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Il ruolo dei radicali liberi dell’ossigeno di origine mitocondriale nella disfunzione endoteliale delle piccole arterie diresistenza di pazienti con obesità severa

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Università di Pisa

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN MEDICINA E CHIRURGIA

Tesi di laurea

Il ruolo dei radicali liberi dell’ossigeno di origine mitocondriale

nella disfunzione endoteliale delle piccole arterie di resistenza di

pazienti con obesità severa

RELATORE

Prof. Stefano Taddei

CORRELATORE

Dott. Stefano Masi

CANDIDATA

Olha Bessonova

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Ringraziamenti

In questo giorno cosi aspettato, desidero ringraziare innanzitutto il mio relatore Professor Stefano Taddei, una persona di grande conoscenza e riferimento di tutti medici e ricercatori per aver preso questa responsabilità e sopratutto per la sua disponibilità, fiducia e le grande opportunità che mi ha concesso.

Ringrazio il mio correlatore il Dott. Stefano Masi che mi ha seguito dall'inizio fino alla fine aiutando con suggerimenti ed osservazioni con una grande perizia e pazienza.

Vorrei ricordare anche Emiliano Duranti che è stato di grande aiuto nella parte pratica della mia tesi e mi ha dato la possibilità di eseguire alcuni esperimenti e prove necessari per ottenere il miglior risultato.

Ringrazio Martina Chiriacò per la sua generosità e simpatia, che mi ha dato una mano nella correzione grammaticale della parte della tesi, dove mi sono trovata in diffioltà. Senza il supporto e la guida di queste persone nell’ambito della ricerca - per me cosi nuovo ed importante - la mia tesi non esisterebbe.

Un ringraziamento speciale è rivolto alla mia Famiglia- mia madre, padre e nonni - per essermi stati sempre vicini. Sono persone di grande saggezza e valore, che hanno dato il loro meglio per farmi crescere e sviluppare i lati positivi della mia personalità. La mia gratitudine è infinita, carissimi miei!

Ringrazio anche la mia cara amica - Marisa Baviello - che ha sopportato ore e ore della mia lingua italiana da “recluta”, ma non ha mai perso la fiducia in me.

Un ringraziamento particolare va ad Omar Odeh - la persona di grande cuore, che mi conosce più di tutti e mi è stata sempre affianco, che mi ha fatto sempre sorridere, sostenendomi nei momenti difficili.

Una parola breve ma doverosa a tutte le persone che mi sono stati vicine e di grande aiuto – grazie – in particolare a Giorgio, Marco, Andrea, Renzo, Lena, Besjona, Lina e Sasha per aver condiviso con me i momenti di gioia e di tristezza in questi anni e per aver partecipato alla mia vità. Vi sono grata.

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Indice

1. RIASUNTO ANALITICO ... 4 2. INTRODUZIONE ... 7 2.1 Obesità : definizione ... 7 2.1.1 Epidemiologia ... 8

2.1.2 Mortalità e complicanze associate all’obesità ... 9

Associazione tra obesità e malattie cardiovascolari ... 10

2.2 L’evoluzione del danno vascolare nel paziente obeso ... 12

2.2.1 Il danno microcircolatorio e la relazione con il danno d’organo subclinico e la mortalità cardiovascolare ... 14

2.2.2 Eziopatogenezi della patologia aterosclerotica nel paziente obeso ... 15

2.3 Principali fonti di radicali liberi dell’ossigeno nell’obesità ... 19

2.3.1 NADPH-ossidasi ... 20

2.3.2 ROS mitocondriali ... 22

3. SCOPO DELLO STUDIO ... 25

4. MATERIALI E METODI ... 26

4.1 Popolazione studiata ... 26

4.2 Studio del microcircolo ... 27

4.2.1 Miografia a pressione ... 27

4.2.2 Fattori di rischio cardiovascolare ... 29

4.3 Statistica ... 29

5. RISULTATI ... 30

6. DISCUSSIONE ... 33

7. CONCLUSIONE ... 37

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1. RIASSUNTO ANALITICO

L’obesità rappresenta una condizione sempre più prevalente nella popolazione generale, come suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che prevede un significativo incremento delle patologie connesse all’obesità nel corso dei prossimi 20 anni. Tra le patologie che si associano all’obesità quella sicuramente più frequente e invalidante è la malattia cardiovascolare. Sono diversi i meccanismi che nel paziente obeso determinano l’incremento del rischio di patologia cardiovascolare, tra questi quello il più precoce è rappresentato dalla disfunzione endoteliale. Viene definita come disfunzione endoteliale una condizione nella quale le cellule endoteliali che separano la parete vascolare dal torrente circolatorio vanno incontro ad attivazione e assumono un fenotipo pro-aterosclerotico.

L’alterazione più importante che si riscontra nella fisiologia endoteliale in seguito a sviluppo di disfunzione è la riduzione della biodisponibilità di ossido nitrico (NO), questo gas ha importanti funzioni nel controllo dell’omeostasi vascolare, inclusi il tono della parete, i processi di coagulazione, la proliferazione delle fibrocellule muscolari lisce e la produzione di molecole pro-infiammatorie. Una sua riduzione si associa ad alterazioni di tutti questi meccanismi di controllo dell’omeostasi vascolare.

Le tecniche che sono più comunemente utilizzate per identificare uno stato di disfunzione endoteliale valutano il deficit di risposta vasodilatatoria conseguente alla ridotta produzione di NO. Tali tecniche hanno dimostrato in molteplici studi come nel paziente obeso si sviluppi precocemente uno stato di disfunzione endoteliale di cui il deficit nella biodisponibilità di NO sembra rappresentare il determinante principale.

La ridotta biodisponibilità di NO nel paziente obeso è stata spesso attribuita a un’eccessiva produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) che interagendo velocemente con questo

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gas portano alla produzione di radicali nitrossido. Le diverse fonti di stress ossidativo che inducono questo stato di disfunzione endoteliale nel paziente obeso rimangono ancora poco chiare.

In questa tesi abbiamo analizzato il contributo alla disfunzione endoteliale della ridotta biodisponibilità di NO dovuta a due delle principali fonti di stress ossidativo intracellulare nel paziente obeso: NADPH ossidasi (NicotinamideAdenineDinucleotidePhosphate Oxidase) e mitocondri.

Per poterlo fare abbiamo utilizzato piccole arteriole di resistenza isolate dal tessuto adiposo sottocutaneo di pazienti obesi e di controlli. La funzione endoteliale è stata studiata con miografia a pressione tramite l’utilizzo di curve dose risposta all’acetilcolina (Ach). Per definire il contributo della NADPH ossidasi e dello stress ossidativo mitocondriale alla biodisponibilità di NO abbiamo utilizzato gp91ds-tat (un inibitore specifico di NAPH ossidasi) e mitoTEMPO (scavenger dello stress ossidativo di origine mitocondriale) verificando come si modificasse la vasodilatazione indotta dall’Ach in seguito ad incubazione delle arteriole con questi composti.

I risultati della tesi dimostrano come nel paziente obeso esiste uno stato di disfunzione endoteliale e come entrambi questi composti favoriscano la vasodilatazione. In termini assoluti, l’effetto vasodilatatorio del mitoTEMPO risultava superiore a quello ottenuto con NADPH ossidasi, suggerendo che lo stress ossidativo mitocondriale possa aver un ruolo superiore nell’indurre disfunzione endoteliale nel paziente obeso rispetto al contributo della NADPH ossidasi.

Questi risultati dimostrano per la prima vota l’importanza dei radicali liberi di origine mitocondriale nel favorire la disfunzione endoteliale del paziente obeso. Dato che composti in grado di ridurre la produzione di mtROS sono già disponibili in commercio e hanno già dimostrato la loro efficacia nel migliorare la funzione endoteliale nell’essere umano, i

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nostri risultati ne suggeriscono un’applicazione come possibile terapia di prevenzione della disfunzione endoteliale legata all’obesità.

