Sono prodotti in modo specifico dalle cellule cancerose e la loro quantità può variare in base allo stadio del tumore e in base all’efficacia della terapia farmacologica.

CAUSE DI INSORGENZA DEI TUMORI

L’alterazione di base in una cellula cancerosa consiste in una modifica della struttura o dell’espressione di uno o più geni. Si ha una inattivazione di geni oncosoppressori e un’attivazione di oncogeni.

I geni che, se alterati, sono coinvolti nell’insorgenza di una neoplasia sono i seguenti:

➢ geni proto-oncogeni: famiglia di geni che codificano per proteine coinvolte nei meccanismi fondamentali del ciclo cellulare; quando sono attivati in modo sregolato diventano oncogeni (geni, che se attivati, possono causare la trasformazione di una cellula normale in una tumorale);

➢ geni anti-oncogeni o geni inibitori tumorali: arrestano il ciclo cellulare. Sono detti anche geni oncosoppressori (per esempio p-53, proteina codificata dal gene oncosoppressore TP53 localizzato sul cromosoma 17p13.1. La proteina p53 rileva la presenza di DNA danneggiato e arresta le cellule nella fase G1 del ciclo cellulare, affinché si verifichino i processi di riparazione prima che il DNA alterato si replichi e sia trasmesso alle cellule figlie.)3

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Questi geni codificano proteine che mediano i segnali negativi per la proliferazione cellulare: questi segnali comprendono sia fattori inibenti la crescita, sia molecole presenti sulla superficie delle cellule contigue, sia componenti strutturali della matrice extracellulare. Affinché vi sia un effetto patologico è necessario che siano inattivati entrambi gli alleli di un gene oncosoppressore; la doppia inattivazione è un evento che richiede molto tempo per realizzarsi, ma avviene con una maggiore probabilità se uno dei due alleli è ricevuto in forma già mutata da uno dei due genitori. Gli alleli sono stati alternativi di un gene che occupano la stessa posizione (locus) su cromosomi omologhi e che controllano variazioni dello stesso carattere.4

➢ geni coinvolti nei meccanismi di riparazione del DNA: la cellula è dotata di diversi sistemi di controllo e riparazione del DNA, capaci di individuare e correggere le mutazioni che avvengono continuamente. Quando questi stessi meccanismi protettivi sono compromessi, le mutazioni si possono accumulare e la cellula può diventare tumorale;

➢ geni coinvolti nel processo di “suicidio cellulare” (o apoptosi): sono una sorta di meccanismo di autodistruzione che si innesca quando la cellula è danneggiata, per evitare danni maggiori all'organismo. Se vengono meno, la cellula alterata può continuare a riprodursi, ma in maniera anomala.

➢ Altri geni possono determinare l'aggressività della malattia, per esempio interferendo con le risposte del sistema immunitario o modificando le proprietà di adesione delle cellule ai tessuti circostanti, in modo da favorire la formazione di metastasi.

➢ Per la genesi del cancro sono importanti anche piccole molecole che agiscono sull'espressione dei geni, senza modificare la sequenza del DNA. Fra questi vi sono piccoli frammenti di acidi nucleici detti microRNA (miRNA) e le cosiddette modificazioni epigenetiche, come la metilazione del DNA, che possono limitare l’accesso ai geni, la loro trascrizione e traduzione. Le modificazioni epigenetiche in particolare sembrano essere influenzate dall'invecchiamento e dagli stili di vita.

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Tra le cause di insorgenza dei tumori ritroviamo:

- Fattori estrinseci (età, stile di vita, familiarità, fattori ambientali ecc.) - Fattori intrinseci (fumo di tabacco, alcol, infezioni virali ecc.)

I principali fattori ambientali implicati nella cancerogenesi sono: le sostanze chimiche e gli agenti fisici.

Sostanze chimiche

Le sostanze chimiche possono essere classificate mediante la classificazione IARC: - Gruppo 1: sostanze cancerogene certe per l’uomo quali fumo di tabacco,

asbesto, benzene;

- Gruppo 2a: probabili cancerogeni per l’uomo quali radiazioni ultraviolette, Parathion (pesticida);

- Gruppo 2b: possibili cancerogeni per l’uomo quali la caffeina;

- Gruppo 3: agenti non classificati come cancerogeni nell’uomo quali lane minerali, tè;

- Gruppo 4: agenti probabilmente non cancerogeni come il caprolattame (molecola organica usata per esempio per la produzione del nylon).

Agenti fisici

Gli agenti fisici considerati cancerogeni sono: ➢ le radiazioni ultraviolette

➢ le radiazioni ionizzanti 1. Radiazioni ultraviolette

La radiazione ultravioletta (UV) è una porzione dello spettro elettromagnetico di lunghezza d’onda compresa tra 100 e 400 nm.5

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9 I raggi UV sono di tre tipi:

- UVA (λ compresa tra 400 nm e 315 nm): a seguito di un'esposizione eccessiva della pelle al sole possono indurre l’insorgenza di forme tumorali; rompono i ponti di collagene e danneggiano i capillari, innescando un invecchiamento precoce. Rappresentano il 95% delle radiazioni UV che arrivano sulla terra.

- UVB (λ compresa tra 315 nm e 280 nm): provocano facilmente eritemi e l’insorgenza di melanomi. Rappresentano il 5% delle radiazioni UV che arrivano sulla Terra.

- UVC (λ compresa tra 280 nm e 100 nm): i raggi UVC non arrivano sulla terra poiché sono assorbiti dallo strato di ozono. Questo è il motivo per cui il buco dell’ozono è pericoloso. 6

L’effetto che la radiazione UV provoca nel filamento di DNA è la formazione di un legame covalente fra due timine consecutive che ne assorbono l’energia. La conseguenza è una distorsione della doppia elica che altera l’informazione genetica.7

2. Radiazioni ionizzanti

Sono radiazioni elettromagnetiche dotate di una quantità di energia sufficiente per “ionizzare” la materia che attraversano, formando particelle elettricamente cariche. Queste ultime, rallentando il proprio moto, rilasciano energia creando potenziali danni alla struttura chimica dei materiali attraversati.8 Le radiazioni ionizzanti producono danni somatici, a livello delle cellule dei tessuti, e danni genetici che comprendono mutazioni geniche (dominanti o recessive) e aberrazioni cromosomiche (strutturali o di numero).

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Le neoplasie si evolvono principalmente attraverso le seguenti fasi:

- Trasformazione neoplastica: insieme dei meccanismi con cui una cellula normale si trasforma in una cellula diversa dal punto di vista del genotipo e del fenotipo. È tipo-dipendente in base al tumore che prendiamo in considerazione. Riuscire ad individuare il tumore in questa fase crea i presupposti per un’attività di chemio prevenzione.

- Fase preclinica: dalla trasformazione neoplastica alla manifestazione della malattia intercorre un certo tempo, necessario allo sviluppo tumorale. Il progetto di crescita è molto complesso e si realizza non solo utilizzando le cellule che il tumore stesso genera ma anche attraverso il coinvolgimento del microambiente circostante, costituito da tessuto sano. In questa fase la neoplasia è ancora sconosciuta al medico in quanto è asintomatica. - Fase clinica: a questo livello si ha la manifestazione dei sintomi e vi è una

finestra temporale limitata dove si cerca di mettere in atto ogni possibile strategia chirurgica e farmacologica per la risoluzione della neoplasia. Ci sono dati che dimostrano che nel 40-50% dei casi non vi è risoluzione efficace.

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LE COMPETENZE CHE SVILUPPA IL TUMORE

Lo scienziato tedesco Weinberg ha dedicato tutta la sua vita allo studio delle neoplasie ed ha definito delle competenze9 che il tumore sviluppa:

1. Perdita del controllo della proliferazione cellulare: continua crescita cellulare con instaurarsi di mutazioni le quali vanno a ridurre i geni oncosoppressori.

2. Resistenza all’apoptosi. L’apoptosi è il fisiologico processo di morte cellulare per permettere il cosiddetto rimodellamento tissutale. Si differenzia dalla necrosi che invece è un meccanismo di morte patologico associato alla distruzione della membrana cellulare.

