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Classe accademica di Scienze Sociali
Settore di Scienze Politiche
Anno accademico 2019-2020
Le politiche estere di Qatar ed Emirati Arabi Uniti
attraverso la Role Theory
Tesi di Licenza Magistrale
CANDIDATO
Francesco Guarascio
DOCENTE TUTOR DOCENTE RELATORE
Dott. Emanuele Giuseppe Sommario Dott.ssa Serena Giusti
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Indice
Abstract 3
Introduzione 4
Cap. I - La Role Theory nell’analisi della politica estera di Doha ed Abu Dhabi 8
1.1 – Obiettivi e strumenti della strategia di politica estera di Doha 10
1.2 – Obiettivi e strumenti della strategia di politica estera di Abu Dhabi 16
Cap. II - Applicazione ed evoluzione delle strategie di politica estera di Doha ed Abu Dhabi 23 2.1 – Tratti comuni alle strategie di Doha ed Abu Dhabi nei primi 25 anni di indipendenza 23
2.2 – Strategie divergenti tra la metà degli anni ‘90 ed il primo quindicennio del XXI secolo 27
2.3 – Performance delle attuali divergenti strategie di Qatar ed EAU nell’area MENA 31
Conclusioni 44
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Abstract
Nel presente elaborato vengono analizzate le strategie di politica estera del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti alla luce della Foreign Policy Analysis, con particolare riguardo alla cornice teorica della Role Theory.
L'elaborato è ripartito in due capitoli. Nel primo di questi, utilizzando le lenti proprie della Role
Theory, si analizzano le attuali strategie di politica estera messe in campo dai due paesi al fine di
individuarne obiettivi e strumenti sulla base del ruolo da essi per sé concepito nelle relazioni internazionali e dell’immagine di sé che sia Doha che Abu Dhabi puntano a proiettare all’esterno. Nel secondo capitolo, si studia l'evoluzione delle strategie di politica estera qatariota ed emiratina nel corso degli ultimi decenni e se ne valuta l'attuale efficacia nei vari scenari dell'area MENA e della regione del Mediterraneo Allargato.
Le conclusioni a cui si giunge evidenziano come le strategie messe in atto da Doha ed Abu Dhabi siano state parimenti efficaci tanto in termini di incremento dell'influenza e della proiezione esterna dei due paesi quanto in termini di affermazione del loro ruolo sullo scenario regionale. Inoltre, si sottolinea come per entrambi i paesi gli strumenti di soft power siano ormai divenuti essenziali ai fini del raggiungimento dei propri obiettivi di politica estera, al pari dei classici strumenti di hard
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Introduzione
La regione del Middle East and North Africa (MENA1) è percorsa da un confronto geopolitico tra
due sistemi di alleanze regionali che si aggiunge alla tradizionale polarizzazione etnico-confessionale tra arabi sunniti e persiani sciiti. Si tratta di un confronto sempre più accesso che divide le potenze mediorientali sunnite ed ha origine dalle proteste ed insurrezioni – le cosiddette “Primavere Arabe” – che hanno interessato il Nord Africa ed il Medio Oriente a partire dalla fine del 2010. Infatti, dal 2011 in poi sono andati a delinearsi due sistemi di alleanze contrapposti all’interno del mondo islamico sunnita, guidati dalle due principali potenze sunnite dell’area. Da un lato, si è creato un fronte dell’Islam politico sostenitore della Fratellanza Musulmana e guidato dalla Turchia dell’AKP – l’islamico-conservatore “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo” – e del Primo Ministro e poi Presidente Recep Tayyip Erdogan. Dall’altro lato, si è delineato un fronte
contrapposto arabo-conservatoresempre più allineato agli Stati Uniti e ad Israele nel contrasto alla
politica regionale iraniana. Tale ultimo fronte fa capo alla monarchia saudita e comprende la maggior parte delle monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) ed i vicini Giordania ed Egitto – quest’ultimo solo dal 2013, in seguito al colpo di Stato militare avvenuto in quello stesso anno.
Nel corso degli ultimi anni, all’interno di entrambi i blocchi di alleanze sono emersi due attori sempre più determinanti e capaci di influenzare in maniera rilevante le dinamiche geopolitiche dell’intera regione mediorientale. Da un lato, infatti, soprattutto in seguito al blocco imposto ai suoi danni dal cosiddetto “Quartetto Arabo” nel giugno 2017, lo Stato del Qatar ha rafforzato i propri legami di alleanza politica, economica e militare con la Turchia nell’ottica del sostegno alla causa dell’Islam politico e della Fratellanza Musulmana. Il Qatar è riuscito a resistere al blocco orchestrato ai suoi danni dai vicini paesi arabi divenendo la principale fonte di sostegno
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La definizione classica di “area MENA” – quella maggiormente impiegata in ambito accademico – comprende i cinque Stati del Nord Africa, i paesi della Penisola Arabica e del Levante arabo, Israele, l’Iraq e l’Iran. Esiste, poi, una definizione più estesa della regione che include anche il Sahara Occidentale, la Mauritania, il Sudan, la Somalia, Gibuti e la Turchia. Infine, ulteriori definizioni fanno coincidere l’area MENA con il c.d. “Grande Medio Oriente”, tanto da far ricadere al suo interno anche l’Afghanistan, il Pakistan, le ex-Repubbliche sovietiche del Caucaso e dell’Asia Centrale e, talvolta, persino altri paesi africani del Sahel o della Lega Araba, Cipro, la Grecia e Malta. La nozione di “area MENA” che utilizzeremo in tale elaborato corrisponde grosso modo alla seconda definizione data, quella cioè comprensiva dei paesi indicati nella definizione classica e di quelli ad essi più prossimi. L’impiego di tale definizione “mediana” ci permetterà, infatti, di analizzare in maniera unitaria i vari scenari della regione del “Mediterraneo Allargato” strettamente connessi tra il bacino del Mediterraneo, il Medio Oriente, l’area del Golfo Persico ed il Corno d’Africa: “MENA”, Dizionario di Storia, Treccani, 2010, https://www.treccani.it/enciclopedia/mena_%28Dizionario-di-Storia%29/, consultato il 12/10/2020 e F. Frattini, “Il 75° anniversario delle Nazioni Unite e le aree di crisi nella regione mediterranea”,
Newsletter dell’Osservatorio sulle attività delle organizzazioni internazionali e sovranazionali, universali e regionali, sui temi di interesse della politica estera italiana (OSORIN), SIOI – UNA Italy, 08/10/2020.
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finanziario per l’assertiva politica estera di Ankara e per la sua economia in crescente affanno. Dall’altro lato, la Federazione degli Emirati Arabi Uniti (EAU) è gradualmente assurta al rango di autonoma potenza regionale, capace di influenzare le scelte degli alleati egiziano e saudita (proprio come nel caso del blocco imposto ai danni di Doha), di sviluppare una propria autonoma strategia di politica estera e di fare da apri-pista del recente processo di normalizzazione delle relazioni tra Israele ed il mondo arabo in chiave anti-iraniana ed anti-turca.
In questo lavoro intendiamo mettere a confronto l’evoluzione delle strategie di politica estera di Doha ed Abu Dhabi, con l’obiettivo di individuarne obiettivi, risorse di potere, strategie e strumenti di realizzazione e di valutarne i risultati sinora ottenuti.
Nello svolgimento di tale elaborato si esaminerà la letteratura esistente prodotta nell’ambito della storia delle relazioni internazionali e del Medio Oriente e delle Relazioni Internazionali ed, in particolare, si farà riferimento alla Foreign Policy Analysis da cui abbiamo mutuato l’approccio della Role Theory. Tale approccio ci consentirà di comprendere come Doha ed Abu Dhabi definiscano il proprio ruolo a livello internazionale ed i relativi obiettivi di politica estera e quali strategie e strumenti i due paesi mettano in campo per realizzarli.
A questo fine, la trattazione sarà ripartita in due capitoli.
