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La poesia concreta e i suoi interpreti scozzesi: Ian Hamilton Finlay ed Edwin Morgan

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione ... 1 1. Poesia concreta ... 3 1.1. Sviluppo ... 5 1.2. Poesia universale ... 15 1.3. Iconicità ... 20 1.4. Poesia modernista ... 31

1.4.1. Pound e Joyce: il metodo ideogrammatico ... 33

1.5. Forerunners e antecedenti... 39

2. Ian Hamilton Finlay ... 48

2.1. Verso la poesia concreta ... 50

2.2. La pittura e l’omaggio: Rapel ... 56

2.3. Il mare e la navigazione ... 62

2.4. La distanza: metafore e metamorfosi ... 71

2.5. Guerra e conflitto ... 80

2.5.1. L’emblema ... 81

2.5.2. Il Nazismo e la Rivoluzione Francese ... 86

2.6. Little Sparta ... 92

3. Edwin Morgan ... 98

3.1. La “prima” vita ... 100

3.2. L’incontro con la poesia concreta e The Second Life ... 103

3.3. I Newspoems e la poesia emergente ... 115

3.4. Poesia permutazionale e computer generated poems ... 124

3.5. Gli Instamatic Poems e lo spazio cosmico ... 131

3.6. Animali parlanti: The Horseman’s Word ... 138

4. Conclusioni ... 145

Lista delle illustrazioni ... 149

Bibliografia ... 151

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1

Introduzione

Con il termine “poesia concreta” si indica un vasto catalogo di esperienze poetiche, diversificate nella forma e nello stile, che fanno capo a sperimentazioni successive alla Seconda Guerra Mondiale. Ciò che accomuna queste originali testimonianze artistiche è sicuramente una nuova visione del ruolo della poesia nel mondo – divenuta un oggetto funzionale nella società, riflesso della sempre crescente concitazione dei tempi – così come di quello del linguaggio, non più concepito unicamente come un mezzo della comunicazione poetica ma piuttosto come il suo fine. Questa poesia, dalla forma quanto mai attuale, rispecchia a pieno la multimedialità e l’ibridismo dell’era moderna, il cui sapere non si articola più in una serie di nozioni sequenziali, ma in una rete di informazioni, internet appunto, che la poesia concreta sembra anticipare. Come si vedrà, questa poesia ha lanciato notevoli sfide alla critica, che l’ha assimilata alle arti più disparate, tra cui l’architettura, la musica e più di tutte la pittura, rilanciando spesso l’annosa discussione sull’ut pictura poesis. Tale eterogeneità, inoltre, porta la poesia concreta a mantenere ancora oggi una posizione instabile quanto a status letterario, poiché ad essere messa in discussione è stata, nei casi più estremi, la sua appartenenza ad una qualsiasi categoria letteraria. Ciò rende quindi ardua una definizione netta ed univoca di questa forma poetica.

Nello specifico, la tesi tratta del movimento concreto e della sua diffusione in Europa e in particolare dei suoi due più celebri interpreti scozzesi, Ian Hamilton Finlay ed Edwin Morgan. Nel primo capitolo, dedicato alle origini e allo sviluppo del movimento concreto, viene proposto un campione degli autori europei e brasiliani con le loro interpretazioni specifiche. Allo stesso tempo, si chiariscono i caratteri tipici del genere letterario, quali iconicità, oggettività, economia del linguaggio e l’utilizzo dello spazio grafico come elemento strutturale e semantico del testo. Analizzando modelli letterari e non, vengono individuati numerosi punti di contatto soprattutto con la pittura – in particolar modo quella cubista e neoplastica – e le tecniche cinematografiche del regista Eisenstein. Attraverso gli scritti teorici del movimento, vengono inoltre discussi gli antecedenti letterari che hanno influenzato la poesia concreta, come il metodo ideogrammatico di Pound e Joyce e in generale l’ideologia modernista, così come i modelli formali di Mallarmé e Apollinaire.

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Il secondo capitolo, quindi, affronta dapprima il percorso di Finlay verso la poesia concreta e il conseguente e definitivo abbandono della scrittura “tradizionale”. La passione per la pittura, insieme ad una spiccata abilità manuale, portano lo scrittore ad elaborare una poesia dal forte impatto visivo, che tende sempre di più, con il passare degli anni, all’architettura e alla simbiosi con l’ambiente naturale. Dalla prima raccolta, con la quale rende omaggio alle figure più importanti della pittura cubista e suprematista, il poeta intraprende un percorso artistico all’insegna della reificazione dell’esperienza umana, in equilibrio tra il riparo della cultura e il caos del mondo. Per mezzo della poesia concreta, concepita come “a model of order in a space full of doubt”, Finlay affronta gli elementi naturali, il mare soprattutto, e le forze violente della natura. Le piccole e grandi imbarcazioni, tra i suoi soggetti prediletti, si trasformano in limoni, alveari e leoni tramite “rime” visuali e metafore particolarissime che sottolineano la distanza tra gli oggetti paragonati piuttosto che i tratti comuni. La natura crudele e selvaggia viene invece rappresentata tramite le sue incarnazioni storiche, quali i protagonisti della Rivoluzione Francese, i simboli del Nazismo e i moderni armamenti. Temi, stili e opere si fondono, infine, nell’ultima e perpetua realizzazione del giardino di Little Sparta, vero apice della creazione concreta finlayiana.

Nel terzo capitolo, infine, si racconta come un’instancabile passione per la parola, unita ad una mente agile ed eclettica, abbia portato Morgan, futuro primo Makar di Scozia, all’incontro con la poesia concreta. Dopo una prima fase della propria vita, cupa e limitante come i toni delle prime raccolte pubblicate, il poeta si realizza emotivamente e professionalmente solo negli anni Sessanta, durante i quali si sente libero di sperimentare nuove forme poetiche. Tramite la found poetry e la personale variante, la poesia emergente, Morgan si apre dunque a nuove prospettive, abbracciando anche temi generalmente poco frequentati dai poeti, tra cui la scienza e la tecnologia. Così, oltre ad opere prettamente visuali, come quelle contenute nella raccolta The Second Life, l’autore crea i cosiddetti computer generated poems, in cui la macchina prende il posto dell’artista, e gli Instamatic, in cui la comunicazione è affidata alla fotografia “raccontata”. Questi linguaggi, però, non sono gli unici analizzati dal poeta, che crede che “niente non mandi messaggi”. Per questo, Morgan, lascia che anche animali, mostri e ortaggi si esprimano liberamente, fondendo le loro voci a quella umana in una comunicazione universale, quella della poesia concreta.

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1. Poesia concreta

Nel 1963 il poeta francese Pierre Garnier definisce la poesia concreta come segue: “working with language material, creating structure with it, transmitting primarily esthetic information” e la raggruppa insieme alla poesia fonetica, oggettiva, visuale, fonica, e cibernetica, come sottogenere di una poesia cui “can be given the general name of Spatial”1. Tre anni dopo, Mike Weaver, in un articolo apparso in The Lugano

Review, suddivide più semplicemente il genere concreto in poesia visuale (o ottica), fonetica (o sonora) e cinetica (che si muove in successione visuale)2. Le tre tipologie

possono essere illustrate rispettivamente da “Pomander” di Edwin Morgan (p. 93), nel secondo da una poesia senza titolo di Bob Cobbing3 (di seguito), e nell’ultimo da

“Sweethearts”4 di Emmett Williams (p. 32).

wan do tree fear fife seeks siphon eat neighing den elephan’ twirl

Caratteristica fondamentale della poesia concreta è sicuramente l’inconsueto grado di attenzione che essa rivolge nei confronti delle dimensioni “materiali” del linguaggio in ambito spiccatamente visivo, spesso sonoro ed eccezionalmente mobile-tattile. Questo marcato interesse porta i poeti concreti a studiare caratteristiche quali l’estensione, la grandezza, la posizione e il font del segno sulla pagina, considerando quindi la dimensione spaziale della scrittura, per cui si può affermare che:

In its simplest definition concrete poetry is the creation of verbal artefacts which exploit the possibilities, not only of sound, sense and rhythm – the traditional fields of poetry – but also of space, whether it be the flat, two-dimensional space of letters on the printed page, or the three-dimensional space of words in relief and sculptured ideograms5.

