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Capitolo 2 Cosimo I e il consolidarsi dello Stato assoluto

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Academic year: 2021

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Capitolo 2

Cosimo I e il consolidarsi dello Stato assoluto

2.1 L’elezione di Cosimo de’ Medici a

“Capo e primario del Governo

della cittá di Firenze”

La situazione successoria di Alessandro è piuttosto complicata. Due sono i soggetti sui quali, a tenore del Lodo Imperiale, può cadere la scelta: Giulio, figlio naturale di Alessandro di appena cinque anni, e (escludendo la possibilità di successione dei discendenti di Pierfrancesco, collaterali del traditore Lorenzino) e Cosimo de’ Medici, figlio di Maria Salviati, nipote di Leone X, e di Giovanni delle Bande Nere che ha servito il Marchese di Pescara nelle guerre d’Italia1.

I giochi di interessi che si intrecciano sono molteplici. Il cardinale Cibo, rimasto il più autorevole esponente degli interessi imperiali nella città, prepara, d’intesa con il Vitelli, l’ascesa al principato del piccolo Giulio, figlio illegittimo di Alessandro, per esercitarne la tutela e detenere il potere durante il lungo periodo della minore età di quello2. Il gruppo di ottimati filomedici guidati da Francesco Guicciardini, Francesco Vettori, Girolamo degli Albizi e Matteo Piccolini, cercano di mettere a capo dello Stato un membro di casa Medici che sia in grado di assumere l’alta autorità in Firenze appoggiandosi a loro.

La mattina dell’8 gennaio il Senato dei Quarantotto si riunisce e offre provvisoriamente la reggenza al cardinale Cibo per mantenere la calma e l’ordine, ma questi rifiuta, probabilmente per giungere a una soluzione definitiva della crisi dinastica3, mentre il gruppo facente capo al Guicciardini e al Vettori decide di chiamare a Firenze il giovane Cosimo de’ Medici. Questi si trova già sulla via di Firenze, allarmato dal passaggio frettoloso di Lorenzino da Scarperia e dal richiamo in città delle bande del Mugello che preannunciano un qualche avvenimento anormale.

E’accolto benevolmente sia dalle truppe del Vitelli sia dalla popolazione cittadina. La prima visita di Cosimo, probabilmente su consiglio del Guicciardini, è al cardinale Cibo. Il giovane si presenta con contegno asserendo di essere là solo per fare quanto gli sarà richiesto dal cardinale.

1

R. GALLUZZI, Istoria del Granducato di Toscana, op. cit. , tomo I, libro I, pp. 2-3. 2

G. SPINI, Cosimo I, op. cit. , p. 39 e R. GALLUZZI, Istoria del Granducato di Toscana, op. cit. , p. 2. 3

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, op. cit. , p. 208.

D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea. Contributo alla storia degli Stati assoluti in Italia, Giuffrè,Milano, 1965, p 18.

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Il cardinale Cibo comprende che la situazione ormai è decisa e che Cosimo gode dell’appoggio del popolo, dei soldati e degli ottimati, persuasi accortamente dal Guicciardini.

Il 9 gennaio il Senato dei Quarantotto si riunisce nuovamente e, nonostante l’opposizione di Palla Rucellai, favorevole al ripristino delle istituzione repubblicane, di Domenico Canigiani, che sostiene la posizione del cardinale Cibo, elegge Cosimo “capo e

primario della città di Firenze” 4 con la medesima potestà del duca Alessandro. La provvisione del Consiglio appare congeniata con molta abilità per sembrare un

adempimento ed atto esecutivo del diploma imperiale del 28 ottobre 1530. In tal modo si toglie a Carlo V ogni pretesto per intervenire nelle cose di Firenze5.

Il giorno seguente l’elezione il Senato dei Quarantotto emana una nuova provvisione6 che limita i poteri di Cosimo: non si sarebbe più chiamato Duca, ma semplicemente

4

L. CANTINI, Legislazione Toscana (1532 – 1774), voll. 32, Albizziana, Firenze, 1800 – 1808, pp. 115 – 118: “PROVVISIONE Del Consiglio dè Quarantotto del dì 9 Gennaio 1536 con la quale viene eletto Capo del Governo di Firenze Cosimo di Giovanni dè Medici.

El Signor Luogo-Tenente, et suoi magnifici Consiglieri insieme regunati con li Magnifici Capitani del Consiglio de’ 48 intesa la subita e inopinata morte dell’Illustriss. Sig. Duca Alessandro dè Medici, e considerato per questo la città restare senza il Capo del suo Governo […]. Et considerato lo indulto, et privilegio della Maestà Cesarea altra volta concesso a Sua Excellentia insino l’Anno 1530 di esser capo del Governo della città, et successive dopo la vita sua concesso similmente a più altri dell’Illustriss. Famiglia dè Medici in detto indulto compresi; et veduto che in tal governo mancando il detto Sig. Duca senza Figliuoli legittimi, et non ci essendo indizio alcuno che la Signora Duchessa sia restata gravida, doveva in suo luogo succedere, secondo il tenore di detto Indulto, et Privilegio Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici, come quello che è dè più prossimi e di maggiore età, ma per aversi lui tolto tal luogo, et preeminenzia per essere intervenuto personalmente alla morte di detto Illustrissimo Sig. Duca, però li prefati Magnifici Capitani del Consiglio dei 48, come di sopra insieme ragunati per loro solenne partito, vinto secondo gli ordini, et per ogni miglior modo, che seppero e poterono, elessero et deputarono in luogo del prefato q. Sig. Duca Alessandro, lo Illustrissimo Sig. Cosimo Figliuolo del Magnifico Sig. Giovanni de’ Medici, come più prossimo per Capo e Primario del Governo della Città di Firenze, e suo dominio, et de Magistrati, et Offici di quella, dichiarando che Egli abbia quella medesima autorità, preeminenzia, et podestà concessali per detto Indulto, et Privilegio della Maestà Cesarea in tutto e per tutto. Con espressa preservazione, che quando la Signora Duchessa fosse gravida, e partorisse figlio maschio, che in tal caso si abbia a seguitare l’ordine dell’Indulto predetto di S. M. Et similmente quella ancorché per altre Provvisioni fatte qui dalla Città in più volte al prefato Sig. Duca Alessandro dè Medici, fu concessa con quella non di manco limitazioni, e dichiarazioni , che per tutto il giorno di domani, che saremo a dì 10 del presente Mese di Gennaio, saranno ordinati, et fatte, et vinte per partito de Magnifici infrascripti otto Capitani, cioè: Mess. Matteo Piccolini, Mess. Francesco Guicciardini, Ruberto Acciajoli, Matteo Strozzi, Iacopo Gianfigliazzi, Francesco Vettori, Raphael de’ Medici, et Giuliano Capponi. E quali il prefato Consiglio de 48 elessono, et deputarono con autorità pienissima a fare et ordinare le dette dichiarazioni, et tutto quello che intorno a ciò paresse loro necessario per salute della Città, et suo Governo, bastando la loro approvazione con la metà delle Fave Nere”.

5

D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, op. cit. , p. 18. 6

L. CANTINI, Legislazione toscana, op. cit. , vol. I, pp. 118-122, “Provvisione Dei Deputati eletti dal Senato per convenire alcune Condizioni con Cosimo de’ Medici del dì 10 Gennaio 1536. Atteso l’autorità la quale fu jeri nel Consiglio de 48 data et concessa all’Infrascritti Spettabili cittadini Mess. Matteo Piccolomini, Mess Francesco Guicciardini, Ruberto Acciajoli, Matteo Strozzi, Francesco Vettori, Raphael de Medici, et Giuliano Capponi, di ordinare tutte quelle dichiarazioni, e limitazioni che a loro Signorie paressino convenienti, e necessarie, circa la elezione jeri fattana nel detto Consiglio de 48 dell’Illustriss. Signor Cosimo figliuolo del Sig. Giovanni de’ Medici […], in luogo dell’Illustriss. Sig. Duca Alessandro de’ Medici premorto. Per la qual cosa, li prefati Magnifici Capitani insieme ragunati, volendo eseguire quanto hanno avuto in commissione, come di sopra dal prefato Consiglio de 48 per loro solenne partito ottenuto, e

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“capo e primario della città e del dominio”; ogni disposizione di governo avrebbe dovuto essere presa da Cosimo e dal Consiglio dei Quarantotto; in caso di assenza del principe avrebbe potuto essere sostituito da un luogotenente scelto fra gli “ottimati” membri del consiglio stesso7; l’ammontare dell’appannaggio che annualmente gli spetta ammonta a 12.000 scudi, notevolmente inferiore a quello del suo predecessore8.