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2. INTRODUZIONE

2.1 L’ obesità: definizione

L’obesità viene definita come un eccessivo accumulo di tessuto adiposo che può compromettere la salute. Con la modernizzazione si è assistito ad un progressivo aumento della prevalenza dell’obesità a livello mondiale tanto che essa è attualmente considerata uno dei principali problemi di sanità pubblica.[1-3]

Infatti, le spese dei sistemi sanitari dei paesi industrializzati sono fortemente gravate da numerose comorbidità associate all’obesità, tra queste le più importanti sono l’ipertensione arteriosa, il diabete mellito di tipo 2 e la dislipidemia[4]. Tutte queste comorbidità sono importanti fattori di rischio per la patologia cardiovascolare e, almeno in parte, sono responsabili del significativo incremento del rischio di morte CARDIOVASCOLARE che si riscontra nel paziente obeso[5-7]. Tale rischio non si estende solamente alla coronaropatia aterosclerotica ma anche alla cerebropatia ischemica ed emorragica ed all’arteriopatia obliterante degli arti inferiori.[4, 8]

IL Body Mass Index (BMI) è il parametro generalmente utilizzato per la definizione della severità dell’accumulo di grasso corporeo ed è calcolato come il peso in Kg diviso per l’altezza in m al quadrato (Kg/m2). Sulla base dei valori di BMI, è stata proposta una

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Tabella 1. Stratificazione della popolazione generale in base ai valori di BMI. (Fonte: WHO, 1995)[1] Categorie BMI (kg/m2) Sottopeso < 18 Normopeso 18 – 24.9 Sovrappeso 25 – 29.9 Obesità > 30 I Grado (lieve) 30.0 – 34.9 II Grado (moderata) 35.0 – 39.9

III Grado (severa) > 40

Tale classificazione in realtà risulta arbitraria in quanto è stato osservato come la relazione tra BMI e comorbidità/mortalità sia continua e si estenda a valori di BMI pari a 21 Kg/m2[9]. Inoltre, i valori di riferimento per la definizione dello stato di obesità e sovrappeso sembrano differire a seconda dei paesi presi in considerazione: ad esempio un BMI ≥25 Kg/m2 è considerato indicativo di obesità nei paesi asiatici[10]. Queste differenze

sono legate alla differente associazione tra obesità e rischio di comorbidità dovuto all’etnia: infatti, nei soggetti asiatici il rischio di diabete mellito di tipo 2 e ipertensione incrementa molto più rapidamente all’aumentare del BMI[11, 12].

2.1.1 Epidemiologia

Nel corso degli ultimi anni la prevalenza dell’obesità è aumentata significativamente tanto da poter parlare di “epidemia”. Dati pubblicati dal Global Burden of Disease Study del 2015 hanno infatti dimostrato come 107 milioni di bambini e 604 milioni di adulti possano essere classificati obesi a livello mondiale. Confrontando questi numeri con i dati raccolti nel 1980 è stato osservato un raddoppio della prevalenza dell’obesità in oltre 70 paesi e, sebbene in minor misura, un incremento della prevalenza è stato osservato anche nelle altre nazioni[13].

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Nonostante queste casistiche, sembra che la situazione in Italia sia leggermente migliore rispetto a quella riscontrata negli altri paesi europei: dati del 2013 dimostrano una prevalenza di sovrappeso del 31,8% e dell’obesità di 8,9% nella popolazione italiana, mostrando anche un progressivo aumento con l’età ed una riduzione con l’aumentare del livello d’istruzione[14]. Sebbene fino agli anni 2000 si fosse registrato un progressivo incremento della prevalenza dell’obesità anche nei bambini e negli adolescenti, questo trend negativo sembra aver raggiunto un plateau nel corso degli ultimi anni nei paesi più sviluppati [6, 15].Nonostante questo potrebbe tradursi in una riduzione del fenomeno obesità nei prossimi anni i dati comunque non risultano incoraggianti. Infatti, se fossero confermati gli attuali trends, è stato stimato che entro il 2025 la prevalenza globale dell’obesità potrebbe raggiungere il 18% negli uomini e superare il 21% nelle donne[16].

2.1.2 Mortalità e complicanze associate all’obesità

Numerosi studi epidemiologici dimostrano un’associazione tra obesità e rischio di varie patologie cronico-degenerative quali le neoplasie (endometrio, mammella, colon, rene), l’ictus, la cardiopatia ischemica, patologie respiratorie (apnee ostruttive del sonno, asma, broncopneumopatia cronica ostruttiva) e affezioni del tratto gastrointestinale (steatosi epatica non alcolica, malattia da reflusso gastroesofageo e calcolosi della colecisti).[17-20] Ognuna di queste patologie, ovviamente, si può tradurre in un incremento della mortalità spesso riscontrato nelpaziente obeso in larghi studi longitudinali [21]. Uno studio del 2009 ha dimostrato come un aumento di 5 punti del BMI possa associarsi ad un incremento del 30% della mortalità globale, andando ad analizzare le cause specifiche di mortalità è stato riscontrato come circa il 40% dei casi fosse dovuto a patologia cardiovascolare, il 50% a complicanze riconducibili al diabete mellito mentre un ulteriore 10% era dovuto a

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patologie neoplastiche[22]. La stretta relazione tra obesità e rischio cardiovascolare era già stata descritta nel 1983 nel Framingham Heart Study, infatti era stata osservata una relazione positiva tra BMI e morte per cause cardiovascolari che rimaneva significativa anche in seguito a correzione per noti fattori di rischio cardiovascolare quali l’età, il colesterolo, il fumo, la pressione sistolica e l’ipertrofia ventricolare sinistra[23].

Sebbene numerosi studi abbiano dimostrato una relazione tra il parametro del BMI e la mortalità/morbidità, vi è stato nel corso dell’ultimo periodo un sempre maggior riconoscimento del ruolo della distribuzione del grasso nel definire la relazione tra obesità e outcomes[24]. In particolare, numerosi studi clinici hanno dimostrato come misure che possano fornire informazioni sulla quantità di grasso sottocutaneo e viscerale risultino più accurate del BMI nel definire il rischio connesso all’eccesso di tessuto adiposo, tra queste la misura più importante utilizzata dal punto di vista clinico è il Waist to Hip Ratio (WHR)[25, 26]. Questa misura fornisce informazioni sulla quantità di grasso viscerale (waist circumference) e quella di grasso sottocutaneo (hip circumference) che si è dimostrata molto più sensibile nel predire il rischio cardiovascolare e la mortalità globale del paziente obeso rispetto al BMI[26, 27].

Associazione tra obesità e malattie cardiovascolari

Dopo il primo studio condotto sulla popolazione del Framingham Heart Study, che in oltre 5000 soggetti aveva dimostrato una relazione tra obesità e patologia cardiovascolare indipendente dagli altri fattori di rischio cardiovascolari[23], sono stati condotti ulteriori studi che hanno dimostrato come l’obesità si possa associare anche ad un incremento di incidenza di scompenso cardiaco. Utilizzando ancora una volta la popolazione del Framingham Heart Study, Kenchaiah ha dimostrato una relazione diretta tra valore di BMI

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e rischio di scompenso cardiaco:in particolare, in questo studio, ogni unità di incremento di BMI si associava ad un incrementato rischio di scompenso cardiaco pari al 5% negli uomini e al 7% delle donne[28].