3. Immortalità cellulare: le cellule cancerose crescono all’infinito perché si ha sviluppo degli enzimi telomerasi. La telomerasi è un enzima importante nella replicazione del DNA perché ha la funzione di mantenere l’integrità del filamento in crescita durante la replicazione. Va così ad evitare l’accorciamento dei telomeri che sono le porzioni terminali dei cromosomi. 4. Induzione all’angiogenesi, mediante la quale si sviluppano nuovi vasi sanguigni in aggiunta a quelli già esistenti. Il processo di angiogenesi patologica è quello indotto dalla cellula tumorale la quale, oltre ad avere la necessità di nutrienti per la sua crescita, ha bisogno anche di nuove “vie” (vasi sanguigni) per la diffusione metastatica e l’apporto di ulteriori sostanze nutritive. Si ha quindi la formazione di nuovi vasi e un aumento della pressione interstiziale.

5. Invasione dei tessuti circostanti e metastasi

6. Instabilità genomica e capacità di mutare velocemente 7. Modificazione del metabolismo di base

8. Induzione dell’infiammazione, che si realizza attraverso la produzione di macrofagi utilizzati dal tumore per produrre le condizioni favorevoli alla sua crescita. La produzione di mediatori pro-infiammatori, come le

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citochine, favorisce un’inibizione del sistema immunitario e quindi un aumento della crescita metastatica.

REPLICAZIONE CELLULARE

Il ciclo cellulare10 è un processo geneticamente controllato, costituito da eventi coordinati e dipendenti tra loro, dai quali dipende la corretta proliferazione delle cellule. È costituito da 5 fasi (Figura 3):

- G1: la cellula monitora le sue dimensioni e cresce sintetizzando RNA e proteine

- S (Sintesi): si ha la replicazione del materiale genetico (DNA) che passa da un corredo cromosomico 2n a 4n

- G2: controllo dell’avvenuta replicazione di tutti i cromosomi. In questa fase il DNA ha un corredo 4n

- G0: stato di quiescenza in cui le cellule permangono a lungo senza crescere o dividersi. Le cellule in G0 sono metabolicamente attive ma il loro tasso di sintesi proteica è molto ridotto rispetto alle cellule in crescita attiva. - M (Mitosi): comprende a sua volta le seguenti fasi:

PROFASE: condensazione della cromatina presente nel nucleo della cellula, seguita dalla formazione dei cromosomi e del fuso mitotico

METAFASE: completa formazione dei cromosomi. Le fibre del fuso si attaccano al cinetocore e si forma la piastra metafasica

ANAFASE: i cromatidi dei cromosomi si separano e migrano al rispettivo polo TELOFASE: diminuisce il grado di compattazione dei cromosomi, vengono ricostituiti i nuclei e scompare il fuso

- Citodieresi: divisione del citoplasma

Si ha cosi la formazione di due cellule figlie geneticamente uguali alla cellula madre.11,12

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Regolazione del ciclo cellulare

Il controllo della divisione cellulare e della crescita dei tessuti è molto complesso. I principali fattori implicati nella regolazione del ciclo cellulare sono:

- CDK (Cyclin Dependent Kinase): sono proteine chinasi cataliticamente attive solo quando legate ad una ciclina e con la funzione di fosforilare altre proteine. Le proteine CDK sono uno dei principali controllori del ciclo cellulare; permettono alla cellula di passare dalla fase G1 a S o dalla G2 a M.14,15

- MPF (Maturation Promoting Factor): proteina eterodimerica formata da ciclina B e CDK che stimola la fase della mitosi nel ciclo cellulare. L'MPF promuove il passaggio dalla fase G2 alla fase M fosforilando proteine necessarie durante la mitosi. L'MPF viene attivato alla fine della fase G2 da un enzima fosfatasi che rimuove un gruppo fosfato aggiunto in precedenza.16

- p53: è una proteina che agisce sul blocco del ciclo cellulare nel caso di un danno al DNA. Se il danno è importante questa proteina può causare apoptosi. I suoi livelli aumentano nelle cellule danneggiate e questo consente alla cellula di avere il tempo di effettuare la riparazione del DNA bloccando il ciclo cellulare. Una

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mutazione di p53 è una causa frequente dell'evolversi del cancro. Un caso estremo è la sindrome di Li Fraumeni, malattia ereditaria autosomica dominante caratterizzata dalla mutazione di un allele del gene TP53 che codifica per la proteina p53. Questo porta ad un'alta frequenza di cancro negli individui affetti.17 - p27: è una proteina che si lega alle cicline e alle CDK bloccando l'ingresso nella fase S.18

La massa neoplastica è costituita da cellule in fase attiva di replicazione ma anche da una certa percentuale di cellule che si trovano in fase quiescente (fase G0) ovvero che possono entrare nel ciclo replicativo se attivate. Questo è il motivo per cui la terapia farmacologica (chemioterapia) deve essere somministrata in modo ciclico, al fine di uccidere la maggior parte di cellule cancerose. Nel momento in cui sospendo il farmaco infatti il tumore attua una reazione compensatoria attraverso l’attivazione della riserva di cellule che sono in fase quiescente quindi un’altra parte di cellule entrano nel ciclo di replicazione. Con una successiva somministrazione del farmaco riesco quindi ad eliminare anche questa porzione cellulare.

La finalità della chemioterapia è pertanto quella di eradicare il maggior numero possibile di cellule cancerose sfruttando la dose massima di farmaco in grado di uccidere la maggior parte delle cellule tumorali, comprese quelle in fase quiescente.

Tutti i farmaci antineoplastici vengono somministrati a cicli di terapia, in genere facendo associazioni di farmaci con differenti meccanismi di azione.

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FARMACI ANTITUMORALI

I farmaci utilizzati come agenti antitumorali hanno la capacità di agire sulle cellule cancerose che sono cellule in continua proliferazione. La problematica è che nell’organismo ci sono moltissime cellule in rapida crescita, come quelle del sistema ematopoietico, delle mucose, dell’epitelio gastrointestinale. Questo implica pertanto una non selettività da parte del farmaco per le cellule cancerose, e quindi una citotossicità anche a livello delle cellule sane in rapida moltiplicazione.

I farmaci antitumorali possono essere classificati in base al meccanismo d’azione: - Farmaci alchilanti

- Farmaci antimetaboliti - Antibiotici antitumorali

- Farmaci inibitori del fuso mitotico - Inibitori di proteasi

1. Farmaci alchilanti

Hanno la funzione di inibire la sintesi del DNA attraverso la formazione di legami con le basi azotate e il conseguente trasferimento di gruppi alchilici. Hanno un’analogia strutturale con le basi azotate per questo agiscono sostituendosi ad esse nella sintesi del filamento e bloccano la crescita. Sono delle mostarde azotate e la loro azione è dovuta alla capacità di formare lo ione aziridinio, particolarmente reattivo. Tra questi ricordiamo il Clorambucile (Figura 4) e la Ciclofosfamide (Figura 5).

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2. Farmaci antimetaboliti

Un agente antimetabolita è una sostanza in grado di interferire con la formazione e/o l'utilizzo di un normale metabolita presente all'interno della cellula e portare alla formazione di false molecole. In particolare, gli agenti antimetaboliti impiegati nel trattamento dei tumori inibiscono la sintesi di nuovo DNA. Tra questi il Metotrexato (Figura 6) e il 5-Fluorouracile (Figura 7). Il primo è un inibitore dell’enzima diidrofolato reduttasi (DHFR) che catalizza la conversione dell’acido folico (FH2) in acido tetraidrofolico (FH4), essenziale per la formazione del DNA. Inibisce anche la timidilato sintetasi, enzima implicato sempre nella sintesi del DNA. Il secondo è un inibitore della timidilato sintetasi, dopo attivazione metabolica a nucleotide trifosfato.

Figura 4. Clorambucile Figura 5. Ciclofosfamide

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3. Farmaci antibiotici antitumorali

Tra questi ritroviamo le Antracicline (Figura 8), caratterizzate da un sistema tetraciclico unito ad un aminozucchero (daunosamina), e la Mitomicina C. Le prime agiscono attraverso l’inibizione della topoisomerasi II con conseguente rottura dei filamenti di DNA attraverso la produzione di radicali. La Mitomicina C (Figura 9) invece ha un meccanismo simile a quello dei farmaci alchilanti, con formazione di legami covalenti con le basi azotate del DNA.