L’ elezione di Cosimo assume un significato particolare sia sotto il profilo della politica estera sia di quella interna. Infatti rappresenta da una parte l’ultimo tentativo dell’aristocrazia fiorentina, che fa capo al gruppo guidato dal Guicciardini e dal Vettori, di impedire che il principato finisca nelle mani di un forestiero non aristocratico svincolato dalla tradizione della città e che avrebbe governato con l’aiuto dell’occupante straniero. E si pone quindi come un definitivo ostacolo all’inserimento di Firenze nella strategia imperiale e riafferma l’indipendenza e il proposito di governare autonomamente pur riconoscendo l’imperatore come sovrano. Attuare un simile indirizzo politico richiede però una grande cautela. Alessandro Vitelli tiene occupata le fortezza di Firenze in nome

vinto secondo gli ordini, e con tutte le Fave nere, deliberarono, e deliberando, e limitando dichiarorono in questo modo, e forma cioè: In prima atteso, e considerato il Privilegio, et Indulto della Cesarea Maestà fatto sotto dì 28 Ottobre 1530 et principalmente concesso al prefato Sig. Duca Alessandro, et successive dopo la sua Vita a quelli dell’Illustriss. Casa dè Medici, che in detto Privilegio, et Indulto son nominati, o compresi, e volendo seguire quel tanto che per la prefata Cesarea Maestà, in detto Privilegio e Indulto fu ordinato, dichiarorno per il detto partito, che la elezione come di sopra fatta al prefato Illustriss. Sig. Cosimo s’intenda essere, e sia per Capo, e Primario del Governo della Città […]. Item advertenti ancora a più Provvisioni altre volte fatte qui dalla Città, circa l’auctorità, preheminentia, e podestà data al prefato q. Sig. Alessandro de’ Medici, dichiarorno che in tutte quelle parti , che parlassimo del Sig. Duca Alessandro predetto, et della sua auctorità s’intenda essere et sia in tutte quelli parti surrogata la persona del prefato Illustriss. Sig. Cosimo de’ Medici in tutto, et per tutto con le infrascritte non di manco limitazioni, et dichiarazioni cioè: In prima che nelle Lettere, Partiti, Bandi, et disposizioni che si faranno da sua Illustriss. Signoria, et suoi Magnifici Consigli il Titolo debba essere in questo modo cioè lo Illustriss. Sig. Cosimo de’ Medici, et Magnifici Consiglieri. Item in quanto nella Provvisione fatta l’Anno 1532 e sotto li 27 d’Aprile del nuovo Governo, si dispone che per il Consiglio de 48 si abbino a deputare, o vincere li infrascritti Magistrati, et Officij cioè;li M. Procuratori, li 8 di Pratica, li 8 di Guardia, e Balia; Conservatori di legge, Capitani, e Provveditori delle Fortezze, Officiali di Monte, Consoli di Mare, o in luogo loro il Provveditore di Pisa, e così il Capitano di Pisa, d’Arezzo et di Pistoia , di Volterra, et di Cortona, Podestà di Prato, Capitano di Castrocaro, et di Fivizzano, s’intenda star ferma la detta autorità con questa limitazione, che tutti quelli, che in detti Magistrati e Officij sarano eletti o deputati debbino essere veri originalij Cittadini Fiorentini, […]. Item in quanto alla detta Provvisione del nuovo Governo, fu ordinato il Consiglio de 48 et de 200 dove si dispone che mancandovene alcuno per morte, o altrimenti, si possa rifare lo scambio, vedendo che al presente sì ritrova così ne 48 come ne 200 […]. Item quanto in detta Provvisione fu ordinato, che il Sig. Duca Alessandro potessi substituire uno in suo luogo, el quale sia Luogo Tenente coi sua Consiglieri, o quando la persona sua per assentia, o per altro non potessi, o non volessi intervenirvi, così medesimamente dichiarorno, che possa fare il prefato Illustrissimo Signor Cosimo co questo non di manco, che tale suo Subsituto, o Luogo Tenente sia sempre del detto numero di detto Consiglio de 48. Item perché il prefato Illustrissimo Signor Cosimo tenendo questo supremo grado nella Città, et suo Dominio, come di sopra è detto, benché gli bisogni grossa spesa a mantenerlo, non di manco avuto rispetto alle necessità nelle quali oggidì la Città si ritrova, et pure acciò che possa stare con qualche parte di quella dignità, e condecentia che ne conviene a tal grado per la presente si provvede, et ordina che sua Illustrissima Signoria debba aver per ciascuno anno per suo piatto, e provvisione solamente la somma di Ducati dodicimila d’oro di moneta, cioè mille Ducati d’oro d moneta per ciascuno Mese dal Depositario […]”.

7

G. SPINI, Cosimo I dè Medici, op. cit. , pp. 44-45. 8

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, op. cit. p. 208. D. MARRARA, Studi giuridici sulla Toscana medicea, op. cit. , p. 19.

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dell’imperatore9e, come scrive il Vettori il 15 gennaio 1537 a Filippo Strozzi, “migliaia di soldati stranieri avrebbero potuto essere mossi all’attacco non appena Firenze si fosse ribellata all’imperatore”10.

Per la politica interna l’elezione di Cosimo assume il significato di una difesa contro i disordini civili, contro il popolo e la repubblica. La situazione politica del 1537 è profondamente diversa da quella del 1494 e del 1527. Mentre in quegli anni, dopo la cacciata dei Medici, la minoranza aristocratica aveva potuto appoggiarsi all’opposizione popolare nel tentativo di erigere un governo aristocratico su base popolare, nel 1537 questa minoranza deve proteggersi dal popolo ed impedire lo sviluppo di una costituzione repubblicana11. Scrive Alessandro Strozzi in una lettera al fratello Filippo: “L’elezione del signor Cosimo è stata necessaria per il bene di quella città , perché se i cittadini non facevano presto, con lor gran pericolo la città andava a sacco”12.

Il ceto aristocratico non è più in grado di ottenere e consolidare un governo proprio che non presupponga un principato sovrano. Ciò che può chiedere, dopo l’elezione di Cosimo, è la limitazione, almeno sul piano formale, del principato e il riconoscimento delle rappresentanze aristocratiche. In questo contesto si inserisce la provvisione del 10 gennaio: il titolo di “Capo della città” viene incontro alla prima di queste aspirazioni, mentre la disposizione sulla scelta del vicario mira all’esclusione dei non aristocratici e dei forestieri. Anche la giovane età del principe determina l’appoggio del ceto aristocratico che spera di sottometterlo più facilmente.

Gli eventi successivi però deludono le aspettative degli ottimati .

I consiglieri aristocratici e il Consiglio dei Quarantotto sono ben presto tagliati fuori e la guida politica della città passa al cardinale Cibo e al Vitelli, vero arbitro della situazione. Cosimo non ha appoggi sicuri. Solo la madre, Maria Salviati, “non mancava di fare co’ parenti e cogli amici tutti quegli ufizi i quali si convenivano”13 e si mostra indignata per lo condotta del Vitelli.

9

R. GALLUZZI, Istoria del Granducato di Toscana, op. cit. , libro I, p. 5. 10

E. NICCOLINI (a cura), Scritti storici e politici. Francesco Vettori, Bari, Laterza, 1972, p. 217, lettera di Francesco Vettori a Filippo Strozzi, “Ma voi avete a intendere che il Castello che noi abbiamo qui in capo è imperiale, dove s’è ridotta la duchessa, e tutti li servitori del duca, che n’aveva assai; la fortezza di Livorno la tiene un pisano, e così quella di Pisa un forestiero, e l’uno e l’altro sono imperiali quanto possono; a Lerice sono 2500 Spagnuoli, a Genova 4000 Tedeschi, i quali, come questi agenti imperiali dubitassero punto che noi volessimo deviar da Cesare, a un tratto ci sarebbono a dosso”.

11

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, op. cit. , p. 209. 12

E. NICCOLINI, op. cit. , appendice, p. 127. 13

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Tav. I. Bronzino, Cosimo I. Palazzo Pitti, Galleria Palatina.

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Non gli rimane che allearsi con l’impero e dare a Carlo V prova della sua fedeltà, tanto da persuaderlo a lasciare Firenze e ad appoggiarlo contro i Francesi e i fuoriusciti. La salvezza personale di Cosimo quindi si allaccia con quella dell’indipendenza di Firenze di fronte la minaccia dell’annessione alla Spagna.

2.1.1 I “fuoriusciti” fiorentini e Piero Strozzi

I cardinali fuoriusciti, che hanno ricevuto la notizia dell’elezione di Cosimo da Alessandro del Caccia, la accolgono con speranza perché reputano facile togliere di mezzo il giovane Duca e di condurre in “famiglia”, fra i “grandi” rimasti in città e i “grandi” fuoriusciti il loro rimpatrio. Così come l’Aldobrandini, che stava già raccogliendo i fuoriusciti e arruolando truppe, i cardinali Salviati e Ridolfi incominciano a reclutare soldati. Il papa Paolo III li esorta ad evitare ogni conflitto armato che porterebbe all’occupazione spagnola del ducato e a cercare un accordo con Cosimo14. Consiglia i fuoriusciti di servirsi per i propri armamenti del conte di Pitignano, padrone quindi della propria giurisdizione e da tempo a servizio della Francia, che li potrebbe aiutare senza violare la neutralità pontificia e promette loro di inviare in Firenze un proprio emissario, Giangiacomo de’ Rossi vescovo di Pavia e cognato di Alessandro Vitelli, per collaborare a persuadere i cittadini. Per questi motivi Paolo III non può evitare l’accusa di aver incoraggiato gli armamenti dei fuoriusciti sul suo territorio da parte di Cosimo e degli imperiali di Firenze.