1 P. GARNIER, “Position I du mouvement international”, 1963, tr. in M. E. SOLT, Concrete Poetry: a

World View, Bloomington, Indiana University Press, 1970, p. 79.

2 M. WEAVER, “Concrete Poetry”, in The Lugano Review, vol. 1, n. 5/6, 1966, pp. 100-125. 3 B. COBBING, “Six Sound Poems”, in WFF 4, London, Writers Forum, 1970, cardboard 2. 4 E. WILLIAMS, Sweethearts, New York, Something Else Press, 1968.

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Lo spazio tipografico e talvolta quello reale circostante divengono quindi elemento strutturale fondante e, allo stesso tempo, sono coinvolti nella creazione del significato dell’opera, con il quale la sua forma s’identifica. Ancor più generalmente possiamo dire che "all definitions of concrete poetry can be reduced to the same formula: form=content/content=form”6. E’ la stessa identità che riscontriamo, ad esempio,

nella musica, se è vero che in essa “the end is not distinct from the means, the form from the matter, the subject from the expression; they inhere in and completely saturate each other”7. Se per Pater tutte le arti aspirano a questa condizione, ciò è

vero anche per la poesia concreta: in quest’ultima il linguaggio non è solo il medium attraverso cui avviene la comunicazione poetica, ma anche la meta verso cui essa aspira, è il soggetto del lavoro e contemporaneamente il suo modo di esprimersi. Content=form significa che l’argomento principale dell’opera è il suo materiale verbale, ossia ciò che forma la struttura e l’apparenza del testo. Allo stesso modo con form=content si intende che la forma, cioè il processo di manipolazione del contenuto, è a sua volta un aspetto da comprendere in chiave semantica.

E’ quindi evidente che, a differenza della poesia tradizionale, il cui significato può essere compreso solo attraverso un processo di lettura e quindi di interpretazione di un contenuto puramente semantico del segno verbale, la poesia concreta appare, seppur a livello superficiale, immediatamente fruibile da un destinatario che possiamo definire lettore-spettatore. Registrando la realtà in maniera quasi iconica, grazie allo sfruttamento del canale visivo ed acustico della comunicazione – verbale e non – la poesia concreta riesce a comunicare al di là del significato delle parole, che anzi viene di sovente messo da parte per lasciar spazio all’elemento del significante, sia in quanto parola stampata, sia in termini di suono, colore o spazio tipografico. Il linguaggio va incontro ad un processo di oggettivazione, inteso non solo a livello tematico, ma in quanto evoluzione tridimensionale di una materia viva, percettibile e palpabile. Esso, infatti, concentrato e ridotto all’osso, nella sua fisicità costituisce una realtà autonoma, registrabile, di “oggetto funzionale”. A tal proposito sempre Garnier, nel suo manifesto “Position I du mouvement international”, si esprime come segue:

These kinds of poetry tend to become objective, that is to say to be no longer either the vehicles of moral or philosophical content or the expression of a social ego that asks itself in vain “Who am I?”, but the liberation of an energy, the sharing of

6 M. E. SOLT, op. cit., p. 13.

7 W. PATER, The Renaissance, in W. E. BUCKLER (ed.), Walter Pater: Three Major Texts (The Renaissance,

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aesthetic information, the objectivation of a language, the latter being conceived of as an autonomous universe (containing other universes as it is contained in them, from whence its authenticity). All of these poets are heading toward that ideal point where the word creates itself, liberating thus a universal reality8.

1.1. Sviluppo

Questa qualità “universalizzante” della poesia concreta si manifesta già dalle sue prime sperimentazioni, germogliate quasi contemporaneamente in diverse nazioni, da poeti che inizialmente non conoscevano ciascuno l’operato dell’altro. I tentativi iniziali risalgono alla prima metà degli anni ‘40 con i lavori dell’italiano Carlo Belloli – considerato un precursore della poesia concreta – seguiti, intorno agli anni ‘50, da quelli dello svizzero Eugen Gomringer – padre fondatore del concretismo letterario – e del gruppo brasiliano Noigandres, composto da Decio Pignatari e i fratelli Augusto e Haroldo De Campos. La data ufficiale della nascita del movimento viene fatta risalire al 1955, anno dell’incontro ad Ulm tra Gomringer e Pignatari, che da quel momento si rendono conto di aver percorso inconsapevolmente strade parallele. Un anno dopo, in occasione della prima Esposizione Nazionale di Arte Concreta, la nuova forma poetica viene ufficialmente battezzata “poesia concreta”, denominazione già utilizzata dai brasiliani e dal poeta svedese Ӧyvind Fahlstrӧm, che nel 1953 aveva pubblicato il “Manifest fӧr konkret poesie”. Gomringer, invece, definiva le sue opere “costellazioni”, mettendo in risalto la componente spaziale di cui si è accennato in poc’anzi. Nel manifesto del 1954, “Vom vers zur konstellation”, egli dà la seguente definizione:

The constellation is the simplest possible kind of configuration in poetry which has for its basic unit the word, it encloses a group of words as if it were drawing stars together to form a cluster. […] It is a reality in itself and not a poem about something or other. It is an invitation9.

L’invito viene rivolto alla nuova figura chiave di questa poesia, il lettore, non più personaggio passivo della comunicazione poetica, ma partecipante attivo al processo di creazione della parola, nonché di liberazione della già citata “universal reality”. Le opere di Gomringer, sembrano infatti composte da parole all’apparenza disperse a caso sulla carta ma, proprio come i gruppi di stelle disgiunte mostrano allo spettatore attento articolate forme nel cielo, così tali parole lasciano “the task of association to the reader, who becomes a collaborator and, in a sense, the completer of the poem”10.

8 P. GARNIER, op. cit., p. 79.

9 E. GOMRINGER, From Line to Constellation, 1954, in M. E. SOLT, op. cit., p. 67.

10 E. WILLIAMS (ed.), An Anthology of Concrete Poetry, New York, Something Else Press, 1967,

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“Avenidas”, la prima costellazione completa, fu scritta nel 1952 dopo svariati tentativi svolti nell’anno precedente11 e confluisce, insieme ad altre, nella prima raccolta, nel

195312. Come si può vedere Gomringer vi utilizza solo quattro sostantivi che si

ripetono senza ulteriori specificazioni, considerate non solo superflue ma persino futili, poiché le strade, i fiori e le donne non necessitano di nessun fronzolo o abbellimento, “they become beautiful simply because they are what they are”13.

avenidas avenidas y flores flores flores y mujeres avenidas avenidas y mujeres

avenidas y flores y mujeres y un admirador

Parallelamente, nel 1952 Pignatari e i De Campos danno vita al gruppo Noigandres, scegliendo un termine preso dal XX Canto di Pound impossibile da definire, ma che proprio per questo si adatta perfettamente all’innovativo programma dei poeti brasiliani, che prende corpo con le prime opere di Augusto, i “Poetamenos” del 1953. Queste opere sono caratterizzate da un intenso utilizzo del colore, volto non solo a mostrare la tematica, ma anche a dirigere la lettura, ponendosi in relazione a concetti musicali come la dodecafonia cromatica di Schӧnberg e il Klangfarbenmelodie di Webern14. In “eis os amantes”15 (Fig. 1, pag. seguente), per esempio, le due diverse

colorazioni simboleggiano una sorta di scambio di battute tra i corpi degli amanti che si toccano, fondendo i rispettivi concetti di uomo e donna nell’atto del concepimento.