L’incrementato rischio di scompenso cardiaco nel paziente obeso potrebbe essere giustificato dalla maggior probabilità di sviluppare cardiopatia ischemica[29]. Fin dal 1990 è risultato evidente come un incremento del BMI si associasse positivamente al rischio di coronaropatia aterosclerotica, tali dati sono stati successivamente confermati dallo studio INTERHEART che ha dimostrato chiaramente come il BMI elevato rappresenti uno dei principali fattori di rischio per infarto del miocardio, aspetto importante di questo studio è stata inoltre la dimostrazione che anche la distribuzione del grasso espressa dal WHR sia associata al rischio di patologia coronarica indipendentemente dalla quantità assoluta di grasso corporeo espressa dal valore del BMI[30].

È da sottolineare comunque come, seppur il BMI possa rappresentare un importante fattore promuovente la progressione del cardiovascular continuum (evoluzione della cardiopatia ischemica verso lo scompenso), una volta sviluppato lo scompenso, l’obesità sembra avere un ruolo protettivo, infatti, numerose evidenze suggeriscono che i pazienti con scompenso cardiaco e valori più elevati di BMI hanno una sopravvivenza maggiore rispetto a coloro che hanno BMI più basso[31]. Numerose teorie sono state sviluppate per spiegare tale fenomeno definito “obesity paradox”, tra queste la possibilità che soggetti con BMI più elevato in realtà rappresentino coloro che hanno patologia cardiaca più modesta e quindi non abbiano ancora sviluppato una cachessia legata alla fase terminale dello scompenso, altra giustificazione è che coloro che siano arrivati ad avere lo scompenso sopravvivendo ad un eventuale evento ischemico con BMI più elevato possano essere in realtà soggetti con fattori protettivi nei confronti della cardiopatia ischemica stessa[32]. Infine, sono stati proposti effetti positivi sul rimodellamento cardiaco e sull’infiammazione legata alla

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cardiopatia ischemica da parte di numerose lipoproteine i cui livelli circolanti risultano essere incrementati nel soggetto obeso[32, 33]. Oltre alla cardiopatia ischemica, l’obesità è un importante fattore di rischio anche per la patologia cerebrovascolare ischemica: in uno studio che ha incluso oltre 20.000 uomini è stato dimostrato come un incremento di 1 unità di BMI fosse associato ad un aumento del 6% del rischio di ictus ischemico[34], gli stessi ricercatori hanno successivamente dimostrato come tale associazione potesse essere mediata prevalentemente dai fattori di rischio associati all’obesità quali l’ipertensione, il diabete e l’ipercolesterolemia[35].

Come per la cardiopatia ischemica, anche per quanto riguarda la patologia cerebrovascolare ischemica, le informazioni ottenute dal calcolo del WHR sembrano essere superiori rispetto a quelle date dal BMI, confermando come non solo la quantità assoluta ma anche la distribuzione del grasso corporeo rappresenti un importante fattore di rischio per patologia cardiovascolare[36].

2.2 L’evoluzione del danno vascolare nel paziente obeso

Nella progressione della patologia cardiovascolare possono essere evidenziate diverse fasi evolutive in cui il rimodellamento vascolare passa progressivamente dal coinvolgere le strutture microcircolatorie all’interessamento dei vasi di grosso calibro fino a determinare stenosi emodinamicamente significative che si traducono in sintomatologia clinica[37, 38]. Seguendo questa successione di eventi, le alterazioni riscontrate a livello del microcircolo rappresentano le più precoci manifestazioni di danno d’organo legato all’esposizione a comuni fattori di rischio cardiovascolare inclusa l’obesità[39]. Numerosi studi hanno documentato precoci alterazioni della struttura vascolare delle piccole arteriole di resistenza del paziente obeso che vengono quantificate tramite il parametro del rapporto

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media/lume (M/L)[40, 41]. Tale parametro risulta aumentato nei pazienti obesi fin dalla giovane età e ciò generalmente è indicativo di una riduzione del lume vascolare che può determinare una riduzione dell’apporto ematico al letto microcircolatorio a valle, queste alterazioni favoriscono la progressione del danno d’organo ma, almeno inizialmente, sembrerebbero avere un ruolo protettivo[37]. Infatti, con l’aumento dei valori pressori spesso riscontrato nei pazienti obesi si determina un’aumentata energia pulsatoria che viene trasmessa a livello delle diramazioni più distali dell’apparato cardiovascolare, tale energia potrebbe determinare un danno a carico del letto capillare dovuto a barotrauma, l’ispessimento della media delle piccole arteriole di resistenza associato ad una riduzione del lume consentirebbe quindi una riduzione dell’energia pulsatoria trasmessa a livello del letto capillare, in quanto una maggior quantità dell’onda di polso generata dalla contrazione cardiaca verrebbe riflessa a livello centrale da vasi che presentano resistenze incrementate come risultato dell’ispessimento parietale[37, 40]. Sebbene inizialmente queste alterazioni possano avere un ruolo protettivo, con l’evoluzione del danno sono esse stesse responsabili dell’incremento persistente delle resistenze periferiche che si associa ad un ulteriore incremento dei valori pressori[42]. Questo fa capire come alterazioni a carico del microcircolo possano avere un ruolo fondamentale per la comprensione dei meccanismi fisiopatologici attraverso i quali si sviluppa il danno endoteliale nel paziente obeso, soprattutto quando è associato all’ipertensione[43].

Oltre ai valori elevati di pressione, il danno microvascolare nel paziente con obesità sarebbe favorito anche dalla frequente associazione con uno stato di dismetabolismo glucidico. Il diabete, e in generale uno stato di insulino resistenza, infatti, sono noti fattori che promuovono il danno microvascolare attraverso una perturbazione della fisiologia endoteliale, la produzione di elevate quantità di Advanced Glycated End products (AGEs) e l’ispessimento della membrana basale[43, 44].

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2.2.1 Il danno microcircolatorio e la relazione con il danno d’organo subclinico e la mortalità cardiovascolare

L’importanza delle alterazioni microcircolatorie è avvalorata da diversi studi clinici che hanno confermato la relazione tra il rapporto M/L delle piccole arterie sottocutanee e le misure di danno d’organo nonché l’outcome del paziente[45, 46].

Un incremento del rapporto M/L è stato associato ad aumentati valori di massa ventricolare sinistra nel paziente iperteso[47], una simile relazione è stata descritta inoltre tra il valore del rapporto M/L e lo spessore medio intimale carotideo (CIMT) così come la rigidità della parete carotidea[48]. Inoltre, numerosi dati confermano una relazione tra alterazioni microcircolatorie e progressione del danno renale a partire dalla presenza di proteinuria in assenza di riduzione del filtrato fino ad arrivare ad una progressiva riduzione della capacità di filtrazione glomerulare come risultato della perdita di nefroni per danno capillare[49, 50].

La relazione tra rimodellamento microvascolare e danno d’organo subclinico potrebbe spiegare la capacità delle misure di rimodellamento di predire l’outcome cardiovascolare. La dimostrazione del possibile ruolo prognostico di alterazioni microvascolari precoci nella malattia cardiovascolare è stata fornita per la prima volta dal gruppo di Rizzoni e colleghi. In uno studio pubblicato agli inizi degli anni 2000 includente una popolazione di individui normotesi e con ipertensione arteriosa è stato dimostrato come soggetti con un valore del rapporto M/L delle piccole arterie di resistenza sottocutanee maggiore avessero un aumentato rischio di incidenza di eventi cardiovascolare durante un follow-up di 6 anni. La capacità di predire il rischio di eventi cardiovascolari con il rapporto M/L era indipendente dalla presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare[51]. Tutto ciò

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conferma un ruolo importante delle alterazioni strutturali microvascolari nell’evoluzione della patologia aterosclerotica fino alle sue complicazioni. I dati pubblicati dal gruppo di Rizzoni sono stati successivamente confermati da Mathiassen e colleghi i quali hanno dimostrato come, anche in soggetti con elevato rischio cardiovascolare,il rapporto M/L potesse predire gli eventi cardiovascolari durante un follow up di 10 anni, in questa pubblicazione gli autori hanno identificato inoltre un rapporto M/L pari a 0,098 come un possibile cut-off nella definizione del rischio cardiovascolare del paziente[52]. Più recentemente, Buus e colleghi, in una popolazione di pazienti ipertesi, hanno mostrato come le alterazioni a carico del microcircolo possano predire l’outcome cardiovascolare indipendentemente dalla terapia anti-ipertensiva del paziente[53]. Questo dato risulta estremamente importante in quanto suggerisce che una volta iniziato il processo di rimodellamento microvascolare l’evoluzione della patologia aterosclerotica potrebbe procedere indipendentemente dalla terapia anti-ipertensiva e pone l’accento dell’identificazione di fattori ancora più precoci rispetto a quelli del rimodellamento nella prevenzione delle patologie cardiovascolari.