Le esortazioni di Paolo III ai cardinali perché cerchino di arrivare ai loro fini con mezzi pacifici non rimangono inascoltate. Dopo aver contattato a Firenze il cardinale Cibo, il Guicciardini e gli altri capi dell’aristocrazia fiorentina, i fuoriusciti cercano qualche contatto anche con gli imperiali, come il conte di Cifuentes ed il cardinale di Mantova, capo della fazione di Carlo V, nel collegio cardinalizio, cercando di persuaderli che il loro tentativo non è diretto contro la Spagna, ma solo ed unicamente per recuperare la libertà della loro patria. Da entrambe le parti le risposte sono aperte e si consiglia ai fuoriusciti di evitare un conflitto armato e di rivolgersi direttamente all’imperatore. Ma i cardinali, che percepiscono il malumore dell’ambasciatore Cifuentes pensano di farsi scortare da Ruberto Strozzi con 1500 soldati e di lasciare al conte di Pitigliano l’incarico di prepararne altri duemila. Partiti da Roma il 14 gennaio si incontrano il 15 a Monterosi con l’ambasciatore Alessandro Strozzi e proseguono per Viterbo e Montepulciano dove sono accolti insieme

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allo Strozzi. Qui però apprendono della notizia dell’arrivo imminente delle truppe spagnole, già richieste dal duca Alessandro, in Italia - lo sbarco dei soldati spagnoli a Lerici guidati dal comandante Francesco Sarmiento15 , quelli inviati dal marchese del Vasto guidati da Pirro Colonna - e la presenza di un corpo di cavalleria medicea al ponte di Valiano, sulla Chiana, agli ordini di Rodolfo Baglioni16. La minaccia di una guerra dichiarata contro la potenza imperiale spinge i cardinali a tornare a Roma, ma sono trattenuti da Francesco Bandini che, in nome del governo di Firenze gli propone di arrestare ogni movimento di armi. I cardinali sono persuasi e scrivono a Filippo Strozzi di cessare gli arruolamenti e proseguono disarmati lasciando indietro Roberto Strozzi e l’Albizzi. E lo Strozzi, seguendo i consigli dell’amico Vettori, dell’ambasciatore Alessandro Strozzi e dei suoi conoscenti del patriziato veneziano, come Marco Foscari e Giovanni Corsaro si affretta ad arrestare ogni ulteriore movimento17 e incoraggia i cardinali ad avviare trattative pacifiche con Cosimo, che per parte sua, invita i cardinali a rientrare in Firenze. In questo modo il cardinale Cibo e il Vitelli guadagnano tempo per far avvicinare nuove truppe spagnole. I cardinali giungono a Firenze il 20 gennaio e sono accolti con simpatia dalla popolazione e capiscono che il loro piano di far revocare in qualche modo l’elezione di Cosimo o di prendere il potere assieme al gruppo degli aristocratici, è inattuabile.

Il 30 gennaio è varato un decreto che contempla il ritorno degli esuli18, ma rimane senza effetto sia per l’atteggiamento ostile del cardinale Cibo sia per i nuovi movimenti

15

R. GALLUZZI, Istoria del Granducato di Toscana, op. cit. , libro I, p. 5. 16

G. SPINI, Cosimo I de’ Medici, op. cit. , p. 61. 17

“Dite”, scrive dando istruzioni ad un suo agente, che avrebbe dovuto parlare a nome suo agli altri fuoriusciti, “che quanto ai miei interessi privati, io desidererei essere restituito alla patri. E quando bisogni che io stia in Venezia, senza usare tale benefizio, per satisfare alli avversari miei, starò volentieri qual tempo piaccia, perché il nome di ribelle dannifica grandemente li traffichi e negozi miei mercantili, impedendo il commercio della nazione. Inoltre vorrei finire il palazzo et esigere dalli miei debitori, il che non posso, col titolo di rebello, fare. Ricordate a Salviati che, non mi parendo veder verso a render la libertà alla patria…sarebbe forse meglio abbracciare le cose del nipote e cercare di impadronirsi delle fortezze et stato con qualche spazio di tempo, chè, al presente, mi pare il titolo sia suo et il potere d’altri, con intenzione di suaderlo poi a lasciare la libertà alla patria, comprandoli la città uno stato altrove, queto e sicuro, secondo offerivano in Napoli al duca morto, quale oggi vivrebbe , se avesse avuto più prudenza e bontà”.

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L. CANTINI, Legislazione toscana, op. cit. , vol. I, pp. 125-127: “ LEGGE. Del 30 Genn. 1536. in favore dei Confinati e Banditi. Non havendo l’Illustrissimo Signor Cosimo dopo la sua elezione il maggior desiderio, e così li suoi Magnifici Consiglieri, che cercare il riposo, e la quiete della Città, e l’unione dei suoi Cittadini che sono stati di fuori del Dominio, et sono ancora per conto di Stato per insino al presente possino tornare alla Patria loro, et in quella quietamente vivere, et partecipare di tutti quelli honori,et beneficj che hanno li altri Cittadini; pertanto acciò che questo effetto segua, et per posare la Cttà in quello pacifico vivere che ne conviene, et col parere ancora, et maturo Consiglio di più vostri savi, et prudenti Capitani, provvidono, et ordinorno in questo modo cioè. Che tutti per la virtù della presente Provvisione tutti quelli Capitani Fiorentini, et ciascheduno di loro, e quali dal Mese d’Agosto 1530 in qua cioè da poi che fu levato l’assedio della Città di Firenze, fussino per casi di Stato tutti releghati, o confinati in qualunque luogo , o in qualunque modo, o si trovassimo per insino al presente, di essere tutti messi in bando di Ribelle, o del Capo, di qualunque altro qualsivoglia pregiudizio, o sia tal Bando con confiscazione di beni, o senza,

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armati degli esuli e i nuovi passi della Francia. Negli ambienti imperiali di Roma e di Milano non manca chi desidererebbe arrivare ad una accordo con i fuoriusciti. Le pressioni esterne sono però molte: da Asti il marchese del Vasto insiste perché i cardinali siano mandati via e minaccia Cosimo dello sfavore imperiale se avesse osato accordarsi con loro “senza espressa et replicata commissione di sua maestà”19. Il cardinale Cibo e il Vitelli capiscono come il ritorno dei fuoriusciti comprometterebbe la loro posizione nel governo. E questi, che sentono parlare di accordi, ma si vedono circondati dalle forze militari, dopo quindici giorni, lasciano la città.

Il 9 febbraio gli esuli tengono a Castiglione dei Gatti il “gran consiglio di guerra” dove è discussa la condotta da seguire in futuro20. Le opinioni però si dividono: il Ridolfi, il Valori e i repubblicani non vogliono scendere a ulteriori trattative ed esortano alla ripresa della lotta, lo Strozzi e il Salviati giudicano la situazione poco propizia e sono disposti a cercare un accordo con Cosimo. La situazione sottolinea l’incapacità dei capi degli esuli fiorentini di tracciare una qualsiasi linea di azione comune e preannuncia la sorte di tutti i futuri tentativi dei fuoriusciti21. Tre sono i gruppi che si fronteggiano: uno costituito dalla cerchia del cardinale Cibo, il secondo dai repubblicani e dagli estremisti come il Valori e Lorenzino e ultimo quello degli aristocratici guidati dal Guicciardini, scisso e distribuito in due opposti schieramenti, ma che si sarebbe riunito per motivi sociali ed ideologici. Mentre questa è la situazione in Italia, l’ambasceria fiorentina composta da Bernardo de’ Medici e da Cherubino Bonanni raggiunge l’imperatore Carlo V a Valladolid. Tre sono le soluzioni che si prospettano all’imperatore per la soluzione della questione fiorentina: l’annessione della città ai propri domini, la restaurazione della repubblica e la restaurazione del principato mediceo. Mentre la prima sembra irrealizzabile, rispetto alle altre due la

s’intendino essere, et siano da ora ribaditi, liberi, et assoluti da ogni, e qualunque pregiudicij predetti, e da qualunque altri, che per conto di Stato ne fossino incorsi, o alcuno di loro ne fossi incorso, o suoi Figliuoli, o altri a loro appartenenti, che in alcuno dei prejiudici precedenti per tal conto fussino incorsi, e quali s’intendino essere, et siano restituiti, habilitati, di poter ritornare alla Patria loro ad ogni loro piacere, et così in quella habitare, come gli altri cittadini, et sieno ancora restituiti ad ogni benefizio della Città, quale per essere Cittadini poessero conseguire. E tale restituzione, et liberazione s’intenda essere, et sia fatta con la restituzione dei loro beni immobili, che al tempo del bando, et prejudicio loro, o loro condensazione havessino posseduti. […]. Item e perché potrebbe occorrere qualche dubitazione in questa materia del ritorno dei Banditi, cioè se alcuno fussi Bandito o Condannato per caso di Stato, ò nò, o de detti beni alienati, o della detta somma sborsata, o altri simili dubbi però per levar via ogni materia di difficoltà, che intorno a ciò nascesse per la presente si provvede, che il Magistrato dei Capitani di Parte ne sieno di questi dubbj, e dispiaceri, et difficoltà Iudici competenti: et alla determinazione loro ciascuno ne debba stare tacito, et contento.[…]. Dichiarando non dimeno, che al presente Capitolo comprenda solamente Cittadini Fiorentini, et etiam qualunque Abitante nella città di Firenze, eccettuandone però sempre la Persona di Lorenzo di Pier Francesco di Lorenzo de Medici, co’ sua Compagni quali intervengono alla Morte del Duca Alexandro, e quali non s’intendino compresi in beneficio alcuno della presente Provvisione”.