Figura 9. Mitomicina C Figura 8. Antracicline a confronto

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4. Farmaci inibitori del fuso mitotico

Il fuso mitotico è costituito da un gruppo di fibre che determina i movimenti ordinati dei cromosomi e dei cromatidi durante la divisione cellulare. Tali fibre costituiscono una tipica struttura rigonfia nel mezzo (equatore del fuso) che si assottiglia verso le estremità (poli del fuso).

Le fibre che formano il fuso sono costituite da microtubuli e proteine e le posso distinguere in: fibre polari, che collegano i due poli del fuso passando per l’equatore della cellula, e fibre del cinetocore, che partono dal centromero di ciascun cromatidio e si dirigono verso i poli.

Tra i farmaci inibitori del fuso mitotico ritroviamo prodotti naturali estratti da piante: Vinblastina (Figura 10) e Vincristina (Figura 11), alcaloidi derivati della Pervinca; Paclitaxel (Figura 12) e Docetaxel (Figura 13), terpeni derivati dal Taxus Baccata.

Figura 11. Vincristina Figura 10. Vinblastina

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5. Inibitori di proteasi

Sono tra i farmaci di nuova generazione e sono detti anche “farmaci a bersaglio” perché agiscono su target cellulari specifici. Si tratta di un approccio immunoterapico che prevede l’utilizzo di anticorpi monoclonali. Essi rappresentano un’importante strategia farmacologica in quanto sono in grado di agire in maniera più mirata e specifica contro le cellule cancerose con minori effetti collaterali rispetto alla chemioterapia convenzionale.

Figura 13. Docetaxel Figura 12. Paclitaxel

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Gli anticorpi monoclonali19 (o MAb, Monoclonal Antibodies) sono particolari tipi di anticorpi prodotti con tecniche di ingegneria genetica, in particolare la tecnica del DNA ricombinante, a partire da un unico tipo di cellula immunitaria. Più correttamente, proteine omogenee ibride, ottenute da un singolo clone di linfocita ingegnerizzato.

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Inibitori ibridi di proteine chinasi e dell’istone

deacetilasi per la terapia del cancro

L'epigenetica riveste un ruolo importante nella comprensione dei processi che stanno alla base dell'origine e dello sviluppo del cancro. Si occupa dello studio di tutte quelle modificazioni ereditabili che portano a variazioni dell'espressione genica ma non della sequenza del DNA, e che quindi si traducono in una mutazione del fenotipo di un individuo senza alterazione del suo genotipo.20 Le modifiche o gli eventi epigenetici sono di grande importanza per diversi processi biologici cruciali, tra cui la differenziazione delle cellule, l'imprinting e l'inattivazione del cromosoma X. L'imprinting genomico o imprinting genetico indica una modulazione della espressione di una parte del materiale genetico: tale modifica può riguardare l'uno o l'altro dei due corredi parentali. Si tratta di un meccanismo di regolazione genica che riguarda circa un centinaio di geni conosciuti, molti dei quali hanno un ruolo rilevante nel differenziamento e nello sviluppo.

Le modifiche epigenetiche sono, in generale, plastiche e reattive agli stimoli esterni. Esempi di stimoli che colpiscono l'epigenoma includono la malnutrizione prenatale, le radiazioni ultraviolette ed il fumo di sigaretta. I cambiamenti indotti possono essere transitori oppure di lunga durata. Molteplici caratteristiche epigenetiche possono essere propagate da una generazione di cellule a quella successiva. Alcune caratteristiche epigenetiche sono direttamente collegate alla molecola di DNA stessa (ad esempio, metilazione del DNA), altre si riferiscono al rimodellamento dinamico della cromatina o alle modifiche delle proteine associate (ad esempio, modificazione istoriale post-traslazionale), e altri implicano molecole di acido ribonucleico (RNA) (ad esempio, silenziamento genico mediante acidi ribonucleici non codificanti [ncRNA] e metilazione dell'RNA).

La cromatina negli eucarioti è quella parte di sostanza di cui è costituito il nucleo; durante la mitosi si organizza spiralizzandosi a formare i cromosomi. Gli acidi nucleici sono i suoi costituenti principali. La cromatina infatti è un complesso

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nucleoproteico stabile costituito da DNA (acido desossiribonucleico) che si avvolge su gruppi di proteine dette istoni (proteine basiche) formando nucleosomi, unità fondamentali della cromatina, e da proteine non-istoniche (proteine neutre o acide); ad essa sono associati alcuni enzimi e molecole di RNA. I nucleosomi determinano il tipico aspetto a collana di perle della cromatina quando essa si osserva al microscopioelettronico.

Si possono distinguere due tipi di cromatina: l’eucromatina, che si colora meno intensamente e rappresenta zone cromosomiche di despiralizzazione, e l’eterocromatina, che si colora più intensamente e rappresenta zone più condensate. Queste due tipologie hanno un significato genetico diverso: nello stato eterocromatico condensato il DNA è inattivo e non viene trascritto in RNA; si può perciò considerare l’eterocromatina come lo stato inerte e l’eucromatina come quello attivo del DNA cromosomico. Nella cellula vivente la cromatina è in una condizione molto più addensata e assai di rado adotta la configurazione a collana di perle. Infatti, dopo lisi delicata dei nuclei cellulari, la maggior parte della cromatina appare sotto forma di un filamento del diametro di circa 30 nm.

Oltre all’istone deacetilasi, anche la DNA metiltransferasi e la istone metiltransferasi sono bersagli frequentemente studiati per la scoperta di nuovi farmaci antitumorali. Un errore nel processo di metilazione del DNA determina un cambiamento nell’organizzazione spaziale della cromatina; situazioni di ipo- o iper-metilazione possono portare rispettivamente all’accensione di geni potenzialmente dannosi o allo spegnimento di geni che agiscono come oncosoppressori o nei meccanismi di riparazione del DNA. Epimutazioni di questo tipo sono state identificate in molti tipi di tumori.21

Recenti studi hanno evidenziato significative alterazioni epigenetiche in cellule o tessuti derivati da pazienti affetti da malattie autoimmuni rispetto a campioni di individui sani; tali alterazioni sono state correlate ai diversi fenotipi della malattia. I cambiamenti epigenetici in geni specifici sono correlati ad una upregulation o

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downregulation della trascrizione. Ad esempio, in molti sistemi, la riduzione della metilazione del DNA e l'aumento dell'acilazione istonica dei geni inducibili da interferone sono correlati alla loro maggiore espressione nei pazienti affetti da malattie autoimmuni.22

Fra le varie modificazioni epigenetiche, l’acetilazione è la più comune: gioca un ruolo importante nella regolazione di processi cellulari quali la differenziazione, la proliferazione, l’angiogenesi e l’apoptosi. Anomalie nei processi di acetilazione sono infatti state associate a diversi eventi cellulari che si verificano nelle patologie neoplastiche. Per esempio, l’ipoacetilazione globale di H4 è una delle caratteristiche dei tumori.

Il livello di acetilazione di istoni e proteine non istoniche è regolato da due famiglie antagoniste di enzimi: la istone deacetilasi (HDAC) e la istone acetiltransferasi (HAT).

Gli HDAC sono una famiglia di enzimi ubiquitari che si trovano in batteri, funghi, piante e animali e che sono in grado di rimuovere un gruppo acetilico dal gruppo ε-aminico dei residui di lisina presenti negli istoni principali e in molte proteine non istoniche. Di conseguenza la carica positiva presente nella regione N-terminale dei nuclei degli istoni aumenta e rafforza le interazioni con il DNA, caricato negativamente, mentre blocca l'accesso per la trascrizione del DNA, determinando il silenziamento del gene.

Le HDAC note sono suddivise in quattro classi sulla base della loro omologia di sequenza:

- le HDAC di classe I includono HDAC1, 2, 3 e 8

- le HDAC di classe II includono le classi IIa (HDAC4, 5, 7 e 9) e IIb (HDAC6 e 10)

- gli HDAC di classe III, noti come Sirtuine (sirt1-7) - gli HDAC di classe IV (HDAC11)

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È stato dimostrato che il silenziamento o l'inibizione delle HDAC è in grado di influenzare il ciclo delle cellule tumorali, nonché la crescita, differenziazione, angiogenesi e apoptosi ma anche la decondensazione della cromatina in diversi tipi di cellule cancerogene.