Nel primo di questi, muoveremo dalla cornice teorica della Role Theory per capire come Doha ed Abu Dhabi concepiscano il proprio ruolo a livello internazionale e come e perché esso si sia modificato nel corso del tempo. Quindi, si analizzeranno le attuali strategie di politica estera ed il ruolo giocato sullo scenario regionale da parte del Qatar e degli Emirati Arabi Uniti e si individueranno gli obiettivi da essi prefissati e gli strumenti utilizzati per conseguirli. Per quel che riguarda Doha, si analizzerà come, al termine di un graduale e rilevante processo di evoluzione delle proprie direttrici di politica estera, il Qatar sia divenuto il principale alleato regionale della Turchia pur restando uno strategico partner anche degli Stati Uniti. Si vedrà, quindi, come il Qatar abbia utilizzato e continui ad impiegare una molteplicità di strumenti al fine di perseguire alcuni chiari obiettivi: sostenere la diffusione ed il rafforzamento dell’Islam politico nell’area MENA e presentarsi nello stesso tempo come partner affidabile agli occhi dell’Occidente al fine di sfuggire alla cosiddetta “sindrome del Kuwait” ed evitare quindi di essere fagocitato dai suoi grandi e potenti vicini – primo tra tutti il confinante regno degli al-Sa’ud. Per questo motivo, Doha ricorre al potere finanziario ma anche a classici strumenti di soft power quali la diplomazia religiosa, l’international
broadcasting, la diplomazia educativa, il sostegno allo sviluppo sostenibile e la diplomazia sportiva.
Dopodiché, si studierà come gli Emirati Arabi Uniti siano ormai assurti al ruolo di potenza regionale nell’area MENA con una pluralità di obiettivi da realizzare: il contrasto alla diffusione dell’Islam politico incarnato dalla Fratellanza Musulmana ed all’espansione dell’influenza turca ed
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iraniana, il controllo dell’intera catena di traffici energetici e commerciali che si snoda tra l’Oceano Indiano ed il Mediterraneo e l’affermazione sul piano internazionale del loro ruolo di potenza musulmana all’avanguardia, high-tech, tollerante e proiettata verso le sfide del futuro. A tal fine, Abu Dhabi va facendo uso di strumenti differenti che vanno dal classico impiego diretto della forza militare al sostegno economico-militare ai suoi alleati regionali, dall’azione della compagnia Dubai
Ports World allo spionaggio, dallo sviluppo del nucleare civile all’impiego massiccio di strumenti
di soft power quali la diplomazia religiosa, la diplomazia museale, l’international broadcasting, la diplomazia sportiva, quella educativa, l’organizzazione di eventi internazionali come l’EXPO 2021 e la ricerca in ambito spaziale.
Quindi, nel secondo capitolo si procederà ad un’analisi diacronico-comparata dell’evoluzione e dell’applicazione delle strategie di politica estera qatariota ed emiratina. Infatti, si vedrà come dopo l’indipendenza comune nel 1971 e fino agli anni ’90 del secolo scorso i due paesi si fossero allineati in posizione subalterna all’Arabia Saudita di fronte alla minaccia dell’Iran sciita (con la partecipazione al Consiglio di Cooperazione del Golfo). Quindi, si analizzerà quanto gli eventi della Prima Guerra del Golfo abbiano influito sulla decisione qatariota di avviare dal 1995 una politica estera più autonoma da Riyadh. Si procederà quindi allo studio degli effetti prodotti dalle Primavere Arabe e dalla loro successiva involuzione sulle politiche estere di Doha ed Abu Dhabi. Infatti, dopo una prima fase di sostegno congiunto alle rivolte anti-governative in Libia e Siria, il colpo di Stato militare in Egitto del 2013 segnerà la definitiva frattura all’interno del mondo arabo-sunnita tra il fronte turco-qatarino e quello delle monarchie del Golfo. Infine, si analizzeranno le performance dei due attori nei vari scenari dell’area MENA in cui i due sistemi di alleanze contrapposti si sono recentemente confrontati e continuano a farlo: dal Maghreb alla Libia, dal Mediterraneo orientale alla Palestina, dalla Siria al Golfo Persico, dallo Yemen all’Africa orientale fino al Sudan.
In conclusione, si confermerà come al classico conflitto tra l’Iran sciita ed il mondo arabo sunnita vada oggi decisamente ad affiancarsi il confronto interno al mondo sunnita tra un fronte turco-qatariota non ostile a Teheran ed uno saudita-emiratino allineato ad Israele, con gli Stati Uniti in una difficile posizione intermedia. Nell’ambito dei rispettivi sistemi di alleanze, le strategie messe in atto da Doha ed Abu Dhabi sono risultate egualmente efficaci in quanto capaci di incrementare il peso geopolitico dei due attori, visti l’ormai evidente dipendenza turca dall’appoggio finanziario qatariota e la sempre maggiore influenza di Doha sulle varie formazioni palestinesi così come la capacità emiratina di interloquire e cooperare efficacemente con diversi rilevanti attori sul palcoscenico regionale ed internazionale – da Israele alla Russia, dagli USA alla Cina, dall’India alla Francia fino alla Grecia – ed il sempre maggior peso assunto dalla posizione emiratina all’interno dei forum del Consiglio di Cooperazione del Golfo e della Lega Araba. Infine, si
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sottolineerà come il soft power sia ormai divenuto uno strumento essenziale di politica estera al fianco dei classici strumenti di hard power per entrambi gli Stati.
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CAPITOLO I
La Role Theory nell’analisi della politica estera di Doha ed Abu Dhabi
Nell’ambito degli studi relativi all’analisi della politica estera, la cosiddetta Role Theory riveste una posizione particolarmente significativa. Secondo tale teoria, gli Stati tengono in debito conto la percezione che essi hanno del proprio ruolo sullo scenario internazionale o il ruolo differente che eventualmente essi aspirerebbero a ricoprire quando sono chiamati a definire i propri interessi nazionali ed i conseguenti obiettivi e strumenti della propria strategia di politica estera. Nell’ambito delle relazioni internazionali, gli Stati possono interpretare ruoli differenti e mutevoli nel tempo – e.g. superpotenza, grande potenza, partner regionale, attore isolazionista, attore opportunista o interventista – a seconda delle vicende storiche, della conformazione del sistema internazionale e delle loro capacità reali o immaginate in termini sia di hard power che di soft power. La definizione del ruolo dello Stato dipenderà quindi da fattori sia interni che esterni ad esso. Infatti, le caratteristiche interne influenzeranno la concezione del proprio ruolo da parte del singolo Stato e ciò contribuirà a definire l’interesse nazionale e la politica estera di quello Stato ma, al contempo, proprio le relazioni internazionali e la struttura del sistema internazionale andranno ad incidere sulle capacità dello Stato e sul processo di definizione del suo ruolo. Pertanto, la Role Theory pare essere caratterizzata da elementi sia realisti che costruttivisti, pur essendo i secondi predominanti. Infatti, se la conformazione del sistema internazionale ovviamente influisce sulla posizione e l’azione del singolo Stato, agli Stati è comunque riconosciuto un margine di agency rispetto alla struttura del sistema internazionale, in quanto essi possono definire il loro ruolo autonomamente, ed in questo senso la Role Theory può anche essere considerata una critica al realismo nelle Relazioni Internazionali. Il compito di definire il ruolo dello Stato spetta alla sua leadership politica, che deve però tener conto in tale processo delle aspettative della popolazione. Quest’ultima potrebbe, infatti, contestare dall’interno il ruolo giocato dallo Stato in un determinato momento – si parla in tali casi di role conflict – e costringere quindi la leadership politica a rimodulare il ruolo dello Stato anche e soprattutto in considerazione delle istanze provenienti dalla società civile. Sulla base di ciò, la Role
Theory prevede tre fasi all’interno del processo di definizione ed applicazione del ruolo dello Stato:
la Role orientation, fase preliminare volta ad analizzare come le élite politiche si orientano verso la questione del ruolo dello Stato considerando le aspettative sociali e quelle degli attori esterni, soprattutto nel caso in cui lo Stato sia membro di organizzazioni internazionali o sovranazionali
la Role conception, fase effettiva di definizione del ruolo dello Stato e, sulla base di ciò,
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la Role performance, l’applicazione della strategia di politica estera in maniera coerente con il ruolo definito per lo Stato2.