2.2.2 Eziopatogenesi della patologia aterosclerotica nel paziente obeso

Numerosi fattori contribuiscono all’inizio, progressione e complicanze dell’aterosclerosi in soggetti affetti da sovrappeso ed obesità, un ruolo fondamentale è giocato dai fattori di rischio cardiovascolare che generalmente sono associati all’incremento ponderale. Patologie quali l’ipertensione arteriosa, diabete mellito di tipo 2, l’ipertrigliceridemia, la sindrome delle apnee notturne sono estremamente frequenti nel paziente obeso e contribuiscono allo sviluppo e progressione delle lesioni aterosclerotiche indipendentemente dai comuni fattori di rischio cardiovascolare[4]. Un ruolo cruciale

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nell’evoluzione del processo aterosclerotico nel paziente obeso, però, è svolto dall’infiammazione: infatti, numerosissimi studi hanno dimostrato come l’aumento del grasso corporeo si associ ad un progressivo aumento dei livelli di varie citochine pro-infiammatorie[54].

Un ulteriore contributo dato dagli adipociti nello sviluppo delle patologie cardiovascolari potrebbe derivare dall’attività delle adipochine[55], è stato infatti dimostrato come i livelli elevati di leptina si associno ad un maggior rischio cardiovascolare mentre l’adiponectina, grazie alle sue funzioni antiossidanti, sembra avere un ruolo protettivo[56]. Nel paziente obeso si assiste ad una progressiva riduzione della produzione di adiponectina da parte degli adipociti e parallelo incremento della leptina che potrebbero quindi, almeno in parte, giustificare gli effetti negativi dell’obesità nell’apparato cardiovascolare[57].

Risulta estremamente importante a questo proposito la distribuzione del grasso corporeo in quanto un accumulo di grasso viscerale sembra in grado di favorire dei processi infiammatori in maniera molto più significativa rispetto al grasso sottocutaneo, ciò sembra essere dovuto in parte alla maggior infiltrazione di cellule infiammatorie a livello del grasso viscerale e dallo sviluppo di uno stato disfunzionante degli adipociti dovuto a possibile ipossia[24, 58]. Se in condizioni normali, infatti, gli adipociti non producono elevate quantità di citochine pro-infiammatorie, in condizioni di ridotto apporto di ossigeno sarebbero in grado di incrementare la produzione di fattori pro-infiammatori, questo si ritiene in parte responsabile della maggiore sensibilità della misura del WHR nel predire la mortalità cardiovascolare rispetto al valore del BMI[32].

L’infiammazione indotta dall’accumulo di grasso favorisce l’evoluzione del rimodellamento vascolare e della patologia aterosclerotica sia con meccanismi paracrini che endocrini. Infatti, la produzione di citochine pro-infiammatorie quali il TNF-α da parte del grasso periavventiziale è un importante determinante della disfunzione endoteliale nel

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soggetto obeso[59]. Inoltre, numerose chemochine prodotte dagli adipociti possono richiamare a livello locale cellule infiammatorie, le quali possono dare luogo ad infiammazione della parete vascolare creando un ambiente favorevole allo sviluppo della placca aterosclerotica[55, 56]. Importante anche sottolineare come le citochine pro-infiammatorie prodotte a livello della parete vascolare possano favorire l’amplificazione dei processi infiammatori locali tramite meccanismi autocrini[60]. È stato infatti dimostrato come la stimolazione di cellule endoteliali da parte di IL-1β sia in grado di favorire la produzione della stessa citochina da parte delle medesime cellule[61]. Questi meccanismi autocrini di regolazione dell’infiammazione a livello parietale sembrano coinvolgere tutti gli elementi della parete vascolare, infatti, cellule muscolari lisce della parete vascolare stimolate con IL-1β sono in grado di produrre elevate quantità di IL-6, amplificando ulteriormente il processo infiammatorio[62, 63].

Figura 1- Sostanze che regolano il tono vascolare. Le principali sostanze ad azione vasodilatatoria (nella

parte destra della figura) sono rappresentate da: ossido nitrico (NO), prodotto dall’ossido nitrico sintetasi endoteliale (eNOS) a partire dalla L-Arginina; il fattore iperpolarizzante di origine endoteliale (EDHF) e la prostaciclina (PGI2). La sintesi di queste sostanze da parte dell’endotelio viene promossa da stimoli meccanici quali lo shear stress e da sostanze endocrine che agiscono su specifici recettori (acetilcolina, serotonina, bradichinina). I fattori ad azione vasocostrittrice i più importanti sono l’endotelina 1 (ET-1), l’Angiotensina II (Ang II) e il trombossano A2 (TXA2 ). [64]

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I processi infiammatori di parete che favoriscono l’aterosclerosi si associano a produzione di importanti quantità di radicali liberi dell’ossigeno (ROS) portando ad un’alterazione dello stato di ossido-riduzione nei vari elementi della parete vascolare ed esitando inultima istanza in un incremento dello stress ossidativo locale[65, 66].

Nel paziente obeso è stata dimostrata la produzione di elevate quantità di ROS da parte di cellule facenti parte di diversi organi e tessuti. Se in alcuni casi, come ad esempio nel caso degli epatociti, la produzione di ROS sembra essere principalmente mediato dall’eccessivo accumulo digrasso intracellulare, a livello della parete vascolare un ruolo fondamentale sembra essere svolto dalla stessa infiammazione[55, 67-69]. L’infiltrazione della parete vascolare da parte di macrofagi e la loro attivazione in seguito all’interazione con LDL ossidate determina un significativo incremento nella produzione di ROS nello spazio sub-endoteliale. Le stesse cellule endoteliali, nel passare ad un fenotipo attivato, sono in grado di incrementare la produzione di ROS[70].

L’elevata produzione di ROS rappresenta un fattore importante nella progressione del rimodellamento vascolare, tali molecole infatti risultano altamente instabili e possono interagire rapidamente con i diversi macroelementi intracellulari (acidi nucleici, proteine, lipidi) determinando un’alterazione della loro conformazione e funzione che spesso si associa ad un’alterata fisiologia cellulare con perdita di importanti funzioni regolatorie, questo risulta particolarmente evidente per quanto riguarda la biodisponibilità di ossigeno a livello delle cellule endoteliali[71-73].

Infatti, la presenza di elevate quantità di anione superossido ne favorisce l’interazione con l’NO portando alla produzione di radicali nitroperossido, ciò da un lato riduce la biodisponibilità di NO depotenziandone gli effetti anti-aterosclerotici sulla parete vascolare[74], dall’altro favorisce l’ulteriore progressione del danno vascolare dato che i

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radicali perossidi possono interagire con cellule infiammatorie incrementandone l’adesione endoteliale e favorendo lo stato infiammatorio locale[75, 76].