Oltre al cancro, gli inibitori di HDAC (HDACi) sono stati studiati anche per il trattamento di malattie come l'Alzheimer, l’infezione da HIV-1 e malattie cardiovascolari.

Nell'ottobre 2006, la FDA (Food and Drug Administration) ha approvato il primo HDACi, il SAHA (Vorinostat, composto 1 in Figura 14) per trattamento del linfoma cutaneo a cellule T (molto raro). Sono stati poi approvati dalla FDA altri quattro inibitori HDAC: Romidepsin, Belinostat e Panobinostat (composti 2, 3 e 4 in Figura 14), indicati per il trattamento di tumori quali il linfoma cutaneo a cellule T, il linfoma periferico a cellule T (PTCL) ed il mieloma multiplo. Per il trattamento di PTCL recidivante o refrattario è stato recentemente approvato in Cina un inibitore selettivo HDAC di classe I caratterizzato da una struttura benzammidica, detto Chidamide (composto 5 in Figura 14).

Oltre a queste cinque molecole approvate, diversi inibitori di HDAC sono attualmente in fase di sperimentazione per diversi tipi di cancro.

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Figura 14. I primi cinque inibitori dell’istone deacetilasi che sono stati approvati

Il gruppo farmacoforico dell'inibitore HDAC è composto da tre parti (Figura 15):

Figura 15. Il gruppo farmacoforico degli inibitori HDAC

partendo da sinistra si ha la porzione Cap che si può inserire nella tasca attiva dell’enzima HDAC, un gruppo legante gli ioni zinco (ZBG = zinc binding group) e un linker, che oltre

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ad avere la funzione di connessione tra Cap e ZBG, è responsabile di interazioni con la porzione idrofobica del sito attivo dell’enzima. La porzione Cap è quella che può subire le maggiori modifiche dal punto di vista strutturale, rendendo quindi possibile la progettazione di un gran numero di HDACi.

INIBITORI DI HDAC IBRIDI

Sebbene gli HDACi abbiano mostrato potente attività antitumorale e cinque di loro siano attualmente usati in clinica, esistono ancora margini di ottimizzazione soprattutto in riferimento ai loro effetti collaterali, tra cui trombocitopenia, neutropenia, diarrea, nausea, vomito, affaticamento e cardiotossicità. Inoltre, questi farmaci risultano essere meno efficaci in caso di tumori solidi e ciò ne limita fortemente l’impiego terapeutico. Per migliorare questi aspetti sono stati sviluppati HDACi di nuova generazione, principalmente inibitori isoforma-selettivi, attivi su specifiche HDAC, oppure inibitori multitarget, detti anche ibridi o bifunzionali, sui quali l’attenzione dei ricercatori si sta sempre più focalizzando. Il meccanismo di patogenesi del cancro è estremamente complicato; entrano in gioco enzimi diversi, proteine strutturali e fattori di trascrizione che favoriscono il processo d’inizio.

Sebbene molecole bioattive che agiscono su un singolo target antitumorale siano per lo più usate per sopprimere i tumori esistenti, questo approccio è spesso incapace di fornire un’effettiva e duratura soppressione tumorale. Le cellule tumorali possono innescare altri percorsi compensatori per la sopravvivenza, e questo spiega gran parte della insensibilità e resistenza ai farmaci.

Possono essere applicate diverse strategie per ovviare a questo problema:

- Utilizzare una combinazione farmacologica, anche se questa strategia deve far fronte alla scarsa compliance del paziente, alla farmacocinetica

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complessa e alle interazioni tra farmaci che possono influire pesantemente sull'efficacia dei farmaci somministrati.

- Sviluppare agenti terapeutici che incorporano diverse sostanze bioattive in una singola molecola; si ottengono composti in grado di modulare più percorsi cellulari e che possiedono efficacia elevata rispetto agli agenti a bersaglio singolo. Questi possono efficacemente superare gli inconvenienti farmacocinetici e ridurre anche i costi di sviluppo.

Il trattamento delle cellule tumorali con gli HDACi induce una serie di effetti, tra cui l'apoptosi, l’arresto del ciclo cellulare, la differenziazione e la senescenza delle cellule tumorali, la modulazione delle risposte immunitarie e il blocco dell'angiogenesi. Gli HDACi possono quindi essere utilizzati in combinazione con altri farmaci antitumorali, inclusi farmaci citotossici e piccole molecole inibitori di specifiche proteine target.

La co-somministrazione di un HDACi con altri farmaci antitumorali ha già mostrato risultati promettenti in termini di potenziamento degli effetti antitumorali.

Considerando l’attività antitumorale degli HDACi ed il loro effetto sinergico con altri farmaci antitumorali, risulta quindi validato che un HDACi ibrido, che combina, mediante un appropriato linker, in una singola molecola due frammenti chiave (per esempio i gruppi Cap e ZBG), e che eventualmente agiscono su due o più target antitumorali, dovrebbe offrire un vantaggio terapeutico maggiore rispetto agli effetti combinati o additivi di due singoli farmaci.

Le caratteristiche principali degli HDACis ibridi riportati in letteratura includono: - un frammento essenziale capace di modulare un altro target tumorale, che

di solito agisce da gruppo Cap nell’HDACi ibrido

- gruppi ZBG (i più comunemente usati sono acido idrossamico e benzammide)

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- un linker che è il fattore chiave, in quanto capace di influenzare l’attività per entrambi i target

- gli ibridi sviluppati di recente mostrano sempre una attività potente ed equilibrata contro HDAC e gli altri bersagli tumorali

I frammenti che mimano la porzione Cap presenti negli HDACi ibridi sono principalmente:

- inibitori della chinasi - composti citotossici

- modulatori dei recettori ormonali - modulatori epigenetici

- prodotti naturali

- altri farmaci o agenti antitumorali

In questo lavoro di tesi saranno trattati solo gli HDACi ibridi che presentano degli inibitori della chinasi come porzione Cap.

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INIBITORI IBRIDI CHINASI/HDAC

Le proteine chinasi sono responsabili del trasferimento dei gruppi fosfato dall’ATP a specifiche molecole target e sono state tra le classi di bersagli farmacologici più studiate principalmente per lo sviluppo di nuovi agenti potenzialmente utili per il trattamento dei tumori.

Sono stati approvati per l’uso clinico più di 30 inibitori della chinasi: tra questi gli inibitori del recettore tirosin-chinasico (RTKi) sono diventati importanti farmaci per il trattamento di varie neoplasie. Molti RTKi sono stati approvati dalla FDA e molti altri sono ancora in fase di sperimentazione clinica.

Tuttavia, a causa della natura eterogenea e dinamica dei tumori, l'efficacia degli inibitori delle chinasi è spesso compromessa dai bassi tassi di risposta e dall’acquisita resistenza ai farmaci.

Per superare questo limite sono state applicate numerose strategie, tra cui la terapia combinata e lo sviluppo di inibitori multitarget.

La co-somministrazione degli HDACi con gli RTKi è risultata in grado di sopprimere la proliferazione ed indurre l'apoptosi delle cellule tumorali, rendendole più suscettibili agli RTKi e superando anche la resistenza ad essi.

IBRIDI A DOPPIA AZIONE

Sono molecole che inibiscono contemporaneamente HDAC e RTK. Le caratteristiche strutturali di questi ibridi sono le seguenti:

- frammento Cap costituito da inibitori della chinasi

- porzione ZBG costituita da inibitori HDAC con un linker appropriato L’ibrido che si ottiene può quindi inibire simultaneamente HDAC e la chinasi.

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1. Inibitore ibrido HDAC basato su ERLOTINIB

Figura 16. Inibitore ibrido HDAC basato su Erlotinib

Cai e collaboratori23 hanno progettato e sintetizzato una serie di composti integrando il gruppo acido idrossamico di un HDACi nel noto inibitore del recettore del fattore di crescita epidermico/recettore del fattore di crescita epidermico umano 2 (EGFR / HER2), Erlotinib (composto 6 in Figura 16). Entrambi i gruppi, chinazolina e fenilammina, interagiscono con EGFR nella tasca di legame dell’ATP. Al contrario, i due gruppi metossi-etossi in C6 e C7 non danno interazioni di legame con il recettore.