Su tali basi, utilizzando le lenti e gli strumenti analitici propri dell’analisi della politica estera e, in particolare, della Role Theory, nelle pagine seguenti si analizzerà come il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti abbiano concepito il proprio ruolo a livello internazionale e si analizzeranno le cause per cui esso si è modificato nel corso del tempo, le modalità in cui ciò è avvenuto e gli strumenti utilizzati a tale scopo. Quindi, si analizzeranno le attuali strategie di politica estera ed il ruolo giocato sullo scenario regionale da parte del Qatar e degli EAU e si individueranno gli obiettivi da essi prefissati e gli strumenti utilizzati per conseguirli. Innanzitutto, le strategie di politica estera attualmente adottate da Doha ed Abu Dhabi vanno analizzate nella più ampia cornice delle faglie geopolitiche che attraversano oggi il Medio Oriente. A tal riguardo, alla classica frattura relativa alla rivalità tra il cosiddetto “asse della resistenza” sciita guidato da Teheran e comprendente anche l’Iraq (dove è influente l’azione di milizie sciite filo-iraniane, attive anche all’estero in paesi come la Nigeria e lo Yemen), la Siria di Assad e l’Hezbollah libanese ed il blocco arabo sunnita guidato da Riyadh ed esteso alle altre petro-monarchie del Golfo, all’Egitto ed alla Giordania è andato ad aggiungersi un ulteriore confronto in seguito agli sviluppi delle Primavere Arabe del 2011 ed al conflitto interno al Consiglio di Cooperazione del Golfo apertosi nel 2017. Lungo questa nuova faglia dell’area MENA, il fronte arabo sunnita “moderato” guidato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti contende l’egemonia all’interno del mondo sunnita all’asse tra la Turchia ed il Qatar, sostenitore dell’Islam politico e sostenuto dalla galassia di movimenti afferenti alla Fratellanza Musulmana, da
Hamas in Palestina e dal Governo di Accordo Nazionale (GNA) libico di Tripoli3.
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S. Blavoukos e D. Bourantonis, “Identifying Parameters of Foreign Policy Change: A Syntethic Approach”, paper realizzato per la
2009 Annual ISA Convention, New York, 15-18 febbraio 2009; E. Diodato e S. Giusti, “Globally alone: the UK’s foreign policy after
Brexit”, in A. Bongardt, L. S. Talani e F. Torres (a cura di), The Politics and Economics of Brexit, Edward Elgar Publishing, Cheltenham, 2020, pp. 88-106; J. Gaskarth, “The National Interest and Britain’s Role in the World” in T. Edmunds, J. Gaskarth, R. Porter (a cura di), British Foreign Policy and the National Interest, Palgrave, Londra, 2014, pp. 42-64 e C. G. Thies, “Role Theory and Foreign Policy”, Foreign Policy Analysis Section, International Studies Association Compendium Project, maggio 2009.
3 Va precisato che, visto il sostegno economico-politico-militare ad essi garantito pure da Teheran, Hamas ed il Jihad Islamico
Palestinese vengono spesso considerati parte anche dell’“asse della resistenza” sciita, pur essendo essi movimenti sunniti. Da parte loro, il Sultanato dell’Oman ed il longevo sovrano Qabus al-Busaidi – di fede islamica ibadita – hanno sempre svolto il ruolo di mediatori tra l’Iran sciita (con cui Mascate intrattiene importanti relazioni commerciali) da un lato e le monarchie sunnite del Golfo e i loro alleati americani dall’altro. Nel gennaio 2020, in seguito alla morte del Sultano Qabus, suo cugino Haytham bin Tariq bin Taymur Al Said è divenuto nuovo Sultano secondo le volontà dello stesso Qabus e si è detto deciso a portare avanti la linea di politica estera tracciata dal suo predecessore. Inoltre, al pari dell’Oman, anche il Kuwait ha intessuto proficue relazioni cooperative con Teheran – cercando quindi di assumere una posizione più defilata nella contesa tra Riyadh e Teheran – e si è fortemente impegnato in tentativi di mediazione tra il Qatar ed il cosiddetto “Quartetto Arabo” dopo la crisi del Golfo del giugno 2017: G. Cafiero, “Turchia e Qatar, coppia di fatto” – “Il turco alla porta”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, n. 7/2020, agosto 2020, pp. 301-310; I. Fraihat, “Superpower and Small-State Mediation in the Qatar Gulf Crisis”, The International Spectator, vol. 55, n. 2, pp.
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1.1 – Obiettivi e strumenti della strategia di politica estera di Doha
Il 5 giugno 2017 il cosiddetto “Quartetto Arabo” – costituito da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain ed Egitto – annunciò la decisione di interrompere le relazioni diplomatiche con il Qatar ed imporre nei suoi confronti un blocco politico ed economico. Tale offensiva anti-qatariota, voluta da Riyadh e fortemente sostenuta da Abu Dhabi, è stata dettata dal fatto che le politiche interna ed estera messe in atto da Doha in maniera relativamente indipendente rispetto agli altri
partner del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) erano viste da sauditi ed emiratini come
una minaccia alla coesione dello stesso CCG, alla sicurezza collettiva delle altre petro-monarchie della regione ed alla stabilità dell’intera area MENA. Infatti, tra il 1995 ed il 2017 la monarchia degli al-Thani aveva gradualmente sviluppato una politica estera sempre più autonoma da Riyadh, mantenendo relazioni cordiali con l’Iran sciita, sostenendo gruppi islamisti come i Fratelli Musulmani e supportando le rivolte delle Primavere Arabe che avevano rovesciato gli autocrati filo-sauditi e filo-emiratini al potere in Egitto e Tunisia anche tramite la narrativa offerta dall’emittente qatarina Al-Jazeera (operativa dal 1996)4. Da parte sua, Doha considerò l’azione dei vicini arabi come un tentativo di limitare la sovranità qatariota e ridurre lo Stato del Qatar al rango di vassallo tramite le tredici richieste presentategli il 23 giugno dal “Quartetto Arabo” come condizione per porre fine al blocco terrestre, aereo e marittimo. Tra queste vi erano la chiusura di Al-Jazeera, una significativa riduzione delle relazioni con l’Iran, la fine del sostegno ai gruppi islamisti ed alla Fratellanza Musulmana (considerata da Riyadh e Abu Dhabi come un’organizzazione terroristica) e l’accettazione qatariota di controlli mensili esterni del rispetto delle sopracitate richieste. Ciò spinse la leadership qatarina – guidata dall’Emiro Tamim bin Hamad al-Thani – a rigettare tali richieste ed a rafforzare i legami con attori esterni al CCG al fine di fronteggiare la minaccia posta dal blocco saudita-emiratino – considerata tanto dal governo quanto dal popolo qatarino come la principale per la propria sicurezza nazionale –, preservare la propria sovranità e mantenere il proprio ruolo di autonoma potenza regionale in ascesa, sottraendosi così alla cosiddetta “sindrome del Kuwait” (i.e. il timore di venire annesso dalle grandi potenze confinanti quali l’Arabia Saudita e l’Iran, al pari di ciò che era accaduto al Kuwait per mano irachena durante la Prima Guerra del Golfo)5. Pertanto, Doha prese a rafforzare ancor di più i propri legami con Teheran – di fondamentale importanza fu, ad esempio, il ponte aereo allestito dall’Iran nel 2017 per garantire costanti rifornimenti al Qatar sotto embargo arabo – e con la Turchia, cercando di sfruttare efficacemente le tensioni tra potenze
79-91 e J. Kinninmont, “The Gulf Divided. The Impact of the Qatar Crisis”, Research Paper, Middle East and North Africa
Programme, Chatham House. The Royal Institute of International Affairs, maggio 2019.
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E. Lemmi e A. Chieffallo, Mediterraneo, Primavera Araba e Turismo. Nuovi scenari di frammentazione territoriale, FrancoAngeli s.r.l., Milano, 2012, pp. 113-114.
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esterne al fine di promuovere i propri interessi nazionali, una tattica utilizzata dalla monarchia degli al-Thani fin dalla fine del XIX secolo6.