Successivamente, i tre poeti fondano la rivista NOIGANDRES, nel cui numero 2 del 1955 viene usato per la prima volta il termine “poesia concreta”, che ha subito successo. Gomringer stesso confessa, infatti, a Pignatari che prima di far ricadere la scelta su “costellazione” in onore di Mallarmé, anche lui aveva pensato ad utilizzare tale etichetta16.Lo scrittore francese è infatti considerato un precursore del neonato

genere letterario e viene citato in quanto tale, insieme ad Apollinaire, Joyce, Pound e

11 E. GOMRINGER, “The First Years of Concrete Poetry”, in Form, n. 4, 1967, pp. 17-18.

12 E. GOMRINGER, Konstellationen = constellations = constelaciones: [Gedichte], Bern, Spiral Press, 1953,

p. non num.

13 M. E. SOLT, op. cit., p. 9.

14 A. S. BESSA, “Sound as Subject: Augusto De Campos ‘s Poetamenos”, in M. PERLOFF e C. DWORKIN

(eds.), The Sound of Poetry, The Poetry of Sound, Chicago, University of Chicago Press, 2009, pp. 219-236.

15 A. DE CAMPOS, “Poetamenos”, 1953, in NOIGANDRES, n. 2, São Paulo, 1955, p. 4.

16 E. GOMRINGER, Lettera a Pignatari, 30 agosto 1956, in A. DE CAMPOS, D. PIGNATARI e H. DE

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cummings, nel più importante manifesto della poesia concreta, il “Pilot Plan for Concrete Poetry”, pubblicato nel 1958. In esso si legge:

Concrete poem […] creates a specific linguistical area – “verbivovisual” – which shares the advantages of nonverbal communication, without giving up word’s virtualities. With the concrete poem occurs the phenomenon of metacommunication: coincidence and simultaneity of verbal and nonverbal communication17.

Qui si tocca l’apice del cosiddetto concretismo puro o classico, più razionale e dogmatico rispetto alle aperte sperimentazioni degli anni ‘60.

Fig. 1

Il 1963 vede poi la pubblicazione, da un lato, della prima raccolta di poesia concreta in lingua inglese (ad opera di Finlay, come si vedrà), e dall’altro, di un nuovo manifesto, che diverrà fondamentale: la già accennata “Position I du Mouvement International” di Garnier, sottoscritta e firmata da autori di nazionalità diverse, tra cui gli scozzesi Morgan e Finlay, gli inglesi John Furnival e Dom Sylvester Houédard, il giapponese Kitasono Katué e lo stesso Gomringer. Il 1964 è invece l’anno della “First International Exhibition of Concrete and Kinetic Art”, organizzata a Cambridge da Stephen Bann unitamente a Red Gadney, Paul Steadman e Mike Weaver – allora redattori della rivista Granta – a cui seguono, l’anno dopo, la “2nd International

Exhibition of Sperimental Poetry” ad Oxford e l’esposizione “Between Poetry and

17 A. DE CAMPOS, D. PIGNATARI e H. DE CAMPOS, “Pilot Plan for Concrete Poetry”, 1958, in M. E. SOLT,

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Painting” a Londra. A ciò bisogna aggiungere la crescente pubblicazione di articoli dedicati alla poesia concreta in riviste come The Times Literary Supplement, Image18 e

Form, che garantiscono una sempre maggiore notorietà al movimento letterario. Di fatto, la metà degli anni ‘60 diviene il fertile fulcro della sperimentazione: basti pensare allo Spatialisme di Garnier e alla sua “machine poetry”, al cosiddetto typoet tedesco Hansjӧrg Mayer, alla ”Action Poetry” di Bernard Heidsieck o allo sviluppo della poesia sonora in più di una nazione. Esempio della prima è “texte pour une architecture”19 (1965) (Fig. 2), in cui Garnier rende possibile la liberazione

dell’energia delle parole tramite l’uso della macchina da scrivere, atomizzando il termine cinema per mezzo dello spostamento di ciascun verso a destra. In modo analogo, Mayer, con la sua “Typoactionen”20, ricerca una tensione tra semantica e

tipografia, sfruttando una tecnica affine all’action painting, ma eseguita con la macchina da scrivere. Heidsieck, d’altra parte, persegue un ritorno della poesia “al mondo” grazie a supporti meccanici che possano registrare tutto ciò che concerne la realtà: la sua poem-partition “La Penetration”21 costituisce una poesia da ascoltare,

eseguita come performance simultanea delle due voci che la compongono, in concomitanza di suoni e rumori spesso accidentali.

Fig. 2

18 S. BANN, “Communication and Structure in Concrete Poetry” e M. WEAVER, “Concrete and Kinetic:

the Poem as Functional Object”, in Image, 1964, pp. 8-9 e 14-15.

19 E. WILLIAMS, Anthology, cit., p. non num.

20 H. MAYER, typoactionen, Frankfurt, Typosverlag, 1967.

21 B. HEIDSIECK, Partition V, Paris, Le Soleil Noir, 1973. “La Penetracion”, disco 3, lato B. Web:

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Per quanto riguarda, invece, la poesia sonora, va ricordato senz’altro il poeta austriaco Ernst Jandl, che con i suoi sprechgedichte (poesie da dire), ha dato vita a opere composte interamente da suoni non verbali, che non per questo risultano meno efficaci nella comunicazione: a dimostrazione di ciò la celebre “Schtzngrmm”22 (1957)

riesce a trasmettere l’atmosfera bellica anche ai lettori non germanofoni, che non possono quindi comprendere la derivazione dei suoni dal termine tedesco per “trincea” schützengraben. schtzngrmm schtzngrmm t-t-t-t t-t-t-t grrrmmmmm t-t-t-t s---c---h tzngrmm tzngrmm tzngrmm grrrmmmmm schtzn schtzn t-t-t-t t-t-t-t schtzngrmm schtzngrmm tssssssssssssss grrt grrrrrt grrrrrrrrrt scht scht t-t-t-t-t-t-t-t-t-t scht tzngrmm tzngrmm t-t-t-t-t-t-t-t-t-t scht scht scht scht scht grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr t-tt

Allo stesso modo non bisogna dimenticare la poesia sonora del francese Henri Chopin, che nel 1962 si era rifiutato di firmare la Position I per affermare, in quella che appare una risposta al manifesto del connazionale, la sua volontà di svincolarsi dalla schiavitù della all-powerful Word, per privilegiare invece gli “a-significant

22 E. JANDL, “Schtzngrmm”, in Alles Lalula. Songs und Poeme, Frankfurt, Eichborn, 2003, CD 2, n.

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human sounds, without alphabeth, without reference to an explicative clarity”23. Essi,

infatti, non spiegano come fa la Parola, ma trasmettono direttamente le emozioni, suggeriscono scambi di comunicazione effettiva: il suono “does not state precisely, it is precise”. Sempre nell’ambito delle sperimentazioni sonore, rientra la poesia fonetica del belga Paul De Vree, di cui “Vertigo Gli”24 (1963) è esempio. Nonostante la

sua forma stampata, essa è una poesia destinata alla sonorizzazione elettrica. La sua struttura è basata sulla sillaba gli, radice del termine “scivolare” in francese e olandese, che identifica la vita come un viaggio vertiginoso. L’opera differisce dalla poesia sonora di Chopin in quanto basata sull’utilizzo di parole e sillabe, oltre che di attrezzature meccaniche come il registatore, al fine di dar vita ad una lettura collaborativa dell’opera.

Infine, è d’obbligo menzionare Bob Cobbing e il suo Concrete Sound, sviluppatosi a partire dalle sperimentazioni nell’ambito della poesia concreta, considerata “a return to an emphasis on the physical structure of language – the sign made by the voice, and the symbol for that sign made on paper or in other material and visible form”25.