19

G. SPINI, Cosimo I de’ Medici, op. cit. , pag. 68. 20

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, op. cit. , p. 215. 21

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situazione è ancora troppo confusa perché l’imperatore possa prendere una qualche decisione prima di aver ricevuto informazioni e pareri dai suoi ministri in Italia. Tutti gli consigliano di cercare un accordo con i fuoriusciti e nessuno prese molto sul serio Cosimo o consiglia l’imperatore di appoggiarlo decisamente.

Nel luglio del 1537 Filippo Strozzi, visti i primi insuccessi militari degli esuli, abbandona il suo atteggiamento cauto e propone agli ambasciatori francesi di organizzare una spedizione contro Firenze. La situazione politico – militare è particolarmente favorevole: Francesco I è libero di agire verso l’Italia e si prevede imminente l’attacco della flotta turca al regno di Napoli, che metterebbe in difficoltà gli imperiali. Filippo Strozzi agisce senza indugio: il governo di Cosimo è privo di mezzi e i cittadini sono stanchi e mal disposti verso il Duca. Solo il Salviati è a conoscenza del piano dello Strozzi e per mantenere al meglio il segreto, le truppe dovrebbero giungere alla Mirandola, sotto il comando del capitano di Mantova, con il pretesto che Galeotto Pico vuole cacciare gli imperiali nascosti a San Felice, nello stato di Correggio. Il piano prevede che i 6000 fanti e 300 cavalli guidatai da Piero Strozzi e da Bernardo Salviati, valichino l’Appennino e scendano su Prato e Pistoia. Le mosse dei fuoriusciti sono però già scoperte, sia attraverso gli accordi finanziari per l’organizzazione della spedizione, sia attraverso la rete di informatori di cui Firenze dispone e viene quindi a mancare l’elemento sorpresa , su cui conta lo Strozzi.

2.2.1 La battaglia di Montemurlo

Questi, insieme a Antonfrancesco degli Albizi, segue sulla via di Prato Baccio Valori e si ritira a Montemurlo, dove sono raggiunti dalle bande dei Cancellieri da Pistoia. La difesa di questa posizione, già forte per esser circondata da dislivelli, è resa più agevole dalla presenza di un piccolo castello dove si rifugiano senza fare opera di rinforzo. L’arrivo dei fuoriusciti a Montemurlo è una mossa talmente avventata che a Firenze si teme che l’esercito nemico sia alle porte.

Per questo motivo si richiamano gli spagnoli dal Valdarno a Fiesole, per difendere la città22 e si provvede a mettere al sicuro da un assalto dei fuoriusciti Prato e Pistoia. A Prato sono mandati due vecchi capitani delle Bande Nere, il milanese Pozzo Perego e il mugellano

22

R. GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana, op. cit. , libro I, pp. 10-11, molte sono le misure perse per tenere quieta la città. Il 30 luglio 1537 è pubblicata una legge che ordina a chiunque di tenere dopo la mezzanotte il lume acceso alle finestre di casa sotto pena di 25 fiorini larghi d’oro; si proibisce a tutti di passeggiare dopo questa ora per le strade della città senza un’apposita licenza e in caso di disordini tanto di giorni quanto di notte chi non si fosse ritirato nella propria casa avrebbe potuto essere ammazzato.

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Rosa da Vicchio. A Pistoia è spedito Federigo da Montauto. A Firenze si è informati sull’impreparazione del nemico e il Vitelli ha tutto il tempo di preparare un’abile sorpresa. Lo Strozzi, preso alla sprovvista, è sbaragliato e per poco non rimane prigioniero. All’alba del 1 agosto le truppe medicee proseguono per Montemurlo e danno l’assalto al paese senza che i fuoriusciti possano preparare la resistenza. Gli esuli si arrendono. La battaglia, stando alla relazione che Bernardo da Rieti fa a Carlo V, è particolarmente feroce ed è costata circa trecento morti da una parte e dall’altra. Nei giorni seguenti il Vitelli consegna a Cosimo, dietro lauto compenso, i fuoriusciti che ha catturato, ma tiene nella fortezza da Basso Filippo Strozzi per il quale spera di ottenere un riscatto esorbitante. I prigionieri, come Antonfrancesco degli Albizi, Baccio e Filippo Valori, Alessandro Rondinelli, sono condannati a morte23 mentre altri come Paolo Antonio Valori, sono relegati nelle fortezze di Pisa e Volterra.

Con la vittoria di Montemurlo ogni speranza di alternativa repubblicana al principato cade così (come quella oligarchica) e diventa utopistico porre dei limiti al potere ducale; la storia di Firenze è a una svolta e da questo punto in avanti il principato territoriale assoluto sostituisce l’antica repubblica cittadina.

Gli esuli superstiti, tra i quali vi è Piero Strozzi, tentano a più riprese di ricostruire un esercito con l’appoggio francese nella vicina base della Mirandola24. Cosimo però ormai dispone uno spazio di manovra molto ampio che lo porta a rafforzare il proprio potere interno e a consolidare la propria posizione internazionale e ad ottenere una concreta autonomia dalla Spagna.

23

R. VON ALBERTINI, Firenze dalla repubblica al principato, op. cit. , p. 220. R. GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana, op. cit. , libro I, p. 12.

G. SPINI, Cosimo I de’ Medici. Lettere, Firenze, Redit Clarior, 1940, pp. 23-24 lettera di Cosimo a Pirro Colonna dell’8 agosto 1537: “Noi, Cosimo Medici, declaramo per la presente come il signor Pirro Colonna, volendo con noi procedere gratiosamente, havendo in suo potere et di suoi capitani et soldati li infrascripti cittadini fiorentini ribelli nostri, li ha posti in nostre mani per benefitio et servitio del nostro stato. Ma, essendo interesse comune con li altri, volendo ricompensare tal gratitudine, ci obblighiamo per la presente pagar la taglia se havevano imposta decti prigioni, overo consegnare decti prigioni in mano del detto signor Pirro, o a chi si appartenessino decti prigioni, et in evento che li prigioni morissimo avanti fussino restituiti, la taglia stia ferma. Et a fede del vero habbiamo facta la presente di nostra mano, signata del nostro soliti sigillo. Florentiae, VIII augusti MDXXXVII. Li nomi delli prigioni sono: Bartolomeo Valori, Filippo Valori, Anton Francesco degli Albizzi, Bernardo Cannigiani, Giovan Battista Giacobini, Veri da Castiglione, Baccio del Setaiolo, el Sacchettino etc. Baccio Valori ducati 4000, Filippo Valori ducati 2000, Ant. Francesco de li Albizi ducati 1000, Bernardo Cannigiani ducati 150 et altri ducati 150”.

24

E. FASANO GUARINI(a cura), Cosimo I de’ Medici, in Dizionario Biografico degli Italiani. XXX, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1984, pp. 34-35.

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Fig. II. Giorgio Vasari, Il trionfo di Cosimo I a Montemurlo, Palazzo Vecchio, Quartiere di Leone X, Sala di Cosimo

(12)

2.3 Cosimo I duca di Firenze

Alla fine dell’estate del 1537 Cosimo si propone di regolare i suoi rapporti con Carlo V. Infatti l’imperatore, con il possesso delle fortezze e un esercito accampato in Toscana, è il vero padrone della città di Firenze. Per vedere riconosciuta la sua dignità di sovrano, Cosimo invia a Carlo V una legazione diretta da Averardo Serristori accompagnato dal fidato segretario Lorenzo Pagni25, con il compito di richiedere il riconoscimento della sua elezione e successione ad Alessandro, l’approvazione dei suoi atti di governo, in particolar modo le esecuzioni capitali dei prigionieri di Montemurlo, la restituzione delle fortezze, a garanzia dell’indipendenza reale dello Stato di Firenze, e la mano di Margherita d’Austria, vedova del defunto Duca. Carlo V, persuaso dell’inopportunità dell’annessione di Firenze all’Impero e per non provocare reazioni sfavorevoli da parte degli altri governi italiani, riconosce l’elezione del 9 gennaio. Approva le esecuzioni capitali dei ribelli e conviene che Filippo Strozzi sia messo in mano di Cosimo per essere inquisito. Più dubbia e intricata è la situazione rispetto alle altre questioni. Le fortezze rappresentano una garanzia troppo solida perché l’imperatore possa cederle, e sulla mano di Margherita, promessa con il consenso imperiale a Ottavio Farnese, nipote di Paolo III, Carlo V soprassiede. Il Serristori e il Pagni si devono accontentare di sorvegliare l’andamento delle cose a corte e di procurare il favore imperiale al loro signore aspettando il privilegio che tarda a essere consegnato anche per le lungaggini della cancelleria. Dopo lunga attesa, il 30 settembre 1537 è consegnato ai rappresentanti fiorentini il privilegio imperiale che legittima la successione di Cosimo e gli attribuisce il titolo di Duca della città di Firenze26. Non ottengono altro da Carlo V nonostante i nuovi incontri con i suoi ministri e l’appoggio del rappresentante di Andrea Doria, messer Adamo Centurione, che porta un memoriale del suo signore per persuadere l’imperatore a concedere Margherita e le fortezze a Cosimo.