In particolare, la Turchia è stata il paese musulmano che più ha supportato il Qatar soggetto ad embargo. In modo più deciso dal 2011, gli sviluppi geopolitici e securitari in Medio Oriente hanno favorito una sostanziale convergenza di interessi tra la Turchia dell’islamico-conservatore “Partito per la Giustizia e lo Sviluppo” (AKP) e del Presidente Recep Tayyip Erdogan – desiderosa di espandere la propria influenza nell’area MENA ed ergersi a paese leader del mondo sunnita, in linea con una strategia geopolitica neo-ottomana di opposizione a Riyadh – ed il Qatar – che dal 1995 ha percepito sempre più l’Arabia Saudita, paese con cui condivide il suo unico confine terrestre, come una minaccia alla propria indipendenza e sovranità. Infatti, le strategie geopolitiche di Doha ed Ankara condividono numerosi obiettivi e strumenti: il supporto all’Islam politico, l’obiettivo di presentarsi come Stati islamici moderni, una politica estera proattiva, audace ed indipendente, un’enfasi sulla diplomazia come strumento di risoluzione delle dispute regionali ed un elevato grado di pragmatismo politico. Di fatti, il rafforzamento della propria alleanza con Ankara è servito al Qatar anche per diminuire la propria dipendenza securitaria dagli Stati Uniti, di cui la monarchia degli al-Thani resta uno strategico alleato opportunista. Gli USA, infatti, mantengono un importante dispiegamento di forze nella penisola qatarina, strategicamente protratta verso il cuore del Golfo Persico: 600 soldati (saliti anche fino a 13.000 unità in alcuni periodi), un deposito di mine antiuomo ad Al-Kir’ana, un deposito di munizioni Falcon 78-ASP a nord di Mazra’at Tarina, una base logistica ad Umm Sa’id, il principale deposito di armamenti all’estero dello US Army – snodo logistico fondamentale per le operazioni militari in Iraq ed Afghanistan – ad Al-Sayliyya (a sud di Doha) ed, infine, la base aerea di Al-‘Udayd, la più grande base militare americana in Medio Oriente, quartier generale del Comando Americano per il Medio Oriente (c.d. USCENTCOM) nel 2003 e snodo fondamentale per le operazioni militare condotte in Siria ed Iraq contro lo Stato Islamico (ISIS). Per questi motivi, nonostante il Presidente americano Trump avesse inizialmente espresso sostegno all’offensiva del “Quartetto Arabo”, la leadership politico-militare di Washington ha presto iniziato a mediare tra Doha ed i vicini arabi al fine di ricompattare il fronte dei loro alleati arabi in chiave anti-iraniana e tutelare così i propri interessi nella strategica area del Golfo7. Comunque, già nel dicembre 2014, a causa dei dubbi riguardanti il perpetuarsi dell’impegno militare americano nel Golfo sotto la presidenza Obama, i qatarini avevano sottoscritto con Ankara
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C. Bianco, “La crisi del Qatar approfondisce i rapporti tra Doha e Teheran”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, 28/08/2017, https://www.limesonline.com/la-crisi-del-qatar-approfondisce-i-rapporti-fra-doha-e-teheran/101134, consultato il 01/11/2020.
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In Qatar – così come in tutte le altre petro-monarchie del Golfo – vi è anche una presenza militare britannica, retaggio della passata presenza coloniale di Londra nella regione: cfr. pp. 23-24 infra e Fraihat, op. cit.
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un accordo ai sensi del quale nel 2015 contingenti militari turchi si erano stanziati nella base militare qatarina Tariq ibn Ziyad. Nel 2017, tra le 13 richieste presentate al Qatar dai vicini arabi vi era proprio la chiusura della sopracitata base ed il ritiro dei soldati turchi di stanza nella penisola, in quanto la presenza militare turca in Qatar era tra i fattori che più spingevano sauditi ed emiratini a percepire la politica estera qatarina come minacciosa. Doha, invece, considerava essenziale l’alleanza con Ankara e la presenza militare turca di fronte alla possibilità di uno scontro con i vicini arabi. Pertanto, subito dopo l’inizio della crisi la Turchia ha incrementato la propria presenza militare nella penisola qatarina (arrivata a contare fino a 5.000 effettivi nel 2019) ed ha istituito con Doha un comando militare congiunto presso la base Tariq ibn Ziyad, mentre ancor oggi Ankara controlla la base militare Khalid ibn al-Walid ad Al Rayyan (ad ovest di Doha). Inoltre, la Turchia ha fornito importanti aiuti economici ed alimentari al Qatar in quel frangente, infatti dal 2017 le esportazioni turche verso il Qatar sono aumentate del 48% proprio per far fronte al boicottaggio dei vicini arabi a danno di Doha. L’azione turca nel 2017 ha quindi dato fiato alla monarchia degli al-Thani, impedito una possibile invasione saudita-emiratina della penisola qatarina (dove si trovava schierato il secondo esercito della NATO per numero di effettivi) ed ha permesso, quindi, a Doha di resistere all’offensiva del “Quartetto Arabo”. Pertanto, dal 2017 il Qatar ha definitivamente acquisito il ruolo di principale partner regionale della Turchia nella contesa con Riyadh ed Abu Dhabi, di fronte al comune isolamento percepito sia a livello regionale che internazionale. Infatti, il Qatar ha sostenuto e sostiene politicamente e finanziariamente l’implementazione dell’ambiziosa politica estera turca – neo-ottomana e favorevole alla Fratellanza Musulmana – in tutta l’area MENA8. In particolare, il sostegno finanziario qatarino si è rivelato fondamentale per Ankara nell’agosto 2018, di fronte all’imposizione da parte americana di sanzioni economiche e pesanti dazi doganali nei confronti della Turchia in seguito all’arresto da parte turca del pastore evangelico americano Andrew Brunson. In quel frangente, la monarchia degli al-Thani si è impegnata ad investire 15 miliardi di dollari nell’economia turca ed ha firmato con Ankara un accordo valutario dal valore di 3 miliardi di dollari per stabilizzare il valore della lira turca, mentre considerevole è stato dal 2017 l’incremento degli investimenti qatarini nei settori bancario, manifatturiero, immobiliare, turistico e mediatico dell’economia turca9. Da ultimo, di fronte all’escalation
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V. Talbot, “Nuovo protagonismo della Turchia nello scacchiere regionale”, Focus Turchia, ISPI – Osservatorio di Politica Internazionale, Nota 85, novembre 2020.
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Cafiero, op. cit. e A. Bakeer e G. Cafiero, “Deepening the Ankara-Doha Alliance”, Carnegie Middle East Center, 19/09/2018, https://carnegie-mec.org/sada/77289, consultato il 07/11/2020.
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diplomatica turco-francese occorsa tra l’estate e l’autunno 2020, nell’ottobre 2020 il Qatar ha messo in atto un boicottaggio dei prodotti made in France10.
Al fine di realizzare gli obiettivi della propria strategia di politica estera – quali la salvaguardia della propria sovranità ed indipendenza, il miglioramento della propria immagine a livello internazionale e lo sviluppo di una percezione di sé presso i propri alleati nel ruolo di affidabile partner regionale – Doha ha messo in campo molteplici strumenti.
Innanzitutto, il Qatar ha utilizzato i classici strumenti di hard power, affidandosi soprattutto allo spiegamento militare turco ed americano nelle basi della penisola e facendo particolarmente leva sulle proprie disponibilità economico-finanziarie. Infatti, la monarchia degli al-Thani può contare sullo sfruttamento dei ricchi giacimenti di gas e petrolio offshore presenti negli spazi marittimi controllati dal proprio Stato: quelli petroliferi di Duhan, Maydan Mahzam, Bu al-Hanin ed Al-‘Idd al-Sarqi (che nel 2014 contenevano riserve di petrolio ammontanti a 25.240 milioni di barili) e quello gasifero di North Dome (il più esteso giacimento di gas naturale al mondo, il cui sfruttamento è condiviso con l’Iran che ne controlla la porzione settentrionale nota come Pars Sud). Il petrolio ed il gas ivi estratti vengono convogliati tramite una fitta rete di oleodotti e gasdotti attraversanti la penisola qatarina verso il porto di Umm Sa’id, dove si trovano alcune raffinerie ed un importante terminal per l’esportazione. Il Qatar si è recentemente concentrato soprattutto sull’esportazione del gas, di cui può vantare le più importanti riserve tra i paesi della penisola arabica. Infatti, dal 2001 Doha è membro del GEFC, il “Forum dei Paesi Esportatori di Gas” che ha sede proprio nella capitale qatarina, mentre nel 2019 ha abbandonato l’OPEC pur restando parte
dell’OAPEC11
. I rilevanti introiti derivanti dalle esportazioni di idrocarburi e dagli investimenti in numerosi e differenti assets delle economie occidentali (si pensi all’acquisto qatarino della nota squadra di calcio francese del Paris Saint-Germain) hanno permesso al Qatar di sostenere finanziariamente in maniera essenziale il proprio alleato-protettore turco, la sua economia in crisi e la sua costosa e proattiva agenda di politica estera. Infatti, Doha ha sostenuto e continua a sostenere finanziariamente le varie organizzazioni nazionali legate alla Fratellanza Musulmana – come ha fatto col governo egiziano di Mohammed Morsi fino al suo rovesciamento manu militari nel 2013 – ed i proxies turchi nell’area MENA, dal GNA tripolino ai movimenti palestinesi di Hamas e Jihad
10 Euronews, “La France rappelle son ambassadeur en Turquie, une première”, 25/10/2020,
https://www.youtube.com/watch?v=7KqxH6Njsb0, consultato il 26/10/2020 e L. C. Schiavone, “Turchia-Qatar: le ragioni di un’alleanza”, Eastwest, 30/07/2019, https://eastwest.eu/it/turchia-qatar-competizione-medio-oriente/, consultato il 01/11/2020.
11
Il Qatar resta, infatti, un importante produttore di greggio, con una produzione giornaliera che nel 2012 ammontava a 1.345.000 barili al giorno: M. Emiliani, Medio Oriente. Una storia dal 1918 al 1991, Laterza, Roma-Bari, 2012, pp. 243-244.