Artista visuale prima che poeta sonoro, Cobbing non abbandona mai, infatti, la dimensione visiva del testo. Le versioni scritte delle sue opere non costituiscono mere guide per la performance orale, ma vere e proprie poesie che possono essere apprezzate anche senza conoscerne le interpretazioni sonore, sebbene tale approccio sminuisca la loro qualità intermediale. L’importanza del canale visivo scaturisce dalla stretta relazione che il poeta intesse tra la dimensione tipografica e il suono associato al segno verbale, considerati due facce della stessa medaglia, ovvero il significante linguistico. “In early human history, reading was conducted out loud, however private and quiet” – ci dice Sheppard – ed è uno degli obiettivi di Cobbing “to regain that somatic response to text, not to close the gap between the signifier and the signified (in which he has little interest), but to put into a new relation with one another the graphic signifier and the sonic signifier”26. La raccolta Sonic Icons27, ad esempio,

esemplifica l’interdipendenza delle due dimensioni già a partire dal titolo, in cui

23 H. CHOPIN, ““Why I Am the Author of Sound Poetry and Free Poetry” 1967, in M. E. SOLT, op. cit.,

questa e la successiva citazione a p. 81.

24 P. DE VREE, Vertigo Gli, 1963, performance. Web: https://www.fondazionebonotto.org, 27/02/19. 25 B. COBBING in S. McCAFFERY and bpNICHOL (eds.), Sound Poetry: A Catalogue, Toronto, Underwhich

Editions, 1978, p. 102.

26 R. SHEPPARD, “The Ballet of the Speech Organs: The Poetry of Bob Cobbing 1965–2000”, in R.

SHEPPARD, The Poetry of Saying: British Poetry and its Discontents 1950–2000, Liverpool, Liverpool University Press, 2005, pp. 224-225.

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ciascuna parola costituisce l’anagramma dell’altra, mentre Jade-Sound: Poems28 mette

a durissima prova il lettore, rendendogli quasi impossibile la vocalizzazione dei testi in essa contenuti, come si può notare dall’opera senza titolo qui di seguito.

Fig. 3

Come molte delle altre poesie incluse nella raccolta, quest’ultima comprende infatti lettere di diversi alfabeti (ai caratteri inglesi k, x, v, o, M e y viene aggiunta quella che appare una lambda) come pure segni grafici (qui “!”). In particolare, il punto esclamativo, posto in una posizione che viene percepita come il principio del testo, contribuisce a destabilizzare il lettore, che non sa come reagire ad un uso non convenzionale del segno. Continuando a guardare il testo, tuttavia, la “o” appare quasi come l’asse di rotazione della colonna di lettere rappresentata, cosicché la M si trasforma in W e la Λ in V, dando vita a nuove parole (nel testo sembra di leggere “wow”, “vox” o “know”) e dunque a nuovi suoni. L’indeterminatezza percepita dai lettori fa dunque sì che essi si sentano liberi

to invent rules or intuitively improvise moment to moment — which means that no two people are likely to perform Jade-Sound Poems in remotely similar ways […] they all surely undergo an intense experience of the poetry as a material, tangible artifact, a set of unusual marks on a page. Curiously, then, the process of figuring out how to vocalize Cobbing’s texts enriches one’s appreciation of them as both a visual and a verbal construct29.

E’ chiaro, a questo punto, che la differenza principale tra quella che Solt definisce the strictest concrete practice e il concretismo in senso più ampio è la maggiore attenzione riservata dalla prima all’assetto spaziale della poesia. Nonostante la

28 B. COBBING, Jade-Sound: Poems, London, Writers Forum, 1984.

29 B. M. REED, “Visual Experiment and Oral Performance”, in M. PERLOFF and C. DWORKIN (eds.), op.

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permutazione fonetica ne costituisca un elemento fondamentale, le opere “classiche” convergono maggiormente verso la dimensione visuale della comunicazione. Oltre a ciò, esse sono caratterizzate dal costante mantenimento del significato concettuale del linguaggio: nelle opere contenenti parole il segno non viene, infatti, mai abbandonato o stravolto completamente dall’assetto visuale del testo ed anche quando ci troviamo di fronte a significanti non semantici, ad esempio nella poesia semiotica brasiliana, questi vengono sempre utilizzati in riferimento ad una chiave di lettura che ne consente l’associazione ad un significato, come si vede in due opere semiotiche di Pignatari e di Luis Ángelo Pinto30 (1964) (Fig. 4 e 5).

Fig. 4 Fig. 5

Inoltre, le opere del primo tipo – presentandosi spesso al lettore attraverso un impatto visivo cumulativo di elementi che acquisiscono valori cognitivi oggettivi poiché facenti parte di un sistema proposto dall’autore, secondo cui il materiale è arrangiato sulla carta – possono essere classificate principalmente come costruttiviste, in opposizione alle successive, per lo più espressioniste, poiché costituite da una struttura fondata maggiormente su criteri intuitivi. Ovviamente questa dicotomia non è da intendersi come tassativa, poiché gli esempi pratici ci mostrano che un’opera concreta non è mai completamente costruttivista o

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espressionista, ma, seppur in grado maggiore o minore, contiene sempre un qualche elemento afferente all’una o all’altra tradizione artistica. Allo stesso modo, bisogna riconoscere che alcune sperimentazioni fonetiche iniziano già nel periodo “classico” – come dimostrano i succitati sprechgedichte, mentre gli anni successivi, parallelamente alla moltitudine di ricerche eterogenee, danno comunque alla luce opere pertinenti alla pratica concreta più rigida.

Questo secondo periodo di intensa produttività viene suggellato dalla pubblicazione, quasi contemporanea, delle più importanti antologie del concretismo: Concrete Poetry: An International Anthology e An Anthology of Concrete Poetry, entrambe del 1967, rispettivamente di Stephen Bann ed Emmett Williams, e Concrete Poetry: A World View, del 1968 a cura di Mary Ellen Solt31. Tra le tre, il testo di

Williams, è l’unico che procede alfabeticamente nella trattazione dei poeti, non considerando raggruppamenti o sottogeneri interni alla poesia concreta, ma limitandosi all’elencazione delle opere con l’aggiunta di pochi, seppur preziosi, commenti degli autori. Le altre due utilizzano un approccio geografico di certo più efficace nel mettere in mostra le similitudini e le collaborazioni tra i poeti, nonché la storia del movimento, arricchita, nel caso dell’opera di Solt, dai testi originali dei più importanti manifesti. Ciò nondimeno, l’antologia di Bann viene aspramente criticata dal fondatore della Something Else Press, casa editrice dell’antologia di Williams, come pure da Cobbing, che a tal proposito, reputa il cognome dell’editore quanto mai idoneo ad alimentare il suo desiderio di “metterlo al bando”32. Se però nel primo caso

il giudizio negativo (infondato per altri poeti) nasce da diverse visioni della poesia concreta, nel secondo la divergenza è motivata dalla mancata inclusione del poeta sonoro all’interno dell’antologia. Allo stesso modo, anche l’opera di Williams riceve il biasimo di alcuni poeti, tra cui Finlay, per l’utilizzo di effetti tipografici non adeguati: Bann dichiara infatti che “A lot of poets, they’d never seen their poems in that way. My ‘st. eeples’, for example, was done in an extremely bizarre font which I always thought completely altered the interest and significance of it”33. Di questo numeroso

gruppo non fa però parte Cobbing, che, in quanto poeta sonoro, è probabilmente

31 S. BANN (ed.), Concrete Poetry: An International Anthology, London, London Magazine, 1967; E.

WILLIAMS (ed.), Anthology, cit.; M. E. SOLT, op. cit.

32 B. COBBING, “From Haiku to Happening”, in International Times, vol. 1, n. 33, 1968. Web:

http://www.internationaltimes.it, 05/02/19.

33 G. GRANDAL MONTERO, “From Cambridge to Brighton: Concrete poetry in Britain, an interview with

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meno interessato all’assetto tipografico delle sue opere. Egli arriva a dire che “Only anthology giving a hint of the multiplicity of approaches in VISUAL concrete is EMMETT WILLIAMS anthology”34 plausibilmente perché, in quanto esponente di un

innovativo sottogenere in crescente espansione, potrebbe reputare più importante mostrare chiaramente le differenze di stile tra un poeta e l’altro piuttosto che le loro affiliazioni, compito a cui l’approccio alfabetico di certo adempie.