Anche dopo Montemurlo, Cosimo appare sempre in una posizione molto incerta. Il giovane Duca non trova un completo appoggio nell’imperatore anche per le continue

contese che ha con Paolo III, contese modeste ma che hanno radici profonde e lontane dalle occasioni contingenti e che esprimono lo stato di tensione tra le due corti dei Medici e dei Farnese. Alle questioni sulle decime e sull’eredità medicea, nell’estate del 1537 se ne aggiunge un’altra a causa del benefizio ecclesiastico dell’ospedale di Altopascio.

25

Lorenzo Pagni, a differenza del Serristori, ha esperienza degli ambienti spagnoli e Cosimo, su suggerimento di un altro segretario, Francesco Campana, lo invia alla corte di Carlo V.

26

R. GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana, op. cit. , libro I , p. 15, diploma imperiale datato da Monzone, 30 settembre 1537.

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Questo è un antichissimo ospizio che nel Medioevo è stato il centro dell’ordine monastico – cavalleresco dei cavalieri di Tau, dedito all’assistenza ai pellegrini e collocato in una posizione strategica sulla strada che da Roma attraverso il senese, Fucecchio e Lucca conduce alla riviera ligure ed è al confine con la repubblica lucchese. Venuto a mancare il capitolo dei frati, il beneficio è stato trasformato in commenda e Sisto IV ne concede lo juspatronato alla famiglia fiorentina dei Capponi.

Venuto a mancare Giovanni Capponi, Cosimo chiede a Paolo III di mantenere inalterati i privilegi della famiglia fiorentina. Paolo III investe però del beneficio il cardinale Alessandro Farnese, nipote del pontefice. E quando Alessandro rivendica il beneficio concessogli, Cosimo glielo rifiuta e investe il Grifoni. La nomina di uno dei suoi più fidati funzionari, il segretario Ugolino Grifoni, a successore nel benefizio ha un significato politico perché rappresenta il trapasso di una posizione tanto importante da una famiglia illustre fiorentina ad un alto burocrate ed è il segno tangibile dello spazio che i funzionari come il Campana, il Torelli, il Pagni e il Grifoni, acquistano rispetto alla vecchia aristocrazia cittadina.

Cosimo cerca di impostare la questione su base giuridica e attraverso l’abile giurista Lelio Torelli e Francesco Campana, sostiene l’illegalità della derogazione di privilegi che il papa vuole compiere. Paolo III prepara bolle e minaccia censure contro il Duca di Firenze, che ricorre inutilmente all’imperatore. La minaccia dell’interdetto si fa sempre più incombente e rappresenta una minaccia piuttosto grave non solo per gli effetti morali sulla popolazione quanto per le concrete ripercussioni finanziarie che ha sul clero, a cui toglie le rendite dei diritti di stola.

L’interdetto colpisce la città dal 18 febbraio al 3 marzo, quando viene ribenedetta27. Ma otto giorni dopo, l’11 marzo, è nuovamente interdetta fino al 6 aprile. E Cosimo ha una difficoltà in più tra le tante che deve affrontare.

Un altro momento importante nel processo di costruzione e consolidamento del potere assoluto di Cosimo I, è l’incontro a Nizza tra Carlo V, Francesco I e il papa Paolo III. Al convegno Cosimo manda in sua rappresentanza il segretario Francesco Campana e il cardinale Cibo accompagnati dai due rappresentanti toscani presso l’imperatore e il papa, Giovanni Bandini e Agnolo Nicccolini. Intanto il Papa, mossosi da Roma alla fine di marzo, risale l’Italia attraverso Siena, Fucecchio e Lucca e durante il suo passaggio sul

27

B. VARCHI, Storia fiorentina, Firenze, 1857, “Stette Firenze interdetta dalli 18 febbraio fino alli 3 di marzo, nel qual giorno fu ribenedetta. Ma otto giorni di poi il San Marino, per comandamento del tesauriere, la fece di nuovo interdire e così stette insino a’ 6 aprile”.

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territorio fiorentino, il cardinale Pucci riesce a farlo accordare con Cosimo: il pontefice si sarebbe accontentato di 10.000 ducati e Firenze, il 6 aprile, può essere ribenedetta.

Anche il cardinale Cibo e il Campana, alla volta di Genova, si incontrano a Carrara e arrivano alla metà di giugno a Nizza. Qui sono già giunti il Papa e molti cardinali, l’imperatore, Lorenzo Ridolfi e Benvenuto Olivieri in rappresentanza di Filippo Strozzi, e Cherubino Bonanni, a rappresentare Margherita d’Austria che non ha nessuna intenzione di essere data in sposa a Ottavio Farnese.

I primi contatti tra la missione fiorentina e l’imperatore sono inconcludenti. Intanto il 2 è arrivato, dopo tanto indugio, anche il re di Francia, che Carlo V comincia a

tradurre in atto le decisioni a lungo maturate sulla questione fiorentina.

Cosimo può dirsi contento alla conclusione del convegno: Carlo V ribadisce la propria intenzione di conservare le fortezze di Firenze e Livorno e rifiuta definitivamente a Cosimo la mano di Margherita d’Austria, che convolerà a nozze con uno dei più ferrei avversari del Duca, Ottavio Farnese, ma è pronto a trovargli una sistemazione matrimoniale altrettanto conveniente ma soprattutto gli accorda il ridimensionamento delle truppe spagnole28 a Firenze che gravano sul fisco fiorentino, ad allontanare dalla città Alessandro Vitelli, che sostituisce con un capitano spagnolo e gli promette la testa di Filippo Strozzi. Anche la tregua decennale stipulata a Nizza tra Francesco I e Carlo V non fuga ogni pericolo degli attacchi francesi e dei fuoriusciti al ducato mediceo, ma permette a Cosimo una maggiore tranquillità e la possibilità di cominciare la riorganizzazione interna del suo stato.

Mentre segue le trattative per ottenere la testa di Filippo Strozzi, Cosimo prosegue anche i negoziati per il proprio matrimonio. Il Duca ha la necessità urgente di avere un figlio. Infatti tutti gli altri rami della famiglia de’ Medici sono spenti ed inabili a dargli un successore e quindi la sua morte avrebbe voluto dire la fine del dominio mediceo a Firenze e la possibilità per i Farnese di avanzare le loro pretese. Nell’autunno del 1538 Cosimo rifiuta la mano di Vittoria Farnese, offertagli insistentemente dal papa e, il 29 luglio 1539, sotto gli auspici dell’imperatore, si unisce in matrimonio con Eleonora, figlia di don Pedro di Toledo, viceré di Napoli e fratello del Duca d’Alba. Il viceré avrebbe preferito dare al Duca la maggiore delle figlie, Isabella, chiedendo che lo sposo le costituisse una dote di 80.000 scudi, ma Cosimo riesce nel suo intento. Sposa Eleonora e non versa nessuna dote, ma dichiara di avere ricevuti 30.000 scudi dal viceré, mentre questi non sborsa nulla, e

28

Il cardinale Cibo chiede all’imperatore che non vi siano a Firenze più di 200 fanti e Carlo V acconsente benevolmente dopo aver ordinato di lasciare le fortezze in mano di don Lope Hurtado de Mendoza in attesa dell’arrivo in Toscana del castellano don Giovanni de Luna.

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Tav. III. Bronzino, Eleonora di Toledo e Francesco I. Galleria degli Uffizi.

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promette di farle un dono di 20.000 scudi , nel caso muoia prima di lei senza lasciarle figli.

La parentela con la consorteria degli Alba - Toledo sarà di grande aiuto per casa Medici, specialmente nei confronti della casa degli Asburgo.

Cosimo accoglie la futura sposa a Pisa il 22 giugno 1539 accompagnata dal fratello don Garcia di Toledo. Le nozze sono celebrate il 29 luglio e i festeggiamenti costituiscono l’occasione per la ripresa culturale di Firenze dopo la lunga guerra del 1530.

Anche sul piano umano l’unione tra Cosimo ed Eleonora è più felice di quello che ci si può aspettare da un matrimonio combinato e, caso raro per un principe del Rinascimento, Cosimo non ha mai attenzioni verso qualche altra donna fino a quando Eleonora è in vita.

Come scrive Baccio Baldini, protomedico e biografo del Duca, Cosimo vive con la moglie “con molto riposo et piacere, lietamente molt’anni”29, e il loro matrimonio è coronato tra il 1540 e il 1554 dalla nascita di cinque figli maschi e tre femmine.

In una lettera Lorenzo Pagni scrive dell’imminente nascita di una delle figlie del Duca, probabilmente Lucrezia, il 14 febbraio 1545, due giorni dopo l’inizio delle celebrazioni del carnevale30.