Questo ha consentito di poter apportare modifiche strutturali in queste posizioni senza compromettere l’inibizione di EGFR. Di conseguenza, linker con spaziatori di natura diversa (etere, ammide, zolfo, etere e solfone) e di differente lunghezza (da tre a cinque atomi di carbonio), tutti portanti un acido idrossamico terminale come gruppo ZBG sono stati inseriti alle posizioni C-6 o C-7, in modo da ottenere una inibizione di HDAC.

Diversi composti ibridi hanno mostrato una potente attività inibitoria verso i tre enzimi: EGFR, HER2 e HDAC. Le relazioni struttura-attività (SAR) hanno evidenziato che l'attività inibitoria dell'HDAC è correlata alla lunghezza del linker: con una lunghezza di sei carboni si ha l’azione ottimale.

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Anche la struttura del linker può influenzare l’attività inibitoria dell’HDAC: per quanto riguarda la natura dello spaziatore, un etere è più potente di un’ammide, che a sua volta è più potente di un tioetere. Il solfone ha invece una potenza più bassa. I composti sostituiti sul C-6 mostrano una migliore attività inibitoria verso HDAC rispetto a quelli sostituiti sul C-7. È interessante notare che anche la natura della sostituzione sull'anello chinazolinico non influenza in modo significativo l’inibizione dell’HDAC.

Tra tutti questi composti, CUDC-101 (composto 7 in Figura 16) rappresenta il candidato multitarget antitumorale più promettente. È un inibitore ibrido di prima classe di HDAC, EGFR e HER2, con valori di IC50 (concentrazione che inibisce il 50% di una certa attività) rispettivamente di 4.4, 2.4 e 15.7 nM. Tale composto, CUDC-101 si è dimostrato capace di inibire la proliferazione di 11 tipi di cellule tumorali umane (comprese cellule di cancro del polmone, del fegato, del pancreas e del seno) con valori di IC50 inferiori a 1 μM, con un’attività molto superiore a quella del farmaco Erlotinib usato da solo o in combinazione con Vorinostat. Questa potenza è ragionevolmente dovuta alla capacità di CUDC-101 (7 in Figura 16) di inibire direttamente sia la segnalazione di EGFR che quella di HER2 e di attenuare indirettamente altre vie di segnalazione di sopravvivenza, come Akt, HER3, e MET.

Oltre a un potente effetto antiproliferativo, questa molecola X produce effetto inibitorio sulle proprietà di migrazione e invasione delle cellule tumorali, caratteristiche letali del cancro.

In vivo, l'efficacia antitumorale di CUDC-101 (7 in Figura 16) è stata valutata in un modello di cancro al fegato Hep-G2 ad una dose giornaliera di 120 mg/kg somministrata per via endovenosa (iv). Il composto è in grado di ridurre la progressione del tumore del 30% ed è risultato più efficace di Erlotinib alla dose massima tollerata (25 mg/kg, per os, al giorno) e di Vorinostat alla dose di 75 mg/kg (iv, al giorno).

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Uno studio clinico di fase I relativo alla sicurezza, alla farmacocinetica e all'attività antitumorale di CUDC-101 è stato completato nel 2010, dimostrando una promettente efficacia contro tumori solidi avanzati ed un profilo farmacodinamico favorevole. La dose massima tollerata è stata determinata in 275 mg/m2.

I principali effetti tossici includono nausea reversibile transitoria (24%), affaticamento (24%), pelle secca (16%), elevazione della creatinina sierica (12%) ed elevazione di AST sierica (12%).

Un successivo studio di fase I con CUDC-101 (7 in Figura 16), somministrato in associazione con Cisplatino per via endovenosa e combinato con radioterapia in pazienti con cancro a cellule squamose della testa e del collo (HNSCC, head and neck squamous cell cancer) è stato completato nel 2013. È emerso che in HNSCC EGFR e HER2 sono sovra-espressi rispettivamente fino al 90% e del 20%-40%; la sovra espressione di entrambi i fattori è associata alla resistenza alla chemioterapia di questa tipologia di tumore. Nello studio sono stati reclutati 12 pazienti con rischio HNSCC medio o alto.

La dose iniziale di CUDC-101 per questo studio clinico è stata 225 mg/m2 e la seconda dose è stata portata a 275 mg/m2. Il farmaco CUDC-101 X è stato somministrato per infusione endovenosa per 1 ora tre volte a settimana per 1 settimana, mentre il cisplatino è stato somministrato ogni 3 settimane alla dose di 100 mg/m2. I risultati hanno mostrato che la combinazione di CUDC-101 e chemio-radioterapia convenzionale rappresenta un buon approccio terapeutico alternativo e ben tollerato a dosi biologicamente efficaci.

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2. Inibitore ibrido HDAC basato su LAPATINIB

Figura 17. Inibitori ibridi HDAC basati su Lapatinib

Mahboobi e collaboratori24 hanno riportato una serie di inibitori multifunzionali che bersagliano contemporaneamente EGFR/HER2/HDAC, attraverso la combinazione delle porzioni farmacoforiche degli inibitori della chinasi e dell’HDAC. L’elemento strutturale di un derivato di un acido idrossamico o di una benzammide presente negli HDACi ibridi è stato trasferito alla struttura del nucleo del Lapatinib, molecola inibitrice di EGFR e HER2, per ottenere nuove entità ibride (Figura 17). Gli ibridi 9 e 10 (Figura 17), caratterizzati dalla presenza di un gruppo (E)-3-(aril)-N-idrossiacrilammidico, hanno mostrato la più potente attività inibitoria verso l'HDAC dell'estratto nucleare HeLa (valori IC50 di 630 e 47 nM, rispettivamente). Questo potrebbe essere dovuto alle somiglianze strutturali tra i loro gruppi ZBG e Belinostat (composto 3 in Figura 14).

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Il gruppo N-idrossiacrilammidico negli ibridi 9 e 10 (Figura 17) e nel farmaco Belinostat (3 in Figura 14) è sempre in posizione meta rispetto a un altro sostituente presente sull’anello furanico (in 9) o sull’anello benzenico (in 10 o 3). Un trasferimento di questo gruppo dalla posizione meta alla posizione para riduce drasticamente la potenza inibitoria di HADC. Anche questi due composti ibridi hanno mostrato di essere inibitori molto potenti e specifici dell’attività delle chinasi EGFR (IC50 = 25 e 18 nM, rispettivamente) e HER2 (IC50 = 41 e 11 nM, rispettivamente). L’iperacetilazione dell'istone H3 indotta dall’ibrido 10 alla concentrazione di 1 μM, dimostra che questo è un composto veramente attivo a livello cellulare, e farmacologicamente bifunzionale. Per quanto riguarda il suo profilo di citotossicità, l'ibrido 10 (Figura 17) è risultato molto potente, con valori di IC50 inferiori a 1 μM ed è stato in grado di uccidere completamente le cellule tumorali a concentrazioni più elevate.

Uno studio molto recente effettuato da Ding e collaboratori25 è stata sviluppata una nuova serie di inibitori multitarget EGFR/HDAC contenenti lo scheletro 4-anilinochinazolinico di Lapatinib, uno ZGB e un nucleo 1,2,3-triazolico come linker relativamente resistente alla degradazione metabolica. Composti con catene laterali a cinque o sei atomi di carbonio hanno mostrato la migliore potenza verso le HDAC: in particolare, i composti con una catena a sei termini si sono mostrati più potenti rispetto agli analoghi con una catena a cinque atomi di carbonio, per quanto riguarda l'inibizione di HDAC1 e HDAC6. Tuttavia, l'inibizione di EGFR e HER2 è poco influenzata dalla lunghezza della catena laterale. Tra tutti i composti valutati in questo studio, la molecola numero 11 (Figura 17) è quella con la maggiore azione inibitoria su EGFR, HER2 e HDAC1/6, con valori di IC50 rispettivamente di 0.12, 174.9, 0.72 e 3.2 nM.