Aldilà della risonanza di tali antologie, è interessante notare che esse si palesano al pubblico in un momento storico che, se da un lato segna certamente il trionfo della poesia concreta, dall’altro, corrisponde curiosamente anche alla sua dipartita. Difatti:

The very definiteness of these collections ‘froze’ Concrete Poetry in its historical moment. In the 1970s, most of the major practitioners either ceased writing, or else (as, notably, in the cases of Ian Hamilton Finlay in Scotland and bpNichol in Canada) developed highly personal, post-concrete styles, too diverse to be meaningfully classified under the same heading35.

E’ appunto opinione di più artisti, tra cui Finlay, che quegli stessi anni siano testimoni di un cambiamento cruciale per cui non è più possibile identificarsi con il concretismo classico di Gomringer e dei Noigandres, come dimostra il rifiuto, da parte del poeta scozzese, di comparire, nel 1971, nella nuova antologia di John Sharkey (An Anthology of British Concrete Poetry), in quanto, in quel momento, la poesia concreta classica non rispecchierebbe più i suoi interessi e affiliazioni36. La citata esclusione di Cobbing

dall’antologia di Bann non è che un’ulteriore prova del suddetto cambiamento, che, con la crescente produzione di sperimentazioni cui si è accennato sopra, genera forme poetiche sempre più distanti dal concetto originale di poesia concreta. Tale omissione, dice Bann:

was the outcome of quite a difficult decision because, partly through the correspondence I had with Finlay, I did see Concrete poetry as primarily a visual form of expression, though we both agreed that there were poets who were both visual and phonic, Ernst Jandl was a very good example […] But we didn’t really find the work of Bob Cobbing, for example, particularly interesting37.

Allo stesso tempo, però, alcune testimonianze di opere concrete successive agli anni ’70 mostrano che il genere non si è totalmente estinto. Finlay, ad esempio, negli anni ‘90, dopo essersi dedicato alla produzione di emblemi e progetti illustrati, torna alla poesia con il giardino di Little Sparta, che, nella sua totalità, costituisce

34 B. COBBING, “From Haiku to Happening”, cit.

35 S. SCOBIE, Earthquakes and Explorations: Language and Painting from Cubism to Concrete Poetry,

Toronto, University of Toronto Press, 1997, p. 146.

36 S. BANN (ed.), Stonypath Days: Letters from Ian Hamilton Finlay to Stephen Bann 1970-72, London,

Wilmington Square Books, 2016.

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l’indiscussa epica della poesia concreta. Morgan, dal canto suo, non mette mai completamente da parte questo genere, come dimostrano alcune opere successive al 1968, come le raccolte The Horseman’s Word: Concrete Poems (1970) e Nuspeak8: Being a Visual Poem (1973). Infine Cobbing produce gran parte dei suoi lavori dopo il 1970, in concomitanza con lo sviluppo della poesia sonora. Schmidt puntualizza quindi che “[c]oncrete poetry as the actual production and presentation of works connected in one way or another to the concretist program is not dead”38, così come

non è cessato neppure l’interesse nei suoi confronti, come dimostrato da numerose mostre che hanno avuto luogo negli ultimi anni, tra cui “A token of concrete affection” (2014-2015) e il simposio “Concrete Poetry: International Exchanges” (2015) per il 50o anniversario della prima mostra internazionale39. Più che di trapasso definitivo, si

potrebbe piuttosto parlare di evoluzione Post-Concreta di un movimento che aveva raggiunto la piena maturità già nelle sue prime manifestazioni riconosciute, e quindi affermare che “from the outset, concrete poetry could be characterized not as a beginning but as an ending (or at least the beginning of an ending) […] The concrete poets were completing a cycle of linguistic experimentation which had begun in the early days of the Modern Movement”40 e che esaurisce il suo potenziale innovativo al

termine degli anni ’60.

1.2. Poesia universale

Il concretismo letterario presuppone un travaglio parallelo ad altri movimenti, talvolta ad esso precedenti, i cui sviluppi si sovrappongono in maniera inizialmente indistinguibile, per poi svincolarsi l’uno dall’altro quando l’evoluzione è ormai completata. Del resto, la contemporanea maturazione della poesia concreta in più paesi è prova di una caratteristica che, per usare le parole di Fowler, possiamo definire poligenetica, poiché dimostra che "original creativity is often doubled, even in other literatures with their own independent lines of development”41. Questa

crescita composita farebbe capo ad una percezione sociale e culturale condivisa da

38 S. J. SCHMIDT, “Perspectives on the Development of Post-Concrete Poetry”, in Poetics Today, vol. 3, n.

3, 1982, p. 101.

39 Pagina dell’evento consultabile su http://www.latin-american.cam.ac.uk/events/concrete-poetry. 40 S. BANN, “Ian Hamilton Finlay: An Imaginary Portrait”, in Ian Hamilton Finlay (exhibition catalogue),

London, Serpentine Gallery, 1977, p. 10.

41 A. FOWLER, Kinds of Literature: An Introduction to the Theory of Genres and Modes, New York, Oxford

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più figure intellettuali, espressa in modi strettamente personali ma allo stesso tempo affini, al cui proposito Steiner rileva che:

The twentieth-century poetic manifestos – both avant-garde and mainstream – have shown a remarkable similarity in proposing an "object poetry." T. E. Hulme called for a poetry of "hard, dry things"; Archibald MacLeish claimed that "a poem should not mean/ But be"; Pound demanded a visual poetry modeled on Chinese ideographic writing in which "we do not seem to be juggling mental counters, but to be watching things work out their fate."42

Come si vede dagli esempi citati, questa comune ricerca di una poesia-oggetto anticipa la letteratura concreta di qualche decennio, pertanto è sicuramente legittimo ipotizzare un’origine ideologica collettiva; tuttavia, alla base dello sviluppo di questo “materialismo” troviamo concetti che procedono non solo dal campo critico/letterario, ma spesso anche da quello artistico. Del resto il contributo della pittura – così come dell’architettura e di molte altre discipline plastiche – alla creazione del nuovo genere è sicuramente ingente: non per niente esso prende il nome dall’omonima corrente pittorico-architettionica, l’Arte Concreta (o Neoplasticismo), fondata, nel 1917, dagli olandesi Theo Van Doesburg e Piet Mondrian i quali, insieme ad Antony Kok, nel II manifesto apparso in De Stijl (1920) asseriscono già la necessità di un nuovo tipo di poesia che “will recreate in the word the common meaning of events [as] a constructive unity of form and content”43,

indiscutibilmente in analogia con la tendenza individuata da Steiner, nonché con quanto asserito da Solt al riguardo della poesia concreta e alla relativa corrispondenza di forma e contenuto. I poeti stessi, del resto, ammettono esplicitamente il debito nei confronti dell’arte concreta, come nel caso del belga Ivo Vroom il cui “Hommage à Mondrian”44 (1966) (Fig. 6) è costruito interamente dalle

parole del titolo dell’allora ultima opera del pittore, Victory Boogie-Woogie45, e da

Gomringer, che si rivolge nello specifico ad un esponente del Neoplasticismo nel suo “Max Bill and Concrete Poetry” dove si legge che “It can be seen that the work of Max Bill, particularly is analitical thinking, greatly influenced our first intuitive attempts”46.

42 W. STEINER, “Res Poetica: The Problematics of the Concrete Program”, in New Literary History, vol.

12, n. 3, 1981, p. 529.

43 M. WEAVER, “Appendix B”, in The Lugano Review, vol. 1, n. 5-6, 1966, p. 125 (tr. M. Weaver da De

Stijl, 3o anno, 1919-20, pp. 45-54.