Questi meccanismi di danno endoteliale da ROS sembrano particolarmente rilevanti nel paziente obeso dove uno stato di disfunzione endoteliale si associa specificamente alla ridotta biodisponibilità di NO[77].

2.3 Principali fonti di radicali liberi dell’ossigeno nell’obesità

Le principali fonti di ROS intracellulari sono la respirazione mitocondriale, l’attività della lipossigenasi e della cicloosigenasi, il citocromo p450, l’eme ossigenasi, la xantina ossidasi, la NADH/NADPH ossidasi e la NO sintasi nella sua conformazione uncoupled[74]. Sebbene alterazioni di ognuno di questi meccanismi di produzione di ROS siano stati descritti nel paziente obeso, quelle che sembrano essere più rilevanti nel contribuire allo stato di disfunzione endoteliale sono l’attività della NADPH ossidasi e la respirazione mitocondriale[78, 79].

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2.3.1 NADPH Ossidasi

L’attivazione della NADPH ossidasi è indotta da stati infiammatori oltre che da numerosi stimoli endocrini (tra cui di particolare importanza è l’angiotensina II), la NADPH ossidasi è un complesso multimerico dove si riconosce una porzione centrale costituita dal flavocitocromo B558 che rappresenta il principale enzima con attività ossidoriduttiva ancorato alla membrana da fattori citosolici quali il p47 phox, p67 phoxe dalle proteine G regolatrici (rac1 o rac2)[81].

Quest’enzima catalizza il trasferimento di elettroni da donatori intracellulari all’ossigeno determinando la formazione di anioni superossido, generalmente tale trasferimento avviene da un donatore che risiede all’interno del citoplasma ad un accettore localizzato nel fagosoma o nello spazio extracellulare.

Numerosi studi hanno dimostrato come la produzione di ROS da parte della NADPH ossidasi abbia un ruolo fondamentale nel controllare processi fisiopatologici cruciali all’interno della cellula quali la proliferazione, la migrazione, la mutazione, l’apoptosi e la trasduzione di segnale[59, 78, 82, 83]. Sebbene l’iniziale descrizione della NADPH ossidasi sia avvenuta in cellule quali macrofagi e neutrofili nella quale la sua attivazione contribuisce agli effetti citolitici nei confronti dei batteri[84], è adesso noto come differenti isoenzimi sono costitutivamente espressi in altre cellule del corpo umano incluse quelle vascolari (cellule endoteliali, muscolari lisce, fibroblasti e periciti), cardiomiociti, e cellule tissutali quali cellule dendritiche e mastociti. In ognuno di questi elementi cellulari l’attività della NADPH ossidasi rappresenta un’importante fonte di ROS[85].

Ciò fornirebbe un contributo fondamentale, soprattutto nell’evoluzione della malattia cardio e cerebrovascolare, come dimostrato dal fatto che mutazioni della subunità p22 phox della NADPH ossidasi sono associate a rischio di cardiopatia ischemica e di

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cerebropatia vascolare ischemica indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio cardiovascolare [86, 87].

Anche nel paziente obesola NADPH ossidasi è una delle fonti principali di stress ossidativo a livello della parete vascolare. Questo è confermato dagli studi che dimostrano come nell’animale da esperimento obeso si assista ad un’iperespressione della NADPH ossidasi in vari tessuti, risultando particolarmente importante a livello vascolare[79]. Infatti, Jiang e colleghi hanno dimostrato come nel topo di laboratorio, una dieta ricca di grassi in grado di indurre un significativo incremento ponderale si associa ad un progressivo incremento dell’espressione della NADPH ossidasi a livello del tessuto adiposo, del rene e del distretto vascolare. Nello stesso studio, la stimolazione con adiponectina era in grado di regolare negativamente l’iperespressione della stessa NADPH ossidasi, suggerendo quindi un ruolo protettivo di questo ormone nei confronti dello stress ossidativo vascolare[79]. Dato che i livelli di adiponectina sono generalmente soppressi nel paziente obeso, questo fa ipotizzare un deficit di attività antiossidante dovuto alla soppressione della NADPH ossidasi con conseguente iperattivazione vascolare nel corso dell’obesità.

Risultati simili sono stati ottenuti da Roberts e colleghi che, in un modello murino di obesità indotta da dieta ricca di grassi, hanno confermato l’iperespressione di NADPH ossidasi a livello delle strutture vascolari e come questa fosse associata anche ad una alterazione della funzione endoteliale che si aggravavano con l’aumentare del peso corporeo[78].

Nonostante vi siano numerose evidenze nell’animale, l’influenza della NADPH ossidasi sulla funzione endoteliale nell’essere umano con obesità risulta ancora poco studiata. In un recente studio condotto dal nostro gruppo di ricerca, abbiamo dimostrato come l’inibizione dell’attività della NADPH ossidasi tramite gp91ds-tat si associasse ad un

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significativo miglioramento della funzione endoteliale microvascolare nel paziente obeso, soprattutto in quello di età avanzata[88].

2.3.2 ROS mitocondriali

La disfunzione mitocondriale è stata implicata nella patogenesi di numerose malattie inclusa l’obesità e i fattori di rischio a lei associati[69, 89]. I mitocondri sembrano avere un ruolo fondamentale nella differenziazione degli adipociti, come confermato dalla loro rapida biogenesi e dall’incremento di attività durante questa fase cellulare[67, 90]. Anche in condizioni fisiologiche il processo di fosforilazione ossidativa che avviene a livello della catena mitocondriale (figura 2), seppur particolarmente efficiente si associa alla formazione di ROS[91].

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Sebbene questi in condizioni fisiologiche possano essere efficientemente tamponati dagli enzimi ad attività antiossidante della cellula, in condizioni di aumentata esposizione infiammatoria o eccessivo substrato energetico si verifica un incremento della produzione di ROS che eccede le capacità tamponanti intracellulari[93]. Questo si associa ad una disregolazione nella secrezione di adipochine, a deficit nella ossidazione degli acidi grassi ed a un’alterazione dell’omeostasi del glucosio[67].

L’iperproduzione di ROS da parte dei mitocondri rappresenta un importante trigger nella produzione di citochine pro-infiammatorie[94]. È ormai noto, infatti, come l’aumento dei ROS di origine mitocondriale determini un’iperattivazione dell’inflammosoma e, come conseguenza, l’incrementata produzione di IL-1β attiva[95]. Tale citochina è all’origine della cascata infiammatoria e, come spiegato in precedenza, è in grado di aumentare la produzione di IL-6 ad opera delle cellule muscolari lisce della parete vascolare amplificando i processi infiammatori. Sono numerosi gli studi che hanno dimostrato un contributo dei ROS di origine mitocondriale alla disfunzione endoteliale[91].

In particolare, la proteina p66Shc sembra avere un ruolo fondamentale nel determinare la possibile influenza dovuta a mtROS sulla funzione delle cellule endoteliali, in condizioni fisiologiche, questa proteina è contenuta all’interno di un complesso multimerico localizzato all’interno dei mitocondri o nel citoplasma. In presenza però di segnali pro apoptotici così come in condizioni di insulino resistenza e di iperglicemia tale proteina va incontro a migrazione a livello dello spazio intermembrana mitocondriale[96].

È stato dimostrato come l’iperattivazione di tale proteina induca una iperproduzione di mtROS che sono direttamente coinvolti nello sviluppo della disfunzione endoteliale legata ad insulino-resistenza[97]. Questo fa ipotizzare un ruolo dello stress ossidativo mitocondriale anche nell’obesità, una condizione generalmente associata ad uno stato di insulino-resistenza[97, 98].