La notizia della nascita del secondogenito di Cosimo, Giovanni, è in una lettera inviata da Lorenzo Pagni da Poggio a Caiano a Pierfrancesco Riccio il 29 settembre 154331. Per celebrare la nascita il medesimo giorno Cosimo autorizza fuochi e festeggiamenti in città32. La Duchessa è in buone condizioni di salute, vuole le siano inviate due tazze di porcellana nelle quali è solita mangiare la zuppa. Le sue condizioni migliorano in breve tempo e già

29

B. BALDINI, Vita di C. M. primo granduca di Toscana, Toscana 1578. 30

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Carteggio dei segretari, f. 1171, lettera inviata di Lorenzo Pagni da Prato al Riccio a Firenze del febbraio 1545, “ […] Il Duca io s. re […] da Domenica in là habbi a restare impegnata in Fiorenza alle feste del carnovale, et forsi al parto dell’Ex. ma S. ra Duchessa, la quale hieri in verità, si trovava molto stanca et lassadi questo poco viaggio da Fiorenza a Prato, et hiersera io la sentì confessare di bocca propria che alli XII del presente compliva il nono mese della sua gravidezza, aggiungendo però che lej era solita passare sempre detto nono mese di quattro o cinque giorni, Iddio n. s. re li presti la med. ma felicità in questo, che è solita havere nelli parti suoi […]”. 31

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 6, ins 6, c. 300, lettera inviata da Lorenzo Pagni da Poggio a Caiano a Pierfrancesco Riccio a Firenze il 29 settembre 1543, “[…] La felice nuova del secondo genito del Duca mio sig. re venuto in luce questa notte a hore VIII manco uno octavo. Sarà venuta volando alla S. V. per molte persone che di corsa se ne sono venute a Firenze onde a me non toccheranno le calze se già la S. V. non me le desse per la confermatione di essa nuova et per aggiongerli (come fo) il buono et felice parto che ha hauto la Duchessa mia sig. ra, la quale si trova in tanto buono essere quanto si possa desiderare, onde io di tutto mi rallegro con la S. V. con tutto l’animo et cuor mio, dicendolj da parte della p. ta mia sig. ra che subito subito invij a questa volta per cavallaro expresso due di quelle tazze mezzanotte di porcellana in le qualj S. Ex. a suole mangiare le zuppe et dua di quelle scodelle nelle qualj mangia le minestra del parto […]”.

32

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Carteggio dei segretari, f. 1170, ins. 6, c. 301r. , lettera di Cristiano Pagni da Poggio a Caiano al Riccio a Firenze del 29 settembre 1543, “ […] De’ fuochi, come doverrà alla S. V. havere scritto ser Pasquino da parte mia, S. Ecc. a si contenta si faccino questa sera allegramente et meritatamente perché la natività di questo secondo genito è la confermatione d’ogni cosa […]”.

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nei primi giorni di ottobre trascorre le giornate non più a letto ma nelle stanze della villa di Poggio a Caiano33. La notizia della nascita di Ferdinando è in un’ lettera per don Pedro di Toledo del 31 luglio 154934 nella quale si danno rassicurazioni sulle condizioni di salute del neonato e di Eleonora.

Dopo le trattative di Nizza, che danno a Cosimo una certa sicurezza circa la sua posizione a Firenze, il Duca si occupa dei rapporti del suo ducato con gli altri stati della Toscana. In particolare rivolge la sua attenzione alla frontiera di nord-ovest del principato, corrispondente alle attuali provincie di Lucca e Massa - Carrara. La Repubblica di Lucca è una vecchia e tenace rivale di Firenze che le ha inferto lo scacco di spodestarla dall’importante piazzaforte di Pietrasanta35. Massa, feudo della marchesa Ricciarda

Malaspina, cognata del cardinale Innocenzo Cibo, è nell’orbita politica fiorentina. I Lucchesi vogliono fare un spedizione punitiva contro la Marchesa che permette di fare ai

suoi sudditi di continue e violente scorrerie nel loro territorio e cominciano a radunare truppe a Montignoso. Cosimo non può rimanere indifferente. Gli armamenti lucchesi sono un pericolo, non solo per Massa, ma anche per la fiorentina Pietrasanta. Il Duca, pur senza intervenire apertamente nel conflitto, aiuta militarmente la Marchesa e ordina a Pirro Colonna, comandante delle truppe medicee dopo la partenza del Vitelli, di impedire il passaggio dei lucchesi sulla strada che da Camaiore porta, attraverso Pietrasanta, al castello di Montignoso, estremo avamposto lucchese contro Massa. Cosimo, appena diciannovenne, riesce a mantenere la “pace e quiete d’Italia” tanto cara a Carlo V.

33

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 5, c. 330r. , lettera inviata da Lorenzo Pagni da Poggio a Caiano a Giovan Battista Ricasoli del 5 ottobre 1543, “ […] Queste Excellentie stanno per gratia di Dio molto bene. Il Duca cavalcha mattina et sera a piacere. La Duchessa, grassa et fresca come una rosa, comincia a ragionare di voler uscire del letto et star levata per la camera. Certo io non viddi mai la maggior complexione di donna, Dio la benedica, poi che la ci da di questi bei frutti tanto desiderati da noi altri servitori et ci mantenga longamente il Duca et lei, sani et contenti […]”.

34

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 14, c. 174, lettera di Cosimo a don Pedro di Toledo del 31 luglio 1549 di mano di Lorenzo Pagni, “La Duchessa ha dato in luce questa mattina a’ XIII hore un’ bel figliolo mascho con quella facilità et grati, che, e, stata solita haver’ da Dio nelli altrj suoi parti, et si trova di buona voglia quanto si possi desiderare, come fa anco la Creatura, che, e, tanto grande, grossa et bella, che mostra esser nata già tre mesj. Piaccj a’ sua divina bontà di conservarlo con li altrj, che tutti si trovano in prospera salute, Et perché io non ho preso quel contento e quel piacer che L’ecc. a V. può considerare, ho voluto con questo Criato mio che sarà il Cap. no Octaviano Piccardino, consorte di Maria di solis, farne la subita avisata, a fine che insieme con la Duchessa et con’ me possi participari di questa contentezza, Et rimettendomj nel resto a’ detto octaviano, resto pregando N. S. re che contenti l’ecc. a V. d’ogni suo desiderio Da Fiorenza.”.

35

G. SPINI, Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, op. cit. , la repubblica di Firenze si è impadronita di Sarzana e di Pietrasanta nel tardo Quattrocento. Nel 1494 queste piazze sono cedute da Piero de’ Medici a re Carlo VIII di Francia e i capitani di quest’ultimo le vendono rispettivamente l’una ai genovesi e l’altra ai lucchesi. Pietrasanta però al tempo di papa Leone X è stata tolta nuovamente ai lucchesi dai fiorentini. La situazione che trova Cosimo I è piuttosto strana: la strada, la famosa via Francigena, che da Roma arriva in Val Padana, e che costituisce la fortuna economica di Siena e di Lucca, è in territorio lucchese fino a Viareggio; trova poi l’enclave fiorentina di Pietrasanta; ritorna su territorio fiorentino a Montagnoso; poi passa nel marchesato di Massa – Carrara e infine arriva a Sarzana, caposaldo genovese.

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Agli inizi degli anni ’40 Cosimo incomincia ad assumere un ruolo di primo piano tra le forze filoimperiali in Italia. Gli sviluppi della situazione internazionale non possono lasciare il Duca indifferente. Oltre alla spedizione di Algeri, le ostilità tra la monarchia di Francia e l’Impero non sono ancora scoppiate perché non vi è interesse ad aprirle né da parte di Francesco I, ancora impreparato, né da parte di Carlo V impegnato nella spedizione contro Algeri. Ma la situazione diplomatica è incandescente: Carlo V si accorda con i principi della Germania e tende la mano a Enrico VIII di Inghilterra, Francesco I si allea con il Duca di Clèves, il re di Danimarca e quello di Svezia e negozia un’alleanza anche con Solimano il Magnifico.

Da un lato quindi la prospettiva di una ripresa a breve termine del duello tra Francesco I e Carlo V gli impone di stare in guardia contro il pericolo di nuovi attacchi francesi contro Firenze, dall’altro la situazione gli può permettere di conquistare Siena e Piombino con il pretesto di difendere le due città dai nemici dell’imperatore. Ma soprattutto la nuova tensione tra le due potenze può permettere a Cosimo il recupero delle fortezze di Firenze e di Livorno, sfruttando le difficoltà anche economiche che l’imperatore avrebbe sicuramente avute da una nuova guerra con Francesco I. La restituzione delle fortezze rappresenta per Cosimo l’obiettivo da raggiungere perché significherebbe la liberazione del principato mediceo dal controllo militare spagnolo e il recupero,non solo formale ma sostanziale, dell’indipendenza. Ed è proprio in questa occasione che Cosimo dimostra le sue doti migliori di abilità e di tenacia imponendosi ai contemporanei come una delle più vigorose personalità di statista dell’Italia.