44 I. VROOM, “Hommage à Mondrian” in M. E. SOLT, op. cit., p. 180.

45 P. MONDRIAN, Victory Boogie-Woogie, olio e carta su tela, 1944, Gemeentemuseum, L’Aia.

46 E. GOMRINGER, “Max Bill und konkrete poesie”, 1958, in die konstellationen les constellations the

constellations las constellaciones 1953-1962, Frauenfeld, Eugen Gomringer Press, 1962, pp. non num.,

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17 Fig. 6

Questa affinità, tuttavia, è sicuramente più attinente al concretismo classico degli anni ’50, principalmente orientato verso l’aspetto visuale del linguaggio, a differenza del concreto in senso ampio dei successivi anni ’60, caratterizzato dalla sperimentazione soprattutto in campo sonoro, per il quale non è pertinente l’assimilazione alle arti figurative, ma piuttosto alla musica o alle nuove tecnologie. In entrambi i casi, comunque, “it becomes obvious once again that poets no longer have to address themselves exclusively to other poets to experience a new view of the world and new techniques”47, ma che invece possono rivolgersi a qualsiasi altro

aspetto della realtà. Difatti gli autori concreti, classici o meno, non attingono la loro nuova forma di espressione unicamente da altri poeti, ma da intellettuali ed artisti di ogni genere, ispirandosi a concetti pittorici, teorie architettoniche, tecniche scultoree, elementi musicali, nonché alle nuove tecnologie e ai media (soprattutto il cinema), toccando persino discipline scientifiche come la matematica o l’informatica – di cui Morgan e i suoi simulated computer poems sono esempio – dimostrando una creatività indubbiamente omnicomprensiva.

In un certo senso la poesia concreta non fa niente di nuovo, visto che sin dal XVIII secolo Charles Batteux, tra i sostenitori del plurisecolare tema dell’ut pictura poesis, propone un sistema generale tra le arti visive, la poesia e la musica, il cui principio aggregante è l’imitazione della natura. Questa unificazione, ovviamente, ha trovato anche un’aspra opposizione in artisti e scrittori, primo fra tutti Gotthold E. Lessing

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con il suo Lacoonte48. Tuttavia, risulta quasi impossibile non riconoscere una comune

contaminazione tra le diverse arti, al cui proposito scrive Scobie:

If one theory of interartistic relationship held that the arts should practise a kind of aesthetic apartheid, each preserving its own essence and purity, another theory had it that the arts always aspire towards each other. ('All art constantly aspires towards the condition of music’ wrote Pater; but at other times, other arts have been held up as the ideal. In the first half of the twentieth-century, it seemed as if all art was aspiring towards the condition of painting.) Thus, one can also insist on the metaphorical presence of one art in another: on colour in music, or rhythm in painting. In the very nature of its own lack, each art seeks its Other, its supplement49.

La poesia concreta, dunque, come tutte le arti, cerca di colmare i vuoti del proprio mezzo espressivo tramite l’assimilazione delle caratteristiche mancanti da altre discipline che ne costituiscono il supplemento. Tuttavia, se le esperienze artistiche del XX secolo mostrano che un’integrazione è possibile, la poesia concreta, liberandosi dei propri limiti in virtù di quello che Pater chiamava Andersstreben50, porta

l’unificazione a livelli insperati, caratterizzandosi di un’eterogeneità che sarà fonte di dissenso nella critica, come dimostrano, ad esempio, i tentativi di Hugh MacDiarmid per impedire che la poesia concreta comparisse in The Oxford Book of Scottish Verse (1966) e nell’annuale Scottish Poetry series (1966-76)51. Anche Veronica

Forrest-Thompson, dal canto suo, traccia un profilo sostanzialmente negativo della poesia concreta nel suo Poetic Artifice52, in cui parla di regressione, piuttosto che di

liberazione, di un linguaggio incapace di creare nuovi mondi perché limitato al mondo fisico. Eppure, ciò che appare circoscritto ed inibito è piuttosto il linguaggio tradizionale, ancorato alla sequenzialità, mentre la materialità della poesia concreta, rispecchiando il mondo reale, facilita un approccio all’opera d’arte sicuramente più libero perché comprensivo di tutte le modalità percettive, proprio come avviene quando si guarda un’immagine, un evento, il mondo. La poesia concreta è, in altre parole, omnicomprensiva: un’arte multimodale e totalmente sinestetica, in quanto fruibile contemporaneamente sia a livello verbale, figurativo e sonoro.

Oltre a ciò, bisogna poi considerare il suo spiccato carattere internazionale, dovuto non solo alla poligenesi in Paesi tanto diversi quanto lontani tra loro, ma

48 C. SAVETTIERI, Dal Neoclassicismo al Romanticismo, Roma, Carocci, 2006. 49 S. SCOBIE, op. cit., p. 8.

50 W. PATER, op. cit., p. 155.

51 H. MacDIARMID, Letter to Maurice Lindsay, 12 April, 1965, in A. BOLD (ed.) The Letters of Hugh

MacDiarmid, London, Hamilton, 1984, pp. 226-228.

52 V. FORREST-THOMSON, Poetic Artifice. A Theory of Twentieth-century Poetry, New York, St. Martin’s

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anche ad una tipica pluralità linguistica: non è insolito, infatti, che una poesia concreta venga creata utilizzando più di una lingua, o che sfrutti l’omografia di parole di lingue diverse. In ogni caso, il linguaggio utilizzato è talmente semplificato da valicare ogni confine linguistico, sicché l’opera risulta godibile persino da un lettore straniero, rendendola così “sovrannazionale”. Questo immediato, seppur superficiale, livello di comprensione è infine reso accessibile grazie alla sua tipica impostazione iconico-spaziale – che verrà esaminata a breve – grazie alla quale “[i]t is memorable and imprints itself upon the mind as a picture”53. Effettivamente, l’impatto visivo

cercato dai poeti rende l’opera concreta simile ad un cartellone pubblicitario che cerca di raggiungere un pubblico più vasto possibile, se non addirittura globale, e che spesso riesce nell’intento. Non a caso Gomringer è “perciò convinto che la poesia concreta sia in procinto di realizzare l’idea di una poesia universale”54, accessibile a

tutti e fondata sulla conoscenza empirica di un mondo che ha appena iniziato il suo processo di globalizzazione, culminante nell’attuale era di internet.

A tal proposito, è di grande interesse il contributo di Goldsmith55, che analizza la

poesia concreta alla luce delle nuove meccaniche del web, delle quali sarebbe precorritrice. Nella sua attenzione per la distribuzione, la multimedialità e l’interfaccia, adesempio, questa poesia, con le sue “things-words in space-time”56,

rispecchia pienamente l’ambiente virtuale di internet, in cui si intrecciano appunto spazio, tempo, scrittura e immagini in un’unica forma espressiva. E’ opinione di Goldsmith, dunque, che la poesia concreta sarebbe rimasta per tantissimi anni in un limbo in attesa di un nuovo medium che potesse contenerla:

With its implied dynamism and hyperspace, the concrete poets seemed to be begging for multimedia to enter into their practice. Since the technology was not yet available, they stuck with the page. As such, they used the widely-known analogue page-based metaphors to describe a multimedia experience: Webern's "Klangfarbenmelodie" ("Tone-Color-Melodies") and Joyce's concept of the "verbivocovisual"57

Secondo il critico, infine, le affermazioni fatte da Bense nel suo “Concrete Poetry”58, in

cui si chiarisce che la poesia concreta unisce e combina le lingue per creare un movimento poetico internazionale, non fanno altro che predire “the types of

53 E. GOMRINGER, From Line to Constellation, cit., p. 67.

54 E. GOMRINGER, “Konkrete dichtung”, 1956, in E. GOMRINGER (ed.), Konkrete poesie. Anthologie von

Eugen Gomringer, Philipp Reclam jun. Stuttgart, 1978, p. non num. Traduzione del redattore.

55 K. GOLDSMITH, “Curation 2.0: Context Is the New Content”, in BANDEIRA J. e DE BARROS L. (eds.),

Poesia concreta: o projeto verbivocovisual, São Paulo, Artemeios, 2008, pp. 194–202.