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Inoltre, un ulteriore meccanismo che potrebbe contribuire alla produzione di mtROS è l’iperattivazione della NADPH ossidasi che è in grado di indurre produzione dei ROS mitocondriali tramite meccanismi che coinvolgono l’apertura dei canali mitoKATP,

depolarizzazione di membrana e l’apertura del mitochondrial permeability transition pore[99]. In questa condizione, l’inibizione dei canali mitoKATP potrebbe svolgere un ruolo

protettivo e preservare la biodisponibilità di NO anche in seguito a stimolazioni delle cellule endoteliali da parte dell’angiotensina II[100]. L’importanza dello stress ossidativo mitocondriale nel controllare la funzione endoteliale nell’uomo è confermata da uno studio condotto da Rossman e colleghi che, utilizzando il rigoroso disegno sperimentale del trial randomizzato, placebo-controllo, in doppio cieco e cross-over, hanno dimostrato come 6 settimane di trattamento con un composto capace di migliorare la produzione di stress ossidativo mitocondriale (MitoQ) sia in grado di migliorare la funzione endoteliale misurata tramite Flow-Mediated Dilation (FMD) dell’arteria brachiale in un gruppo di soggetti sani di età medio avanzata[101]. Questo non solo conferma la capacità dello so mitocondriale di influenzare la funzione endoteliale ma anche l’importante ruolo di mtROS nell’ age-related endothelial dysfunction.

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3. SCOPO DELLO STUDIO

Sulla base di quanto riportato in letteratura, nel paziente obeso si ha un’iperproduzione di ROS da parte sia della NADPH ossidasi che da parte dei mitocondri (mtROS). Il contributo della NADPH ossidasi alla disfunzione endoteliale nel paziente obeso è stato analizzato in studi precedenti. Al contrario, il contributo di mtROS alla disfunzione endoteliale e rimodellamento vascolare nel paziente obeso rimane inesplorato. Pertanto, questa tesi si prefigge i seguenti scopi:

1. Verificare se gli mtROS contribuiscono alla disfunzione endoteliale nell’obesità; 2. Verificare se il contributo di mtROS alla disfunzione endoteliale nel paziente obeso

è superiore rispetto a quello della NADPH ossidasi.

Il disegno sperimentale è quello di uno studio caso-controllo in cui i casi sono rappresentati dai pazienti obesi ed i controlli dai soggetti non obesi. Per entrambi i gruppi sono stati valutati gli effetti dell’inibizione della NADPH ossidasi e della produzione di mtROSsulla funzione endoteliale.

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4. MATERIALI E METODI

4.1 Popolazione studiata

I soggetti sottoposti allo studio si dividono in due gruppi: pazienti affetti da obesità severa e sottoposti a chirurgia bariatrica (casi) e pazienti non obesi (controlli) sottoposti a chirurgia laparoscopica di elezione.

In particolare, il gruppo di controllo era rappresentato da pazienti che dovevano sottoporsi a chirurgia laparoscopica in elezione in assenza di patologia acuta o cronica che potesse influire sulla funzione endoteliale, tali pazienti erano principalmente destinati a operazioni di riparazione di ernia inguinale o colecistectomia. Il gruppo dei pazienti affetti da obesità severa, invece, è stato reclutato tra coloro che avevano intrapreso il percorso di chirurgia bariatrica presso l’unità operativa Medicina I Universitaria presso il presidio Santa Chiara (responsabile Dott.ssa Nannipieri Monica).

I criteri di esclusione per i pazienti obesi risultavano: • Età >60 anni,

• Storia clinica di ipertensione (con i valori pressori > 140/90 mmHg),

• Storia clinica o evidenza dagli esami ematochimici di malattie endocrine (ad eccezione del diabete mellito),

• Eccessivo consumo di alcol (>60 g/giorno),

• Dislipidemia (Colesterolo totale > 240 mg/dL; HDL < 40mg/dL; LDL > 160mg/dL; trigliceridi> 200 mg/dL),

• Abitudine al fumo, • Menopausa,

• Storia di alterata funzione renale o epatica o elevazione dei livelli di creatinina o transaminasi,

• Storia di pregressa o concomitante malattia aterosclerotica o cardiovascolare. Gli stessi criteri di esclusione sono stati applicati al gruppo di controllo con la sola aggiunta di un valore di BMI > 30 Kg/m2.

La tesi ha incluso pazienti che sono stati sottoposti a chirurgia nel periodo compreso tra luglio 2017 e luglio 2018.

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Il numero ristretto dei soggetti studiati è spiegato dalla stretta selezione dei pazienti dovuta ai rigorosi criteri di esclusione. Questo ha comunque consentito di ottenere degli studi di reattività vascolare non influenzati da numerosi fattori confondenti, e quindi di ottimizzare il disegno sperimentale.

4.2 Studio del microcircolo

Tutti gli esperimenti di funzione endoteliale microcircolatoria sono stati eseguiti su arteriole di resistenza isolate da biopsie di tessuto sottocutaneo ottenute nel corso dell’intervento chirurgico. La miografia a pressione è stata utilizzata per ottenere una valutazione della funzione endoteliale e dell’influenza su di essa dell’attività della NADPH ossidasi e mtROS.

4.2.1 Miografia a pressione

La tecnica utilizzata per lo studio delle piccole arteriole di resistenza con miografo a pressione è stata inizialmente descritta da Mulvany e Halpern. Seguendo questa tecnica, piccole arteriole di resistenza sono isolate dal tessuto adiposo sottocutaneo e le estremità fissate tramite fili di seta a due microcannule di vetro contenute all’interno di una camera miografica (Figura 3).

Figura 3 –Struttura del miografo. a) camera micromiografica con valvola di ingresso e valvola di uscita;

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All’interno dell’arteriola viene mantenuta una pressione costante di 45 mmHg tramite infusione di soluzione di Krebs. Un microscopio ottico collegato ad una telecamera consente di visualizzare l’arteriola e trasmettere le immagini direttamente ad un computer. Tramite software dedicato è quindi possibile andare a misurare il diametro dell’arteriola sull’immagine proiettata dalla microcamera connessa al microscopio e monitorarne i cambiamenti indotti dall’infusione di sostanze agoniste ed antagoniste della funzione endoteliale.

Lo studio eseguito per la valutazione della funzione endoteliale prevede una pre-incubazione dell’arteriola con una soluzione contenente un’elevata concentrazione di KCl (125 mmol/L).

In seguito all’aggiunta di tale soluzione le arteriole vitali vanno generalmente incontro a contrazione: in caso di una riduzione del lume del vaso inferiore al 40% l’arteriola viene considerata non vitale e lo studio non eseguito. In seguito all’incubazione con KCl l’arteriola viene lavata per circa 30 minuti con soluzione di Krebs e successivamente vengono effettuate misurazioni basali del lume e dello spessore della parete del vaso. Quindi inizia l’esperimento per la determinazione della funzione endoteliale inducendo una costrizione dell’arteriola tramite infusione di norepinefrina alla concentrazione 1 μM, una volta ottenuta la vasocostrizione, l’arteriola viene incubata con concentrazioni crescenti di Ach (da 0,001 a 100 μM), l’Ach viene infusa dal lato extra luminare dell’arteria tramite una pompa peristaltica che lavora a flusso costante (circa 4 ml/min), l’entità della vasodilatazione indotta dall’Ach viene monitorata registrando le variazioni del diametro del vaso direttamente sull’immagine proiettata al computer tramite un programma chiamato Myoview ed espresso in forma di incremento percentuale rispetto al valore del diametro basale. In particolare, per l’analisi statistica viene utilizzata la massima risposta vasodilatatoria percentuale indotta dalle curve dose-risposte all’Ach così ottenute.

Per poter definire il ruolo dell’attività della NADPH ossidasi e di mtROS sulla regolazione della funzione endoteliale le curve dose-risposta all’Ach sono state ripetute in seguito ad incubazione delle arteriole con:

- gp 91ds tat (1 μmol/L): questo composto rappresenta un inibitore della NADPH ossidasi.