14
Islamico fino al governo federale somalo di Mogadiscio12. La leva finanziaria è uno strumento fondamentale utilizzato dal Qatar anche per rinsaldare i legami con i propri partner occidentali e rafforzare il proprio apparato militare. A tal riguardo, due giorni dopo l’imposizione del blocco da parte dei paesi del “Quartetto Arabo” Doha ha siglato un accordo con gli Stati Uniti per l’acquisto di alcuni caccia F-15 del valore di 12 miliardi di dollari e sta ora cercando di ottenere da Washington anche la vendita dei moderni caccia F-35 (di fronte alla possibilità che anche Abu
Dhabi li ottenga)13. Inoltre, le sempre più strette relazioni economiche tra Doha e Washington non
si limitano solo al settore della vendita di armamenti americani al piccolo ma ricco emirato del Golfo. Nel 2019, ad esempio, la Qatar Investment Authority (QIA) ha annunciato l’avvio di importanti piani di incremento degli investimenti qatarioti negli USA da 30 a 45 miliardi di dollari in due anni14. Allo stesso modo, dal 2016 il Qatar ha siglato numerosi accordi con Roma per l’acquisto di armamenti prodotti da aziende italiane quali unità navali realizzate da Fincantieri, caccia Eurofighter ed elicotteri NH-90 targati Leonardo e pistole e fucili d’assalto col marchio Beretta. Doha, inoltre, ha anche finanziato tramite la propria compagnia di bandiera Qatar Airways la compagnia aerea Air Italy (ex “Meridiana”)15.
Insieme ai classici strumenti di hard power, il Qatar in anni recenti ha iniziato a fare largo uso anche dei più variegati strumenti di soft power, funzionali al raggiungimento dei propri obiettivi di politica estera. Innanzitutto, il sostegno alla Fratellanza Musulmana ed a movimenti e charities islamici come Hamas a Gaza può essere considerato come un autentico ricorso da parte di Doha alla cosiddetta “diplomazia religiosa”, una forma di diplomazia pubblica (del tipo “G to P”, government
to people diplomacy). In secondo luogo, strumento fondamentale della strategia di politica estera
qatarina è l’international broadcasting tramite l’emittente satellitare Al-Jazeera, una delle maggiori
12 Di fronte al diffondersi della pandemia da Covid-19 nell’area MENA nel 2020, la Turchia ed il Qatar hanno inviato aiuti alla
Striscia di Gaza, controllata dalle due formazioni palestinesi loro alleate. Inoltre, nell’ottobre 2020 il Presidente turco Erdogan ha visitato il Qatar per assicurarsi il continuato sostegno della monarchia degli al-Thani alla dissestata economia del suo paese: Cafiero, op. cit.; Schiavone, op. cit. e D. McElroy, “Qatari and Turkish support for Muslim Brotherhood network exposed in 100-page report”, The National, 30/09/2020, https://www.thenational.ae/world/qatari-and-turkish-support-for-muslim-brotherhood-networks-exposed-in-100-page-report-1.1086230, consultato il 01/11/2020.
13
Cfr. p. 19 infra e M. Stone, “Exclusive: Qatar makes formal request for F-35 jets – sources”, Reuters, 07/10/2020,
https://www.reuters.com/article/uk-qatar-israel-jets-exclusive/exclusive-qatar-makes-formal-request-for-f-35-jets-sources-idINKBN26S378, consultato il 01/11/2020.
14
Fraihat, op. cit.
15
Di fronte alla prima ondata di Covid-19 che ha fortemente interessato l’Italia nei primi mesi del 2020, il Qatar ha fornito a Roma anche aiuti sanitari – come le tensostrutture necessarie per l’allestimento di reparti ospedalieri d’emergenza – adoperando così veri e propri strumenti di “diplomazia sanitaria”: Kinninmont, op. cit. e G. La Spina, “Italia e Qatar lontani ma vicini”, IARI – Istituto Analisi Relazioni Internazionali, 03/10/2020, https://iari.site/italia-e-qatar-lontani-ma-vicini/?fbclid=IwAR0zHReHy5fDZ1eYzGimmPZL_szNwDGINHOOH7WFwLtfvccAE9x0FTJOGL0, consultato il 25/10/2020.
15
emittenti internazionali in lingua araba. Essa è nata in Qatar nel novembre 1996 ad opera dell’allora Emiro Hamad bin Khalifa al-Thani ed è stata la prima emittente in lingua araba a trasmettere notizie via satellite 24 ore su 24, diffondendosi pertanto in tutto il mondo arabo – dall’Atlantico al Golfo – e riscuotendo un immediato successo presso le popolazioni di quei paesi, per la prima volta in grado di fruire grazie ad essa di un’informazione televisiva di qualità e non soggetta ad alcuna forma di censura. Al-Jazeera ha avuto, infatti, un ruolo centrale nella narrazione presso il mondo arabo tanto degli interventi americani in Afghanistan (2001) ed Iraq (2003) quanto delle rivolte delle “Primavere Arabe”, contribuendo in quest’ultimo caso allo sviluppo presso le popolazioni arabe di una coscienza comune avente l’obiettivo di destituire le dispotiche leadership di tutta l’area MENA. Ad esempio, l’emittente qatarina fu la prima a documentare la rivolta in corso in Tunisia tra il 2010 ed il 2011 contro il regime di Ben Ali. Per questo motivo, tra le 13 richieste poste al Qatar dal “Quartetto Arabo” nel 2017 vi era anche la fine delle trasmissioni di Al-Jazeera, già messe al bando dai paesi autori del blocco perché accusate di fomentare i disordini ed il terrorismo. Inoltre, nel 2006 Al-Jazeera si è dotata anche di un canale in lingua inglese, Al-Jazeera English (rinominato poi nel 2010 Al-Jazeera International e nel 2012 Al-Jazeera Intl), al fine di trasmettere la propria programmazione anche al di fuori del mondo arabo16. Quindi, il Qatar fa anche ricorso alla diplomazia culturale, innanzitutto tramite le cosiddette “diplomazia museale” e “diplomazia educativa”, favorendo gli scambi educativi con l’Occidente ed ospitando sul proprio suolo le succursali di prestigiose università occidentali come le americane Georgetown e Northwestern
University, tra le migliori 10 università americane al di fuori degli USA17. Inoltre, Doha ha fatto e continua a fare ampio ricorso anche alla diplomazia sportiva come strumento di nation branding, con l’obiettivo di legittimare sullo scenario internazionale la propria sovranità tra giganti geopolitici del calibro di Riyadh e Teheran ed essere riconosciuta come un interlocutore credibile. In questo senso, la monarchia degli Al-Thani ha investito – e continua ad investire – molto nell’organizzazione delle gare di Formula 1 e Moto GP, dei campionati mondiali di nuoto e ciclismo, della FIFA Club World Cup del 2021 e soprattutto della Coppa del mondo di calcio del
16
Cafiero, op. cit.; Emiliani, op. cit., p. 244; Kinninmont, op. cit. e Lemmi e Chieffallo, op. cit., pp. 113-114 e 133.
17
Il campus della Northwestern University a Doha è stato istituito nel 2008 in collaborazione con la Qatar Foundation ed offre corsi accademici di giornalismo, media e comunicazione. La Georgetown University in Qatar si trova anch’essa appena fuori Doha, è stata fondata in collaborazione con la Qatar Foundation e sostiene la missione della Georgetown University di promuovere la comprensione reciproca sul piano intellettuale, etico e spirituale tramite un serio e ragionato dialogo tra persone di fedi, culture ed idee differenti: S. Wakefield, “Contemporary Art and Migrant Identity “Construction” in the UAE and Qatar”, Journal of Arabian
Studies. Arabia, the Gulf and the Red Sea, 7:sup1, Agosto 2017, pp. 99-111 e OYAOppotunities, “Top 10 US Universities Outside
16
2022. Infine, nel 2008 Doha ha lanciato il progetto Qatar’s 2030 Vision, un piano di sviluppo sostenibile avente come orizzonte il 203018.