56 A. DE CAMPOS, D. PIGNATARI e H. DE CAMPOS, op. cit., p. 72. 57 K. GOLDSMITH, op. cit., p. 197.

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distributive systems that the web enables”59, ossia un’interfaccia che rende

compatibili sistemi diversi presentandoli in una maniera universalmente riconoscibile.

1.3. Iconicità

La pittura è l’arte con cui è stata più spesso assimilata la poesia concreta per via, soprattutto, del suddetto aspetto spaziale, che certamente si imprime nella memoria ancor prima che la lettura sia avvenuta.

Admittedly, there are visual concrete poems that extend for more than one page (and sound poetry significantly diverges from visual poetry at this point), but by far the majority of the concrete poems collected in the three definitive anthologies are 'single-image' constructions, deployed spatially across the page (or poster, photograph, wall, field) in a manner that invites comparison with the way in which one perceives a painting60.

Questo effetto è dovuto al fatto che, nel loro proposito di liberare la parola dall’egemonia della semantica, i poeti concreti tendono a ridurre il livello simbolico del segno linguistico e ad enfatizzarne quello iconico.

Secondo la teoria del semiologo C. S. Peirce un segno (o representamen) può essere qualsiasi cosa che, secondo diversi tipi di relazione, ne rappresenti un’altra (semiotic object) creando un significato o un effetto (interpretant) sull’interprete. Le parole ovviamente sono segni simbolici, in quanto la loro relazione con l’oggetto è puramente arbitraria: la sequenza di lettere che compone il termine tree non vuol dire niente in sé stessa, ma significa albero solo per convenzione; un’immagine di un albero, d’altro canto, costituisce un segno iconico in quanto intrattiene una qualche somiglianza con l’arbusto61. Gli autori concreti, dunque, aspirano alla creazione di

un’opera che sia in relazione diretta con l’oggetto che descrive, creando un interpretante corrispondente alla forma del segno (content=form), proprio come accade nella pittura. In alcuni casi, infatti, le opere possono apparire come veri e propri ritratti dell’oggetto trattato dal testo, come si può vedere, ad esempio, in “apfel”62 (1965), del tedesco Reinhard Döhl, o in “Forsythia”63 (1965) della poetessa

statunitense Mary Ellen Solt (Fig. 7 e 8).

59 K. GOLDSMITH, op. cit., p. 199. 60 S. SCOBIE, op. cit., p. 147.

61 M E. SOLT, “Charles Sanders Peirce and Eugen Gomringer: The Concrete Poem as a Sign”, in Poetics

Today, vol. 3, n. 3, Summer 1982, pp. 197-209.

62 E. WILLIAMS, Anthology, cit.

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21 Fig. 7

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Nel primo esempio la poesia prende la forma di una mela composta dalla sola parola apfel ripetuta incessantemente, con la singola eccezione del piccolo wurm (verme) che la abita; nel secondo i rami ondeggianti della pianta fiorita vengono riprodotti grazie alle lettere dell’alfabeto che compongono il suo nome, insieme ai loro equivalenti in codice Morse. Tuttavia, esistono poesie concrete che fanno completamente a meno delle parole, per utilizzare solamente immagini, come avviene in “Popcreto: Ôlho por Ôlho”64 (Fig. 9) di A. De Campos, in cui l’autore crea una torre

di Babele composta da fotografie (principalmente di occhi) alcuni segnali stradali e pochissime bocche, appositamente chiuse, a simboleggiare che “in a world flooded with newspapers, magazines, television shows, movies, and directed by traffic signs, we are constantly looked at”65.

Fig. 9

Il vantaggio di questa strategia è quello di rendere l’opera, “if possible, as easily understood as signs in airports and traffic signs”66, privilegiando l’immediatezza

sensoriale della rappresentazione visiva di cui la scrittura tradizionale è carente. Secondo Scobie ogni arte cerca il suo Altro e allo stesso modo la poesia concreta, in quanto arte temporale, ricerca l’assetto spaziale della pittura. Questo aspetto ne

64 M. E. SOLT, A World View, cit., p. 98. 65 Ivi, p. 15.

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costituisce il supplemento, o parergon, concetto derivato da Derrida, secondo il quale esso costituisce un’aggiunta, né interna né esterna, all’opera d’arte, che seppur subordinata ad essa la completa. Riferendosi ai supplementi, Derrida dice che

What constitutes them as parerga is not simply their exteriority as surplus, it is the internal structural link which rivets them to the lack in the interior of the ergon. And this lack would be constitutive of the very unity of the ergon. Without this lack, the ergon would have no need of a parergon. The ergon's lack is the lack of a

parergon […]67

Ciò che mancherebbe alla scrittura tradizionale – e che la poesia concreta insegue – sarebbe dunque il carattere iconico della rappresentazione pittorica, la naturalezza di un segno in cui significato e significante coincidono, “that capacity for absolute self-reflexiveness, for the self-sufficiency of its own materiality, for the extinction or transcendence of 'meaning' – the capacity, ultimately and paradoxically, for silence”68.

Tale capacità è desumibile sicuramente dal Neoplasticismo, di cui la poesia concreta condivide la radice: caratteristica dell’arte concreta è la tendenza alla semplificazione del linguaggio pittorico/figurativo, ricondotto ad elementi minimi ed invariabili come linee rette e colori primari. E’ chiaro che tale riduzione abbia influenzato l’oggettivazione cui va incontro il linguaggio verbale nella poesia concreta, in cui “the essential is reduced language”69, come risulta evidente già dai pochi esempi citati

finora. Entrambi i fenomeni sono connessi dalla comune volontà, da una parte, di rappresentare la realtà in maniera oggettiva, attraverso un’estetica immune al contributo personale dell’artista o scrittore, e, dall’altra, da quella di creare un oggetto intellettualmente funzionale, o meglio di contribuire alla realtà con l’opera stessa. Per verificare tali affinità è sufficiente confrontare quanto affermato nel Pilot Plan con il precedente manifesto della pittura concreta, in cui si legge rispettivamente che “concrete poem is an object in and by itself, not an interpreter of exterior objects and of more or less subjective feelings”70 – in sintonia con quanto asserito da

Gomringer pochi anni prima riguardo al fatto che la poesia concreta costituisca una realtà in sé – e che “un élément pictural n’a pas d’autre signification que «lui-même» en conséquence le tableau n’a pas d’autre signification que «lui-même»”71. In

entrambi i casi, dunque, il linguaggio, che sia verbale o pittorico, assume una

67 J. DERRIDA, The Truth in Painting, tr. di G. BENNINGTON e I. MCLEOD, Chicago, University of Chicago

Press, 1987, p. 60 (La vérité en peinture, Parigi, Éditions Flammarion, 1978).

68 S. SCOBIE, op. cit., p. 154.

69 M. E. SOLT, A World View, cit., p. 7.

70 A. DE CAMPOS, D. PIGNATARI e H. DE CAMPOS, op. cit., p. 72.

71 CARLSUND, DOESBURG, HÉLION, TUTUNDJIAN e WANTZ, “Base de la peinture concrète”, in Jean

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condizione oggettivata in cui i rimandi simbolici sono ridotti al minimo, valorizzando così l’aspetto essenziale di materiale (ossia la forma) che diviene portatore di un significato coincidente con l’opera stessa. Un esempio calzante è costituito da “erschaffung der eva”72 (1957, Fig. 10) di Jandl, in cui “the result is a poem identified

with the method in which it was made”73: il procedimento creativo, infatti, si riflette

completamente nell’opera stessa, al punto che, se ripetuto, esso darebbe vita ad una poesia identica alla precedente. Essa rappresenta la divinità, estesa orizzontalmente, colta nel momento della creazione: dalla sua bocca (“o”) discende alfabeticamente il respiro divino, sino a giungere alla “v”, essenziale per la creazione di Eva. Nel frattempo, la costola di Adamo si dissolve gradualmente mentre si forma un uomo nuovo, “built up in a bigger form, as the man joined to woman, through the letter a”74.