Dal confronto della vasodilatazione ottenuta in seguito all’incubazione con questo composto e quella ottenuta con l’Ach da sola è possibile ricavare informazioni relative al contributo della NADPH ossidasi alla disfunzione endoteliale.

- MitoTEMPO (1 μmol/L): questo composto rappresenta uno scavenger selettivo di mtROS. Dal confronto della vasodilatazione ottenuta in seguito all’incubazione con questo

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composto e quella ottenuta con l’Ach da sola è possibile ricavare informazioni relative al contributo di mtROS alla disfunzione endoteliale.

Infine, per poter definire la proporzione di disfunzione endoteliale attribuibile all’attività della ossido nitrico sintasi endoteliale (eNOS) le curve dose-risposta all’Ach sono state ripetute in seguito ad incubazione dell’arteriola con L-NAME, inibitore specifico della eNOS.

4.2.2 Fattori di rischio cardiovascolare

Informazioni relative ai fattori di rischio cardiovascolare sono state recuperate dalle cartelle cliniche di ogni paziente. In particolare, questi includevano:

- Colesterolo totale, HDL, LDL, -Trigliceridi,

-Abitudine tabagica,

-Valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica, -Creatinina, -Età, -Sesso, -BMI, -Glicemia.

4.3 Statistica

L’analisi statistica è stata effettuata utilizzando il software GraphPadPrism (GraphPadPrism, San Diego, CA, USA). I risultati sono presentati come media  deviazione standard e sono stati analizzati mediante ANOVA per misure ripetute, seguito dal test di Student-Newman-Keuls, o dal t test di Student per dati non appaiati. È stato considerato statisticamente significativo il valore di p < 0.05.

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5. RISULTATI

Sono stati reclutati nello studio un totale di 14 pazienti: 7 nel gruppo dei controlli e 7 nel gruppo degli obesi. Nella Tabella 2 sono riportate le caratteristiche generali della popolazione oggetto di studio.

Controlli (n=7) Obesi (n=7)

Età (anni) 35±2 38±7

Sesso (maschile) 57% 57%

BMI (Kg/m2) 24.60±1.92 47.91±4.54

Presisone arteriosa sistolica (mmHg) 125±7 124±7

Pressione arteriosa diastolica (mmHg) 81±4 79±6

Frequenza Cardiaca (bpm) 70±5 79±7 Creatinina (mg/dl) 0,9±0,13 1,01±0,2 Colesterolo totale (mg/dl) 120±15 118±5 HDL Colesterolo (mmol/L) 55±2 45±3 Trigliceridi (mg/dl) 133±49 130±21 LDL Colesterolo (mg/dl) 105±16 103±21 Glicemia (mg/dl) 95±12 98±10

Tabella 2 – Caratteristiche della popolazione studiata.

Come è possibile osservare, il gruppo di soggetti obesi aveva le stesse caratteristiche rispetto al gruppo dei controlli ad eccezione del valore dell’indice di massa corporea che risultava significativamente superiore nei pazienti obesi.

La funzione endoteliale valutata tramite la massima risposta vasodilatatoria all’Ach risultava significativamente inferiore nei pazienti obesi rispetto ai controlli, la pre-incubazione delle arteriole con L-NAME dimostrava come l’attività dell’enzima eNOS contribuisse maggiormente alla funzione endoteliale nei controlli rispetto agli obesi. In particolare, come è possibile osservare dalle figure 4a e 4b la differenza nella risposta vasodilatatoria all’Ach da sola e in seguito ad L-NAME risultava significativamente maggiore nel gruppo di controllo rispetto ai soggetti obesi.

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Questi risultati consentono di confermare il ruolo della biodisponibilità di NO nel controllare la funzione endoteliale nel soggetto obeso.

Figura 4a : risposta vasodilatatoria all’Ach ed in seguito Figura 4b : risposta vasodilatatoria all’Ach ed

ad L-NAME nel gruppo di pazienti obesi in seguito ad L-NAME nel gruppo di controlli

La pre-incubazione con gp91ds-tat non determinava un significativo miglioramento della vasodilatazione indotta dall’Ach nel gruppo di controllo (figura 5a). Negli obesi, invece, la stessa incubazione migliorava significativamente la risposta vasodilatatoria all’Ach, come è possibile osservare nella figura 5b. Questo confermava il ruolo importante della NADPH ossidasi nel controllare la funzione endoteliale del paziente obeso.

Figura 5a: la risposta vasodilatatoria all’Ach Figura 5b: la risposta vasodilatatoria all’Ach

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La pre-incubazione con mitoTEMPO non induceva un significativo incremento della risposta vasodilatatoria all’Ach nel gruppo di controllo. Nel gruppo dei pazienti obesi invece la stessa pre-incubazione aumentava la risposta vasodilatatoria all’Ach significativamente ed a livelli molto superiori rispetto alla vasodilatazione ottenuta con l’aggiunta di gp91dstat (Figure 6a e 6b). Questi risultati suggerivano un contributo significativo di mtROS alla disfunzione endoteliale del paziente obeso, molto maggiore rispetto a quello ottenuto con l’inibizione della NADPH ossidasi.

Figura 6a: la risposta vasodilatatoria all’Ach nel Figura 6b: la risposta vasodilatatori all’Ach nel

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6. DISCUSSIONE

I risultati di questo studio dimostrano come nel paziente affetto da obesità severa vi sia una disfunzione endoteliale legata all’eccessiva produzione di ROS. Inoltre, delle diverse fonti di radicali liberi, quella che appare più importante nel causare disfunzione endoteliale sembra essere quella mitocondriale, questo potrebbe avere una rilevanza significativa nel comprendere meglio i meccanismi che portano allo sviluppo di patologia cardiovascolare nel soggetto obeso, eventualmente identifica nuovi precoci target terapeutici per una più efficace prevenzione cardiovascolare in questa popolazione. Infatti, come definito nell’introduzione di questa tesi, il danno microvascolare rappresenta la più precoce alterazione riscontrabile a carico dell’apparato cardiovascolare in seguito all’esposizione ai vari fattori di rischio cardiovascolare[37, 38].

Nonostante questo, la presenza di alterazioni strutturali della parete dei piccoli vasi di resistenza sembrano poter predire la patologia cardiovascolare e la mortalità cardiovascolare indipendentemente dalla terapia farmacologica, suggerendo come una volta sopravvenuto il danno a carico del microcircolo le possibilità di recupero anche con terapia farmacologica ottimale risultano limitate[37, 39]. Dato che il danno funzionale indotto dalla disfunzione endoteliale è considerato antecedente a quello strutturale, la prevenzione della disfunzione endoteliale nel paziente obeso tramite l’aggressione terapeutica dei meccanismi molecolari che la causano potrebbe prevenire quelle alterazioni strutturali che si associano irreversibilmente ad un outcome cardiovascolare avverso[65, 102].

La presenza di disfunzione endoteliale nel paziente obeso è nota da tempo, così come è nota la sua dipendenza da un’eccessiva produzione di radicali liberi dell’ossigeno, nonostante questo, nessuno studio ha precedentemente paragonato il contributo relativo di due tra le più importanti fonti di stress ossidativo endocellulare alla disfunzione endoteliale[39, 65, 103]. In un recente studio condotto dal nostro gruppo di ricerca è stato dimostrato come la NADPH ossidasi abbia un ruolo importante nel favorire la disfunzione endoteliale e come la sua influenza sia notevolmente superiore rispetto ad altri meccanismi causanti disfunzione endoteliale nell’obesità e nell’anziano (arginasi)[88]. La NADPH ossidasi è un enzima che risulta essere attivato da diversi stimoli, inclusa un’iperattività del sistema renina-angiotensina-aldosterone, l’attivazione di tale sistema è stata più volte documentata nel paziente obeso e suggerita come uno dei principali meccanismi di disfunzione endoteliale e rimodellamento vascolare associati alla patologia[81, 104].