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L’attività antiproliferativa di tutti i composti è stata valutata in due linee cellulari, la linea A549 (EGFR sovraespresso e mutazioni k-Ras) e la linea BT-474 (HER2 sovraespresso) utilizzando Vorinostat e Lapatinib come controlli positivi. La maggior parte dei composti sono risultati capaci di inibire la crescita di entrambe le linee cellulari tumorali con valori di IC50 nel range micromolare, e quasi tutti i composti con catena a sei atomi di carbonio sono risultati più attivi rispetti agli analoghi portanti con una catena a cinque termini. Inoltre, la molecola 11 (Figura 17) produce un forte effetto inibitorio sulla proliferazione delle cellule A549 con un valore IC50 di 0.63 μM, quindi risulta più efficace di Vorinostat e Lapatinib (IC50 = 2.57 e 1.74 μM per 1 e 8, rispettivamente); il composto 11 risulta invece meno attivo sulle cellule BT-474 (IC50 = 3.88 μM), ragionevolmente a causa della sua potenza relativamente bassa verso HER2. Il derivato 11 si è inoltre dimostrato in grado di bloccare la fosforilazione cellulare di EGFR e HER2, l'iperacetilazione dell’istone H3 e l’apoptosi delle cellule tumorali BT-474.

3. Inibitore ibrido HDAC basato su VANDETANIB

Figura 18. Inibitore ibrido basato su Vandetanib

Il gruppo di Shi26 ha sviluppato inibitori con duplice azione VEGFR/HDAC, utilizzando lo scaffold 4-anilinochinazolinico come struttura di base, combinata

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con i frammenti di Vandetanib e Vorinostat. La lunghezza del linker si è ancora rivelata un fattore determinante, capace di influenzare notevolmente l’attività inibitoria degli HDACi: composti con una catena a sei atomi di carbonio mostrano una migliore attività. Inoltre, per quanto riguarda l'inibizione del VEGFR-2, tutti i composti studiati hanno mostrato attività inibitorie da lievi a moderate rispetto a Vandetanib (composto 12 in Figura 18). La natura e la posizione del sostituente sono capaci di influenzare drasticamente l'attività inibitoria del VEGFR-2: l'introduzione di due atomi di Cl sull'anello fenilico (in posizione 2 e 6) risulta particolarmente favorevole per l’inibizione del fattore VEGFR-2.

Di tutti questi nuovi ibridi, la molecola 13 (Figura 18) possiede la più potente attività inibitoria contro gli HDAC, con un valore IC50 di 2.8 nM e forti effetti inibitori contro VEGFR-2, con un valore IC50 di 84 nM. Uno screening dell’inibizione della crescita cellulare in vitro ha dimostrato che 13 è il composto con la migliore attività contro la linea cellulare tumorale MCF-7 con un valore IC50 di 1.2 μM (i valori IC50 di Vorinostat e Vandetanib sono 4.5 e 18.5 μM, rispettivamente).

4. Inibitore ibrido HDAC basato su PAZOPANIB

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Pazopanib (composto 14 in Figura 19) è un potente inibitore RTK che agisce sui fattori VEGFR-1, 2 e 3 e può bloccare la crescita delle cellule tumorali e inibire l'angiogenesi. È stato approvato dalla FDA nel 2009 per il trattamento del carcinoma renale. Varie politerapie di Pazopanib con diversi inibitori HDAC hanno mostrato risultati incoraggianti, stimolando così la progettazione di nuove molecole ibride. In questo ambito, Zhang e collaboratori27 hanno progettato e sintetizzato una serie di nuovi HDACi ibridi sulla base della struttura del Pazopanib, con lo scopo di superare la scarsa efficacia degli HDACi nei tumori solidi. Pazopanib (14 in Figura 19) infatti inibisce l’angiogenesi, che è la chiave fisiologica richiesta per la crescita e le metastasi dei tumori solidi.

La modalità di legame proposta per l’interazione di Pazopanib (14 in Figura 19) con VEGFR-2 (Figura 20, indica che l’indazolo del Pazopanib si adatta bene alla tasca interna per ATP di VEGFR-2. Il gruppo 2-amminopirimidinico forma due legami idrogeno con il residuo Cys917 nella regione cerniera, e la porzione benzensulfonammidica è proiettata verso la regione del solvente.

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Gli inibitori HDAC sono stati progettati tenendo in considerazione il frammento chiave di Pazopanib, e combinandolo con il gruppo ZBG che può essere un acido idrossamico o un orto-amminoanilide.

Tra tutti i composti testati, il derivato 15 (in Figura 19), caratterizzato da un gruppo amminoanilidico come ZBG è quello che ha mostrato una attività inibitoria maggiormente equilibrata contro HDAC e VEGFR-1, -2 e -3, con valori di IC50 di 4.6 μM, 37 nM, 22 nM e 46 nM, rispettivamente. Questa molecola è risultata poi più selettiva contro HDAC1-3 rispetto alle isoforme 6 e 8. Ha mostrato inoltre una potente attività antiproliferativa non solo per le linee cellulari dei tumori ematologici, ma anche per le linee cellulari dei tumori solidi, comprese le più sensibili come le cellule HT-29 (IC50 = 1.07 μM).

In un modello in vitro di angiogenesi, il composto 15 è risultato capace di inibire la proliferazione delle cellule HUVEC (Human Umbilical Vein Endothelial Cells) tanto efficacemente quanto fa Pazopanib ad una concentrazione di 100 nM, ragionevolmente a causa della notevole capacità di 15 di inibire VEGFR. Infine, in un modello xenograft animale (topo) di cellule HT-29, 15 è riuscito a contrastare efficacemente la crescita tumorale alla dose di 50 mg/kg (per os); l’effetto inibitorio è all'incirca la metà di quello prodotto dal Pazopanib (44%, per os) alla stessa dose.

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39 5. Inibitori ibridi c-Met/HDAC

Figura 21. Selettivo c-Met derivato come inibitore ibrido HDAC

La proteina c-Met è una proteina proto-oncogena, è un RTK che si lega al fattore di crescita degli epatociti (HGF), con conseguente attivazione del recettore e reclutamento di un numero di proteine adattatrici o effettrici attraverso percorsi di segnalazione a valle, inclusi RAS/MAPK e PI3K/AKT. Queste ultime vie di segnale mediano diversi processi cellulari inclusi la proliferazione, la sopravvivenza, la migrazione, la mitogenesi e l’angiogenesi. Al contrario, anomalie nell'attivazione, nella mutazione, nell'amplificazione e nella traslocazione di c-Met, giocano un ruolo importante nella formazione del cancro, nella sua progressione e disseminazione, così come nell’insorgenze della resistenza ai farmaci. Inoltre, una iperespressione di c-Met e HGF è stata associata agli scarsi risultati clinici ottenuti in pazienti affetti da cancro. La chinasi c-Met ha quindi ricevuto notevole attenzione come bersaglio per lo sviluppo di nuovi agenti per il trattamento del cancro; tuttavia, così come avviene per gli altri inibitori RTK, l'impiego dell'inibitore

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c-Met da solo è capace di produrre una azione ridotta nel bloccare la progressione del tumore; si osserva inoltre bassa efficacia e l’insorgenza resistenza acquisita.

Gli inibitori di c-Met sono emersi come opzione alternativa per la terapia del cancro epatocellulare, anche se è stato dimostrato che gli HDACi esercitano un effetto complementare quando combinati con altri farmaci per combattere il cancro epatocellulare.

Lu e collaboratori28 hanno descritto il primo potente inibitore ibrido c-Met e HDAC, progettato razionalmente sulla base della struttura dell’inibitore selettivo di c-Met 16 riportato nella figura 21. Le SAR del composto 16 hanno mostrato che il sostituente in C-7 dell’anello chinolinico si estende fino alla regione esposta al solvente della proteina e che modifiche su questa posizione non producono un significativo effetto negativo sull'attività inibitoria; il linker e lo ZBG per l'inibizione dell'HDAC sono stati quindi inseriti qui. In questo lavoro sono stati studiati diversi tipi di ZBG ed è stato trovato che il più potente era la molecola 17, che inibisce la c-Met chinasi e HDAC1 con valori IC50 di 0.71 e 38 nM, rispettivamente. Questo ibrido ha anche dimostrato un efficace attività antiproliferativa contro due linee di cellule tumorali, EBC-1 (IC50 = 0.058 μM) e HCT-116 (IC50 =1.3 μM), con maggiore potenza rispetto al composto di riferimento, la Chidamide 5 (IC50 = 2.9 e 7.8 μM), e all’inibitore selettivo c-Met (composto 16 in Figura 21) (IC50 = 0.06 e >10μM). L’inibizione della fosforilazione di c-Met, così come la maggiore espressione di Ac-H3 e p21 nelle cellule EBC-1, sono tutte prove che la molecola 17 funziona bene come inibitore ibrido.