1.2 – Obiettivi e strumenti della strategia di politica estera di Abu Dhabi
Il ruolo geopolitico degli EAU è andato rapidamente evolvendosi negli anni recenti, facendo sì che la Federazione emiratina si sia trasformata da mero junior partner di Riyadh e Washington in un’assertiva potenza regionale in ascesa, decisa a contrastare l’espansione dell’influenza iraniana e, poi, soprattutto turca nell’intera area MENA. Gli obiettivi dell’attuale strategia di politica estera emiratina possono infatti riassumersi nei seguenti punti: contrasto alla diffusione dell’Islam politico, alla Fratellanza Musulmana ed alla crescente influenza turco-iraniana in tutta la regione mediorientale ma soprattutto nell’area del Golfo; realizzazione di un grand design relativo al controllo della catena degli scambi energetico-commerciali a cavallo tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano (i.e. tra Gibilterra e Malacca); costruzione e diffusione all’estero della propria immagine di
Stato musulmano moderato, tollerante ed all’avanguardia, proiettato verso le sfide del futuro19
. Innanzitutto, il ruolo degli EAU è recentemente divenuto determinante nella strategia di contrasto all’Iran messa in campo dalle petro-monarchie del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Secondo vari analisti, la Federazione emiratina ed il potente principe ereditario di Abu Dhabi Mohammed bin Zayed Al-Nahyan (soprannominato “MbZ”) sarebbero infatti i veri iniziatori dell’offensiva del CCG contro Teheran (così come contro la Fratellanza Musulmana), con MbZ nel ruolo di mentore del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (detto “MbS”), vero reggitore delle sorti di casa Sa’ud. Innanzitutto, sin dagli anni Settanta Abu Dhabi rivendica la propria sovranità sulle isole del Golfo Persico di Abu Musa, Grande Tunb e Piccola Tunb, occupate dall’Iran Pahlavi in seguito al ritiro britannico nel 1971. Pertanto, la prospettiva di un’egemonia iraniana in Medio Oriente e soprattutto nel Golfo costituisce da sempre la principale minaccia percepita dagli EAU alla propria sicurezza, considerando che nel 2018 il 10-15% della popolazione emiratina era costituito da musulmani sciiti e che un possibile blocco da parte iraniana dello Stretto di Hormuz (più volte minacciato da Teheran) avrebbe effetti disastrosi sulle esportazioni di petrolio emiratine e sull’intera economia della Federazione. Conseguentemente, dall’inizio degli anni Duemila e con particolare evidenza dal 2011, gli EAU hanno sviluppato una strategia di politica estera proattiva
18
Wakefield, op. cit.
19
ISPI – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (a cura di), Osservatorio di Politica Internazionale – Focus Mediterraneo
Allargato, n. 14, settembre 2020, pp. 30-36; P. Salisbury, “Risk Perception and Appetite in UAE Foreign and National Security
Policy”, Research Paper, Middle East and North Africa Programme, Chatham House. The Royal Institute of International Affairs, luglio 2020 e L. Trombetta, “Il grande gioco degli Emirati Arabi Uniti”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, 18/10/2018, https://www.limesonline.com/il-grande-gioco-degli-emirati-arabi-uniti/109191?prv=true, consultato il 07/11/2020.
17
volta a tutelare i propri interessi nell’area del Golfo dalla minaccia iraniana, una strategia dal carattere spiccatamente difensivo che si distingue, quindi, da quella saudita di matrice decisamente offensiva. In quest’ottica vanno letti la partecipazione emiratina all’intervento militare delle monarchie del CCG in Bahrain a sostegno della locale monarchia sunnita degli Al-Khalifa in occasione della rivolta lì scoppiata nel febbraio 2011 su iniziativa della maggioranza sciita della popolazione, il supporto ai ribelli siriani contro il governo di Damasco nel 2011, la partecipazione nel 2015 alla coalizione a guida saudita impegnata nella guerra civile yemenita contro i ribelli sciiti Huthi ed il deciso sostegno al blocco contro il Qatar nel 2017 – al fine di colpire l’economia qatarina e, quindi, anche le capacità di proiezione turca all’estero20
.
In secondo luogo, per Abu Dhabi la Turchia di Erdogan è più di recente assurta al rango di minaccia esistenziale ancor più temibile di quella rappresentata da Teheran e, conseguentemente, gli EAU si sono fortemente impegnati a contrastarne la crescente influenza in tutta l’area MENA, con l’obiettivo di venire riconosciuti nel ruolo di responsible power nella regione da parte degli alleati statunitensi e non solo. La rivalità turco-emiratina ha radici ideologiche e geo-strategiche risalenti allo sviluppo delle primavere arabe nel 2011. Infatti, di fronte alla caduta di vari regimi autocratici in Medio Oriente ed al progressivo disimpegno americano dalla regione avviato sotto la presidenza Obama, il duo Ankara-Doha ha tentato di espandere la propria influenza nell’area MENA e di legittimarsi come guida del mondo islamico-sunnita tramite il sostegno all’Islam politico in tutte le sue forme (in particolare la Fratellanza Musulmana) e, per contro, gli Emirati Arabi Uniti – molto preoccupati da tali avvenimenti – si sono impegnati a contrastare in vari scenari – dalla Libia al Siraq, dall’Egitto al Sudan – l’avanzata dell’Islam politico, considerato una grave minaccia alla stessa esistenza della Federazione. Ciò soprattutto in seguito all’insediamento alla Casa Bianca di Donald J. Trump nel 2017, con cui MbZ ha sviluppato delle relazioni profondissime. Infatti, gli EAU hanno consolidato a questo fine il proprio legame d’alleanza con Washington, fregiandosi dello scudo difensivo degli Stati Uniti (tramite la presenza di una base aerea americana nel paese con circa 200 soldati statunitensi di stanza, saliti anche fino a 5.000 unità in alcuni periodi) e
20
Nonostante le conflittuali relazioni politiche intercorrenti tra Teheran ed Abu Dhabi, i rapporti economico-commerciali tra i due paesi sono divenuti comunque molto fitti, soprattutto a partire dagli anni Novanta. A tal proposito, va ricordato come Dubai, capitale economica e commerciale degli EAU, ospiti una comunità di circa 300.000 iraniani fondamentale per lo sviluppo dell’economia locale in quanto impegnata nell’esportazione di merci verso l’Iran a partire dai porti emiratini. Pertanto, Dubai è assurta al ruolo paradossale di “forziere iraniano” e la sua economia – al pari di quella dell’intera Federazione – potrebbe subire seri danni dall’inasprimento delle sanzioni economiche recentemente voluto dagli USA nei confronti della Repubblica Islamica a tutto vantaggio del vicino Oman, paese amico ma nello stesso tempo diretto competitor degli EAU nell’attrazione dei flussi commerciali e degli investimenti diretti esteri provenienti dall’Asia e con il quale il comune confine rimane ancora ufficialmente non definito: R. Chaker (traduzione di F. Maronta), “Abu Dhabi, il nemico discreto” – “Attacco all’impero persiano”, Limes – Rivista italiana di
18
cercando di presentarsi agli occhi degli USA come il partner regionale più affidabile a cui poter delegare il mantenimento dello status quo ed il coordinamento di future iniziative politico-strategiche in Medio Oriente, al fine di sopravanzare Riyadh in tale ruolo e di impedire che fossero Ankara e Doha ad occuparlo. Comunque, nel timore di una direttrice di politica estera americana sempre più incline al disimpegno dal Medio Oriente, Abu Dhabi si è molto interessata anche alla strategia cinese della Belt and Road Initiative, con l’obiettivo di divenire uno snodo fondamentale delle “Nuove Vie della Seta” terrestri e marittime attraversanti l’area MENA a tutto detrimento, di nuovo, della rilevanza geo-economica di Ankara e Doha21. Infine, sin dal 2007 Abu Dhabi ha siglato anche un comprehensive partnership agreement con l’India al fine di incentivare le relazioni economico-commerciali con l’altro gigante asiatico, funzionali al rafforzamento della proiezione
politico-economica emiratina nell’Oceano Indiano22.
Al fine di conseguire i propri obiettivi di politica estera, gli Emirati Arabi Uniti hanno messo in campo una molteplicità di strumenti differenti, facendo largo utilizzo tanto dei classici mezzi di
hard power quanto dei più innovativi strumenti di soft power.