Fig. 10

Contrariamente a quanto auspicato dagli artisti e dai poeti concreti, però, questa comunicazione autoreferenziale non può essere totale poiché, come fa notare Nelson Goodman, “for under any even faintly plausible classification of properties into internal and external, any picture or anything else has properties of both kinds”75. Un

dipinto, infatti, per quanto non sia rappresentativo, rimane pur sempre una forma di espressione i cui elementi, essendo condivisi da altre opere, devono generare una

72 E. WILLIAMS (ed.), Anthology, cit., p. non num.

73 E. JANDL, “Manifesto”, 1963, tr. in Form, n. 3, 15 dicembre 1966, p. 21. 74 E. WILLIAMS (ed.), Anthology, cit., p. non num.

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dimensione simbolica, per quanto minima. Allo stesso modo l’oggetto-parola della poesia concreta presenta comunque concetti semantici, rendendo quindi impossibile lo svincolamento totale dal processo di significazione. Il semplice fatto che i poeti concreti vogliano liberare il significante dalla prigionia del significato in quanto proprietà esterna ad esso, ci dice Eric Vos, implica che la semantica sia un aspetto inalienabile del materiale verbale. Inoltre

[…] it would be hard to think of a property that is exclusively internal, that is, completely unrelated to anything but the work itself. In the case of a concrete poem, for instance, typography would have to be considered as one of the most important internal properties of the work. But typography includes making use of elements of a verbal symbol scheme, thereby relating the work to that symbol scheme, hence to other works composed of elements of this scheme or of a comparable one, and so on76.

Queste considerazioni nascono da una vera e propria complicazione per la poesia concreta, ossia ciò che i Noigandres chiamano “a problem of functions-relations of its material”77: in mancanza di un contenuto narrativo tradizionale gli aspetti formali

dell’opera devono necessariamente acquisire rilevanza funzionale, ossia devono essere semantizzati, come avviene nella pittura, dove linea e colore, ad esempio, acquisiscono un significato intrinseco. Tuttavia, nel caso della poesia concreta, come è possibile classificare delle caratteristiche strutturali di un materiale (la parola) che, in questo ambito, rifugge apertamente la semantica?

Consequently, attempts to construct a typology of concrete poetry and its principles of text construction have no adequate framework. In order to establish such a framework, analyses of concrete poetry must, indeed, treat semantics differently. If the problem of concrete poetry concerns its "form" encompassing and expressing some "content," then the first question to be asked is when and under what conditions "form" may be considered to "encompass" and to "express" at all.78

Poiché la risposta a questa domanda non è sempre facile da trovare, per alcuni critici – tra cui Vos appunto – la poesia concreta poggerebbe su una base instabile, dalla quale nascerebbero i problemi di classificazione di cui si era accennato in precedenza. Ritornando al confronto con la pittura, il riguardo che la poesia concreta mostra per l’essenzialità del linguaggio potrebbe essere ricondotto anche alla corrente Purista – nata dalle menti dei francesi Amédée Ozenfant and Charles E. Jeanneret, più tardi conosciuto come Le Corbusier – ed al relativo tentativo di rappresentare i soggetti come delle forme elementari e prive di dettaglio allo scopo di rappresentare

76 E. VOS, “The Visual Turn in Poetry: Nominalistic Contributions to Literary Semiotics, Exemplified by

the Case of Concrete Poetry”, in New Literary History, vol. 18, n. 3, 1987, p. 565.

77 A. DE CAMPOS, D. PIGNATARI e H. DE CAMPOS, op. cit., p. 72. 78 E. VOS, op. cit., p. 564.

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la realtà senza inganni, per mezzo di una tecnica che dia un valore all’ideazione artistica79. Non dimentichiamoci, però, che il Purismo germoglia come variazione del

movimento Cubista, di cui la poesia concreta percepisce sicuramente l’influenza. Elemento comune alle due forme espressive è infatti la rappresentazione simultanea della realtà: se un dipinto costituisce una forma espressiva spaziale e dunque sincronica di per sé, l’opera cubista raggiunge un ulteriore livello di simultaneità giustapponendo più prospettive dello stesso oggetto, facendolo convergere nella nostra mente come una totalità. Questo accostamento, in particolare, avviene senza l’ausilio di un espediente che dia connessione, in assenza, quindi, di una “sintassi” spaziale che attui una qualsiasi transizione transizione. Analogamente, la poesia concreta rinnega la transizione temporale-narrativa tipica della scrittura tradizionale preferendole una percezione sincronica dei suoi significati tramite la graduale elisione (spesso totale nelle opere concrete in senso ampio) della sintassi.

Si pensi, ad esempio, ad una poesia (contenuta nell’antologia di Williams) senza titolo del 1966 del poeta inglese E. Lucie-Smith (Fig. 11), in cui il senso dell’opera viene generato dall’accostamento dei singoli significati che la compongono.

Fig. 11

Le preposizioni at ed as indicano rispettivamente la staticità e il paragone: la prima confluisce nel concetto di statua, sia nel senso di immobilità che di stato in luogo, in quanto ne fa fisicamente parte (statue); la seconda, d’altro canto, esplicita il processo compiuto dal lettore, che deve comparare la stasi dell’oggetto scultoreo alla sua stessa permanenza nel processo di creazione artistica – il cui risultato qui è

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appunto la statua, peraltro rappresentata iconicamente dal gruppo di parole in alto. Il distaccato you si riferirebbe quindi proprio al fruitore del testo, da cui non viene separato, anzi vive al suo margine (stet), divenendo co-creatore, insieme al poeta, di un significato che si esplica nel processo associativo di lettura. Il tutto è consolidato dall’omofonia tra la locuzione stet you e il sostantivo statue, che convalida la cooperazione. Lo stesso autore al riguardo dell’opera afferma “Objects singly. Facts singly. Nothing could be more mysterious. But put two objects together, or add an object to a fact, and already something starts to emerge”80. Infine, questo “qualcosa”

emerge indipendentemente dall’utilizzo della sintassi, che non viene propriamente eliminata, ma piuttosto decostruita alla maniera derridiana: la poesia, infatti, nega questa categoria tramite dei mezzi che di essa fanno parte, di conseguenza, pur mancando di tessuto connettivo fa percepire l’assenza di sintassi come “presenza” associativa, similmente a quanto accade nel Cubismo, in cui

the concern is not the metaphoric suppression of syntax but its metonymic dissemination. The 'syntax' of spatial relationships is deconstructed - in, precisely, the Derridean sense of the word: neither the negation nor the simple reversal of a structure, but rather a putting into question of the terms of that structure at the same time as working within it. The visual syntax of an illusionistic three-dimensional space is disrupted, but the disruption is achieved through the system of syntax, not by ignoring or suppressing it81.

Anche la semiosi va incontro a questa decostruzione: mentre il significato della parola viene cancellato, il segno è simultaneamente presente, poiché il linguaggio non può fare a meno di esso, dunque, piuttosto che rilevare una scomparsa totale dal testo, esso lo mantiene “cassandolo”, ossia trasformando il segno in segno. In questo modo la poesia concreta si trasforma in “un arte cuyo desarrollo lo llevó a postular su negación. Más aún: la entificación de un hecho creador cuyo significado inherente fue negar los medios y procedimientos que el mismo lenguaje había instituido”82. Queste

decostruzioni scaturiscono da un’analisi del ruolo del linguaggio non solo in ambito espressivo, ma anche e soprattutto socio-culturale, a livello della formazione dell’identità o della creazione delle strutture sociali. L’approfondimento di queste tematiche ha fatto sì che la poesia concreta venisse spesso paragonata al Concettualismo, del quale è stata di sovente considerata la precorritrice, secondo un’idea che ha generato non poco disappunto tra gli artisti di questo movimento. Di

80 E. WILLIAMS, Anthology, cit., p. non num. 81 S. SCOBIE, op. cit., p. 112.

82 A. ZARATE, Antes de la vanguardia. Historia y morfología de la experimentación visual: de Teócrito a la

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