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41 6. Inibitori ibridi Abl/HDAC

Figura 22. Inibitore ibrido HDAC basato su Imatinib

Imatinib (18 in Figura 22) è un inibitore di Abl (proteina chinasi), PDGFR e Kit approvato per il trattamento della leucemia mieloide cronica (la cui alterazione genetica è dovuta alla presenza del cromosoma Philadelphia) e della leucemia linfocitica acuta. Imatinib ha mostrato effetti additivi e sinergici quando combinato con inibitori HDAC.

Mahboobi e collaboratori29 hanno progettato una serie di composti mediante la combinazione delle caratteristiche strutturali di HDACi e Imatinib, con lo scopo di superare il problema della farmaco resistenza. Uno di questi esempi è la molecola 19 (in Figura 22) in cui il gruppo ZBG (orto-amminobenzammide) da HDACi viene inserito sulla struttura di Imatinib.

Il profilo di inibizione dell'HDAC, nella maggior parte degli ibridi, è conservato, sia nei saggi biochimici che in quelli cellulari, ed i nuovi composti mostrano una potenza paragonabile a quella del Vorinostat (1 in figura 14). Anche la capacità di inibire la chinasi Abl viene conservata nella maggior parte dei casi.

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L’ibrido 19 ha inoltre mostrato una elevata selettività verso HDAC1 (classe I, IC50=0.208 μM), rispetto a HDAC6 (classe IIb, IC50≥32 μM). Per quanto riguarda l'inibizione della chinasi Abl, l'ibrido 19 è risultato il composto più attivo tra tutti quelli sintetizzati con un valore IC50 di 2 μM, paragonabile a quello di Imatinib (IC50=1 μM). Si è visto inoltre che il derivato 19 potrebbe anche inibire AblT315I, una forma frequentemente mutata che causa resistenza a Imatinib, con un valore IC50 di 1.1 μM. 19 si è anche dimostrato un potente inibitore delle cellule di PDGFR (IC50 = 2.7 μM) ed è risultato citotossico verso le cellule EOL-1 (IC50=0.1 μM).

7. Inibitori ibridi PI3K/HDAC

La fosfatidilinositolo 3-chinasi (PI3K) è un enzima della famiglia delle chinasi implicato in una via di trasduzione dei segnali chimici attraverso la membrana cellulare (via di segnalazione PI3K). La PI3K30 agisce fosforilando un fosfolipide della membrana cellulare, il fosfatidilinositolo (nello specifico, il gruppo OH in posizione 3 dell'anello benzenico del fosfatidilinositolo), che diventa fosfatidilinositolo-trifosfato; il fosfolipide così fosforilato attiva il reclutamento di proteine che consentono il trasporto attraverso la membrana. La via di segnalazione PI3K è implicata nell’attivazione dei recettori per l’insulina e per la leptina.

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Figura 23. Strutture di inibitori PI3K contenenti un gruppo morfolinico

In realtà, PI3K è una famiglia di enzimi intracellulari, suddivisa in tre classi sulla base della sequenza omologa e della specificità per il substrato. La disregolazione di PI3K e delle relative molecole a valle ha un ruolo importante nella iniziazione, nella crescita, nella proliferazione e nella sopravvivenza delle cellule tumorali. Pertanto, PI3K si trova spesso in uno stato attivato in molti tipi di cancro.

Al momento, diversi inibitori PI3K sono in trial clinico per il trattamento del cancro come monoterapia o in combinazione con altri farmaci, tra cui Apitolisib (20 in Figura 23) e Pictilisib (21 in Figura 23). Tuttavia, la sola inibizione della via del PI3K è sempre problematica poiché esistono altri percorsi correlati alla sopravvivenza e alla crescita che vengono attivati contemporaneamente. Numerose prove hanno riportato che gli inibitori HDAC sono in grado di interrompere più percorsi e sono noti per la sinergia con gli inibitori dell’enzima PI3K.

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Per risolvere il problema dell’inibizione della sola via del PI3K, Qian e collaboratori31 sono stati i primi ad aver descritto la progettazione razionale di un composto multitarget, CUDC-907 (24, Figura 25). È stato prima eseguito un esperimento per confermare che la combinazione di un HDACi, come Vorinostat, e un potente inibitore PI3K, come Pictilisib, potesse produrre un effetto sinergico sull'inibizione della crescita della linea cellulare PC-3 di cancro alla prostata. L'indice di combinazione era significativamente minore di 1 e questo ha fornito le basi razionali per lo sviluppo di inibitori duali di PI3K e HDAC. Sulla base del risultato appena descritto, gli autori hanno incorporato una porzione ZBG (acido idrossamico) nel gruppo farmacoforico della morfolinopirimidina, che si trova frequentemente negli inibitori PI3K, quali Apitolisib, Pictilisib, PI-103 (composto 22, Figura 23) e BKM-120 (composto 23, Figura 23). È interessante sottolineare che l’anello della morfolina ha dimostrato di essere essenziale per l'attività inibitoria verso PI3K, a causa del fatto che si instaura un legame idrogeno tra l'atomo di ossigeno della morfolina e l’idrogeno del residuo di Valina882 posto nella regione cerniera del dominio di legame dell’ATP (ATP binding domain). La molecola CUDC-907 (24 in Figura 25) è un inibitore multitarget di prima classe della proteina chinasi PI3K, attivo per via orale, ottenuto attraverso questa strategia:

- inibisce PI3K con valori di IC50 di 19, 54 e 39 nM per PI3Ka, PI3Kβ e PI3Kδ, rispettivamente

- è anche un potente inibitore di HDAC, contro HDAC di classe I e II; La sua potenza per le HDAC di classe I è paragonabile a quella di Panobinostat e maggiore di quella di Vorinostat, come mostrato nella figura 24.

Figura 24. Inibizione delle attività enzimatiche degli inibitori HDAC da Vorinostat (1) al composto numero 11 in figura 17 rispetto al composto CUDC-907 (24 in figura 25)

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Grazie alla sua attività inibitoria per HDAC, CUDC-907 (24, Figura 25) potrebbe stabilmente inibire l'attivazione della via PI3K-AKT-mTOR e delle molecole segnale compensatorie incluse RAF, MEK, MAPK e STAT-3, nonché di RTK a monte, così come evidenziato dall’analisi in Western Blot eseguita con una concentrazione di 100 nM.

In vitro, CUDC-907 (24, Figura 25) induce apoptosi e arresta il ciclo cellulare nella fase G2-M delle cellule tumorali HCT-116, mediante l'attivazione delle caspasi-3 e caspasi-7. CUDC-907 mostra anche un promettente indice terapeutico nei tumori dipendenti dalla mutazione del gene MYC come il linfoma a cellule B. In un modello animale in vivo di linfoma non-Hodgkin di Daudi (tumore maligno che origina dai linfociti, cellule principali del sistema immunitario), la somministrazione orale di CUDC-907 inibisce la crescita tumorale in modo dose-dipendente. La stasi del tumore è stata osservata a 100 mg/kg senza tossicità. In particolare, CUDC-907 (100 mg/kg) si è rivelato più efficace di Vorinostat e Pictilisib, somministrati alle loro dosi massime tollerate (120 e 150 mg/kg, rispettivamente), e migliore anche di una combinazione di Vorinostat e Pictilisib (dosi di 60 e 75mg/ kg, rispettivamente). Lo studio dell'attività antitumorale in vivo ha evidenziato che CUDC-907 inibisce HDAC, come dimostrato dall'accumulo di istoni acetilati H3 e PI3K risultanti da una diminuzione in p-AKT. Inoltre, gli studi farmacocinetici hanno mostrato che questa molecola possiede una biodisponibilità orale di circa 2 volte superiore a Vorinostat.