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Il ruolo di mtROS nel favorire la disfunzione endoteliale nell’obesità, invece, è meno noto: diversi studi hanno dimostrato come, in condizioni di eccessivo apporto calorico, si assista ad un’eccessiva produzione di mtROS probabilmente favorita dall’iperattivazione di una proteina coinvolta nell’aging cellulare quale p66Shc[97, 98]: tale proteina ha la capacità di incrementare la produzione di mtROS e l’attività risulta essere regolata da numerosi pathways intracellulari, tra cui il più importante è l’attività di SIRT-1[105], questa molecola fa parte della classe delle sirtuine, proteine la cui attività è sensibile al bilancio energetico della cellula. In condizioni di eccessivo apporto calorico si assiste ad una riduzione del rapporto NAD+/NADH che determina una riduzione dell’ attività di SIRT-1, ciò favorirebbe l’iperattivazione di p66Shc e si assocerebbe ad un’iperproduzione di mtROS, questi meccanismi di regolazione intracellulari sembrano essere influenzati anche dall’infiammazione[106].

In uno studio condotto su pazienti affetti da parodontite e diabete il nostro gruppo di ricerca ha dimostrato come il trattamento dell’infiammazione sistemica tramite rimozione dell’infiammazione orale si associava ad una riduzione nella produzione di mtROS associato ad un miglioramento della funzione endoteliale misurata tramite Flow-Mediated Dilation (FMD) a livello dell’arteria brachiale. Tale miglioramento si associava inoltre ad un miglior controllo metabolico della patologia diabetica, confermato da un miglioramento dei livelli di emoglobina glicata, questa evidenza confermerebbe come in condizioni di eccesso di nutrienti (diabete scarsamente controllato come conseguenza dell’infiammazione) si possa verificare un’iperproduzione di mtROS che ha effetti diretti sulla funzione endoteliale, riproducendo almeno in parte i risultati osservati in questo studio in pazienti obesi[107].

L’utilizzo di mtROS come target terapeutico per il miglioramento della funzione endoteliale sistemica è stato confermato anche in soggetti della popolazione sani in un trial clinico recentemente pubblicato sulla rivista Hypertension. In questo studio gli autori hanno evidenziato come la somministrazione di un composto in grado di ridurre la produzione di ROS mitocondriali (MitoQ) si associ ad un significativo miglioramento della FMD rispetto ad un gruppo di controllo che non assumeva la stessa terapia[101].

La dimostrazione del ruolo di mtROS nella disfunzione endoteliale nell’obesità fornisce ulteriori importanti informazioni circa la fisiopatologia del danno vascolare nel paziente obeso e conferma la sua stretta somiglianza con quello osservato nella persona anziana. Infatti, nell’invecchiamento si assiste ad un deficit del meccanismo intracellulare della

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mitofagocitosi che comporta un progressivo accumulo di mitocondri disfunzionanti a livello intracellulare con conseguente incremento della produzione di mtROS[108].

A livello microvascolare questo si potrebbe tradurre in un’attivazione dell’infiammazione attraverso la via dell’inflammosoma NLPR3[109], questo potrebbe giustificare l’incremento della concentrazione delle citochine pro-infiammatorie comunemente riscontrato sia nella persona anziana che nel soggetto obeso e favorire la progressione del danno microvascolare tramite l’amplificazione dei processi infiammatori locali. Interrompere questo circolo vizioso fin dall’origine potrebbe prevenire i danni più precoci a carico del microcircolo in una fase in cui molte delle alterazioni potrebbero essere ancora reversibili, rendendo molto più efficace la prevenzione cardiovascolare nel paziente affetto da obesità.

Il ruolo di mtROS nel favorire un’alterazione dell’omeostasi microvascolare potrebbe rendere di conto di complicanze associate allo sviluppo di obesità. È stato infatti dimostrato come la proteina p66Shc, il cui segnale converge su mtROS, abbia un ruolo importante nel favorire lo sviluppo di insulino-resistenza e sia coinvolta nel fenomeno della memoria glicemica causa di complicazioni nel soggetto con alterato metabolismo glucidico anche a distanza di anni dall’ottenimento di un buon controllo metabolico[110, 111].

Inoltre, il rimodellamento della parete microvascolare favorito dalla disfunzione endoteliale potrebbe essere correlato all’incremento delle resistenze periferiche sfociante in un aumentato rischio di ipertensione arteriosa, comorbidità comunemente associata all’obesità.

Questo suggerisce la possibilità di prevenire non solo l’evoluzione della patologia cardiovascolare ma anche di numerose comorbidità associate all’obesità con terapie in grado di ridurre la produzione di mtROS.

Esiste a livello intracellulare un cross-talk tra l’attività della NADPH ossidasi e lo stress ossidativo mitocondriale, numerosi studi hanno infatti dimostrato come la produzione di mtROS possa essere amplificata dall’iperattivazione di NADPH ossidasi, questo potrebbe giustificare la maggior rilevanza di mtROS nell’indurre disfunzione endoteliale nel paziente obeso, infatti, mtROS potrebbe rappresentare la via finale comune su cui convergono le influenze negative sia di NADPH-ossidasi sia di altri pathways intracellulari alterati in corso di obesità (ad esempio SIRT-1 – p66Shc)[99].

Questo studio ha numerosi pregi, il primo è quello di aver utilizzato per la valutazione della funzione endoteliale e dell’effetto su di essa di NADPH ossidasi ed mtROS la

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miografia a pressione, una tecnica che attualmente è considerata il gold standard per lo studio dei meccanismi fisiopatologici alla base delle alterazioni del microcircolo. Inoltre, i rigorosi criteri di inclusione ed esclusione hanno consentito di escludere numerosi fattori potenzialmente confondenti i risultati ottenuti: ad esempio, non considerando i soggetti in terapia farmacologica è stato possibile escludere un’eventuale influenza di quest’ultima sia sui livelli di mtROS e NADPH ossidasi sia sulla funzione endoteliale. Infine, la selezione di pazienti obesi in assenza di altre comorbidità ha consentito di escludere l’eventuale interferenza di queste ultime sui nostri risultati.

Sono comunque da riconoscere alcune limitazioni dello studio, la prima è la ridotta numerosità del campione reclutato che non consente di trarre informazioni definitive dai nostri risultati, la seconda è l’assenza di misurazione diretta della produzione di ROS da parte della NADPH ossidasi e dei mitocondri. Un’ulteriore limitazione è data dall’assenza delle informazioni relative ai parametri di rimodellamento microvascolare che non consente di traslare i risultati ottenuti sulla funzione endoteliale all’eventuale compromissione strutturale del microcircolo.

Infine va ricordato il fatto che il disegno sperimentale rappresenta pur sempre quello di uno studio caso-controllo, quindi, sebbene di natura meccanicistica, non consente di definire una chiara causalità tra alterazioni della fisiologia microcircolatoria ed evoluzione della patologia aterosclerotica.

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7. CONCLUSIONE

Questa tesi analizza per la prima volta il contributo di mtROS alla disfunzione endoteliale del paziente obeso confrontandola con quello di ben più note fonti di stress ossidativo che risultano iperattivate nell’obesità, quali l’attività della NADPH ossidasi. Così facendo evidenzia un contributo primario di mtROS alla disfunzione endoteliale nel paziente obeso identificando così un possibile nuovo importante target terapeutico per una miglior prevenzione della patologia cardiovascolare nell’obesità.

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