Ai primi d’agosto 1541 Carlo V arriva a Milano ed è accolto da grandi festeggiamenti a cui partecipano la maggior parte dei principi italiani. Cosimo lo raggiunge a Genova, accompagnato da Francesco Campana, poiché, come scrive al suocero, non si fida ad attraversare l’Emilia dopo che il papa ha riempito di truppe i territori Parma e Piacenza. A Genova coglie l’occasione, oltre che per rendere omaggio all’Imperatore, per trattare la questione di Siena e per chiedere la restituzione delle fortezze36. L’imperatore evita di dare una risposta al Duca e rimanda la questione al proprio ritorno dalla spedizione di Algeri. Questa non ha però l’esito sperato. La flotta imperiale, raggiunta la costa nord africana ai primi di ottobre guidata verso Algeri dall’Imperatore, è fermata da una violenta tempesta

36

Le ragioni che hanno spinto Carlo V ad impossessarsi delle fortezze non sussistono più. Il trono di Cosimo non corre più nessun pericolo e il duca ha dato prove di indiscutibile fedeltà nei confronti dell’imperatore. Cosimo ha anche assicurato la continuità della propria dinastia, perché proprio nel 1541 ha avuto un figlio, Francesco. Quindi, almeno in apparenza, non c’è nessun motivo per cui Carlo V non debba restituirgli le fortezze.

(19)

che distrugge molte navi e mette a dura prova le truppe costrette ad una ritirata disastrosa dagli attacchi degli algerini.

All’inizio delle ostilità e per circa un anno, Firenze gode di una certa tranquillità e non

è bersagliata dai belligeranti che scaricano lo sforzo bellico lontano dalla Toscana37. Carlo V e Francesco I si fronteggiano ma logorano inutilmente le proprie forze senza

ottenere alcun risultato.

A movimentare la situazione europea provvede anche Paolo III riorganizzando il Santo Uffizio dell’ Inquisizione e indicendo per la fine dell’anno l’atteso concilio di Trento per promuovere una riforma della Chiesa. Incontra l’opposizione dei luterani che considerano inammissibile questa convocazione perché non vi avrebbero potuto partecipare in condizioni di parità con i cattolici. Per questo Carlo V, che non ha certo bisogno di indispettire i principi luterani tedeschi, invia il Granvella a Trento e in Germania per evitare che la questione del concilio metta scompiglio nell’Impero tedesco38.

2.4 La restituzione delle fortezze

Il 1543 porta nuovi sviluppi importanti. Per far fronte all’offensiva nelle Fiandre, Carlo V, che si trova a corto di mezzi finanziari39, sembra pronto a vendere lo stato di Siena o Milano al Farnese. Non si tratta di trattative concrete, ma offrono a Cosimo la possibilità di riaprire la partita sulla restituzione delle fortezze accompagnata da un’allettante offerta di denaro. La trattativa è avviata da Girolamo Guicciardini, ambasciatore in Spagna al posto di Giovanni Bandini, ma è conclusa da Cosimo in persona quando l’imperatore sbarca a Genova nel maggio del 1543.

In questa occasione è accompagnato dal vescovo di Marsico, Marzio Marzi Medici, che ragguaglia la duchessa Eleonora del viaggio da La Spezia a Genova40 e dal segretario

37

Approfittando di questa situazione, Cosimo comincia ad impostare una riorganizzazione dell’apparato governativo, di rilancio economico, di ristrutturazione del territorio e di politica culturale. Comunque l’opera di Cosimo assume proporzioni consistenti solo dopo la pace di Crépy del 1544 tra Francesco I e Carlo V (per tutto questo si veda avanti).

38

G. SPINI, Cosimo I e l’indipendenza del principato mediceo, op. cit. , pp. 211-212. 39

Carlo V si trova a dover combattere contemporaneamente contro i francesi e contro i turchi. Non gli rimane altro che ascoltare la proposta di Cosimo , Duca di una delle maggiori città mercantili d’Europa. 40

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Carteggio Universale, f. 360, c. 474r., lettera da Marzio Marzi da Genova alla Duchessa Eleonora a Firenze del 27 maggio 1543, “L’Ill. mo ed ecc. mo consorte dell’Ex. tia vostra et mio unico padrone partito hier mattina ad un’hora di giorno dalla Spetia in poste, arrivò qui hier sera alle ventiquattro hore sano salvo, et quasi non stracco , né fece altro che mutarsi, cenare et andare a dormire; questa mattina è gito a corte di S. Ces. ea M. tà , et l’ha accompagnato fino al Duomo, dove ha udito la messa, di poi accompagnato a palazzo […] Le visite, et l’accoglientie et buona cera facta a S. Ill. ma S. ia , dalli Signori della corte di S. C. M. tà, dal principe Doria, e da altri gentiluomini, non le scrivo, perché oltre all’esser duca di Firenze, essendosi prima facto conoscere per quel

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Ugolino Grifoni che scrive alla signora Maria per riferire degli eventi che circondano l’incontro tra l’imperatore e il Duca41.

Oltre a considerazioni di carattere finanziario, infatti, Cosimo gli promette una riguardevole somma di denaro per finanziare la guerra di Fiandra. Carlo V tiene presente anche considerazioni di ordine politico e militare. Più che mai ora che l’arrivo della flotta turca capeggiata ad Khair ad-din, detto il Barbarossa, nel Tirreno è imminente, ha bisogno dell’aiuto di Cosimo per difendere le coste della Toscana42. L’accordo è perfezionato a Pavia il 12 giugno 1543: il Duca si impegna a difendere le coste toscane e ottiene la restituzione delle fortezze, dietro esborso di 150.000 scudi43. Don Giovanni di Luna, con

benigno, liberare, et ben dotato di virtù principe che ‘gli è […]. Ma già non voglio lassare che S. Ill. S., quasi alla ultima posta, portò non poco pericolo di cascare giù per una di quelle balze per l’ombra presa dalla sua mula, sulla quale correa. Il Signor Otto cascò […]. Il Signor Giordano restò indietro, et hebbe la caccia di ladri […]. Caschò anchora Leone cameriere, et Sforza rimase indietro, […] et il Signor Ridopho durò una gran fatica a condursi con S. Ecc. su l’ultima mula ch’era stanchissima […]”.

41

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Minute di lettere, f. 5, c. 150r. , lettera di Ugolino Grifoni da Genova a Maria Salviati del 29 maggio 1543, “ […] Essendo passato S. M. tà con pochissima corte, et della quale havendo io cercato haverne particular intelligentia. Trovo che vi è solo il Duca di Nasiera, il S. or Conte di Feria, il Mar. di Aghilare, che in suo luogo è stato creato Vicerè di Navara il Mar. di Mondiar, Mons. di Busse grande scudieri di S. M. tà. Il Duca d Sessa è rimasto in Spagna ed in suo loco il Duca di prefato di Nasiera. Di prelati, l’arc. o di Sancto laco, V. o di Malaga, V. o di Osca, V. o di Gien, V. o d’ Ugento, Don Giovanni fratello Car. le del Duca d’Arburcherche et ci si aspetta d’hora in hora Don Francesco da Esti. Sonci poi molti altri signorotti e prelati, dei quali non scrivo, non essendo da conto. Di italiani vi è l’Ill. mo S. or Duca n. ro, il Mar. del Vasto e tutta la nobiltà di Milano e in particulare il S. or Pier Francesco Visconte e S. or Pirro Colonna con la S. ra sua consorte e figlio et il S. or Don Ferrante Gonzaga, Duca di Castro, Duca di Camerino, Principe di Sulmona. Del Sor Principe Andrea Doria non parlo, intendendosi per l’ordinario […]”.

42

Dopo l’accordo sanzionato a Pavia, Cosimo è costantemente informato sugli spostamenti dell’esercito turco nel Mediterraneo. Molto frequenti sono le lettere scambiate con il principe Doria, una delle sue principali fonti di informazione sull’argomento, in ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Mediceo del principato, Registri di lettere, 185, c. 97r. , lettera del Duca da Firenze al principe Doria del 5 giugno 1544, “Habbiamo inteso per le due lettere vostre de 4 del presente quanto ci scrivete della passata dell’Armata turchesca, et del arrivo delle 30 galere del Principe d’oria, entrate nel Golfo della Spetia, che vanno secondando quest’armata della quale havendo noi in questo punto lettere di Piombino che hieri era inverso Portoferraio, et poi voltatasi costeggiando l’Isola d’Elba, potremo intendere presto il fine del disegno suo, quale speriamo debba essere di tornarsene in levante […]”.