In uno studio clinico di fase 1 per valutare la sicurezza, la tollerabilità e l’attività preliminare di CUDC-907 in pazienti con recidiva o linfoma refrattario oppure mieloma multiplo, 5 su 37 (14%) sono i pazienti che hanno ottenuto la risposta attesa (due risposte complete e tre risposte parziali). CUDC-907 è attualmente sottoposto a uno studio clinico di fase II in pazienti con linfoma e in pazienti con carcinoma tiroideo avanzato. Tuttavia, la resistenza acquisita rimane una sfida per il suo uso terapeutico.32

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A questo proposito, il sistema di trasporto ABCG2 (ATP-binding cassette subfamily G member 2), gioca un ruolo centrale nello sviluppo della resistenza verso CUDC-907; la terapia combinata con un inibitore di ABCG2 dovrebbe rappresentare una buona strategia per migliorare la farmacocinetica e l’efficacia di CUDC-907.

Sulla base della molecola CUDC-907, Chen e collaboratori33,34 hanno progettato e sintetizzato una serie di nuovi inibitori ibridi PI3K/HDAC. Considerando che il nucleo purinico si ritrova come scaffold principale in molti inibitori di PI3Ks e che il nucleo della morfolina è essenziale per avere l'attività farmacologica, gli autori hanno progettato nuovi ibridi sostituendo la parte morfolinopirimidina, presente in CUDC-907, con una morfolinopurina. Tutti i composti ottenuti hanno mostrato forte attività inibitoria verso HDAC1.

Figura 25. Strutture di inibitori ibridi PI3K/HDAC

Il sostituente nella posizione C-2 della morfolinopurina ha un forte effetto sull'inibizione di PI3K. Un gruppo fenilico in questa posizione risulta dannoso, mentre una pirimidina nella posizione C-2 della morfolinopurina, come nei composti 25 e 26 in figura X, produce l'atteso duplice effetto inibitorio verso PI3Ka e HDAC1. I valori IC50 di 25 per HDAC1 e PI3Ka sono rispettivamente 1.14 e 28.06 nM. Il derivato numero 26 (Figura 25) mostra valori di IC50 per HDAC1 e PI3Kα

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inferiori (1.04 e 1.33 nM, rispettivamente) rispetto a quelli di CUDC-907 (1.7 e 19 nM).

Il derivato 26 ha mostrato anche, in vivo, un’attività antiproliferativa verso le cellule MV4-11 in un modello xenograft di topo NOD/SCID (i topi NOD/SCID sono topi con una severa immunodeficienza) alla dose di 10 mg/kg per via endovenosa; la velocità di crescita della massa tumorale viene ridotta del 45.1%. Al contrario, il composto Vorinostat (utilizzato come controllo positivo) in questo modello non ha mostrato alcuna attività inibitoria al dosaggio intraperitoneale di 50 mg/kg.

8. Inibitori ibridi c-Src/HDAC

La proteina c-Src è un proto-oncogene tirosin-chinasico che svolge un ruolo chiave in molti aspetti della fisiologia cellulare, regolando diversi processi cellulari tra cui divisione, motilità, adesione, angiogenesi e sopravvivenza. In molti casi è sovraespresso nei tumori e la sua espressione sembra essere correlata con il potenziale maligno del tumore stesso.

Allo scopo di identificare molecole che possano modulare l’attività di c-Src, Soellner e collaboratori35 hanno studiato una piccola libreria di inibitori già noti per l’interazione con altri target, identificando l'HDACi Panobinostat per il suo effetto altamente sinergico con l’inibizione di c-Src. Questo risultato è stato attribuito alla capacità di Panobinostat di abbassare i livelli di c-Src attraverso la repressione della trascrizione del gene SRC.

Sulla base degli effetti che si verificano per interazione tra c-Src e gli HDACi sono stati progettati e sintetizzati una piccola serie di inibitori chimerici capaci di inibire sia la c-Src che l’HDAC. Come lead compound è stato utilizzato PP2-alkyne (27, Figura 26), un inibitore selettivo della Src chinasi caratterizzato da un gruppo alchino nella sua struttura. Il gruppo ZBG è stato poi inserito mediante un linker

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triazolico sintetizzato con il metodo "click chemistry": si è ottenuto così il derivato 28 (Figura 26).

Figura 26. Inibitori ibridi c-Src/HDAC

È ampiamente validato infatti che HDACi contenenti un triazolo come linker possiedono eccellenti attività inibitorie dell'HDAC. In particolare, il derivato 28 (Figura 26) si è dimostrato un inibitore potente e con azione su c-Src chinasi e HDAC1, con valori di Ki = 138 e 0,26 nM, rispettivamente.

A livello cellulare, il composto 28 inibisce in modo potente la proliferazione della linea cellulare SK-BR-3 con valori di GI50 (concentrazione che inibisce il 50% della crescita cellulare) di 0.2 μM, risultando più efficace di Vorinostat (GI50 = 1.2 μM), PP2-alkyne (GI50 = 4,8 μM) da soli o in combinazione 1: 1 (GI50 = 0.8 μM).

Inoltre, nello screening NCI-60 (gruppo di 60 linee cellulari cancerogene umane utilizzate dal National Cancer Institute per lo screening di composti con una certa attività antitumorale), il derivato 28 ha mostrato ancora un’elevata efficacia contro tutte le linee di cellule tumorali, comprese MCF-7 (GI50=0.35 μM) e KM12

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(GI50=0.47 μM), linee cellulari meno suscettibili al trattamento singolo con Vorinostat (GI50=2.19/1.88 μM) o Dasatinib, un doppio inibitore di Abl/Src (GI50=8.32/7.44 μM). Pertanto, tutti questi risultati dimostrano che 28 è un inibitore ibrido Src/HDAC di successo.

9. Inibitori ibridi JAK / HDAC

Le janus chinasi36sono una famiglia di proteine tirosina chinasi non recettoriali che

trasducono segnali mediati dalle citochine attraverso la via metabolica JAK-STAT; questa via trasduce il segnale generato dall'attività delle citochine e dei fattori di crescita a una risposta intracellulare, provocata dall'azione delle proteine STAT (proteine trasduttrici del segnale ed attivatore della trascrizione) attivate, che, una volta nel nucleo cellulare, modificano l'espressione genica. La famiglia delle JAK consta di 4 membri (JAK1, JAK2, JAK3 E TYK2) con una generica distribuzione tissutale uniforme, eccetto per la JAK3 la cui espressione è ristretta a livello emopoietico.

Sono proteine coinvolte nella crescita, nella sopravvivenza, nello sviluppo e nella differenziazione di una varietà di cellule. Studi genetici hanno identificato una mutazione somatica JAK2V617F che attiva la via JAK-STAT nella maggior parte dei pazienti con neoplasie mieloproliferative (MPNs), consentendo una migliore comprensione della loro patogenesi. Dopo la scoperta di questa mutazione, sono stati rapidamente sviluppati degli inibitori di JAK per il trattamento delle MPN. D'altra parte, alcuni HDACi si sono dimostrati efficaci contro le MPN sia come molecole singole che in combinazione con inibitori JAK2. Pertanto, la doppia inibizione di JAK/HDAC in una singola molecola potrebbe rappresentare un’interessante nuova strategia antitumorale.

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50 Figura 27. Inibitori ibridi JAK2/HDAC

In questo ambito, il gruppo di Dymock37 ha progettato un nuovo HDACi ibrido, derivato dalla combinazione della struttura di un inibitore selettivo di JAK2, quale Pacritinib (29 in Figura 27), con quella di Vorinostat, allo scopo di sviluppare singole molecole con una doppia attività inibitoria JAK2/HDAC. Poiché molti potenti inibitori di HDAC sono caratterizzati da una struttura macrociclica, come ad esempio Romidepsin (2 in Figura 14), l’intuizione di Dymock è stata che l'anello macrociclico di Pacritinib potesse costituire un gruppo Cap utile per l’inibizione di HDAC. Inoltre, si suppone che la presenza di un gruppo Cap ingombrante possa conferire una certa isoforma-selettività agli HDACi. D'altro canto, l'anello pirrolidinico presente sulla catena laterale di Pacritinib si trova in una regione esposta al solvente e non è coinvolto in alcuna interazione con JAK2. Sulla base di questi presupposti, gli autori hanno scelto di inserire qui il gruppo che lega HDAC, per non compromettere l'attività inibitoria verso JAK2. È stato così ottenuto il

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