Per prima cosa, è necessario rilevare il crescente ed efficace ricorso fatto da Abu Dhabi a classici strumenti economici, militari e politico-strategici nell’ambito della propria strategia di politica estera. Innanzitutto, gli EAU possono contare sugli introiti derivanti dallo sfruttamento di ricchi giacimenti di gas e petrolio sia onshore che offshore quali quelli di al-Bunduq, Rashid Umm Sharif, Zakum, al-Fatih, Saga’, Bab, al-Sahil, ‘Asab, Bu Hasa, Shah e dell’isola Das, che nel 2014 contenevano riserve di petrolio pari a 97.800 milioni di barili. Ciò fa della Federazione uno dei
membri principali dei cartelli OPEC, OAPEC e GECF23. Comunque, gli EAU hanno recentemente
lanciato anche l’ambizioso programma di diversificazione economica ed energetica Vision 2021, che punta sullo sviluppo delle energie rinnovabili e, soprattutto, del nucleare civile alfine di attrarre
21
A. Amighini, “Sempre più Cina nel Golfo e in Nord Africa”, ISPI, 29/01/2020, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sempre-piu-cina-nel-golfo-e-nord-africa-24937?fbclid=IwAR16wM7VDEJdqT7CZB7s1J84RKNGNcXDZCng_eiPamy4DIOfyJFoJwgG6-8, consultato il 07/11/2020 e G. Burton, “BRI nell’area MENA: strumento di stabilità?”, ISPI, 29/01/2020,
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/bri-nellarea-mena-strumento-di-stabilita-24941?fbclid=IwAR3srbgTfLuZrq2Qfoq1O40xdtjtZgAz_yLZyiNiL5hkLc7XnZEJdrvw80g, consultato il 07/11/2020.
22
C. Bianco e A. Occhiuto, “La guerra Emirati-Turchia rimpicciolisce l’Italia” – “Il turco alla porta”, Limes – Rivista italiana di
geopolitica, n. 7/2020, agosto 2020, pp. 293-299.
23
Nel 2018, nonostante l’embargo ancora in atto nei confronti di Doha, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno concluso un accordo per lo sfruttamento congiunto del giacimento petrolifero di al-Bunduq. Tale accordo è andato a rinnovare un contratto petrolifero preesistente ed ha assegnato alla compagnia petrolifera nazionale qatarina Qatar Petroleum una concessione petrolifera relativa al giacimento sopracitato. Inoltre, nel 2020 si sono verificati dissidi interni all’OPEC tra sauditi ed emiratini poiché quest’ultimi non hanno pienamente rispettato gli impegni al taglio della produzione petrolifera decisi per far fronte all’abbassamento del prezzo del greggio a causa della pandemia. Quindi, alcuni analisti hanno perfino previsto un possibile abbandono del sopracitato cartello petrolifero da parte degli EAU: cfr. p. 13 supra.
19
l’interesse delle aziende occidentali con le quali poter poi sviluppare progetti innovativi24
. Inoltre, gli EAU hanno investito in vari assets delle economie occidentali, tra cui quella italiana, sviluppando con Roma relazioni commerciali molto significative. Si pensi, a tal proposito, al ruolo giocato dalla compagnia di bandiera emiratina Etihad Airways nell’affare “Alitalia” ed agli investimenti dei fondi sovrani emiratini in grandi marchi italiani come quello Piaggio25. Grazie a tali disponibilità economiche, gli EAU hanno potuto impegnarsi anche per modernizzare la propria industria bellica e potenziare le proprie forze armate, divenute oggi tra le meglio equipaggiate e più efficienti del Medio Oriente. A tal riguardo, nel 2018 Abu Dhabi ha concluso con Mosca un accordo di partenariato per la sicurezza prevedente la vendita russa di armi agli EAU, lo sviluppo della cooperazione logistica tra i due paesi e la realizzazione congiunta di un sistema d’attacco e difesa al fine di sviluppare la quinta generazione di cacciabombardieri emiratini. Gli EAU hanno proceduto alla stipula di tale accordo in seguito al rifiuto americano di vendere ai propri alleati del Golfo i caccia F-35 per preservare la superiorità militare israeliana in Medio Oriente (impegno al cui rispetto gli USA sono vincolati per legge dal 2008). Anche per aggirare tale ostacolo ed ottenere un maggior accesso alle tecnologie militari israeliano-americane – oltre che per presentarsi all’estero come paese musulmano moderato, tollerante e proiettato verso il futuro – gli EAU hanno proceduto a normalizzare le relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico nell’estate del 2020. Ma anche in quell’occasione Gerusalemme ha posto il proprio veto alla fornitura americana di F-35 ad Abu Dhabi (rispetto alla quale l’amministrazione Trump si è poi invece espressa favorevolmente), per tornare sui propri passi solo in seguito all’annuncio della normalizzazione delle relazioni israeliano-sudanesi nell’ottobre 202026. Nel 2019, poi, gli EAU – importante paese membro del
24 Nel 2020, gli EAU sono divenuti il primo paese arabo a produrre energia nucleare: ISPI, op. cit., p. 32. 25
Roma ed Abu Dhabi hanno sviluppato importanti relazioni anche dal punto di vista politico e militare. Infatti, presso la base aerea di al-Minhad a Dubai staziona una task force air costituita da 106 militari italiani col compito di fornire supporto logistico e sanitario diretto ai contingenti nazionali impegnati in Afghanistan, Corno d’Africa, Iraq e Kuwait: L. Canali, “Dove sono i militari italiani in Medio Oriente”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, 21/02/2020, https://www.limesonline.com/militari-italiani-in-medio-oriente-carta-missioni/116752?prv=true, consultato il 06/11/2020 e A. De Sanctis, “Boots on the ground: l’Italia in armi è dove serve”, Limes
– Rivista italiana di geopolitica, 05/02/2020,
https://www.limesonline.com/cartaceo/boots-on-the-ground-litalia-in-armi-e-dove-serve?prv=true, consultato il 06/11/2020.
26
Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 2020 l’amministrazione americana ha quindi confermato la propria volontà di vendere agli EAU 50 cacciabombardieri F-35 ed altre attrezzature militari (tra cui munizioni a guida di precisione e missili) del valore complessivo di oltre 23 miliardi di dollari: N. Locatelli, “L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti è contro l’Iran e contro la Turchia”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, 13/08/2018, https://www.limesonline.com/accordo-israele-emirati-arabi-uniti-contro-iran-e-turchia/119792, consultato il 01/11/2020; Rai News, “Trump: accordo Israele-Sudan per normalizzare le relazioni”, 23/10/2020, https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Trump-lancia-accordo-Israele-e-Sudan-per-normalizzare-le-relazioni-378f6c89-37fc-49c5-9b5f-acc85b9080f1.html, consultato il 01/11/2020 e Stone, op. cit.
20
partenariato esterno della NATO27– si sono qualificati come il secondo principale acquirente di armi francesi, acquistando da Parigi un quantitativo di armi del valore di 1,7 miliardi di dollari e divenendo anche un importante polo d’attrazione di investimenti francesi28. Inoltre, la diplomazia emiratina si è impegnata in un’efficace azione di lobbying volta ad influenzare la politica americana in Medio Oriente, associata ad attività di spionaggio e di shaming soprattutto ai danni della Turchia e del Qatar29. Protagonista di tale azione è stata soprattutto l’ambasciata emiratina a Washington (guidata dall’Ambasciatore Yusuf al-‘Utayba), accusata da Ankara di aver spinto la CIA ed il Pentagono a rimanere neutrali in occasione del fallito colpo di Stato in Turchia del 15 luglio 2016 – che Erdogan accusa gli EAU di aver fortemente sostenuto – e che durante la presidenza Trump si è fortemente impegnata per spingere gli alleati americani su posizioni decisamente ostili all’Iran. In questo senso, ad esempio, vanno letti come vittorie diplomatiche emiratine il ritiro americano dal cosiddetto “accordo sul nucleare iraniano” e la sostituzione di Rex Tillerson con Mike Pompeo alla guida della Segreteria di Stato nel 201830. Conseguentemente, la costituzione in Medio Oriente di un asse arabo-israeliano benedetto da Washington in funzione anti-iraniana e, poi, anche anti-turca e le rilevanti disponibilità economiche hanno permesso negli anni recenti ad Abu Dhabi di accrescere a dismisura le proprie capacità di proiezione militare all’estero e di impegnarsi attivamente su vari fronti – dalla Libia al Mediterraneo orientale, dal Golfo Persico al Corno
d’Africa, dallo Yemen al Sudan fino alla Siria – al fine di contrastare le minacce turca e iraniana31
. Per tali motivi, vari analisti hanno iniziato a definire gli EAU come una “piccola Sparta” con l’intento di descrivere il nuovo ruolo assunto dalla Federazione in Medio Oriente, ossia quello di un’agguerrita potenza emergente decisa a plasmare l’area MENA ma soprattutto la regione del Golfo sulla base della propria visione e dei propri interessi. Nell’ambito di tale strategia anti-iraniana e, soprattutto, anti-qatarina ed anti-turca va letta anche l’attività della Dubai Ports World, società di logistica portuale fondata a Dubai nel 1999 e tramite la quale gli EAU hanno acquisito il
27
Frattini, op. cit.