Cosimo è in comunicazione costante anche con Donato de’ Bardi che gli invia numerosi avvisi sull’avanzamento delle truppe turche. Anche il colonnello Cristofano Pallavicino, di guardia a Nizza, lo informa il 17 maggio 1544 che le truppe turche hanno depredato quattro navi francesi cariche di vettovaglie e di munizioni, in ASFI, Mediceo del principato, Registri di lettere, 185, c. 82r. , lettera inviata da Cosimo da Firenze a Donato de’ Bardi il 24 maggio 1544, “[…] Non vogliamo mancare in ricompenso di tanti […] che voi ce ne date ogni giorno di farvi parte di quelli che questa notte passata habbiamo hauto per una staffetta di Genova, de’ successi dell’armata turchesca, e’ quali contengono questo in substantia, che per lettere de 19 da Nizza dal Colonnello Christofano Pallavicino che è alla guardia di quella Terra s’intendeva come Barbarossa alli 17 haveva svaligiato 4 nave franzese che erano con l’armata cariche di vettovaglie et di munitionj […]”.

ivi, c. 152r. , lettera a Donato de’ Bardi del 19 settembre 1544, “Lo avviso che ci havete dato con la vostra lettera de 13 della venuta di Barbarossa nel Golfo, con quelle 40 galere et 25 fuste et della impresa che s’intendeva devessen fare i Turchi, di Sgna di Fiume et di Buccali, con forze per mare et per terra […]et ci sarà grato, intendendone altro, non manchiate di fracene avvisati […]”.

43

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Miscellanea medicea, XXXVII, 8, si trova una ricevuta di Luca di Corral per 90.000 pagati da Cosimo a Carlo V per il recupero delle fortezze.

Per radunare i 150.000 scudi da versare a Carlo V la città si mobilita; si ricorre a prestiti e ad un “accatto”, chiamato “presta delle fortezze”, che è versato dai cittadini e frutta 110.048 scudi.

(21)

grande rammarico per dover innalzare la bandiera dei Medici sulla fortezza da Basso, riceve l’ordine di lasciare Firenze e di assumere il comando della guarnigione spagnola di Siena44.

Cosimo entra solennemente nella fortezza fiorentina il 3 luglio 1543 mentre i cittadini salutano con festeggiamenti la liberazione dagli spagnoli.

2.5 Le riforme istituzionali e amministrative (1543-1564)

A partire dal 1543, quando è padrone completamente del suo stato, Cosimo I dà avvio ad una serie di riforme istituzionali ed amministrative che consolidano le tendenze all’accentramento che si sono già manifestate dopo la vittoria di Montemurlo sui fuoriusciti.

Si manifesta una nuova tendenza sia mediante la moltiplicazione delle leggi emanate dal potere centrale ed imposte a tutto il territorio45, quali che siano le autonomie e i privilegi di cui le singole città o comunità godono, sia mediante l’estensione della giurisdizione delle magistrature centrali. Il giovane principe afferma subito la sua autorità e si distacca dagli uomini che precedentemente hanno avuto un ruolo importante nel governo di Firenze46.Le magistrature cittadine cambiano progressivamente volto e struttura e non sono più gli strumenti di potere della classe dirigente cittadina, ma piuttosto gli strumenti dell’autorità ducale47.

Direttiva fondamentale del cambiamento è l’assunzione da parte del principe di tutto il potere legislativo, prima riservato dalle istituzioni repubblicane ai Consigli succedutisi nelle diverse epoche con diverse composizioni e diversi modi di elezione, e assegnato nelle ordinazioni del 1532 al Consiglio dei ’48 e secondariamente a quello dei 200.

44

R. GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana, op. cit. , libro I, p. 50-51; Don Giovanni, nonostante abbia ricevuto il dispaccio della restituzione delle fortezze, fino all’ultimo tenta di resistere e sostiene le ragioni prodotte da Madama d’Austria sul possesso delle artiglierie, ricevute in eredità da lei dopo la morte del duca Alessandro. Ma è costretto a cedere le fortezza poiché il Granvella da Milano dichiara che la restituzione si debba fare liberamente, senza condizione alcuna e che le artiglierie si considerino di proprietà dello Stato.

45

L. CANTINI, Legislazione toscana, op. cit. ,vol. I, p. 226, “Legge di Sua Eccellentia Illustrissima del modo di punire e’ malefici gravi nel suo Dominio del dì 9 febbraio 1542”.

L. CANTINI, ivi, VII, p. 117, “Provvisioni concernenti l’amministrazione della buona giustizia nelle cause criminali dello Stato, 19 dicembre 1569”.

46

A. ANZILOTTI, La costituzione interna dallo Stato Fiorentino sotto il duca Cosimo I de’ Medici, op. cit. , p. 43; In questo Cosimo è stato favorito dall’allontanamento del cardinale Cibo da Firenze, a causa dei sospetti fatti sorgere per i suoi rapporti con Giulio, figlio bastardo di Alessandro e quindi suo possibile successore e per il discredito gettato su Cosimo, e dalla morte del Guicciardini, dopo aver sofferto per vedersi allontanato dalla trattazione degli affari pubblici.

47

Oltre a E. FASANO GUARINI, Lo Stato Mediceo di Cosimo I, Firenze, Sansoni 1973, p. 35, cfr. A. ANZILOTTI, op. cit. e R. VON ALBERTINI, op. cit.

(22)

Giulio Rucellai, Segretario del Regio Diritto, sotto la Reggenza e poi sotto Pietro Leopoldo, in una memoria del 175748, fa risalire l’innovazione alla costituzione del 1532: “[…] questa, che ha dato il potere legislativo ai nostri sovrani, unita all’altre leggi pubblicate da loro nel corso di due secoli e mezzo, forma la presente polizia ed in conseguenza deve considerarsi come la legge fondamentale dello Stato”. Rucellai, considerando nel suo complesso la costituzione del 1532, nota come corrisponda allo scopo di soddisfare le aspirazioni cittadine, senza ostacolare l’esercizio del potere assoluto del principe49. In realtà le cose, almeno sul piano istituzionale, stanno un po’ diversamente. Formalmente la riforma del ’32 riserva un’ampia partecipazione al Consiglio dei Duecento e al Senato dei Quarantotto, per l’elaborazione e l’approvazione delle leggi. Il primo deve solennemente convalidare ogni legge e emanare i provvedimenti relativi alle comunità e ai privati Il secondo delibera le norme finanziarie e relative ai maggiori affari dello Stato. Entrambi i collegi eleggono alcune delle più importanti magistrature. In realtà, a causa della formulazione vaga di questi poteri e la nomina da parte del principe dei due organi, già sotto Alessandro e più marcatamente sotto Cosimo, la funzione legislativa è esercitata dal Duca e le ratifiche e convalide dei due consigli diventano pure formalità50. Con Cosimo, il processo di concentrazione del potere investe anche le funzioni del Magistrato Supremo che avrebbe dovuto costituire, con le sue deliberazioni a maggioranza (tre voti), il vero consiglio del principe, chiamato a concorrere alla decisione dei principali affari di Stato. Invece il Duca lo fa presiedere dal suo luogotenente51 e riduce le deliberazioni dei

48

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Consulta, f. 454, c. 358r. 49

A. ANZILOTTI, La costituzione interna dello Stato Fiorentino sotto il duca Cosimo I de’ Medici, Firenze, Francesco Lumachi Editore, 1910, pp. 38-39: “Il senato e i Dugento nel corso dei secoli, anche nei primi tempi della loro istituzione non hanno mai dato il minimo imbarazzo, né direttamente né indirettamente alla Casa sovrana […]e rispetto al Senato potrebbe anche dimostrarsi che unicamente fu istituito per gettare i principi di un’assoluta monarchia e che sempre i nostri sovrani l’hanno fatto servire alle loro vedute e per le leggi che hanno pubblicato e per obbligare lo Stato a’ debiti pubblici, che è occorso di fare e per la difesa di alcuni diritti, che in certe circostanze hanno creduto loro interesse sostenere”.

50

ARCHIVIO DI STATO DI FIRENZE, Consulta, f. 454, c. 358. Lo sottolinea ancora il Rucellai: “[…]rispetto al Senato, che fin dal suo principio fu composto dalle famiglie più illustri e che per la maggior parte hanno un nome aureo ne’ fasti d’Italia, volendosi entrare a fondo nella nostra istoria civile, potrebbe ancor dimostrarsi che unicamente fu instituito per gettare i principi d’una assoluta Monarchia e che sempre i nostri sovrani l’hanno fatto servire alle loro vedute e per le leggi che hanno pubblicate[…]e per la difesa d’alcuni diritti ch’in certe circostanze hanno creduto loro interesse di sostenere. Talmente che con tutta la verità può avanzarsi la proposizione che forse in veruna polizia si troverà un magistrato che più di questo serva alla Monarchia, idoneo a giovarle ed impotente affatto a nuocerle , che in sostanza si risolve in quarantotto titoli d’onore all’assoluta nomina del Sovrano, che non costano nulla né al suo Erario né a quello del pubblico[…]”.

51

R. GALLUZZI, Istoria del granducato di Toscana, op. cit. , p. 133: “Dopo che l’allontanamento del Cardinale Cibo e per la restituzione delle Fortezze si credè Cosimo indipendente e libero dalla tutela delli Spagnoli e da ogni riguardo con i sudditi, cassò ancora dalle apparenti formalità della costituzione, e dichiarando ne Magistrato dei Consiglieri un Luogotenente per turno col pretesto di maggior sicurezza della sua persona, volle esimersi dall’intervenirvi personalmente, e privò in conseguenza quel Magistrato della venerazione e maestà che gl’inspirava la sua presenza”.

Figura

Fig. II. Giorgio Vasari, Il trionfo di Cosimo I a Montemurlo,  Palazzo Vecchio, Quartiere di Leone X, Sala di Cosimo

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