28 A tal proposito, va segnalato che nel novembre 2019 i Ministri degli Esteri francese ed emiratino hanno siglato ad Abu Dhabi un
accordo per il rafforzamento della cooperazione militare, segnatamente in funzione anti-turca. Parigi, inoltre, già dal 2009 detiene una base navale ad Abu Dhabi: J. Fenton-Harvey, “What Drives the Foreign Policy Alignment between France and the United Arab Emirates”, Al Sharq Strategic Research, 05/07/2020, https://research.sharqforum.org/2020/07/05/what-drives-the-foreign-policy-alignment-between-france-and-the-united-arab-emirates/, consultato il 06/11/2020.
29 Daily Sabah, “UAE under fire for funding incitement targeting Turkey, Qatar”, 05/10/2020,
https://www.dailysabah.com/politics/diplomacy/uae-under-fire-for-funding-incitement-targeting-turkey-qatar?gallery_image=undefined#big, consultato il 01/11/2018.
30
M. Srour e C. Bianco, “Il Golfo arabo non si fida degli USA e teme la guerra”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, 06/02/2020, https://www.limesonline.com/cartaceo/il-golfo-arabo-non-si-fida-degli-usa-e-teme-la-guerra?prv=true, consultato il 01/11/2020.
21
controllo di numerosi porti localizzati in diversi paesi lungo le rotte commerciali ed energetiche che collegano l’Oceano Indiano al Mediterraneo: Yemen, Somalia, Gibuti, Eritrea, Sudan, Egitto, Cipro e Libia. A tal riguardo, gli EAU – nel loro nuovo ruolo di “Serenissima d’Oriente” – potrebbero sviluppare in futuro degli interessi anche per i porti italiani dello Ionio e dell’Adriatico coinvolti nella BRI cinese32.
Invece, tra gli strumenti di soft power utilizzati dagli EAU un ruolo fondamentale riveste l’attività di international broadcasting tramite l’emittente emiratina Al-Arabiya. Essa è stata fondata nel marzo 2003 a Dubai ed ha subito acquisito il ruolo di principale competitor di Al-Jazeera nella fornitura tempestiva di notizie in lingua araba alle popolazioni dell’area MENA. Infatti, dal 2011 l’emittente emiratina – anch’essa caratterizzata, al pari della controparte qatarina, da un’elevata qualità dell’informazione e professionalità dei propri cronisti, da un facilitato accesso alle informazioni locali e riservate e da un canale in lingua inglese – si è impegnata per sviluppare una narrazione degli eventi connessi alle “Primavere Arabe” alternativa a quella diffusa da Al-Jazeera, oltre a dipingere poi le attività di proiezione esterna turche nell’area MENA (ad esempio in Libia) come feroci e destabilizzanti campagne d’aggressione. Pertanto, dall’aprile 2020 la Turchia impedisce l’accesso ai mass-media emiratini e sauditi sul proprio territorio33.
Inoltre, al fine di presentarsi al mondo come una potenza musulmana moderna – ossia tollerante, moderata ed aperta alle sfide del futuro – gli EAU hanno utilizzato vari strumenti di soft power afferenti all’ambito della cultural diplomacy e della public diplomacy. Innanzitutto, essi hanno impiegato la diplomazia educativa, sostenendo lo sviluppo di scambi educativi con l’Occidente e l’apertura sul loro territorio di sedi delle università occidentali, come le università Parigi-Sorbona e
New York University ad Abu Dhabi (valutata, quest’ultima, tra le prime 10 università americane
32
A tal proposito, va segnalato che il recente tentativo della DP World di penetrare anche all’interno dei porti statunitensi ha visto la decisa contrarietà di Washington per motivi legati alla sicurezza nazionale americana. In compenso, su indicazione dell’alleato statunitense anche gli EAU – insieme a Singapore e Giappone – investiranno nel fondo sovrano indonesiano al fine di arginare la crescente influenza economica cinese nell’Indo-Pacifico: Bianco e Occhiuto, op. cit.; Chaker, op. cit.; M. Giro, “Gli Emirati Arabi Uniti vogliono fare la “Serenissima d’Oriente””, Limes – Rivista italiana di geopolitica, 02/03/2020, https://www.limesonline.com/emirati-arabi-uniti-globalizzazione-oceano-indiano/116919, consultato il 01/11/2020; C. Lons, “Ports and Politics: UAE-Qatar Competition in the Mediterranean”, ISPI, 17/07/2020, https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ports-and-politics-uae-qatar-competition-mediterranean-26967, consultato il 01/11/2020 e N. Pedde, “Così Abu Dhabi vuol farsi potenza dei mari” – “Gerarchia delle onde”, Limes – Rivista italiana di geopolitica, n. 7/2019, agosto 2019, pp. 222-228.
33
Bianco e Occhiuto, op. cit.; Lemmi e Chieffallo, op. cit., pp. 113-114 e Reuters, “UAE’s Gargash says Turkey’s army in Qatar destabilizes region”, Al Arabiya English, 11/10/2020, https://english.alarabiya.net/en/News/gulf/2020/10/11/UAE-s-Gargash-says-Turkey-s-army-in-Qatar-destabilizes-region, consultato il 01/11/2020.
22
all’estero)34
. La Federazione ha fatto uso anche della diplomazia museale tramite l’inaugurazione di musei volti a narrare la storia nazionale, quali l’Al Ain National Museum attivo dal 1969 ed il futuro
Zayed National Museum (realizzato in collaborazione col British Museum), e l’apertura di sedi dei
musei europei sul proprio territorio, come nel caso del Louvre di Abu Dhabi inaugurato nel 201735.
Allo stesso modo, Abu Dhabi ha impiegato anche la diplomazia religiosa, ospitando nel 2019 la cerimonia per la firma da parte del Papa e dell’Imam di Al-Azhar della “Dichiarazione sulla Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, permettendo la costruzione del primo templio indù negli EAU e cooperando attivamente con Parigi nella diffusione presso i centri islamici francesi di una visione dell’Islam moderata e tollerante volta ad arginare l’influenza della
Fratellanza Musulmana36. Infine, gli EAU si sono impegnati anche nell’organizzazione di
importanti eventi internazionali come il prossimo EXPO 2021 a Dubai (originariamente previsto per il 2020 ma rimandato di un anno vista la situazione pandemica internazionale di Covid-19) ed hanno fatto ricorso anche alla diplomazia scientifica, sostenendo la cooperazione con aziende e paesi occidentali in progetti innovativi come quelli in ambito spaziale. In questo settore gli EAU si presentano, infatti, come l’avanguardia del mondo arabo grazie al loro programma spaziale “Marte 2117”, nell’ambito del quale il primo astronauta emiratino è già salito a bordo della Stazione Spaziale Internazionale e nel 2021 la prima sonda spaziale emiratina entrerà nell’orbita di Marte in
occasione del cinquantenario della fondazione della Federazione37.
34
Fenton-Harvey, op. cit.; OYAOpportunities, op. cit. e K. Bogos, “American Universities in a Gulf of Hypocrisy”, New York Times, 15/12/2016, https://www.nytimes.com/2016/12/15/opinion/american-univisities-nyu-georgetown-in-a-gulf-of-hypocrisy.html, consultato il 01/11/2020.
35 Wakefield, op. cit. 36
A tal riguardo, va segnalato come gli EAU – ed in particolare Dubai – potrebbero guidare la ripresa economica del mondo arabo-islamico dopo la pandemia di Covid-19 anche grazie allo sviluppo della c.d. “economia islamica” (i.e. produzione di cibi e bevande
halal): Fenton-Harvey, op. cit.; E. Ardemagni, “The Geopolitics of Tolerance: Inside the UAE’s Cultural Rush”, ISPI, 03/02/2019,
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/geopolitics-tolerance-inside-uaes-cultural-rush-22155, consultato il 06/11/2020 e B. Kilickaya, “French Islam: How France and UAE Partners to Create a State Approved Religion”, Politics Today, 16/09/2019, https://politicstoday.org/french-islam-how-france-and-the-uae-partners-to-create-a-state-approved-religion/, consultato il 06/11/2020.
37
P. Aquaro, “Emirati arabi, prove tecniche di Expo sognando Marte e il bello del made in Italy”, Corriere della Sera, 06/10/2020, https://corriereinnovazione.corriere.it/2020/10/06/emirati-arabi-prove-tecniche-expo-sognando-marte-bello-made-italy-d66b7a40-032c-11eb-a582-994e7abe3a15.shtml?fbclid=IwAR3ntkZFh-Fyc0bLCSu5D7C5raatvDAzV0lmtANuoaW0pYBPnzbmrccZTkE, consultato il 01/11/2020.